COMMENTO A ZACCARIA 9,9-10

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COMMENTO A ZACCARIA 9,9-10

Così dice il Signore: 9 Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.

10 Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra.

COMMENTO Zaccaria 9,9-10 Il Messia umile e vittorioso Il libro di Zaccaria si divide in due sezioni, di cui solo la prima (cc. 1-8) raccoglie gli oracoli di questo profeta. La seconda sezione (cc. 9-14), diversa dalla prima per stile e contenuto, è attribuita invece un autore anonimo del tempo di Alessandro Magno: la sua interpretazione è resa difficile dall’accentuato simbolismo e dal cattivo stato del testo. Essa si divide in tre parti: nella prima parte si annunzia la venuta del regno di Dio, che coincide con il raduno dei giudei dispersi e con la caduta dei regni di questo mondo (9,1-11,3); nella seconda (11,4-14,21) si parla della liberazione di Gerusalemme mediante la sofferenza dei suoi rappresentanti, il buon pastore (11,4-16; 13,7-9) e colui che è stato trafitto (12,10-14); nella terza infine si annunzia che JHWH combatterà contro le nazioni e stabilirà su tutto il mondo la sua regalità (14,1-21). All’inizio della prima di queste tre parti si descrive lo straordinario effetto della parola di JHWH (9,1-8): come un potente esercito conquistatore essa percorre il regno di Siria e le città della Filistea e della Fenicia per fare di esse il suo popolo, dopo averle purificate dall’idolatria e averne fatto un’unica famiglia con Israele; su di esse JHWH vigilerà come una sentinella perché non gli siano poi nuovamente tolte. Al termine del brano iniziale si situa il testo liturgico, che si stacca dal precedente a motivo sia dello stile che del contenuto, anche se idealmente si collega con esso in quanto ambedue annunziano l’avvento dell’era messianica. Il profeta non si rivolge più alle città della Siria, Fenicia e Filistea, ma a Sion-Gerusalemme (v. 9a), per annunziare non una nuova conquista, ma la venuta del suo re salvatore (v. 9ab), non sulle nubi del cielo e nei fenomeni cosmici, ma cavalcando un giumento (v. 9b). La sua missione non è la guerra (v. 10a), ma la pace universale (v. 10b). Le parole e le immagini sono quelle usate dai profeti precedenti per annunziare il re messianico. Di nuovo c’è qui l’affermazione della solenne investitura regale del Messia in Gerusalemme in una fastosa celebrazione liturgica. Il testo si apre con un invito alla gioia: «Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme» (v. 9a). L’invito alla gioia più intensa, specialmente se rivolto agli abitanti di Gerusalemme, evoca una cerimonia liturgica in cui si solennizza la regalità divina (cfr. Is 65,18; 66,10; Ab 3,18). L’espressione «figlia di Sion» come la successiva «figlia di Gerusalemme» è un semitismo per indicare gli appartenenti alla collina di Sion, cioè gli abitanti di Gerusalemme. Anche il verbo «giubilare» evoca la circostanza di una solenne liturgia (cfr. Esd 3,13) nella quale si esprime la gioia dell’avvento della regalità di JHWH (cfr. Sal 47,2; 66,1; 95,1-2; 98,4.6). I profeti invitano alla gioia e al giubilo quando annunziano la manifestazione gloriosa di Dio nell’era messianica (cfr. Is 44,23; Sof 3,14; Gl 2,1). Il motivo del giubilo viene indicato subito dopo con questa espressione: «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca su un asino, un puledro figlio d’asina» (v. 9b). La particella «ecco» indica che l’evento di cui si sta per parlare è imminente. L’espressione «a te viene il tuo re» indica che l’evento in questione è la venuta a Gerusalemme del Messia. Da dove egli venga non è indicato; la sua apparizione è immediata e misteriosa, come quella di JHWH stesso. Così le antiche profezie del messianismo reale davidico sempre più si colorano di elementi sovrumani, mentre sempre più d’altro canto va sbiadendosi il colore politico e storico del personaggio. Il primo attributo che caratterizza il Messia è la giustizia. Il giusto è colui che ha raggiunto la perfezione religiosa in quanto compie nella maniera più completa quello che Dio esige da lui, diventando per questo oggetto delle benedizioni divine (cfr. Dt 6,25; Pr 10,6). Sono modello dell’uomo giusto sia Noè (cfr. Gen 6,9; 7,1) che Abramo (Gen 15,6). La giustizia è un attributo del re (cfr. 1Sam, 24,18; 2Sam 4,11; 2Sam 23,3): a maggior ragione quindi il Messia è presentato come il giusto per eccellenza (cfr. Ger 23,5). Il Messia non è solo giusto, ma anche «vittorioso» (lett. salvatore). La salvezza, come la giustizia, è attribuita a JHWH dal Deuteroisaia (cfr. Is 45,21): secondo questo testo anche il Messia partecipa di questa prerogativa in quanto egli collabora all’opera di JHWH che gli conferisce la vittoria sui suoi nemici. Infine qusto re è «mite»: mentre i due primi attributi rivelano i suoi rapporti con JHWH, la mitezza indica il suo ateggiamento nei confronti degli uomini. Questo attributo è appare come una caratteristica di Mosè nei suoi rapporti con Miriam ed Aronne, invidiosi della sua condizione privilegiata(cfr. Nm 12,3). Come lui anche il re messianico, benché giusto e quindi particolarmente protetto da Dio, non si esalta né davanti a Dio né davanti agli uomini. Egli «cavalca sopra un asino»: mentre guerrieri valorosi e crudeli (cfr. Gr 6,23; 50,42), e anche Dio stesso (cfr. Ab 3,8), manifestano la loro dignità servendosi di cavalli, egli mostra la sua umiltà e mitezza cavalcando un asinello. Così aveva fatto Abigail davanti a David (cfr. 1Sam 25,20-43) e Davide stesso in fuga davanti al figlio Assalonne (cfr. 2Sam 16,2). Allo stesso modo il re messianico si presenta come una persona umile e semplice, e non come un re terreno o un guerriero vittorioso. Per le regole del parallelismo le due espressioni «asino» e «figlio di un’asina» si equivalgono. Al re che entra trionfalmente in Gerusalemme vengono attribuite due azioni parallele, una negativa e l’altra positiva. Prima di tutto egli «farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme» (v. 10a). Il nome Efraim è quello di uno dei due figli di Giuseppe e indica la tribù maggioritaria del Nord e quindi per metonimia tutto il regno di Israele in contrasto con il regno di Giuda, indicato con il nome della sua capitale, Gerusalemme. Sia in Israele che in Giuda gli farà dunque sparire tutti gli strumenti di guerra. Ciò significa che nell’era messianica non vi sarà più divisione fra il regno di Israele e quello di Giuda e il re messianico regnerà quindi su tutto Israele. Oltre a far scomparire carri da guerra e cavalli, il re spezzerà per sempre l’arco, l’arma ordinaria in dotazione all’esercito di Israele (cfr. Os 2,20; 1Cr 5,18; ecc.). In senso negativo si dice dunque che il Messia eliminerà la guerra per sempre. In senso positivo si afferma invece che il Messia «annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra» (v. 10b). La sua missione principale sarà quella di proclamare la pacificazione fra i popoli, come già avevano annunziato Isaia (cfr. Is 11,6) e Osea (cfr. Os 2,20). La sua missione pacificatrice si estenderà da un mare, il Mediterraneo, a un altro mare, il golfo Persico, e dal fiume, il Nilo, sino ai confini della terra: tutte e quattro le indicazioni geografiche, che ritornano anche nel Sal 72,8, indicano simbolicamente l’universalità del regno messianico.

