Archive pour le 16 août, 2014

Gesù e la donna cananea, c.1500, Juan de Flandes, Madrid

Gesù e la donna cananea, c.1500, Juan de Flandes, Madrid dans immagini sacre polypty3
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Publié dans:immagini sacre |on 16 août, 2014 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI, ANGELUS 2011: LA DONNA CANANEA

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2011/documents/hf_ben-xvi_ang_20110814_it.html

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo

DOMENICA, 14 AGOSTO 2011 – LA DONNA CANANEA

Cari fratelli e sorelle,

il brano evangelico di questa domenica inizia con l’indicazione della regione dove Gesù si stava recando: Tiro e Sidone, a nord-ovest della Galilea, terra pagana. Ed è qui che Egli incontra una donna cananea, che si rivolge a Lui chiedendoGli di guarire la figlia tormentata da un demonio (cfr Mt 15,22). Già in questa richiesta, possiamo ravvisare un inizio del cammino di fede, che nel dialogo con il divino Maestro cresce e si rafforza. La donna non ha timore di gridare a Gesù “Pietà di me”, un’espressione che ricorre nei Salmi (cfr 50,1), lo chiama “Signore” e “Figlio di Davide” (cfr Mt 15,22), manifesta così una ferma speranza di essere esaudita. Qual è l’atteggiamento del Signore di fronte a quel grido di dolore di una donna pagana? Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna. Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente distacco di Gesù, che dice “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (v. 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (v. 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza – “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (v. 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande e le dice: “Avvenga per te come desideri” (v. 28)
Cari amici, anche noi siamo chiamati a crescere nella fede, ad aprirci e ad accogliere con libertà il dono di Dio, ad avere fiducia e gridare anche a Gesù “donaci la fede, aiutaci a trovare la via!”. È il cammino che Gesù ha fatto compiere ai suoi discepoli, alla donna cananea e agli uomini di ogni tempo e popolo, a ciascuno di noi. La fede ci apre a conoscere e ad accogliere la reale identità di Gesù, la sua novità e unicità, la sua Parola, come fonte di vita, per vivere una relazione personale con Lui. Il conoscere della fede cresce, cresce con il desiderio di trovare la strada, ed è finalmente un dono di Dio, che si rivela a noi non come una cosa astratta senza volto e senza nome, ma la fede risponde a una Persona, che vuole entrare in un rapporto di amore profondo con noi e coinvolgere tutta la nostra vita. Per questo ogni giorno il nostro cuore deve vivere l’esperienza della conversione, ogni giorno deve vedere il nostro passare dall’uomo ripiegato su stesso, all’uomo aperto all’azione di Dio, all’uomo spirituale (cfr 1Cor 2, 13-14), che si lascia interpellare dalla Parola del Signore e apre la propria vita al suo Amore.
Cari fratelli e sorelle, alimentiamo quindi ogni giorno la nostra fede, con l’ascolto profondo della Parola di Dio, con la celebrazione dei Sacramenti, con la preghiera personale come “grido” verso di Lui e con la carità verso il prossimo. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria, che domani contempleremo nella sua gloriosa assunzione al cielo in anima e corpo, perché ci aiuti ad annunciare e testimoniare con la vita la gioia di aver incontrato il Signore. 

17 AGOSTO 2014 – OMELIA 20A DOMENICA T.O. –

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/5-Ordinario-A-2014/Omelie/20a-Domenica-A/03-20a-Domenica-A-2014-JB.htm

17 AGOSTO 2014 | 20A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 15,21-28

Durante il tempo del suo ministero pubblico Gesù si avventurò raramente fuori dai confini di Israele. Il vangelo ci ricorda una delle sue scarse uscite e ne dà la ragione: cercando l’anonimato e la solitudine, passò un tempo tra pagani. Gesù voleva riprendersi dalla fatica della predicazione e allontanarsi dalla moltitudine che lo seguiva. Può sembrarci logica, e perfino simpatica, questa reazione inusitata di Gesù: vedere in lui la necessità del riposo ce lo fa più prossimo, tanto umano. Precisamente perciò meraviglia ancor più la sua risposta negativa alla richiesta di una madre disperata. Come non sorprendersi davanti ad un Gesù che si rifiuta di aiutare una donna in necessità? Era vero: non era ebreo chi chiedeva di intervenire a suo favore. Bisogna dare per buona la ragione addotta? Ripararsi nella scusa che egli venne solo per servire i figli di Israele, può essere una risposta legittima per rimanere insensibile davanti al dolore di una madre? La ragione non era una scusa, bensì una strada per suscitare la fede. Per guarire, Gesù deve essere creduto. E per essere creduto, impone dure esigenze. La donna cananea ‘ottenne’ la guarigione, perché si sottomise alla ferrea pedagogia di Gesù.
In quel tempo, 21Gesù partì e si ritirò nel paese di Tiro e di Sidone. 22Allora una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare:
« Abbi compassione di me, Signore, Figlio di David. Mia figlia è molto tormentata da un demonio. »
23 Egli non gli rispose. Allora i discepoli gli si avvicinarono a dirgli
« Esaudiscila perché ci viene dietro gridando. »
24 Egli rispose loro:
Sono stato inviato « solo alle pecore perdute di Israele. »
25 Ella li raggiunse e si prostrò davanti a lui, e gli chiese: « Signore, aiutami. »
26 Egli gli rispose:
« Non è bene gettare ai cani il pane dei figli. » Ma ella ripose:
27 « Hai ragione, Signore; ma anche i cani mangiano le briciole che cadono dal tavolo dei padroni. »
28 Gesù gli rispose: « Donna, grande è la tua fede: che si realizzi quello che desideri. » In quel momento sua figlia fu guarita.

