SULLE ICONE : MADONNA GRECA, CAPO RIZZUTO, CALABRIA

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MADONNA GRECA, CAPO RIZZUTO, CALABRIA

Si dice sia stata scritta direttamente dall’Evangelista Luca, ma di certo l’Icona della Madonna della Passione è una delle immagini più venerate dell’isola di Creta, da dove, a partire dal XIV secolo, si irradiò in tutta Europa. Il modello nel XV secolo divenne molto popolare in tutto l’oriente, come nel Veneto e nel meridione d’Italia; celebre è l’Icona della “Madonna del Perpetuo Soccorso”, oppure la Madonna dell’Elemosina di Biancavilla.
Una nota leggenda popolare vuole che il 5 agosto di un non definito anno un contadino calabrese fosse uscito per pascolare le pecore nei pressi della spiaggia di Capo Rizzuto e qui trovasse sulla spiaggia, trasporta dalle onde del mare, una Icona sacra raffigurante la Madonna con in braccio il bambino.
« …Un bel mattino di agosto, 5 di quel mese, colà dove l’onda azzurrognola dell’Ionio lambisce le rive di Capo Rizzuto, venne veduto ad un contadino, lì per avventura traentesi alla pastura degli armenti, ondeggiar lieve lieve sulla mobile superficie dell’onda una tavola, coronata dalle iridi della luce nascente, e avvicinarsi secondo che le aure quella spingevan verso il lido, e quasi dall’onda riverente su quello deporsi. Quella tavola miracolosa rivelava le sembianze di Maria Vergine, avente fra le braccia il Divin Pargoletto » (Salvatore Cristofaro di San Marco Argentano: In onore di Maria Vergine madre di Dio, che si venera in Isola come protettrice sotto il titolo di Madonna Greca. Edizione 3°, Catanzaro, 1896 ).
L’Icona che, vuoi per tradizione, vuoi per analogia alle altre più note, si suppose provenire dalla Grecia fu presto una copiosa sorgente di miracoli; fu detta “Madonna Greca” ed attirò grandi masse di pellegrini. Ad essa furono dedicati due momenti di festa religiosa: il lunedì successivo alla prima domenica di Maggio, con un pellegrinaggio da Isola a Capo Rizzuto, in ricordo di quello guidato da San Luca di Melicuccà, primo vescovo di Isola, allorchè tutta la popolazione si mosse per invocare la fine di una lunga siccità; il 5 Agosto, giorno del ritrovamento dell’icona, quando questa viene portata in processione sul mare da una folta schiera di piccole imbarcazioni.
Oggi la sacra Icona è custodita all’interno di una splendida cappella del Duomo di Capo Rizzuto, che fu sede vescovile di iniziale rito greco fino al 1818, anno in cui fu soppressa e accorpata all’allora Diocesi di Crotone.
Per cercare di formulare delle ipotesi sull’anno d’arrivo dell’Icona in Calabria, occorre considerare che, come lo storico locale padre Ughelli sottolinea, la cittadina di Isola di Capo Rizzuto sia situata in “una pianura fertile e boscosa a 4 miglia dal mare” parecchio esposta al rischio di incursioni piratesche, “in 80 anni è stata devastata due volte dai Turchi: la prima volta da Barbarossa e quindi da Dragut, rais dei pirati; infatti, non era circondata dalle mura, ma abitata nei villaggi”. Anche se la prima citazione della città di Isola la troviamo al secolo nono nell’elenco delle sedi vescovili di rito greco e subalterni a Costantinopoli, è poco probabile che l’Icona sia sopravvissuta alle devastazioni del Barbarossa prima, dei saraceni poi.
Come poteva un’icona di questo pregio e di questa fama rimanere malgrado tutto nella cattedrale benedettina di Capo Rizzuto? D’altro canto padre Ferdinando Ughelli evidenzia come al suo tempo “nella città di Isola non c’è nessuna chiesa parrocchiale oltre alla Cattedrale e né c’è qualche Oratorio per l’esiguità del territorio all’interno delle mura. Così la cura delle anime dell’intera città è gestita dai Canonici e c’è un convento dei Terziari Francescani, fondato dallo stesso Caracciolo. ».
Nel XV secolo a seguito delle continue vittorie turche, con la conquista di Creta e dei territori albanesi, è molto probabile che un gruppo di profughi con il loro prezioso tesoro abbiano lasciato la patria per cadere poi nelle mani di una qualche unità saracena nello specchio di mare antistante le coste calabre. Intorno al 1482, a seguito della vittoria dei turchi musulmani sulla terra d’Albania, diversi gruppi di profughi lasciarono la loro patria per dirigersi in Sicilia, ove una nutrita colonia di albanesi si era già insediata nella Piana degli Albanesi, vicino Palermo. Il periodo migliore per intraprendere la navigazione nel mediterraneo era sempre e comunque quello estivo. Data la sua enorme somiglianza (differisce solo per la presenza degli angeli) con la Madonna dell’Elemosina di Biancavilla (CT), forse l’Icona si trovava su uno di questi convogli. Risulta così fortemente suffragata l’ipotesi dell’appartenenza dell’Icona alla scuola cretese.
D’altro canto una delle prime notizie storiche che riguarda l’esistenza del quadro della Beata Vergine ad Nives (l’Icona fu rinvenuta il 5 agosto, data della storica nevicata romana), detta la « Cona greca », risale alla visita pastorale, fatta alla diocesi d’Isola, verso la fine del 1594 dal decano Nicolao Tiriolo da Catanzaro, vicario generale del vescovo Annibale Caracciolo, uno dei Prelati più zelanti e munifici verso la diocesi d’Isola. Da questa visita pastorale si apprende che la Cappella della “Cona greca” godeva di un “Beneficio”consistente “ in cinque ducati ” . Ricopriva la carica di procuratore della Cona Greca Don Desiderio De Onofrio, tesoriere della cattedrale d’Isola, che ebbe tale incarico direttamente dal vescovo Annibale Caracciolo, per amministrare anche i beni della Cappella della Cona Greca, come si legge dagli atti della stessa visita pastorale. Poteva rimanere tanto tempo nascosta un’Icona miracolosa di così grande pregio?

