Archive pour juin, 2014

The Blessed Virgin Mary from the Ghent Altarpiece, circa 1432

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http://en.wikipedia.org/wiki/Solemnity_of_Mary,_Mother_of_God

Publié dans:immagini sacre |on 9 juin, 2014 |Pas de commentaires »

OGGI SARAI CON ME – Lc 23,35-43:

http://www.patriarcatovenezia.it/s2ewdiocesivenezia/s2magazine/AllegatiTools/671/Oggi%20sarai%20con%20me.doc.

OGGI SARAI CON ME

(libero adattamento di appunti presi durante gli esercizi spirituali diocesani
predicati da don Romano Martinelli)

Leggiamo e meditiamo insieme il brano di Lc 23,35-43:

[35]Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: « Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto ». [36]Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: [37]« Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso ». [38]C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
[39]Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: « Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi! ». [40]Ma l’altro lo rimproverava: « Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? [41]Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male ». [42]E aggiunse: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». [43]Gli rispose: « In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso ».
Siamo nel contesto della passione, Gesù è già stato inchiodato, e rispondendo alla supplica di colui che era stato crocifisso alla sua destra, dice una delle sue ultime parole. Con questa rivelazione Luca mette in cattedra una figura anonima, il cosiddetto « buon ladrone ». È uno dei passi più alti del suo vangelo: non è un frammento simpatico, devozionale; qui siamo davanti ad un vertice. È un po’ come una finestra, piccola se volete, ma ci si affaccia sul mondo di Dio.
Lo ha capito bene la piccola Teresa di Lisieux, la quale, alla luce di questa rivelazione, intuisce che la sua vita non può che diventare un sedersi alla mensa dei peccatori.
Che cosa capita sotto la croce? don Bruno Maggioni lo chiamerebbe « lo spettacolo » della croce. Dove c’è la stessa radice della parola « specchio », non lo « spettacolo » televisivo, ma quello specchio che rivela la nostra identità: la Parola dice chi siamo.
Gesù è in relazione con il Padre, davanti a lui prega per i nemici, li accoglie. Sotto la croce ci sono tutti i suoi nemici.
Ci sono quelli che non capiscono: scherno, derisione, insulto. I capi, i militari, il bandito di sinistra vedono in quest’uomo il fallimento estremo: « Tu sei un fallito ». È quanto dice la maggior parte della gente anche oggi nel mondo: il Crocifisso non salva nessuno, non può essere una via di salvezza! Tutti voi siete degli ingenui. Cercare un’altra salvezza è la grande tentazione di sempre.
E poi ce n’è uno che capisce, anche se non è nella condizione di capire, di sperare, di aprirsi al futuro. È il cosiddetto « buon ladrone »: un farabutto che poi diventa « buono » perché è giustificato. È uno che di per sé non sarebbe « salvabile ».
Ecco come si comporta: dice « Io ho sbagliato ed è giusto che paghi. Lui è innocente, è il Cristo ». E, rivolto a Gesù, lo prega: « Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». Ad uno agonizzante come lui dice: « Tu puoi ricordarti di me, io riconosco in te uno a cui posso affidarmi ». Ma aggiunge: « Tu sei re, ricordati di me, nel tuo regno ». Non solo « sei vivo », ma « sei re ».
Qual è la differenza tra i due ladroni?
Il primo non riesce a riconoscere questa regalità in chi è in una situazione simile e addirittura peggiore della sua. Pensa che sia un imbroglione, un sedicente « messia » che, innocente, non è in grado di salvarsi. Invece il secondo, nella stessa condizione infame, vede in Gesù, nel suo volto e nel suo corpo dissanguato, la salvezza. E quindi confessa e invoca.
Gesù risponde: « In verità ti dico: oggi tu sarai con me in paradiso ».
Certo è commovente vedere come riagguanta il « farabutto ». Guigo il Certosino, amico di san Bernardo, ha questa bella espressione: « Il Salvatore ha inseguito quell’uomo per tutta la vita, scappava sempre. Ad un certo punto l’ha aspettato dove non poteva più scappare, quando era crocifisso; ma allora si è fatto crocifiggere anche lui, per poterlo rapire almeno nell’ultimo istante! ». E Giovanni Crisostomo dice: « Ladro perfino sulla croce! Ha rubato il paradiso all’ultimo momento ».
Gesù dice: Io salvo quando muoio! Lo dice con un impegno solenne, con tutta la sua autorevolezza: « In verità, ti dico ».
Sono la tua salvezza ‘oggi’, non in futuro. Non solo ascolto il tuo gemito, la tua domanda, ma la supero in abbondanza: « Tu sarai con me in paradiso »! Cioè ti salvo non come pensi tu, in maniera confusa, ma come voglio io, in modo pieno, definitivo, fantasioso, straordinario… la salvezza secondo Dio, non secondo l’uomo. Per questo non ci basta dire che il Vangelo « umanizza », che dobbiamo lottare per la giustizia, per la pace…, ma noi diciamo che il Vangelo « divinizza », che è il superamento in eccesso delle nostre attese. La risposta del Salvatore non è solo un ascolto del gemito, ma una assoluta novità.
L’affermazione di Gesù nasconde uno scandalo, perché secondo la mentalità ebraica del tempo era già abbastanza strano che nella comunità dei salvati entrasse un tipo così losco. Anzi, era mostruoso. Ma Gesù dice: Tu immediatamente sarai con me. Sei il primo. Questo è inaccettabile, inimmaginabile!
Ancora più scandaloso è che questa sia la forza della regalità schernita, che questa vittoria venga da un moribondo sul patibolo, non diverso dagli altri.
Questo si percepisce solo nella fede, nell’atteggiamento ormai da credente del centurione, il quale guardando alla croce e vedendo quest’uomo morire così, dice: « Questo è il Figlio di Dio! ».
Secondo un grande esegeta, il gesuita Grelòt, l’espressione di Gesù « con me » significa condivisione di vita, comunanza di destino. Il « ladrone » giustificato, il discepolo, è chiamato a partecipare del colloquio amoroso tra Gesù e il Padre che continua sulla croce, della vita del Padre, della misericordia che Gesù ha in sé.
Ora Gesù dice: non solo contemplate questo spettacolo della misericordia, ma io vi precedo perché anche voi possiate vivere così.

