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Il battesimo di sant’Agostino in un affresco trecentesco, Padova

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A. TRAPÈ: INTRODUZIONE A SANT’AGOSTINO : UOMO DI PREGHIERA

http://www.augustinus.it/vita/uomo/index.htm

A. TRAPÈ: INTRODUZIONE A SANT’AGOSTINO – L’UOMO

CAPITOLO SETTIMO

UOMO DI PREGHIERA

Contro la curiosità (che è ben altra cosa dalla studiosità) Agostino si munisce con il raccoglimento interiore, indispensabile per lo spirito di preghiera e per la contemplazione. L’interiorità agostiniana non è solo un principio di metafisica o un assioma di dottrina spirituale, ma è insieme un programma di vita contemplativa: il vescovo d’Ippona la pone al centro della formazione sua e dei suoi discepoli.  » Tu infatti – scrive all’amico Nebridio – puoi abitare piacevolmente anche in compagnia del tuo spirito; si richiede invece un grande sforzo perché essi (si riferisce a quelli che erano con sé a Tagaste) possano fare la stessa cosa  » 1. Già a Cassiciaco raccomandava ai giovani Licenzio e Trigenzio di  » abituarsi a vivere in se stessi  » 2. Quanto a sé, mise in atto questo proposito fino alle mète più alte. Si vedano le Confessioni sulla cura che aveva per vincere la curiosità ed evitare ogni benché minima distrazione. Si accusa di lasciarsi distogliere dall’attenzione a gravi pensieri quando, in campagna, passando s’imbatte in un cane che insegue una lepre o, in casa, si ferma a vedere un ragno che dà la caccia alle mosche avvolgendole nella sua rete. È vero che da questi piccoli fatti prende lo spunto per lodare il Signore, ma, conclude,  » altra cosa è rialzarsi subito, altra non cadere « .
E dopo la costatazione della propria debolezza, il gemito del dolore e la speranza:  » Di tali miserie è piena la mia vita, e l’unica mia speranza è riposta nella tua misericordia grande assai  » 3. Perciò supplica il Signore che lo liberi dalle distrazioni o, come egli dice, dal multiloquio, quello che soffre interiormente anche quando tace con il labbro.  » Liberami, o Dio, dal multiloquio, che è dentro nella mia anima, misera al tuo cospetto e fiduciosa nella tua misericordia; poiché io non taccio con i pensieri anche quando taccio con la lingua. E se i miei pensieri non fossero se non quelli che piacciono a te, non ti pregherei di liberarmi da questo multiloquio. Ma molti dei miei pensieri, tu lo sai, sono pensieri di uomini, cioè pensieri vani. Dammi almeno di non acconsentire ad essi e, quando mi dilettano, di respingerli, senza fermarmi in essi quasi sonnecchiando  » 4.
Sostenuto da questa brama di solitudine e di silenzio interiore, Agostino percorse tutti i gradi della vita di orazione fino alla contemplazione più alta. La preghiera divenne l’atteggiamento abituale della sua anima. Ne abbiamo uno splendido documento nelle Confessioni. Dedicava alla meditazione e alla preghiera metà della notte, la prima o la seconda parte, quando non dovesse occuparla a scrivere libri 5.  » Lo svegliarmi di notte s’era tramutato in consuetudine per il mio amore di raggiungere il vero. Se tali problemi mi assillavano, vi riflettevo sopra o durante la prima parte della notte o durante la seconda, comunque per circa una metà della notte  » 6. Un saggio di queste notturne meditazioni c’è restato nella preghiera che apre i Soliloqui, dove la foga degli affetti, il sentimento della colpa, il bisogno di liberazione e l’invocazione della grazia si uniscono alla più alta idea di Dio,  » sopra il quale non vi è nulla, fuori del quale nulla, senza il quale nulla « , e ne fanno una stupenda litania d’amore 7.
Del resto, avendo identificato la preghiera con il desiderio ( » Se desideri sempre, preghi sempre  » 8), aveva trovato il modo di fare di tutta la vita una preghiera, tanto più ardente quanto più il desiderio gli bruciava nel cuore. Il Signore, poi, vi aggiunse i doni altissimi della contemplazione. L’estasi di Ostia non è l’unico esempio 9. Intorno a questo mirabile brano di letteratura religiosa sono state mosse non poche discussioni a causa dello schema filosofico nel quale l’esperienza mistica viene narrata. Ma bisogna riconoscere che dentro uno schema antico v’è un’anima nuova, un’esperienza religiosa che, se non viene dall’alto, l’uomo, da solo o con gli aiuti ordinari della grazia, non può raggiungere. La presenza di Monica, che condivise con il suo Agostino quell’esperienza, c’impedisce di dare a quel brano un’interpretazione che lo racchiuda nell’ambito d’una meditazione filosofica.
Ci preme notare, inoltre, che il ricordo di quell’esperienza restò indelebile nell’animo di Agostino: ridiscendendo dalla regione della fecondità indeficiente, dove Dio pasce in eterno i beati con il pascolo della verità, aveva lasciate lassù, come prigioniere,  » le primizie dello spirito  » (Rom, 8, 27). Quell’esperienza e questo ricordo spiegano la commozione che lo investe e che traspira dalle sue parole ogni volta che parli di Dio: v’è in lui la nostalgia d’un bene gustato per un momento e a cui si ha fretta di tornare per sempre.
Ma l’esperienza di Ostia, abbiamo detto, non fu l’unica. Ce lo assicura egli stesso con un linguaggio trasparente.  » E talora, scrive nelle Confessioni, tu mi fai entrare in un sentimento quanto mai insolito, in una non so quale dolcezza, che se diventerà in me perfetta io non so dire che mai sarà, che non sarà certo questa vita. Ma il peso delle mie miserie mi fa ricadere nello stato usuale da cui mi sento riassorbire e trattenere: piango molto, ma la stretta non si allenta. Tanta forza ha il peso della consuetudine! Qui potrei stare e non voglio, lì vorrei stare e non posso: misero dall’una parte e dall’altra  » 10.

