Archive pour le 25 juillet, 2014

El Greco, San Giacomo il Maggiore

El Greco, San Giacomo il Maggiore dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 25 juillet, 2014 |Pas de commentaires »

25 LUGLIO: SAN GIACOMO APOSTOLO – VITA E TRADIZIONE

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25 LUGLIO: SAN GIACOMO APOSTOLO – VITA E TRADIZIONE

E’ detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo (detto il Minore). Nato a Betsaida, sul lago di Tiberiade, era figlio di Zabedeo e si Salome (Mc 15,40; cf Mt 27,56) e fratello di Giovanni l’evangelista. Col fratello fu chiamato fra i primi discepoli di Gesù e fu pronto a seguirlo (Mc 1,19s; Mt 4,21s; Lc 5,10). È sempre messo fra i primi tre Apostoli (Mc 3,17; Mt 10,2; Lc 6,14; Atti 1,13). Di carattere pronto e impetuoso, come il fratello, assieme a lui viene soprannominato da Gesù “Boànerghes” (figli del tuono) (Mc 3,17; Lc 9,52-56). E’ tra i prediletti discepoli di Gesù, assieme al fratello, a Pietro e ad Andrea
Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor (Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36), della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37-43; Lc 8,51-56); Assiste all’improvvisa guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31); con gli altri 3 apostoli interroga Gesù sui segni dei tempi premonitori della fine (Mc 13,1-8). Infine con Pietro e Giovanni è chiamato da Gesù a vegliare nel Getmsemani alla vigilia della Passione (Mc 14,33ss; Mt 27,37s).
Con zelo intempestivo, aveva chiesto di far scendere il fuoco sui Samaritani che non accoglievano Gesù, meritando un rimprovero (Lc 9,51-56). Ambiziosamente mirò ai primi posti nel regno, protestandosi pronto a tutto; e suscitò la reazione degli altri apostoli e il richiamo di Gesù a un altro primato: quello del servizio e del martirio (Mc 10,35-45; Mt 20,20-28). E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. “Il re Erode (Agrippa I) cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti 12,1-2.
Una tradizione risalente almeno a Isidoro di Siviglia narra che Giacomo andò in Spagna per diffondere il Vangelo.
Ai tempi di Giacomo si svolgeva un intenso commercio di minerali come lo stagno, l’oro, il ferro ed il rame dalla Galizia alle coste della Palestina. Nei viaggi di ritorno venivano portati oggetti ornamentali, lastre di marmo, spezie ed altri prodotti comperati ad Alessandria ed in altri porti ancora più orientali, di grande importanza commerciale. Si pensa che l’Apostolo abbia realizzato il viaggio dalla Palestina alla Spagna in una di queste navi, sbarcando nelle coste dell’Andalusia, terra in cui cominciò la sua predicazione. Proseguì la sua missione evangelizzatrice a Coimbra e a Braga, passando, secondo la tradizione, attraverso Iria Flavia nel Finis Terrae ispanico, dove proseguì la predicazione.
Nel Breviario degli Apostoli (fine del VI secolo) viene attribuita per la prima volta a San Giacomo l’evangelizzazione della “Hispania” e delle regioni occidentali, si sottolinea il suo ruolo di strumento straordinario per la diffusione della tradizione apostolica, così come si parla della sua sepoltura in Arca Marmárica. Successivamente, già nella seconda metà del VII secolo, un erudito monaco inglese chiamato il Venerabile Beda, cita di nuovo questo avvenimento nella sua opera, ed indica con sorprendente esattezza il luogo della Galizia dove si troverebbe il corpo dell’Apostolo.
La tradizione popolare indica la presenza del corpo di San Giacomo nelle cime prossime alla valle di Padrón, ove esisteva il culto delle acque. Ambrosio de Morales nel XVI secolo, nella sua opera il Viaggio Santo dice:” Salendo sulla montagna, a metà del fianco, c’è una chiesa dove dicono che l’Apostolo pregasse e dicesse messa, e sotto l’altare maggiore si protende sin fuori della chiesa una sorgente ricca d’acqua , la più fredda e delicata che abbia provato in Galizia”. Questo luogo esiste attualmente ed ha ricevuto il nome affettuoso di “O Santiaguiño do Monte”. Uno degli autori dei sermoni raccolti nel Codice Calixtino, riferendosi alla predicazione di San Giacomo in Galizia, dice che ” colui che vanno a venerare le genti, Giacomo, figlio di Zebedeo, la terra della Galizia invia al cielo stellato”.
Il ritorno in Terra Santa, si svolse lungo la via romana di Lugo, attraverso la Penisola, passando per Astorga e Zaragoza, ove, sconfortato, Giacomo riceve la consolazione ed il conforto della Vergine, che gli appare (secondo la tradizione il 2 gennaio del 40), secondo la tradizione, sulle rive del fiume Ebro, in cima ad una colonna romana di quarzo, e gli chiede di costruire una chiesa in quel luogo. Questo avvenimento servì per spiegare la fondazione della Chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Zaragoza, oggi basilica ed importante santuario mariano del cattolicesimo spagnolo. Da questa terra, attraverso l’Ebro, San Giacomo probabilmente si diresse a Valencia, per imbarcarsi poi in un porto della provincia di Murcia o in Andalusia e far ritorno in Palestina tra il 42 ed il 44 d.C..