Spunti di riflessione
- Il mistero del ladrone ci spinge ad avere fiducia che anche noi possiamo vivere secondo questa logica di dolcezza, di umiltà, di dono, di bontà tenace. Nell’ascolto della sua Parola, Gesù ci dona di vivere, nelle fratture della storia, con lui e in lui di quest’amore che sgorga da un patibolo e dilaga.
- Riconoscersi vivi per misericordia. Siamo chiamati a scoprire per fede che la misericordia, il chinarsi di Dio, è ciò che ci ha fatto e ci fa vivere, tutti. Se, ad esempio, io spero ancora quando un figlio si allontana e rischia di perdere persino la sua umanità…, è perché so che l’ultima parola, come la prima, su ciascuno di noi è la misericordia. Dio sa trasformare in figli di Abramo anche le pietre e trasforma l’ultimo dei malfattori nel primo dei salvati.
Per un verso questo mistero ci respinge e ci scandalizza: « Non è giusto. Non vale la pena essere buoni, se Dio tratta tutti alla stessa maniera ». Se nel mondo prosperano i furbi, gli egoisti, i mafiosi, i cinici, gli arroganti, i violenti è perché Dio non scende dalla croce, è perché ha pazienza. Se Dio è in mezzo a noi come uno che sembra assente o incapace, è perché è misericordioso e mite. Se Dio fa la figura di chi non sa farsi valere, fino a sembrare inetto, è perché è paziente e misericordioso.
Per un altro verso, se siamo discepoli, cristiani, è perché l’amore, trasfigurandoci, ci rende inevitabilmente segni della sua misericordia.

