13 LUGLIO 2014 | 15A DOMENICA A – LECTIO DIVINA : MT 13,1-23
13 LUGLIO 2014 | 15A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO
LECTIO DIVINA : MT 13,1-23
Stretto dalla moltitudine che si accalcava per ascoltarlo, Gesù propone loro una parabola, meglio, dirige loro un discorso a base di sette parabole (13,1-52). La prima, più lunga ed articolata, è seguita, caso insolito, da una spiegazione. Nella sua missione di evangelizzatore Gesù ha conosciuto già l’entusiasmo iniziale della gente (4,17-11,1) ed un progressivo rifiuto da parte dei farisei (11,2-12,50). La parabola tematizza la sua esperienza di predicatore e riflette le sue più intime convinzioni. L’immagine della semina è appropriata per rivelare una delle leggi segrete del Regno, il potere nascosto ma efficace della Parola di Dio; con lei Gesù vuole mettere i suoi uditori davanti alle proprie responsabilità: non basta ascoltare, bisogna dare frutti. Accogliere l’insegnamento non è sufficiente, se dopo non lo si vive; rispondergli bene e seguirlo più da vicino non è meritorio. L’ascolto di Dio che non sfocia in obbedienza è sforzo inutile.
1 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse:
« Ecco il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6 ma quando spuntò il sole fu bruciata e, come non avendo radici, seccò. 7 Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti ».
10 Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero:
« Perché a loro parli con parabole? »
11 Egli rispose loro:
« Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:
« Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. 15Porchè il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca ».
16 Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
18 Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.
19 Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in se radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.
22 Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno ».
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il Gesù che sceglie la parabola come strumento di insegnamento è come uno sperimentato evangelizzatore che ha conosciuto trionfi e fallimenti. Con la similitudine della semina pretende di spiegare la natura del Regno di Dio e le leggi che dirigono la sua istallazione; lascia vedere, inoltre, le sue proprie convinzioni: dice come si espande il regno e perché trova tanta difficoltà. Le sue parole sono una seria avvertenza per i suoi uditori e, contemporaneamente, un chiaro messaggio di speranza.
Gesù normalmente non commenta le sue parabole; lascia che siano esse ad interrogare i suoi uditori. Qui, eccezionalmente, aggiunge un doppio commento, che prova che quanto sta dicendo è di grande importanza. In realtà, la spiegazione che dà va diretta solo ai suoi discepoli. Ha due parti: un severo giudizio teologico ed un chiarimento allegorico. In primo luogo, e rispondendo ad una logica domanda dei suoi discepoli, giustifica il suo discorso in parabole ricorrendo alla Scrittura; la ragione che adduce è più sorprendente ancora che il suo modo di parlare: affinché sentendo…, non sentano né capiscano! Un popolo che si chiude all’ascolto di Dio non merita un’evangelizzazione diafana e convincente. Chi non cerca conversione deve essere ostacolato loro di capire. Sentire la necessità di essere salvato è requisito affinché si aprano occhi e cuore al vangelo predicato. Non basta essere uditore per arrivare ad essere credente come non basta essere figli di profeti per entrare nel regno; chi chiude occhi e cuore a Cristo si esclude dal regno di Dio.
In un secondo momento, Gesù spiega la parabola, e minuziosamente, solo a coloro, i discepoli, che sono felici perché vedono e sentono. Accompagnare Gesù li rende felici, più che gli stessi profeti che sperarono di vedere quello che essi stanno contemplando. Individua in primo luogo le difficoltà che trova il seme per essere accolto e crescere. Non nascono dal rifiuto; qui tutti ricevono il seme, ma o se lo lasciano rubare o lo trascurano. Richiama l’attenzione la generosità, o la semplicioneria, del seminatore al quale non sembra male sprecare seme spargendolo dove poco o niente può germinare. Segnala, dopo, la diversa fertilità di coloro che accolgono la parola e la curano. Neanche in un campo buono lo stesso grano fruttifica in forma identica; affinché ci sia frutto, il terreno deve essere preparato; ma i risultati non dipendono dalla propria preparazione. La fortuna di sentirlo, ed il rischio di non accettarlo, sta oggi alla nostra portata; ma ciò non basta: se non c’è frutto, è inutile la semina e lo sforzo dello stesso Dio, di Gesù in persona; una grave responsabilità per chi sa che la Parola di Dio è alimento della sua vita.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Noi che ascoltiamo frequentemente il vangelo dovremmo sentirci provocati da quella seria avvertenza e confortati per la gradita promessa che le parole di Gesù implicano: la semina arriva a tutti, ma non si è altrettanto preparati; gli ostacoli che ognuno mette all’entrare di Dio nella propria vita, sono tanto differenti come differenti sono i suoi modi. Ogni uditore rivaleggia nella sua opposizione a Dio che gli parla; ma le ragioni della sua resistenza sono sempre uniche, esclusive; nascono, come nella parabola, dalle circostanze concrete in cui ognuno vive. Per questo motivo, perfino nel migliore dei campi, e lo sanno molto bene gli agricoltori, i frutti sono disuguali; la preparazione previa, uguale per tutti, non assicura un risultato finale identico. Benché sia necessaria la buona disposizione, la fertilità del campo non dipende dal grano: la Parola di Dio ha bisogno di accoglienza e di attenzioni; ma sarà la sua potenza, e non la capacità di quanti la sentono, ciò che produrrà frutti nella vita del credente.