Oramai in Palestina, Giacomo, assieme al gruppo dei “Dodici”, entra a far parte delle colonne portanti della Chiesa Primitiva di Gerusalemme, ricoprendo un ruolo di grande importanza all’interno della comunità cristiana della Città Santa. In un clima di grande inquietudine religiosa, dove di giorno in giorno aumentava il desiderio di sradicare l’incipiente cristianesimo, sappiamo che fu proibito agli apostoli di predicare. Giacomo tuttavia, disprezzando tale divieto, annunciava il suo messaggio evangelizzatore a tutto il popolo, entrando nelle sinagoghe e discutendo la parola dei profeti. La sua gran capacità comunicativa, la sua dialettica e la sua attraente personalità, fecero di lui uno degli apostoli più seguiti nella sua missione evangelizzatrice.
Erode Agrippa I, re della Giudea, per placare le proteste delle autorità religiose, per compiacere i giudei ed assestare un duro colpo alla comunità cristiana, lo sceglie in quanto figura assai rappresentativa e lo condanna a morte per decapitazione. In questo modo diventa il PRIMO MARTIRE DEL COLLEGIO APOSTOLICO. Questa del martirio di San Giacomo il Maggiore è l’ultima notizia tratta dal Nuovo Testamento.
Secondo la tradizione, lo scriba Josias, incaricato di condurre Giacomo al supplizio, è testimone del miracolo della guarigione di un paralitico che invoca il santo. Josias, turbato e pentito, si converte al cristianesimo e supplica il perdono dell’Apostolo: questi chiede come ultima grazia un recipiente pieno d’acqua e lo battezza. Ambedue verranno decapitati nell’anno 44.
Dice la leggenda che due dei discepoli di San Giacomo, Attanasio e Teodoro, raccolsero il suo corpo e la testa e li trasportarono in nave da Gerusalemme fino in Galizia. Dopo sette giorni di navigazione giunsero sulle coste della Galizia, ad Iria Flavia, vicino l’attuale paese di nome Padrón.
Nel racconto della sepoltura dei resti di San Giacomo, impregnato di leggenda, appare Lupa, una dama pagana ricca ed influente, che viveva allora nel castello Lupario o castello di Francos, a poca distanza dall’attuale Santiago. I discepoli, alla ricerca di un terreno dove seppellire il loro maestro, chiesero alla nobildonna il permesso di inumarlo nel suo feudo. Lupa li rimette alla decisione al governatore romano Filotro, che risiedeva a Dugium, vicino Finisterra. Ben lungi dall’intendere le loro ragioni, il governatore romano ordina la loro incarcerazione.
Secondo la tradizione, i discepoli furono liberati miracolosamente da un angelo e si dettero alla fuga inseguiti dai soldati romani. Giunti al ponte di Ons o Ponte Pías, sul fiume Tambre, ed attraversatolo, questo crollò provvidenzialmente permettendogli di fuggire. La regina Lupa, simulando un cambio di atteggiamento, li portò al Monte Iliciano, oggi noto col nome di Pico Sacro, e gli offrì dei buoi selvaggi che vivevano in libertà ed un carro per trasportare i resti dell’Apostolo da Padrón fino a Santiago. I discepoli si avvicinarono agli animali che, dinnanzi agli occhi esterrefatti di Lupa, si lasciarono porre di buon grado il giogo. La regina dopo quest’esperienza decide di abbandonare le sue credenze per convertirsi al cristianesimo.
Narra la leggenda che i buoi cominciarono il loro cammino senza ricevere nessuna guida, ad un certo punto si fermarono per la sete ed iniziarono a scavare con i loro zoccoli il terreno, facendone zampillare poco dopo dell’acqua. Si trattava dell’attuale sorgente del Franco, vicino al Collegio Fonseca, luogo dove posteriormente sarà edificata, in ricordo, la piccola cappella dell’Apostolo, nell’attuale “rua del Franco”. I buoi proseguirono il loro cammino e giunsero in un terreno di proprietà di Lupa, che lo donò per la costruzione del monumento funerario. In quel medesimo luogo, secoli dopo fu costruita la cattedrale, centro spirituale che presiede la città di Santiago.
Quando poi la Spagna cade in mano araba (sec. IX), nell’angoscia dell’occupazione, i cristiani spagnoli tributano a San Giacomo un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel 1989 Giovanni Paolo II va pellegrino a Santiago de Compostella e Benedetto XVI lo imita il 6 novembre 2010 in occasione, come il predecessore, dell’Anno Santo Compostellano che viene indetto ogni qualvolta il 25 luglio cade di domenica.
Eccezionalmente dal 22 al 25 luglio 2010 la Penitenzieria Apostolica della Santa Sede ha concesso all’Oratorio di San Giacomo a Levanto di essere Porta Santa come a Santiago e tutti i fedeli che secondo le regole prescritte si recavano in pellegrinaggio al Colle della Costa potevano lucrare tutte le indulgenze che la Chiesa attribuisce in queste occasioni al Santuario Galliziano.