 

LO SPIRITO DI LEONE (TOLSTOJ)

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TESTIMONI – NOVEMBRE 2010

LO SPIRITO DI LEONE (TOLSTOJ)

In conclusione del nostro viaggio nel pensiero e nelle opere di Leone Tolstoj, invito alla lettura dei suoi scritti filosofico-religiosi.
Gloria Gazzeri (Associazione Amici di Tolstoj italiani –
Riportano i giornali dell’epoca che, al momento dei funerali di Leone Tolstoj la voce di uno sconosciuto gridò: “Il grande Leone è morto. Viva il grande spirito di Leone. Possano realizzarsi i suoi principi sul cristianesimo e sull’amore”.
Oggi si sta ampiamente celebrando il centenario della morte di Leone Tolstoj (che morì ad Astapovo nel novembre del 1910).
Eppure poco si parla ancora della seconda parte della sua vita e della sua opera filosofico-religiosa.
Alle soglie dei 50 anni, il famoso autore di “Guerra e pace” e “Anna Karenina”, ricco, celebre, amato, ebbe una gravissima crisi spirituale e giunse alle soglie del suicidio. La salvezza gli venne dalla rilettura del Vangelo sine glossa e dalla ritrovata fede in Dio. Scrisse: “E allora, cosa sto cercando – gridò a un tratto una voce dentro di me: eccolo dunque Dio. Egli è colui senza il quale non si può vivere” (La confessione).
Passò il resto della sua vita cercando di far conoscere alla gente quella verità che lo aveva salvato.
Nella sua rilettura del Vangelo, la chiave di tutto gli apparve il precetto dell’amore per i nemici e della non resistenza al male. Gandhi dichiarò di essere stato convertito alla nonviolenza, nel 1894, quando era in Sudafrica, proprio dalla lettura di un’opera fondamentale di Tolstoj : “Il regno di Dio è dentro di voi”.
Il Vangelo resterà il testo fondamentale nella sua ricerca filosofico-religiosa. Egli affermerà: “Quando mi domandano in che consiste la mia dottrina, io rispondo che non ho alcuna dottrina mia, ma intendo la dottrina cristiana appunto come è stata esposta nei Vangeli” (Come leggere il Vangelo).
Si tratta, però, pur sempre di una lettura molto personale. Il suo primo lavoro, dopo la conversione, sarà una rilettura nell’originale greco dei quattro Vangeli e relativa traduzione. Da essi, però, elimina i miracoli e ogni fenomeno soprannaturale, perché gli interessava soprattutto il messaggio etico.
Per lui, si deve passare da una religione della morte, preoccupata soprattutto del destino dell’anima, a una religione della vita, preoccupata di realizzare il Regno di Dio qui in terra. Contemporaneamente, però, a un mondo che sembra aver rimosso ogni riflessione sulla morte, Tolstoj parla spesso della morte, ne cerca i significati più consolanti.
Tolstoj trovò poi nei maestri orientali la conferma delle verità evangeliche, ne tradusse e diffuse le opere in Russia.
Gli autori orientali più amati e citati da Tolstoj sono Buddha, Lao Tze, Confucio, Mencio, Maometto.
In un’importante breve lettera che contiene il suo pensiero conclusivo sulla religione, Tolstoj scrisse: “La spiegazione razionale della vita ciascuno può trovarla nella propria fede. Questa spiegazione è la stessa in tutte le religioni. Essa consiste in ciò: l’uomo è il servo della potenza superiore, che si chiama Dio e deve esaudire la volontà di questa potenza; la volontà di questa potenza è l’unità di tutti gli uomini, che può essere raggiunta per tramite dell’amore” (Lettera a un giapponese, 1905).
Nel corso della sua ricerca, però, si trovò a criticare le Chiese istituzionali. Le accusò di ritualismo, dogmatismo, collusione coi poteri politici. La polemica scoppiò furiosa e Tolstoj fu scomunicato nel 1901 dal Santo Sinodo di Mosca.