Lettura dell’Icona
L’Icona appartiene al modulo delle “Madonne della Passione”, di cui uno dei più antichi prototipi è un affresco presso il monastero di Arakos a Cipro. Verso la fine del XIV secolo questa tipologia divenne molto popolare nell’Isola di Creta e da lì si diffuse in tutto il mondo ortodosso. L’Icona della “Madonna Greca” propone la Madonna col Bambino, affiancato da due angeli, l’arcangelo Gabriele a destra e l’arcangelo Michele a sinistra entrambi posti su delle nuvolette, a mani giunte in atto di adorazione. Le mani del Bambino si aggrappano alla mano della Madre, mentre Ella con la destra indica il Salvatore del mondo. L’Icona è fortemente somigliante alla più nota “Maria Santissima del Perpetuo Soccorso”, alla quale, fatta eccezione del particolare degli strumenti della passione in mano agli angeli e a qualche differenza, spesso soltanto cromatica, si avvicina moltissimo. Fatta eccezione per l’assenza degli angeli, l’Icona risulta la gemella della « Mater Elemosinae » di Biancavilla, datate fra il XIV ed il XV secolo.

Madonna Greca | Capo Rizzuto | Calabria
Santa Maria dell’Elemosina (Biancavilla) – Madonna Greca (Capo Rizzuto)