ETIMOLOGIA: Giacomo è un nome di origine ebraica e significa “Dio ti protegga”. Esistono circa 50 santi e beati con questo nome, ma il più popolare è San Giacomo Apostolo detto Maggiore. La sua festa si celebra il 25 luglio. Giacomo esiste anche in versione femminile – Giacoma, inoltre in forme derivanti: Giacobbe, Jacopo, Iacopo, (soprattutto in Toscana) , Jakob (tedesco, polacco), James (inglese), Jacques (francese) Iago (spagnolo).

PATRONATI: San Giacomo è patrono e protettore di numerose città e paesi, fra altri : Pisa, Pesaro, Pistoia, Compostela, Spagna, Portogallo, Guatemala
E’ considerato Patrono di pellegrini, viandanti e questuanti, farmacisti, droghieri, cappellai e calzettai; va invocato contro i reumatismi e per il bel tempo.

EMBLEMA: Il suo attributo principale è il bastone e la zucca, attributi secondari possono essere: otre e la borsa da pellegrino, vestito e cappello da pellegrino, conchiglia.

 

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27 LUGLIO 2014 | 17A DOMENICA – LECTIO DIVINA : MT 13,44-52

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/5-Ordinario-A-2014/Omelie/17a-Domenica-A/03-17a-Domenica-A-2014-JB.htm