BENEDETTO XVI, 2008: SANT’AGOSTINO – 28 AGOSTO

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2008/documents/hf_ben-xvi_aud_20080109_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

AULA PAOLO VI

MERCOLEDÌ, 9 GENNAIO 2008

SANT’AGOSTINO – 28 AGOSTO

I: LA VITA

Cari fratelli e sorelle,

dopo le festività natalizie, vorrei tornare alle meditazioni sui Padri della Chiesa e parlare oggi del più grande Padre della Chiesa latina, sant’Agostino: uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura pastorale instancabile, questo grande Santo e Dottore della Chiesa è spesso conosciuto, almeno di fama, anche da chi ignora il cristianesimo o non ha consuetudine con esso, perché egli ha lasciato un’impronta profondissima nella vita culturale dell’Occidente e di tutto il mondo. Per la sua singolare rilevanza, sant’Agostino ha avuto un influsso larghissimo, e si potrebbe affermare, da una parte, che tutte le strade della letteratura latina cristiana portano a Ippona (oggi Annata, sulla costa algerina) – la città dell’Africa romana, di cui egli fu Vescovo dal 395 fino alla morte nel 430 – e, dall’altra, che da questo luogo si diramano molte altre strade del cristianesimo successivo e della stessa cultura occidentale.
Di rado una civiltà ha trovato uno spirito così grande, che sapesse accoglierne i valori ed esaltarne l’intrinseca ricchezza, inventando idee e forme di cui si sarebbero nutriti i posteri, come sottolineò anche Paolo VI: «Si può dire che tutto il pensiero dell’antichità confluisca nella sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono tutta la tradizione dottrinale dei secoli successivi» (AAS, 62, 1970, p. 426). Agostino è inoltre il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere. Il suo biografo Possidio dice: sembrava impossibile che un uomo potesse scrivere tante cose nella propria vita. Di queste diverse opere parleremo in un prossimo incontro. Oggi la nostra attenzione sarà riservata alla sua vita, che si ricostruisce bene dagli scritti, e in particolare dalle Confessioni, la straordinaria autobiografia spirituale, scritta a lode di Dio, che è la sua opera più famosa. E giustamente, perché sono proprio le Confessioni agostiniane, con la loro attenzione all’interiorità e alla psicologia, a costituire un modello unico nella letteratura occidentale (e non solo occidentale) anche non religiosa, fino alla modernità. Questa attenzione alla vita spirituale, al mistero dell’io, al mistero di Dio che si nasconde nell’io, è una cosa straordinaria, senza precedenti, e rimane per sempre, per così dire, un «vertice» spirituale.
Ma, per venire alla sua vita, Agostino nacque a Tagaste – nella provincia della Numidia, nell’Africa romana – il 13 novembre 354 da Patrizio, un pagano che poi divenne catecumeno, e da Monica, fervente cristiana. Questa donna appassionata, venerata come santa, esercitò sul figlio una grandissima influenza e lo educò nella fede cristiana. Agostino aveva anche ricevuto il sale, come segno dell’accoglienza nel catecumenato, e rimase sempre affascinato dalla figura di Gesù Cristo. Egli anzi dice di aver sempre amato Gesù, ma di essersi allontanato sempre più dalla fede ecclesiale, dalla pratica ecclesiale, come succede anche oggi per molti giovani.
