20 LUGLIO 2014 | 16A DOMENICA – LECTIO DIVINA : MT 13,24-43

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20 LUGLIO 2014 | 16A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 13,24-43

Il male non ci risulta tanto ovvio, la sua esperienza c’è tanto quotidiana che sarebbe da ignoranti osare negare la sua realtà o credersi liberi del suo potere. E non sbagliamo, lo sappiamo bene!, come gli altri ci imbattiamo con il male; per arrivare a scoprire il viso della malvagità e la sua efficacia basta guardare noi stessi, fissarci, senza andare lontano, nel nostro cuore e nelle nostre mani per vederlo faccia a faccia. Senza dubbio, ciò che mettiamo in discussione del male è chi potremmo rendere responsabile; e siamo tanto inclinati a discolparci noi stessi che normalmente gettiamo la colpa su qualunque altro, incominciando sempre da quelli che ci sono più prossimi. Gesù ci insegna oggi a convivere col male senza lasciare che cresca in noi.

24 In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
 » Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: ‘Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania? 28Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo.’ E i servi gli dissero: ‘Vuoi che andiamo a raccoglierla?’ 29No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio. »
31 Espose loro un’altra parabola, dicendo:
« Il regno dei cieli è come un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami ».
33 Disse loro un’altra parabola:
« Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata ».
34 Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole,
35 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
« Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo »
36 Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli:
« Spiegaci la parabola della zizzania nel campo »
37 Gesù disse loro:
« Colui che semina il buono seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo; il buon seme sono i figli del regno; e la zizzania, i figli del maligno. 39Il nemico che la semina è il diavolo; la mietitura è il fine del mondo, ed i mietitori, gli angeli. 40Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così pure succederà alla fine del mondo.
41 Il Figlio dell’uomo invierà i suoi angeli che raccoglieranno dal suo regno tutti quelli che furono causa di inciampo ed i malvagi, 42 li getteranno nella fornace ardente. Là piangeranno e strideranno i denti.
43 Allora i giusti brilleranno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi ascolti. »
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Gesù continua a parlare del regno in parabole. Alla similitudine della semina ed al suo commento, aggiunge ora tre nuove parabole che, benché diverse in forma e contenuto, illustrano due modi di agire, sovrani ma non del tutto comprensibili, di Dio: quando regna, Dio permette che male e bene convivano e crescano insieme; quando regna, la presenza di Dio è tanto impercettibile come onnipotente è la sua efficacia salvatrice.
Con la prima parabola, quella del grano e la zizzania Gesù volle proclamare una legge fondamentale del regno di Dio: non tutto quello che cresce, dopo la sua predicazione, è grano pulito; il male che egli non piantò, non lo estirpa prima del tempo; il buon seme deve crescere vicino al cattivo, e maturare. Il giorno della giustizia arriverà; nel frattempo, a tutto quello che è germinato gli concede un’opportunità. Il discepolo deve sapere convivere col male senza connivenze né scandalo: Dio, come il seminatore, ha pazienza col suo campo, affinché la semina possa dare il suo frutto. Nel racconto può sentirsi la preoccupazione di Matteo di rispondere, con la parabola di Gesù, ad una situazione nuova nella sua comunità: il male è evidente tra i cristiani, il Regno di Dio non si identifica con la chiesa sorta dalla risurrezione. Bisognerà abituarsi a rispondere a Dio vicino a colui che lo ignora e cercare di fare la sua volontà tra coloro che non la vivono. L’impazienza non legittima il discepolo come tale, tanto meno l’intolleranza!, solo le sue buone opere. Crescere vicino al male, senza diventare cattivo, è la fortuna del discepolo.