27 LUGLIO 2014 | 17A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 13,44-52

Spiegando alla moltitudine che l’ascoltava come è il regno di Dio, Gesù usa frequentemente la narrazione in parabole. È curiosa questa abitudine di Gesù di parlare di Dio raccontando fatti di vita ordinaria: un Dio il cui comportamento può essere illustrato mediante episodi quotidiani e semplici racconti, non deve essere un Dio estraneo alla nostra vita né distante dai problemi. Gesù insegna a guardare il mondo e vedere Dio nel quotidiano. È la prima cosa che egli voleva inculcare nei suoi uditori: trovarsi con Dio non è un’esperienza molto differente, per esempio, di quella che sperimenta chi scopre, un bel giorno, un grande tesoro; in ugual maniera con la quale reagiremmo se ci imbattessimo con qualcosa di realmente prezioso, dovremmo reagire quando ci troviamo con Dio. O è perché Dio non è il nostro più grande tesoro?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
44″Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
47Il regno dei cieli somiglia ad una rete gettata nel mare che raccoglie ogni tipo di pesce: 48quando è piena, i pescatori la trascinano a riva, si siedono, e raccolgono i pesci buoni nei cesti e buttano via i cattivi.
49La stessa cosa succederà alla fine del mondo: verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.
51Capite bene tutto queste cose? »
Essi gli risposero:
« Sì. »
52Egli disse loro:
Per questo « ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è come un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. « 
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Poiché « parlava alla gente in parabole » (13,34) Gesù conclude il discorso sul regno di Dio con tre brevi parabole. Le due prime spiegano la natura nascosta del regno, non la sua apparenza, e l’irresistibile attrazione in chi lo scopre. L’accento è messo sulla reazione di chi trova il tesoro o ha cercato con affanno la perla. Gesù vuole confermare ai suoi uditori che il regno di Dio non è alla portata di tutti, ma che tutti possono trovarlo, perché è, come il tesoro o la pietra preziosa, che devono essere scoperti. E dà un criterio per discernere il suo pensiero: chi sa dove si trova il tesoro, è disposto a vendere tutto per averlo; chi lo trova può staccarsi da tutto quanto ha, pur di averlo: la rinuncia più radicale si impone, se è il prezzo necessario per impadronirsi del regno. Chi non ha quella capacità, ignora il pensiero di Dio; se non si sente obbligato a liberarsi di tutti i possessi, vuol dire che non si è imbattuto col tesoro che anela e di cui ha bisogno. La domanda che Gesù fa ai suoi discepoli continua ad essere attuale: la gioia di chi perde tutto è possibile solo a chi conosce come guadagnare il regno di Dio. Dio non impone la rinuncia come meta, ma la presuppone come garanzia: se Egli non ci chiede qualunque rinuncia, la rinuncia a qualsiasi bene, è perché non lo abbiamo ancora come Bene.
La terza ed ultima parabola, quella della rete, cambia profondamente la prospettiva del discorso di Gesù: dall’esortazione ad optare per Dio, costi quel che costi, una volta riconosciuta la presenza del suo regno, si passa a ricordare l’appuntamento che verrà, nel quale bisognerà rendere conto della propria vita. Chi non sia stato capace di rinunciare a tutto per rimanere con Dio, rimarrà senza niente alla fine dei tempi. Non optare per Dio, a qualunque prezzo, non ci fa bene né ci salverà da quella « fornace ardente ». Chi ritarda nel decidersi per Dio ed il suo regno, non ritarderà la decisione di Dio su di lui: nel frattempo, c’è ancora un’altra opportunità: almeno, siamo avvisati.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
L’astuzia del fortunato che si imbatte in ricchezze nascoste e vende tutto quello che ha per averli, o l’immediato imbattersi del commerciante in perle preziose, sono le reazioni logiche che tutti noi avremmo avuto, come essi, se ci fossimo imbattuti con un vero tesoro. Chi di noi non avrebbe protetto i beni scoperti, seppellendoli di nuovo, fino a che non saremmo potuti ritornare e impadronircene, fosse a costo di perdere tutto quello che possediamo? Chi non sarebbe capace di alienare tutti i suoi beni pur di impadronirsi della perla della sua vita?
Se simile comportamento non ci sembra straordinario, se si comprende che si può rischiare di perdere quanto si ha per guadagnare quello che non è ancora suo, oggi Gesù ci domanda, come un giorno lo fece alla gente con le sue parabole: perché non agite in forma identica con Dio? Che cosa manca perché vi decidiate a mettere Dio davanti a tutti gli altri beni che possedete o desiderate?