1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Raramente Gesù si allontanò dai confini di Israele, perché non si sentiva inviato che alle pecore perdute di « Israele » (Mt 10,6). Il ricordo di questo miracolo aiuterebbe, dopo, la comunità di Matteo nell’apertura ai gentili considerando il comportamento del suo Signore. Raggiunta l’universalità dietro il successo della missione tra i gentili, la comunità cristiana si appoggerà su pochi episodi, uno di essi è questo, nei quali Gesù trattò e curò i pagani (cf. Mt 8,5-13). Se la salvezza dipende dalla fede, non è ostacolo essere gravemente malato o non appartenere al popolo di Dio.
L’episodio racconta il potere della fede. La fede di un pagano! Non è indifferente che si presenti come la cronaca di un dialogo che svela la necessità di una madre disperata e si chiude affermando la desiderata guarigione. Attraverso la conversazione la donna ‘cammina’ dall’impotenza iniziale fino alla fiducia totale, dopo avere sopportato un umiliante rifiuto. La sua fede non nascerà solo dalla sua incapacità di assicurare la vita a sua figlia, dovrà accettare di non essere degna del dono che chiede. La pagana diventa credente perché risponde sempre, dandogli ragione, al rifiuto di Gesù.
La fiducia della madre in Gesù sorge dalla sua necessità e dalla sua sofferenza. I discepoli sempre più ‘intelligenti’ vogliono sbarazzarsi di una donna che grida e proseguire tranquilli per la loro strada. Gesù non pensa di servirla, perché sa che non gli appartiene. La sua petizione sembrerebbe inutile, se non continuasse credendo in Gesù. Accetta di non meritare il posto del figlio, ma si rifiuta di pensare che non meriti nessun beneficio. La resistenza di Gesù che la donna comprende, non soffoca la sua fiducia, piuttosto, la rinnova e la rinforza. Per ciò, riceverà il pane dei figli, e sua figlia la cura.