La doppia parabola della senape e del lievito allude, per accentuare l’esortazione alla speranza, alla forza germinale di un regno che, oggi appena percettibile, finirà per imporsi. Un insignificante seme, quello di senape, una scarsa quantità di lievito, producono la cosa impensabile: essere casa per gli uccelli o fare pane abbondante. Inizi poco promettenti si convertono gradualmente ma inesorabilmente in grandi beni. Non bisogna lasciarsi convincere dall’apparenza; quando Dio, il suo regno, sta già in azione, il bene sta per venire.
La decisione di Gesù di parlare alla gente in parabole trova di nuovo una ragione, ora, ben distinta dalla ragione di prima (cf. 13,10-17): la parabola più che descrivere insinua, svela velando, il modo di rendere pubblico quello che è rimasto nascosto fino al giorno in cui è scoperto da Gesù.
E se, rispondendo ai suoi discepoli, spiega puntualmente la parabola della zizzania, è per fissare la sua attenzione al futuro: non si tenta già di convivere col male, crescendo nella bontà, bensì che la bontà non sarà definitiva fino a che non lo determini il Figlio dell’uomo a suo tempo. Finché non arriva il giorno del raccolto, il buono può smettere di esserlo ed il cattivo anche: la comunità che deve aspettare la decisione ultima di Dio, non è una comunità salvata, benché possa vivere già nella speranza di esserlo, se vive fedele in mezzo all’infedeltà.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Con la parabola della zizzania e del grano Gesù volle alludere, senza chiarirla del tutto, a quella misteriosa presenza del male nel nostro mondo e volle, soprattutto, dare risposta alla nostra angoscia davanti al suo minacciante potere. Più che insegnarci qualcosa sul mistero del male, Gesù pretendeva di convincerci della bontà di Dio, della sua pazienza e la sua misura coi cattivi; non voleva che ci rassegnassimo con l’esistenza del male intorno a noi, desiderava che non ci sentissimo soli di fronte a lui. Non negava la realtà né rimpiccioliva il suo potere, ma non voleva vederci paurosi né preoccupati in eccesso. Cercava di farci amare Dio più che temere il male e la sua assenza.
Con la parabola Gesù volle trasmetterci due sue convinzioni: il male è reale, come il mondo e come l’uomo. Bisogna contare, dunque, con lui in un mondo creato da Dio e dell’uomo fatto ad immagine di Dio. La creazione, come il campo, è rimasta seminata da lui. Serve poco discutere la sua origine, quando la cosa decisiva è esulare dal suo potere.
Ma ciò non è tutto. Gesù insegna che bisogna contare, specialmente, con un Dio al quale preoccupa questa presenza del male nel suo mondo e nell’uomo, un Dio che, per rispetto al bene che coesiste vicino al male, pospone il suo intervento. Come il signore del campo, Dio non pensa di seminare il male; se lo sopporta, è per non danneggiare il bene ancora nascente, ancora debole che lotta per crescere; vuole che il bene, come il grano, maturi fino al giorno del raccolto. Nel frattempo, il destino del bene è convivere col male, senza trasformarsi in lui; la fortuna del bene sta nel coesistere con la malvagità senza disperare delle sue forze, sicuro del suo potere.
Il Dio che Gesù ci annuncia è un Dio che permette che bene e male coesistano e si sviluppino insieme. Non risulta facile comprendere questa decisione divina. A volte è tanto scandalosa, provocante, la presenza del male, che può rendere inaccettabile l’esistenza di Dio, intollerabile il suo disinteresse per la vittoria dei cattivi sui buoni. Raccontando la parabola del grano e della zizzania, Gesù non volle contraddire questa nostra esperienza, né banalizzò il dolore che produce sentire il male nella propria carne: egli sapeva bene che non tutto quello che cresce, dietro la sua predicazione, è grano pulito. Ma era certo che arriverà un giorno in cui si farà giustizia, quando, finalmente, vincerà il bene; nel frattempo, a tutto quello che sia cresciuto gli è concesso una opportunità; quella del buono è continuare ad essere tale; quella del cattivo, potere smettere di esserlo.
