Neuvaine à l’Esprit Saint

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO NELLA REPUBBLICA DI COREA IN OCCASIONE DELLA VI GIORNATA DELLA GIOVENTÙ ASIATICA
(13-18 AGOSTO 2014)
SANTA MESSA PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cattedrale di Myeong-dong (Seoul)
Lunedì, 18 agosto 2014
Cari fratelli e sorelle,
la mia permanenza in Corea si avvia al termine e non posso che ringraziare Dio per le molte benedizioni che ha concesso a questo amato Paese e, in maniera particolare, alla Chiesa in Corea. Tra queste benedizioni conservo specialmente l’esperienza, vissuta insieme in questi ultimi giorni, della presenza di tanti giovani pellegrini provenienti da tutte le parti dell’Asia. Il loro amore per Gesù e il loro entusiasmo per la diffusione del suo Regno sono stati un’ispirazione per tutti.
La mia visita ora culmina in questa celebrazione della Santa Messa, in cui imploriamo da Dio la grazia della pace e della riconciliazione. Tale preghiera ha una particolare risonanza nella penisola coreana. La Messa di oggi è soprattutto e principalmente una preghiera per la riconciliazione in questa famiglia coreana. Nel Vangelo, Gesù ci dice quanto potente sia la nostra preghiera quando due o tre sono uniti nel suo nome per chiedere qualcosa (cfr Mt 18,19-20). Quanto più quando un intero popolo innalza la sua accorata supplica al cielo!
La prima lettura presenta la promessa di Dio di restaurare nell’unità e nella prosperità un popolo disperso dalla sciagura e dalla divisione. Per noi, come per il popolo di Israele, questa è una promessa piena di speranza: indica un futuro che fin d’ora Dio sta preparando per noi. Tuttavia questa promessa è inseparabilmente legata ad un comando: il comando di ritornare a Dio e di obbedire con tutto il cuore alla sua legge (cfr Dt 30,2-3). Il dono divino della riconciliazione, dell’unità e della pace è inseparabilmente legato alla grazia della conversione: si tratta di una trasformazione del cuore che può cambiare il corso della nostra vita e della nostra storia, come individui e come popolo.
In questa Messa, naturalmente ascoltiamo tale promessa nel contesto dell’esperienza storica del popolo coreano, un’esperienza di divisione e di conflitto che dura da oltre sessant’anni. Ma il pressante invito di Dio alla conversione chiama anche i seguaci di Cristo in Corea ad esaminare la qualità del loro contributo alla costruzione di una società giusta e umana. Chiama ciascuno di voi a riflettere su quanto, come individui e come comunità, testimoniate un impegno evangelico per i disagiati, per gli emarginati, per quanti non hanno lavoro o sono esclusi dalla prosperità di molti. Vi chiama, come cristiani e come coreani, a respingere con fermezza una mentalità fondata sul sospetto, sul contrasto e sulla competizione, e a favorire piuttosto una cultura plasmata dall’insegnamento del Vangelo e dai più nobili valori tradizionali del popolo coreano.
Nel Vangelo di oggi, Pietro chiede al Signore: «Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Il Signore risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,21-22). Queste parole vanno al cuore del messaggio di riconciliazione e di pace indicato da Gesù. In obbedienza al suo comando, chiediamo quotidianamente al nostro Padre celeste di perdonare i nostri peccati, «come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Se non fossimo pronti a fare altrettanto, come potremmo onestamente pregare per la pace e la riconciliazione?
Gesù ci chiede di credere che il perdono è la porta che conduce alla riconciliazione. Nel comandare a noi di perdonare i nostri fratelli senza alcuna riserva, Egli ci chiede di fare qualcosa di totalmente radicale, ma ci dona anche la grazia per farlo. Quanto, da una prospettiva umana, sembra essere impossibile, impercorribile e perfino talvolta ripugnante, Gesù lo rende possibile e fruttuoso attraverso l’infinita potenza della sua croce. La croce di Cristo rivela il potere di Dio di colmare ogni divisione, di sanare ogni ferita e di ristabilire gli originali legami di amore fraterno.
Questo, dunque, è il messaggio che vi lascio a conclusione della mia visita in Corea. Abbiate fiducia nella potenza della croce di Cristo! Accogliete la sua grazia riconciliatrice nei vostri cuori e condividetela con gli altri! Vi chiedo di portare una testimonianza convincente del messaggio di riconciliazione di Cristo nelle vostre case, nelle vostre comunità e in ogni ambito della vita nazionale. Ho fiducia che, in uno spirito di amicizia e di cooperazione con gli altri cristiani, con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno a cuore il futuro della società coreana, voi sarete lievito del Regno di Dio in questa terra. Allora le nostre preghiere per la pace e la riconciliazione saliranno a Dio da cuori più puri e, per il suo dono di grazia, otterranno quel bene prezioso a cui tutti aspiriamo.