Linee interpretative In questo testo si preannunzia la venuta del « Messia », la cui attesa si era diffusa nel periodo postesilico tra tutto il popolo giudaico. Egli viene presentato come un re che prende possesso delle due nazioni israelitiche, Israele e Giuda, che vengono nuovamente unite per formare l’unico popolo eletto; inoltre viene indicato come colui che stabilirà il dominio di Dio su tutto il mondo. Per mezzo suo si realizza dunque il regno universale di Dio. La caratteristica fondamentale di questo regno è la pace. Questa viene descritta, alla luce dell’ideologia tipica dell’antico Oriente, come l’eliminazione forzata dei conflitti mediante la vittoria di un re su tutti i regni vicini. Era questo il modo in cui si pensava di poter rappacificare le nazioni in lotta e creare nuove condizioni di vita per tutti. Di questo tipo era la pace imposta dai grandi imperi dell’antichità e soprattutto dai romani (pax romana). Pur ispirandosi a questa ideologia il testo di Zaccaria la supera decisamente. Il re Messia è presentato come una persona giusta e mite, cioè non violento. Ciò che gli compete non è tanto la vittoria sui nemici, come lascia intendere la traduzione CEI, quanto piuttosto la capacità di dare una salvezza che consiste non nel reprimere la violenza con la violenza, ma nel creare rapporti nuovi tra le nazioni e gli individui. Di conseguenza la pace che egli porta elimina alla radice la possibilità stessa di nuove violenze. Ciò è possibile perché egli è un giusto, e ispira il suo intervento alla giustizia, che consiste essenzialmente nell’osservanza della legge di Dio. Egli attua così la figura ideale del re, quale era descritta nella Scritture (cfr Dt 17,14-20). Mediante la sua umiltà e non violenza il Messia descritto da Zaccaria manifesta la vera immagine di Dio, che attua la sua salvezza non mediante il ricorso a minacce e castighi, ma muovendo il cuore delle persone perché colgano un ideale e si impegnino in esso con tutte le forze.

 

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