Il discepolo deve sapere convivere col male senza connivenze, né patti: dovrà abituarsi a rispondere a Dio vicino a chi l’ignora e cercare di fare la sua volontà tra coloro che non la fanno. Spazientirsi coi cattivi non rende buono il discepolo; disperare di Dio solo perché ancora esiste il male, è diffidare nel suo impegno di vincerlo un giorno per sempre.
Dovremo imparare qualcosa da questa pazienza di Dio. In primo luogo, dovrebbe sorprenderci la forma di reagire di Dio davanti al male. Come l’agricoltore non desidera che sia falciato appena il grano ha attecchito, Dio si permette di sperare, perché non vuole danneggiare il bene che lotta per sopravvivere. La pazienza di Dio non è debolezza, bensì forza e, soprattutto, fiducia in sé stesso e nel potere del bene: perché sa che il male non sopravvivrà, può lasciarlo vivere per un tempo. Finché non arriva il giorno del raccolto, il buono può smettere di esserlo ed il cattivo anche: il cristiano deve sapere che Dio ha preso già la decisione di vincere il male esistente nel suo cuore e nel suo ambiente; ma deve sapere anche che spera che quelli che vivono ancora del male, o in mezzo a lui, lo riconoscano e si salvino.
Sapere che il male non sopravvivrà a Dio, suppone riconoscere il suo potere e confessare, contemporaneamente, che non saremo preda di lui per sempre, purché Dio sia il nostro Bene desiderato o già posseduto. Chi può perdere Dio, non è ancora salvato; ma, può vivere rassicurato di esserlo: avere sotto gli occhi il male, vederlo vivo nel cuore, può essere una maniera, imperfetta sì ma efficace, di avere Dio presente nella nostra vita anche se ancora non siamo riusciti a renderla del tutto buona, e desidera mantenerlo presente nel nostro cuore.
E precisamente perché ci rendiamo conto che, essendo ancora campo che ospita il male, Dio ha pazienza, dovremmo sforzarci per essere più comprensivi, meno esigenti, con quanti, intorno a noi, non riescono ad essere tanto buoni come vogliono o come noi siamo già. È vero che la pazienza di Dio col male imperante mette alla prova la nostra comprensione e la fedeltà che gli dobbiamo: quanto gradevole ci sarebbe – e quante volte non glielo abbiamo chiesto! – che Dio distruggesse quelli che ci fanno del male. Che non lo faccia, ci fa sentire defraudati da Lui. E tuttavia, ha le sue ragioni: come ha fatto tante volte con noi, vuole dare al malvagio un’opportunità affinché cambi; ritarda il suo intervento, perché desidera che il cattivo migliori e il male sparisca.
Chi desidera essere migliore, e non solamente buono, ha pazienza con sé stesso, col male che scopre nel suo cuore; e, specialmente, sa di avere pazienza col male che impera attorno a sé. Come l’agricoltore della parabola, come Gesù durante la sua vita, il cristiano sa aspettare la vittoria del bene: non lo defrauda il predominio apparente del male. E’ sicuro che Dio un giorno, che arriverà come deve arrivare il giorno del raccolto, sopprimerà definitivamente il male: sapere che il male è già condannato da Dio obbliga il cristiano a mettersi a lottare, sforzandosi per migliorare ed impegnandosi a lasciare agli altri un mondo migliore, senza mai disperarsi; perché chi diffida che non soccomberà sotto il male, non si fida di Dio né nel potere della sua bontà.
E questo sì che è male: perché Dio non può fare niente con chi non si fida della sua bontà o non sopporta che abbia pazienza coi malvagi. Avere un Dio paziente col male ha le sue conseguenze: bisogna accettarle ed accettarlo come è. Ha, con tutti, di buono che se crediamo in Lui possiamo accettare noi stessi, benché non siamo buoni del tutto, ed accettare il nostro mondo, come è. Non c’è dubbio che è un grande vantaggio.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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