Agostino aveva anche un fratello, Navigio, e una sorella, della quale ignoriamo il nome e che, rimasta vedova, fu poi a capo di un monastero femminile. Il ragazzo, di vivissima intelligenza, ricevette una buona educazione, anche se non fu sempre uno studente esemplare. Egli tuttavia studiò bene la grammatica, prima nella sua città natale, poi a Madaura, e dal 370 retorica a Cartagine, capitale dell’Africa romana: divenne un perfetto dominatore della lingua latina. Non arrivò però a maneggiare con altrettanto dominio il greco e non imparò il punico, parlato dai suoi conterranei. Proprio a Cartagine Agostino lesse per la prima volta l’Hortensius, uno scritto di Cicerone, poi andato perduto, che si colloca all’inizio del suo cammino verso la conversione. Il testo ciceroniano, infatti, svegliò in lui l’amore per la sapienza, come scriverà, ormai Vescovo, nelle Confessioni: «Quel libro cambiò davvero il mio modo di sentire», tanto che «all’improvviso perse valore ogni speranza vana e desideravo con un incredibile ardore del cuore l’immortalità della sapienza» (III,4,7).
Ma poiché era convinto che senza Gesù la verità non può dirsi effettivamente trovata, e perché in questo libro appassionante quel nome gli mancava, subito dopo averlo letto cominciò a leggere la Scrittura, la Bibbia. Ma ne rimase deluso. Non solo perché lo stile latino della traduzione della Sacra Scrittura era insufficiente, ma anche perché lo stesso contenuto gli apparve non soddisfacente. Nelle narrazioni della Scrittura su guerre e altre vicende umane non trovava l’altezza della filosofia, lo splendore di ricerca della verità che ad essa è proprio. Tuttavia non voleva vivere senza Dio, e così cercava una religione corrispondente al suo desiderio di verità e anche al suo desiderio di avvicinarsi a Gesù. Cadde così nella rete dei manichei, che si presentavano come cristiani e promettevano una religione totalmente razionale. Affermavano che il mondo è diviso in due principi: il bene e il male. E così si spiegherebbe tutta la complessità della storia umana. Anche la morale dualistica piaceva a sant’Agostino, perché comportava una morale molto alta per gli eletti: e a chi, come lui, vi aderiva era possibile una vita molto più adeguata alla situazione del tempo, specie per un uomo giovane. Si fece pertanto manicheo, convinto in quel momento di aver trovato la sintesi tra razionalità, ricerca della verità e amore di Gesù Cristo. Ed ebbe anche un vantaggio concreto per la sua vita: l’adesione ai manichei infatti apriva facili prospettive di carriera. Aderire a quella religione che contava tante personalità influenti gli permetteva di andare avanti nella sua carriera, oltre che continuare la relazione intrecciata con una donna. (Da questa donna ebbe un figlio, Adeodato, a lui carissimo, molto intelligente, che sarà poi presente nella preparazione al Battesimo presso il lago di Como, partecipando a quei Dialoghi che sant’Agostino ci ha trasmesso. Il ragazzo, purtroppo, morì prematuramente.) Agostino, a circa vent’anni già insegnante di grammatica nella sua città natale, tornò presto a Cartagine, dove divenne un brillante e celebrato maestro di retorica. Con il tempo, tuttavia, egli iniziò ad allontanarsi dalla fede dei manichei, che lo delusero proprio dal punto di vista intellettuale in quanto incapaci di risolvere i suoi dubbi, e si trasferì a Roma e poi a Milano, dove allora risiedeva la corte imperiale e dove aveva ottenuto un posto di prestigio grazie all’interessamento e alle raccomandazioni del prefetto di Roma, il pagano Simmaco, ostile al Vescovo di Milano sant’Ambrogio.
A Milano Agostino prese l’abitudine di ascoltare – inizialmente allo scopo di arricchire il suo bagaglio retorico – le bellissime prediche del Vescovo Ambrogio, che era stato rappresentante dell’imperatore per l’Italia settentrionale. Dalla parola del grande presule milanese il retore africano rimase affascinato, e non soltanto dalla sua retorica: soprattutto i contenuti toccarono sempre più il suo cuore. Il grande problema dell’Antico Testamento – la mancanza di bellezza retorica e di altezza filosofica – si risolse nelle prediche di sant’Ambrogio grazie all’interpretazione tipologica dell’Antico Testamento: Agostino capì che tutto l’Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo. Così trovò la chiave per capire la bellezza, la profondità pure filosofica dell’Antico Testamento e capì tutta l’unità del mistero di Cristo nella storia e anche la sintesi tra filosofia, razionalità e fede nel Logos, in Cristo Verbo eterno che si è fatto carne.