Lo scopritore di tesori, come il trafficante di perle, si trovarono inopinatamente con qualcosa che non speravano, né sperarono di farsi padroni di simili beni. Non vollero perdere tempo ma dovettero perdere i loro beni; sapevano che vendendo quanto avevano potevano ottenere ciò che avevano trovato; per farsi proprietari del Bene scoperto, dovettero alienare tutto quello che avevano. Perché sapevano che quello che avevano scoperto era più prezioso, e meglio, di quanto possedevano, poterono reagire velocemente; il distacco fu totale, perché tutto quello che avevano bastava loro per impadronirsi del tesoro trovato.
Come la perla preziosa o il tesoro nascosto, è il regno di Dio: una volta trovato, si trova la forza per mettere tutto in vendita pur di acquisirlo; una volta scoperto, si scopre che i beni che si possiedono non valgono tanto, neanche tutti insieme, come valga il tesoro; una volta trovato, si trova il coraggio per disfarsi di tutto quello che ci impedisce di averlo.
Orbene, se il regno suscita simile reazione in chi lo scopre, se Dio provoca tale distacco in chi conosce dove è, che cosa ci succede? Perché continuiamo ad afferrarci ai beni che abbiamo, piccoli e scarsi? Perché temiamo tanto di perdere il poco che disponiamo? Perché Dio ed il suo regno non riescono a suscitare in noi quella reazione logica che un tesoro appena trovato suscita nel suo scopritore o la perla più preziosa nel buon commerciante? Non sarà perché Dio ed il suo regno non sono già per noi il tesoro più grande, il ritrovamento più prezioso?
Difficilmente avremo l’audacia di rinunciare a qualcosa che è buono, se quello che troviamo non merita la pena di possederlo: non affrontiamo il rischio di perdere quello che abbiamo ottenuto nella vita, se non siamo convinti di avere trovato il Bene della nostra vita. E, per ciò, ci costa tanto staccarci da qualcosa, benché non vogliamo perdere Dio o il modo di trovarlo; legati come siamo ai beni della vita, ci costa trovare Dio; precisamente perché ancora Dio non è il bene più desiderato, perché il suo regno è ancora un valore da scoprire, non rischiamo niente per possederlo. E continuiamo così a mantenere i beni, senza scoprire che Dio è il nostro Bene; quello che abbiamo ci impedisce di avere Dio e ci porta a stimare qualunque cosa, persona o progetto personale, come beni da conservare.
Se Dio non ha in noi un’irresistibile attrazione, se il suo regno non sveglia nei nostri cuori la capacità di qualche rinuncia, dobbiamo dire che ancora non l’abbiamo trovato, che è nascosto. E ciò non dovrebbe sorprenderci troppo: Gesù insisté nelle due parabole sulla natura nascosta di Dio e del suo regno; come il tesoro ancora non trovato o la perla non apprezzata nel suo valore, Dio sta lì a portata di chi si imbatta con lui sperando che arrivi chi sappia riconoscerlo. Gesù volle confermare ai suoi uditori che il regno di Dio non sta in presenza di tutti né a portata di mano ma si nasconde allo sguardo della maggioranza.
Ma, per nascosto che stia lì dove stiamo, non rimane lontano. Può essere al contrario, perché sta, come il tesoro o la pietra preziosa, anelando di essere scoperto, chiedendo di essere scoperto. E dà un criterio per discernere il suo progetto: Dio sa dove vive chi è disposto a consegnare tutto per cambiare. Chi lo trova può staccarsi da tutto quanto possiede, pur di ottenerlo: la rinuncia più radicale è sopportabile, se è il prezzo necessario per trovare il regno. Se si tenta di avere Dio, che cosa potranno importarci gli altri beni?. Se si pretende di rimanere con Dio, come non mettere in gioco tutto il resto, pur apprezzabile e buono che sia?
Chi non conosce le sue forze e non si sente capace di alienare niente di proprio non apprezza Dio. Nessuno, nel suo sano giudizio, che non abbia trovato niente di meglio si stacca dai beni che ha; non trovare la voglia per disfarsi di quello che non è Dio nelle nostre vite, suppone non averlo ancora trovato. Noi, cristiani di sempre, possiamo perdere Dio perché lo stimiamo meno dei beni che abbiamo, perché non sappiamo rinunciare a niente per Lui. Chi non si sente obbligato a liberarsi di tutti i possessi, ancora non si è imbattuto con quel tesoro che è il regno.
La domanda che Gesù fa ai suoi discepoli continua ad essere attuale: la gioia di chi perde tutto è possibile solo a chi conosce l’allegria di possedere Dio ed il suo regno. Dio non impone la rinuncia come meta, ma la esige come condizione previa; e ci obbliga a stimarlo, a stimarlo sopra tutte le cose: per niente varrebbe un Dio la cui scoperta non costasse niente; ben poco stimerei Dio, se per averlo non ci imponesse di abbandonare quello che vogliamo! Se Dio non merita nessuno sforzo, se per Lui non sacrifichiamo niente, né qualunque bene che vale tanto, è perché non l’abbiamo ancora come Bene Supremo. Non vale niente quello che siamo ed abbiamo, per quanto buoni siamo e per tanti beni che abbiamo, se, alla fine, rimaniamo oggi senza Dio e domani, senza il suo regno.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

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