Come il seminatore che, contemporaneamente al grano, mette la sua speranza nel campo che semina, così ha fatto il nostro Dio con noi, quando ci ha diretto la sua parola. Perfino prima che noi opponiamo ogni resistenza immaginabile, Dio si è fidato di noi, mettendo il suo amore alla nostra portata, seminando la sua parola nella nostra vita. Dovrebbe spaventarci questo spreco di illusione, questa capacità di fidarsi che Dio ha mostrato con noi, prima ancora che potessimo sentirci preoccupati per la risposta che avremmo dato a Lui. La speranza che ha avuto in noi, la fiducia che ha avuto quando ci ha considerati degni della sua parola e delle sue esigenze, dovrebbe commuoverci. Come non meravigliarsi di un Dio che continua a seminare in noi, senza scoraggiarsi per lo scarso frutto che gli rendiamo? Senza lasciarci sorprendere dall’illusione che diamo al Dio seminatore, nonostante la nostra incapacità, non ci sentiremo arricchiti per la sua semina né incitati a dare frutto.
Ci sapremo interlocutori di Dio, oggetto delle sue attenzioni, quando ci sentiamo obbligati a rispondergli, e finché ci sforziamo ad ubbidirgli. Chi ascolta la Parola di Dio, dunque, dovrebbe sentirsi lusingato per essere stato scelto come interlocutore del suo Dio, prima di sapersi impegnato a rispondergli. Una delle forme più efficaci di sentirsi voluto bene da Dio è, senza dubbio, il sapersi richiesto da Lui a comportarsi come Lui vuole: se non importassimo a Dio, Egli non avrebbe nessun interesse per noi. Che esca al nostro incontro, come il seminatore che ci consideri meritevoli della sua Parola, come il campo del seme, deve convincerci che ci prende ancora in considerazione che conta ancora su di noi. Essere uditore della Parola di Dio significa, prima di tutto, essere intimo di Dio.
Ma il seme seminato, la Parola di Dio ascoltata, più che un privilegio immeritato, è una responsabilità da coltivare. Come un campo non appena arato può essere sterile allo sforzo del seminatore, così noi possiamo lasciare inutilizzata in mille modi la Parola che Dio ha ritenuto opportuno comunicarci: lasciandoci rubare da chiunque quanto Dio ha messo nel nostro cuore, ostacolando Dio di piantare radici nella nostra vita, soffocando le sue esigenze coi nostri desideri ed illusioni, preoccupandoci più di quello che non abbiamo ancora che di quanto Dio ci ha già promesso, disinteressandoci per ottenere con le nostre proprie forze quello che Dio vuole darci con la sua grazia, preferendo una vita facile senza Dio ad un Dio che rende difficile la nostra vita, convertendo la sua parola in suono inutile e le sue attenzioni in affetto sprecato.
Non faremmo bene se, oggi stesso, e alla presenza di quel Dio ostinato a seminare la sua vita e la sua parola nei nostri cuori, ci chiedessimo quali ostacoli, in concreto, Egli sta trovando nella nostra vita: che cosa è ciò che, non essendo Lui, merita da noi maggiori attenzioni? chi ha le nostre migliori attenzioni quotidiane? chi occupa il nostro cuore? Cos’è ciò che dà senso alle nostre vite? Solo se individuiamo da dove viene il nostro imborghesimento, il nostro torpore, la nostra resistenza, potremo convertirci all’ascolto di Dio ed arrivare all’obbedienza.
Lo stesso campo e lo stesso seme seminato, nota Gesù, non danno identico frutto. Se ciò non disturba l’agricoltore, non dovrebbe essere un problema per nessuno: Dio dà per scontato che tutti devono dare frutto, benché sa che non tutti hanno la stessa generosità. Chi fa tesoro di ciò che Dio gli dice, di quanto Dio vuole da lui, deve sentirsi incoraggiato, al sapere che Dio non gli esige il massimo, purché dia qualcosa di quanto ha ricevuto. La speranza che Dio ha messo in chi ha voluto fare il suo interlocutore ed amico, perché conosce la sua volontà, non diminuisce, se non si riesce a dare tutto quanto Egli si fosse prefissato. Chi ci ha dato tanta fiducia da darci la sua parola e proporci la sua volontà, ha lunga pazienza e spera sempre da noi qualcosa di più oggi di quanto gli demmo ieri. Dio vuole da noi il meglio, non si accontenta che siamo già buoni; perché ci ama molto, spera molto da noi. E come ci ama sempre meglio, spera che domani saremo migliori di quanto lo fummo oggi.
Essere stato, come il campo seminato, causa del lavoro, motivo dell’interesse di Dio, ingrandisce la nostra responsabilità; come l’agricoltore, Dio spera da noi dei frutti. Chiudersi alla speranza che Dio ha posto su di noi, ci escluderebbe dal suo regno: Dio può perderci, se non utilizziamo la sua fatica; ma noi non perderemmo il nostro Dio; la nostra sarebbe – senza dubbio – una perdita maggiore.
Come per quella moltitudine che sentì per la prima volta Gesù parlare del Dio seminatore, la fortuna di ascoltare Dio ed il rischio di non accettarlo sono uguali: se non diamo frutto, rendiamo vana la speranza di Dio ed il suo lavoro e sterile la nostra vita e, quello che è peggiore, inutile il nostro Dio. Non sarà questa la ragione perché, dopo tanti anni di ascolto di Gesù la gente non vede in noi niente di nuovo, alcun frutto, degno di Dio? Se ci rallegriamo molto perché Dio ci vuole bene, perché ci cura tanto, responsabilizziamoci, una volta per tutte, e rendiamo realtà quanto Egli vuole da noi. Solo così saremo sicuri delle attenzioni del Dio che non cessa di seminare, e di sperare, in noi
JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

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