Preghiamo dunque per il sorgere di nuove opportunità di dialogo, di incontro e di superamento delle differenze, per una continua generosità nel fornire assistenza umanitaria a quanti sono nel bisogno, e per un riconoscimento sempre più ampio della realtà che tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia e di un unico popolo. Parlano la stessa lingua.
Prima di lasciare la Corea, vorrei ringraziare la Signora Presidente della Repubblica, Park Geun-Hye, le Autorità civili ed ecclesiastiche e tutti coloro che in qualsiasi forma hanno aiutato a rendere possibile questa visita. In special modo, vorrei rivolgere una parola di personale riconoscenza ai sacerdoti della Corea, che quotidianamente lavorano al servizio del Vangelo e alla costruzione del Popolo di Dio nella fede, nella speranza e nella carità. Chiedo a voi, quali ambasciatori di Cristo e ministri del suo amore di riconciliazione (cfr 2 Cor 5,18-20), di continuare a costruire legami di rispetto, di fiducia e di armoniosa cooperazione nelle vostre parrocchie, tra di voi e con i vostri Vescovi. Il vostro esempio di amore senza riserve per il Signore, la vostra fedeltà e dedizione al ministero, come pure il vostro impegno caritatevole per quanti si trovano nel bisogno, contribuiscono grandemente all’opera di riconciliazione e di pace in questo Paese.
Cari fratelli e sorelle, Dio ci chiama a ritornare a Lui e ad ascoltare la sua voce e promette di stabilirci sulla terra in una pace e prosperità maggiori di quanto i nostri antenati abbiano mai conosciuto. Possano i seguaci di Cristo in Corea preparare l’alba di quel nuovo giorno, quando questa terra del calmo mattino godrà le più ricche benedizioni divine di armonia e di pace! Amen.
PREGHIERA DEI FEDELI
Preghiera per il Cardinale Filoni e per l’Iraq:
“Per il Cardinale Fernando Filoni, che doveva essere fra noi, ma che non è potuto venire perché è stato inviato dal Papa al popolo sofferente dell’Iraq, per aiutare i fratelli perseguitati e spogliati, e tutte le minoranze religiose che soffrono in quella terra. Che il Signore gli sia vicino nella sua missione”.
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/06-07/005-Origini_Pentecoste.html
ALLE ORIGINI DELLA PENTECOSTE
Genesi della festa
Presso gli Ebrei la festa della Pentecoste era inizialmente una gioiosa festa agricola chiamata “festa della mietitura” (Es 23,16) o “festa dei primi frutti” (Nm 28,26). Si celebrava il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua e indicava l’inizio della mietitura del grano.
In altri passi era detta anche “festa dello Shavuot, delle Settimane” (Es 34, 22; Dt 16,10; 2Cr 8,13), poiché cadeva sette settimane dopo la Pasqua. Le sette settimane corrispondono al periodo dell’Omer, un periodo di lutto, memoria delle disgrazie accadute al popolo di Israele che terminava con la festa di Lag Ba Omer. Nella lingua greca, utilizzata dagli Ebrei che non abitavano in Palestina, la festa dello Shavuot veniva tradotta con la parola greca Pentecoste che significa appunto 50ª giornata. Il termine Pentecoste, riferendosi alla “festa delle Settimane”, è citato in Tobia 2,1 e 2 Maccabei, 12,31-32.
Un nuovo senso alla festa
Se lo scopo primitivo di questa festa era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, terminati i tempi biblici originari, gli Ebrei, a poco a poco le diedero un significato nuovo. Nel giorno di Pentecoste s’iniziò a commemorare il dono della Legge sul Sinai. Questo giorno, descritto come «il giorno del dono della Legge» (Maimonide More Neb., III, 41) richiedeva che gli Ebrei passassero la vigilia della festa leggendo la Legge. Per gli Israeliti della diaspora questa festa poteva durare anche due giorni a causa dell’incertezza con cui calcolavano in che giorno iniziasse il nuovo mese nella terra d’Israele.
In ogni caso, la Pentecoste era una delle tre festività, dette Shalosh regalim, feste del pellegrinaggio a Gerusalemme.
La festa comportava infatti un pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra (‘asereth o ‘asartha) e particolari sacrifici. L’offerta sacrificale consisteva in due forme di pane lievitato prodotto con due decimi di efa (pari a circa 8 chili), oppure farina prodotta con il nuovo grano (Lv 23,17; Es 24,22). Il pane lievitato però non poteva essere posto sopra l’altare dei sacrifici (Lv 2,11) ed era solamente presentato (cioè «sollevato»); un pane veniva poi dato al Sommo Sacerdote, mentre l’altro veniva diviso tra gli altri sacerdoti ma dovevano mangiarlo dentro i sacri recinti.