2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Allontanandosi da quello che era la sua missione, concedendo all’estraneo quello che era dono per i figli, Gesù si allontana dei suoi destinatari: la fede di una straniera lo ha impressionato. Come Gesù, Dio continua a sentirsi sfidato come Dio da chi, sollecitato per la sua necessità, osa chiedergli quello che sa bene che non dovrebbe, perché non lo merita. Ci crediamo di meritare quello che chiediamo a Dio con tanta urgenza? Troverà Dio tanta fede tra i suoi come l’hanno, a volte, gli estranei?
Solo se comprendiamo l’estraneo comportamento di Gesù, possiamo stimare l’operato della donna pagana, la quale, grazie alla sua insistenza, vinse la resistenza di Gesù. La forza della sua ostinata fiducia poté più che il disinteresse di Gesù nel servirla. La ripetizione della sua necessità vinse la ripetuta opposizione di Gesù. Si da il caso che, come nei giorni di Gesù, sfortunatamente, non si vede almeno tra i ‘vecchi’ credenti una fede simile, tanto quanto si scopre tra i pagani. I lontani continuano ad avvicinarsi a Gesù con più necessità e migliore fiducia che i prossimi; quelli che non lo ebbero mai, con più fede di quanti non lo persero mai.
In fondo, è perfino logico che Gesù non pensasse di fare miracoli in terra di non credenti. Era andato lì precisamente affinché nessuno continuasse ad importunarlo; desiderando riposo ed anonimato, non gli conveniva fare miracoli; più ancora, quello che meno si sarebbe aspettato Gesù era quello di essere riconosciuto in terra di pagani e che un gentile gli chiedesse il suo intervento. Ma la malattia della figlia, tremenda e di cura impossibile, riempì di coraggio la madre. Se non era per l’urgenza di un miracolo, la donna non sarebbe ricorsa a Gesù, né avrebbe importunato i suoi discepoli con le sue grida. Ma, chi oserà criticare una madre che perse le buone maniere, perché non era disposta a perdere tanto facilmente sua figlia?
E questa è, chissà, la prima lezione che dovremmo imparare dalla fede della madre pagana. La donna ricorse a Gesù perché non sopportava la sofferenza di avere sua figlia in simile stato. Non si lasciò scoraggiare davanti al primo no di Gesù, perché aveva bisogno di lui: non l’umiliarono le sue parole dispregiative, perché si fidava ancora di lui; e perseverò, perché non aveva un altro a cui ricorrere. E non gli importò che Gesù rispondesse alla sua richiesta col silenzio; fu gridando più forte, più volte, la sua richiesta, fino a disturbare coloro che l’accompagnavano. I discepoli, sempre estranei al dramma di chi soffre al loro fianco e sicuri di sé perché seguono Gesù, lo sollecitavano affinché la soddisfacesse, non per compassione bensì per liberarsi del disturbo. La nuova risposta di Gesù è ancora più dura che il suo silenzio anteriore: nonostante le sue grida, non pensa di esaudirla, perché non è figlia di Israele, il paese al quale è stato inviato.
La madre non dà per buona una simile ragione e continua a scommettere sui sentimenti di Gesù. Riconosce, è vero, che in nessuna casa i cuccioli mangiano il pane dei figli, ma osa segnalare a Gesù che i cani di casa normalmente si alimentano anche di quanto i padroni sprecano. Con ciò accetta il posto, non molto rispettabile che Gesù gli ha dato. Ma si rifiuta di accettare che non meriti niente nella casa di Dio: non merita le attenzioni che Gesù concede a quelli che sono suoi, ma la sua sofferenza dà motivo alla sua compassione; non si dà per vinta davanti alla negazione di aiuto. Le reticenze di Gesù aumentano, piuttosto, la sua audacia; e, invece di perdere la pazienza, guadagnò sufficiente fiducia per tornare a chiedere.
Davanti a simile fede, e tale insistenza, Gesù non può che esaudire, benché questa fede la scopra in una donna pagana. Dio esaudisce sempre, come Gesù quel giorno, quando nota grande fede e tanto grande fiducia; chi, sollecitato per la sua necessità, osa pregarlo di nuovo incluso in quello che gli è stato già negato, in quello che sa che non deve chiedere. Chi resiste a Dio che gli dice no un’altra volta; chi persevera anche se Dio gli neghi i suoi favori; chi non si accontenta coi silenzi di Dio, né col suo ritardo nell’intervenire a suo favore, otterrà da Lui un giorno, come la donna pagana, quanto desidera. Dio non resiste tanto per negarsi a chi ha messo in Lui tutta la sua fiducia. Dio finisce per ascoltare chi risponde alla sua ‘indifferenza’ con una richiesta rinnovata. Dio non rimane sordo alla supplica di chi non si scoraggia per il suo silenzio.
Dovremmo domandarci noi oggi che crediamo in Gesù, perché otteniamo tanto poco dalla nostra vita di fede. Può succederci la stessa cosa che agli ebrei nei tempi di Gesù: per essi era venuto, ma, quando fu occultato loro momentaneamente, solo una pagana fu alla sua ricerca; si informò su di lui perché non poteva contare che sull’interesse di Gesù. Chissà, forse perché sappiamo che Egli venne al mondo per noi, che non ci sentiamo molto obbligati a cercarlo e pregarlo: solo perché ci vuole salvare, ci crediamo liberi di dover chiedere. Credendoci che abbiamo diritto su di lui, evitiamo lo sforzo di dover implorare i suoi favori. E continuano ad essere quelli che credono meno di noi che più ricevono da Dio; continua ad esserci più fede tra coloro che vengono per la prima volta, che tra noi, credenti di sempre. Non è solo una pena, è – dovrebbe essere – la nostra vergogna.
Per essere credenti come la donna pagana, dobbiamo imparare a resistere all’apparente silenzio col quale Dio risponde ai nostri desideri ed insistere nelle nostre richieste per quanto negative sono state le risposte. Solo se la nostra necessità di Dio è maggiore che la sua freddezza apparente, riusciremo ad avere la fede che meritò la lode di Gesù. Probabilmente Dio, perché ci vuole migliori credenti, sta usando la stessa pedagogia con noi che utilizzò Gesù con la donna pagana: rifiutò di agire immediatamente, affinché perseveriamo nella nostra domanda; dimostra disinteresse affinché non smettiamo di interessarci di Lui; risponde alla nostra supplica col silenzio, affinché non abbandoniamo tanto rapidamente il colloquio. Col suo silenzio vuole svegliare in noi la coscienza del nostro male e la necessità di Lui; è ostinato a trasformarci in buoni credenti ed oranti migliori, che non abbiamo paura del ridicolo di continuare a proclamare, con urla se è necessario, i mali che ci angosciano e la fiducia che Dio merita.
E’ perché non riusciamo ad essere migliori oranti che ci crediamo già buoni credenti? Se Dio non risponde al nostro dialogo, non sarà perché non perseveriamo troppo in esso? Se, apparentemente, ci si nasconde o non risponde, se non si informa oramai su di noi come prima, non è una buona occasione per cercarlo e gridargli la nostra necessità fino a che ci liberi da lei? Vi riuscì una pagana: perché noi siamo meno credenti di lei?

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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