Negli ultimi anni, questo furore polemico andò attenuandosi, e scrisse: “Esito a mandare molti dei miei libri ricordando i sentimenti cattivi, le condanne brutali che vi sono espresse… Ci dovrebbe essere l’umile affettuosa ragionevolezza della persuasione. Eppure questo non è in me. Mi sento in colpa” (Lettera a Certkòv del 1 luglio 1904). E anche: “Mi sono accorto che spesso ho avuto torto a calcare la mano, con troppa poca prudenza, contro la fede altrui” (Diari 7-8 marzo 1910).
Per le sue accuse contro le Chiese e contro lo Stato, i suoi libri in Russia vennero proibiti. Spesso furono stampati all’estero e poi, in epoca attuale, quasi dimenticati, e Tolstoj considerato soltanto un grande romanziere. E pensare che egli considerava “sciocchezze” (Diari 6.12.1908) i suoi romanzi; e scrisse a un suo amico: “Scrivevo dei librucoli sulle inezie e tutti i miei librucoli vennero esaltati e pubblicati, ma appena mi venne il desiderio di servire Dio, i miei libri vengono vietati e bruciati” (Lettera a Bondarev, 1.3.1886).
Il senso vero della vita
Tolstoi era consapevole di avere una missione. “I miei pensieri, i miei scritti sono solo passati attraverso di me, e ciò che in essi vi è di cattivo è mio; ciò che vi è di buono, non è mio, ma di Dio” (Lettera a E. V. Molostova, 15 giugno 1904).
Nei suoi scritti, Tolstoj voleva avvertirci che guerre, sciagure e dissolvimento attendevano la civiltà occidentale, se non fosse tornata a praticare il Vangelo autentico, “perché – scriveva – la sorgente di tutti i malintesi consiste nell’opinione che il cristianesimo sia una dottrina, che si può accettare senza cambiar vita”.
Scrisse Tolstoj, “Se ti accorgi di non avere fede, sappi che ti trovi nella più pericolosa situazione nella quale può trovarsi un uomo sulla terra… Le persone possono vivere e vivono quella vita ragionevole e concorde loro propria, allorquando sono unite dallo stesso modo di comprendere la vita… La causa della disastrosa situazione dei popoli cristiani è l’assenza in essi di una spiegazione del significato della vita che sia comune a tutti loro, l’assenza della fede e delle regole di condotta da essa derivanti. Il mezzo per salvarsi dalla presente disastrosa situazione consiste in ciò: la gente del mondo cristiano deve far sua quella concezione della vita che le è stata rivelata diciannove secoli fa… e deve applicare le regole di condotta contenute nella dottrina cristiana autentica” (La legge della violenza e la legge dell’amore, cap. I).
La salvezza è dunque possibile: “Il cristianesimo travisato e il potere di pochi e la schiavitù di molti verranno sostituiti da un cristianesimo autentico e dal riconoscimento dell’uguaglianza di tutti quanti gli uomini” (La fine del secolo, Capitolo primo).
E ancora : “Noi ci troviamo alle soglie di una vita nuova e completamente gioiosa; accedere ad essa dipende unicamente da ciò: liberarsi dalla tormentosa superstizione che sia necessaria la violenza nella vita di relazione e accettare l’eterno principio dell’amore” (La rivoluzione inevitabile, Capitolo XII).
Ci sembra piena di profetica speranza la conclusione del saggio sulla religione, là dove né gli intellettuali né le classi al potere sapranno, né avranno interesse a cercare nuove vie di salvezza, saranno gli uomini di fede a ritrovare la strada.
“Ci sono tempi come il nostro, in cui la gente religiosa non è visibile, essa passa la sua vita disprezzata e umiliata. Proprio questa gente religiosa, sebbene sia poca, può spezzare e spezzerà il cerchio magico in cui è chiusa e come stregata la gente. Queste persone certamente incendieranno tutto il mondo e tutti i cuori degli uomini, inariditi da una lunga vita senza religione, ma bramosi di un rinnovamento, così come il fuoco incendia la steppa secca” (Che cos’è la religione e quale ne è l’essenza? Capitolo XVII)