D’altro canto la tecnica con pittura a tempera d’uovo usata per “scrivere” questa Icona avvalora ulteriormente l’ipotesi di datazione dell’Immagine fra il XIV ed il XV secolo.
L’anonimo iconografo ha voluto apportare una significativa semplificazione al modulo base, che vede gli attrezzi della passione in mano agli angeli: qui essi hanno una funzione “consolatoria”, ciò non di meno egli non ha rinunciato alla rappresentazione dell’angoscia del Cristo, che, meditando la sua futura Passione, si aggrappa alla Madre e perde, per il movimento brusco, un sandalo. Nell’icona la parte inferiore raffigurante i piedi del Bambino è purtroppo andata persa, ma risulta assai probabile, per l’assonanza a tutti gli altri modelli, che il bambino fosse privo di un sandalo. Nell’Icona viene evidenziato anche il trionfo di Cristo sulla sofferenza e sulla morte, come si evince dal fondo dorato (simbolo della Risurrezione) e dalla realtà luminosa senza tempo del Regno dei Cieli.
La mano della Madonna, che si incontra con quelle del Bambino, è il punto centrale dell’Icona, in cui si può scorgere da un lato la realtà dell’incarnazione, dall’altro l’immenso gesto di tenerezza, attraverso il quale Gesù consola Maria e quindi la Chiesa tutta. Tutto ciò, come di consueto nella tradizione bizantina, è raffigurato nella parte basse dell’Icona solitamente demandata alla rappresentazione delle cose terrene; la parte alta, gli angeli ed il fondo oro esprimono la Luce della Gloria di Dio. La mano destra di Maria accoglie quelle del Figlio, sottolineando così l’umanità di Cristo e nel contempo lo indica.
I volti di Maria e di Gesù, mentre i loro occhi fissano benignamente il fedele, si incontrano in un momento di immensa intimità, contatto però che non produce ombre, anzi un colpo di luce, irradiato dal Figlio, brilla sotto l’occhio sinistro della Madre e continua fino alle labbra, ove raggiunge la massima intensità, volendo enfatizzare le parole di Maria “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5).
Il collo gonfio di Gesù ne simboleggia la pienezza dello spirito « Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri. »(Is. 61,1).
La particolare raffigurazione degli organi di senso (occhi senza luccichìo, naso sottile e lungo, narici piccole, bocca sempre chiusa), esprimono in modo molto evidente lo stato di apatheia di Maria, il distacco da ogni eccitazione, tipico di coloro che ormai vivono nell’assoluta perfezione. « Quando la mente non è più dispersa nelle cose esterne, né sperduta nel mondo a causa dei sensi, allora essa ritorna in sé; e per mezzo di sé stessa ascende al pensiero di Dio » (San Basilio il Grande). Ed ancora di più: « Siate in pace con la vostra anima e allora cielo e terra saranno in pace con voi. Entrate prontamente nel tesoro che è dentro di voi, e così vedrete le cose che sono in cielo; perché una sola è l’entrata che conduce ad entrambi. La scala che porta al Regno è nascosta nella vostra anima. Sfuggite il peccato, immergetevi in voi stessi, e nella vostra anima scoprirete la scala su cui ascendere » (S. Isacco di Siria, VII sec.).
L’armonia con cui viene rappresentata Maria la colloca nella perfezione del mondo spirituale. Secondo la teoria dei tre cerchi di Panovsky, per la rappresentazione dei volti, l’iconografo si è servito, come di consueto, del modulo che corrisponde alla lunghezza del naso; in questo modo la testa è inscritta in due cerchi, mentre il nimbo è determinato da un terzo. Nella visione frontale il centro dei cerchi è situato alla radice del naso, tra i due occhi, questa parte del naso è situata a sua volta al centro della testa, sede della sapienza. Nella nostra Icona, ove il volto della Vergine è rappresentato a tre quarti, il centro è spostato sul margine dell’occhio destro, rispettando sempre perfettamente il modulo del naso. L’Asse del naso forma con gli occhi un angolo retto, perché il volto non è concepito in profondità, ma in planimetria. Il mento e la fronte restano alla distanza di un modulo, in questo modo le misure verticali, segno della gloria di Dio restano fisse, “eternamente immutabili” mentre quelle orizzontali sono delle semplici frazioni. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.” (Mc. 13,31). Questo tipo di rappresentazione permette ai volti di aprirsi verso lo spettatore, mentre la curva delle loro teste diviene ancora più espressiva e come gravida di intelligenza (E. Sedler, L’Icona immagine dell’invisibile). La grande maturità raggiunta nell’astrazione delle forme, strutturate in modo tale da riflettere non l’apparenza (la corporeità di Maria e di Gesù), ma la loro essenza: il loro nucleo spirituale, la loro verità eterna è tipica del periodo medievale. L’esigenza del rispetto dei canoni delle proporzioni, secondo il manuale d’iconografia cristiana, ha due significati specifici: solamente colui che ha il cuore puro entrerà nel Regno dei Cieli; è nella carne che il cristiano impegna il combattimento più duro, ma anche il più glorioso.
Sul nimbo di Maria sono presenti tracce di una ricca decorazione a racemi, realizzata a pastiglia in oro, tecnica tipica del XIV secolo, elemento che contribuisce anch’esso alla datazione dell’opera nel periodo stimato. Le vesti coprono il corpo di Maria in modo estremamente razionale, ma senza esprimere alcuna materialità volumetrica. Nelle icone Mariane il vero e il bene si offrono alla contemplazione e dalla loro simbiosi scaturisce il bello. La materia reale e concreta perde drasticamente profondità fino ad addivenire ad una proiezione della natura, lasciando completamente il suo posto alla luce spirituale, all’essenza più intima delle cose, quella che tocca l’animo di chi contempla, edificando. In questa Icona tutto concorre alla celebrazione della Bellezza, al punto da divenire espressione tangibile ed immediata dell’immensa fiducia nella potente intercessione della Madonna, d’altro canto Lei stessa rispose, quando interrogata: « Sono così bella perché amo così tanto. »

Publié dans : immagini sacre e testo |le 20 août, 2014 |Pas de Commentaires »

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