La prima Pentecoste cristiana
Come per la Pasqua, un gran numero di Ebrei provenienti da tutte le parti del mondo raggiungevano Gerusalemme per partecipare alla festa. Ed è in questo contesto che si colloca la prima Pentecoste cristiana in cui si celebra la discesa dello Spirito Santo che raduna nella Chiesa tutti i popoli. L’azione dello Spirito si contrappone alla babele dei popoli prodotta dalla superbia e dall’orgoglio umano. Nella Chiesa, per puro dono divino, l’uomo ritrova l’unità in se stesso e con gli altri. Il Risorto, che vive nell’uomo che lo accoglie, ricompone nell’armonia la dispersione causata dal peccato e pone nella storia il segno della creazione nuova che riprende il suo dominio sulla dissoluzione introdotta dall’antica disobbedienza.
Lo Spirito Santo con la sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel suo corpo che è la Chiesa.
Maria è presente poiché è l’unica che possa certificare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera di Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consostanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei convalida. Loro annunciano, a lei è stato annunciato. Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola.
Una perenne Pentecoste
Tra i due avvenimenti dell’Incarnazione e della Pentecoste si svolge tutta l’economia salvifica, una e indivisibile: lo Spirito Santo discende sull’intero corpo della Chiesa per dimorarvi completamente nella vita ecclesiale. Come nel corpo dell’uomo niente può esistervi senza l’anima, così nel corpo della Chiesa niente potrebbe avere esistenza senza lo Spirito Santo che è l’anima della Chiesa. In verità, la Chiesa si trova costantemente nel «giorno dello Spirito Santo»: lo Spirito Santo è infatti perennemente presente in essa, in quanto forza vivificante e immortale, ed è Lui a discendere continuamente sui cristiani: esso discende attraverso i Sacramenti, attraverso la preghiera come attraverso ogni sospiro di nostalgia per Cristo.
Nel giorno della Pentecoste, lo Spirito scende per restare. Egli è il Dono divino per eccellenza, e come ogni dono del Padre non può venir ritirato poiché Dio è fedele. Per questo, permanentemente Egli risiede nella Chiesa e viene continuamente manifestato dai segni che pongono nel mondo i successori di coloro sui quali Egli per primo discese. È lo Spirito che consente il trasmettersi dei segni certi della salvezza. È lo Spirito che obbliga i discepoli del Risorto a comunicare questi segni dell’amore invincibile di Dio. Per questa ragione i segni dello Spirito sono trasmissibili nei secoli di generazione in generazione. Ed è ancora lo Spirito che mediante questi segni guida i discepoli del Risorto verso la Verità tutta intera, verità che è la Vita eterna dell’uomo.
Con la Pentecoste s’apre il tempo della santificazione dell’uomo che mediante l’azione vivificante dello Spirito viene reso conforme a Cristo lo Sposo-Vittoria sulla morte.
Lo Spirito riveste di Sé l’uomo, ma non per Sé. Lo offre a Cristo affinché compiendo in lui il Suo trionfo immortale, lo renda, per partecipazione gratuita ed infinita, figlio in Lui che è il Figlio consostanziale al Padre.
Come dopo la santificazione, lo Spirito non aveva trattenuto l’uomo ma l’aveva donato al Verbo perché lo cristificasse, così il Cristo non trattiene per sé l’uomo che ha amato fino a dare la Sua vita per lui, ma lo offre al Padre di ogni gloria e di ogni onore, perché lo abbracci con il suo amore, lo rivesta del vestito nuovo della dignità filiale e gli metta al dito l’anello dell’eterno potere della vita che finalmente ha sconfitto l’avversario, quello vero, l’unico: la morte.
La santificazione dell’uomo avviene quando lo Spirito attua, nel tempo della Storia, la chiamata dell’uomo alla pienezza della sua realizzazione. È Lui che seduce l’uomo con la sua Grazia, instilla in lui la nostalgia della bellezza, per lui fa squillare la tromba della conversione affinché destandosi dal sonno del peccato si allontani dalla via della morte e, prenda coscienza dell’unicità del suo essere e della sua dignità creaturale.
La cristificazione si compie quando l’uomo attratto dalla bontà del Verbo si siede alla mensa nuziale dove Cristo si offre in cibo perché l’uomo da mortale diventi immortale.
Con la definitiva offerta dell’uomo al Padre realizzata da Cristo, si compie la trinitarizzazione dell’uomo che investito dallo splendore della gloria può solo esclamare: Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui?
Lorenzo Villar