Pentecoste

Pentecoste dans immagini sacre Pentecost_RA

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Publié dans:immagini sacre |on 6 juin, 2014 |Pas de commentaires »

VENI, CREATOR SPIRITUS. – INNO DI PENTECOSTE

VENI, CREATOR SPIRITUS. – INNO DI PENTECOSTE

Veni, Creator Spiritus.
Veni, creator Spiritus,
mentes tuorum visita,
imple superna gratia
quae tu creasti pecora.
Qui diceris Paraclitus,
donum Dei altissimi,
fons vivus, ignis, caritas
et spiritalis unctio.
Tu semptiformis munere,
dextrae Dei tu digitus,
tu rite promissum Patris
sermone ditans guttura.
Accende lumen sensibus,
infunde amorem cordibus,
infirma nostri corporis
virtute firmans perpeti.
Hostem repellas longius
pacemque dones protinus;
ductore sic te praevio
vitemus omne noxium.
Per te sciamus da Patrem,
noscamus atque Filium,
te utriusque Spiritum
credamus omni tempore.
Amen.
————————————-
Vieni Santo Spirito
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni padre dei poveri,
vieni datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto conforto.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
sana ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.
Amen.

 

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DI PENTECOSTE – 2008 ANNO A – OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2008/documents/hf_ben-xvi_hom_20080511_pentecoste_it.html