In breve tempo Agostino si rese conto che la lettura allegorica della Scrittura e la filosofia neoplatonica coltivate dal Vescovo di Milano gli permettevano di risolvere le difficoltà intellettuali che, quando era più giovane, nel suo primo avvicinamento ai testi biblici gli erano sembrate insuperabili.
Alla lettura degli scritti dei filosofi Agostino fece così seguire quella rinnovata della Scrittura e soprattutto delle Lettere paoline. La conversione al cristianesimo, il 15 agosto 386, si collocò quindi al culmine di un lungo e tormentato itinerario interiore, del quale parleremo ancora in un’altra catechesi, e l’africano si trasferì nella campagna a nord di Milano, verso il lago di Como – con la madre Monica, il figlio Adeodato e un piccolo gruppo di amici – per prepararsi al Battesimo. Così, a trentadue anni, Agostino fu battezzato da Ambrogio il 24 aprile 387, durante la Veglia pasquale, nella Cattedrale di Milano.
Dopo il Battesimo, Agostino decise di tornare in Africa con gli amici, con l’idea di praticare una vita comune, di tipo monastico, al servizio di Dio. Ma a Ostia, in attesa di partire, la madre improvvisamente si ammalò e poco più tardi morì, straziando il cuore del figlio. Rientrato finalmente in patria, il convertito si stabilì a Ippona per fondarvi appunto un monastero. In questa città della costa africana, nonostante le sue resistenze, fu ordinato presbitero nel 391 e iniziò con alcuni compagni la vita monastica a cui da tempo pensava, dividendo il suo tempo tra la preghiera, lo studio e la predicazione. Egli voleva essere solo al servizio della verità, non si sentiva chiamato alla vita pastorale, ma poi capì che la chiamata di Dio era quella di essere Pastore tra gli altri, e così di offrire il dono della verità agli altri. A Ippona, quattro anni più tardi, nel 395, venne consacrato Vescovo. Continuando ad approfondire lo studio delle Scritture e dei testi della tradizione cristiana, Agostino fu un Vescovo esemplare nel suo instancabile impegno pastorale: predicava più volte la settimana ai suoi fedeli, sosteneva i poveri e gli orfani, curava la formazione del clero e l’organizzazione di monasteri femminili e maschili. In breve, l’antico retore si affermò come uno degli esponenti più importanti del cristianesimo di quel tempo: attivissimo nel governo della sua Diocesi – con notevoli risvolti anche civili – negli oltre trentacinque anni di episcopato, il Vescovo di Ippona esercitò infatti una vasta influenza nella guida della Chiesa cattolica dell’Africa romana e più in generale nel cristianesimo del suo tempo, fronteggiando tendenze religiose ed eresie tenaci e disgregatrici come il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo, che mettevano in pericolo la fede cristiana nel Dio unico e ricco di misericordia.
E a Dio si affidò Agostino ogni giorno, fino all’estremo della sua vita: colpito da febbre, mentre da quasi tre mesi la sua Ippona era assediata dai Vandali invasori, il Vescovo – racconta l’amico Possidio nella Vita di Agostino – chiese di trascrivere a grandi caratteri i Salmi penitenziali «e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua malattia li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime» (31,2). Così trascorsero gli ultimi giorni della vita di Agostino, che morì il 28 agosto 430, quando ancora non aveva compiuto 76 anni. Alle sue opere, al suo messaggio e alla sua vicenda interiore dedicheremo i prossimi incontri.

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