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE – 2008 ANNO A

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Domenica, 11 maggio 2008

Cari fratelli e sorelle,

il racconto dell’evento di Pentecoste, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, san Luca lo pone al secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. Il capitolo è introdotto dall’espressione: « Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo » (At 2,1). Sono parole che fanno riferimento al quadro precedente, nel quale Luca ha descritto la piccola compagnia dei discepoli, che si radunava assiduamente a Gerusalemme dopo l’Ascensione al cielo di Gesù (cfr At 1,12-14). E’ una descrizione ricca di dettagli: il luogo « dove abitavano » – il Cenacolo – è un ambiente « al piano superiore »; gli undici Apostoli vengono elencati per nome, e i primi tre sono Pietro, Giovanni e Giacomo, le « colonne » della comunità; insieme con loro vengono menzionate « alcune donne », « Maria, la madre di Gesù » e i « fratelli di lui », ormai integrati in questa nuova famiglia, basata non più su vincoli di sangue ma sulla fede in Cristo.
A questo « nuovo Israele » allude chiaramente il numero totale delle persone che era di « circa centoventi », multiplo del « dodici » del Collegio apostolico. Il gruppo costituisce un’autentica « qahal », un’ »assemblea » secondo il modello della prima Alleanza, la comunità convocata per ascoltare la voce del Signore e camminare nelle sue vie. Il Libro degli Atti sottolinea che « tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera » (1,14). E’ dunque la preghiera la principale attività della Chiesa nascente, mediante la quale essa riceve la sua unità dal Signore e si lascia guidare dalla sua volontà, come dimostra anche la scelta di gettare la sorte per eleggere colui che prenderà il posto di Giuda (cfr At 2,25).
Questa comunità si trovava riunita nella stessa sede, il Cenacolo, al mattino della festa ebraica di Pentecoste, festa dell’Alleanza, in cui si faceva memoria dell’evento del Sinai, quando Dio, mediante Mosè, aveva proposto ad Israele di diventare sua proprietà tra tutti i popoli, per essere segno della sua santità (cfr Es 19). Secondo il Libro dell’Esodo, quell’antico patto fu accompagnato da una terrificante manifestazione di potenza da parte del Signore: « Il monte Sinai – vi si legge – era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto » (Es 19,18). Gli elementi del vento e del fuoco li ritroviamo nella Pentecoste del Nuovo Testamento, ma senza risonanze di paura. In particolare, il fuoco prende forma di lingue che si posano su ciascuno dei discepoli, i quali « furono tutti pieni di Spirito Santo » e per effetto di tale effusione « cominciarono a parlare in altre lingue » (At 2,4). Si tratta di un vero e proprio « battesimo » di fuoco della comunità, una sorta di nuova creazione. A Pentecoste la Chiesa viene costituita non da una volontà umana, ma dalla forza dello Spirito di Dio. E subito appare come questo Spirito dia vita ad una comunità che è al tempo stesso una e universale, superando così la maledizione di Babele (cfr Gn 11,7-9). Solo infatti lo Spirito Santo, che crea unità nell’amore e nella reciproca accettazione delle diversità, può liberare l’umanità dalla costante tentazione di una volontà di potenza terrena che vuole tutto dominare e uniformare.
« Societas Spiritus », società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: « Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito » e perciò « escludersi dalla vita » (Adv. Haer. III, 24, 1). A partire dall’evento di Pentecoste si manifesta pienamente questo connubio tra lo Spirito di Cristo e il mistico Corpo di Lui, cioè la Chiesa. Vorrei soffermarmi su un aspetto peculiare dell’azione dello Spirito Santo, vale a dire sull’intreccio tra molteplicità e unità. Di questo parla la seconda Lettura, trattando dell’armonia dei diversi carismi nella comunione del medesimo Spirito. Ma già nel racconto degli Atti che abbiamo ascoltato, questo intreccio si rivela con straordinaria evidenza. Nell’evento di Pentecoste si rende chiaro che alla Chiesa appartengono molteplici lingue e culture diverse; nella fede esse possono comprendersi e fecondarsi a vicenda. San Luca vuole chiaramente trasmettere un’idea fondamentale, che cioè all’atto stesso della sua nascita la Chiesa è già « cattolica », universale. Essa parla fin dall’inizio tutte le lingue, perché il Vangelo che le è affidato è destinato a tutti i popoli, secondo la volontà e il mandato di Cristo risorto (cfr Mt 28,19). La Chiesa che nasce a Pentecoste non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa.
A questo riguardo occorre aggiungere un altro aspetto: quello della visione teologica degli Atti degli Apostoli circa il cammino della Chiesa da Gerusalemme a Roma. Tra i popoli rappresentati a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, Luca cita anche gli « stranieri di Roma » (At 2,10). In quel momento Roma era ancora lontana, « straniera » per la Chiesa nascente: essa era simbolo del mondo pagano in generale. Ma la forza dello Spirito Santo guiderà i passi dei testimoni « fino agli estremi confini della terra » (At 1,8), fino a Roma. Il libro degli Atti degli Apostoli termina proprio quando san Paolo, attraverso un disegno provvidenziale, giunge alla capitale dell’impero e vi annuncia il Vangelo (cfr At 28,30-31). Così il cammino della Parola di Dio, iniziato a Gerusalemme, giunge alla sua meta, perché Roma rappresenta il mondo intero ed incarna perciò l’idea lucana della cattolicità. Si è realizzata la Chiesa universale, la Chiesa cattolica, che è il proseguimento del popolo dell’elezione e ne fa propria la storia e la missione.
A questo punto, e per concludere, il Vangelo di Giovanni ci offre una parola, che si accorda molto bene con il mistero della Chiesa creata dallo Spirito. La parola uscita per due volte dalla bocca di Gesù risorto quando apparve in mezzo ai discepoli nel Cenacolo, la sera di Pasqua: « Shalom – pace a voi! » (Gv 20, 19.21). L’espressione « shalom » non è un semplice saluto; è molto di più: è il dono della pace promessa (cfr Gv 14,27) e conquistata da Gesù a prezzo del suo sangue, è il frutto della sua vittoria nella lotta contro lo spirito del male. E’ dunque una pace « non come la dà il mondo », ma come solo Dio può darla.
In questa festa dello Spirito e della Chiesa vogliamo rendere grazie a Dio per aver donato al suo popolo, scelto e formato in mezzo a tutte le genti, il bene inestimabile della pace, della sua pace! Al tempo stesso, rinnoviamo la presa di coscienza della responsabilità che a questo dono è connessa: responsabilità della Chiesa di essere costituzionalmente segno e strumento della pace di Dio per tutti i popoli. Ho cercato di farmi tramite di questo messaggio recandomi recentemente alla sede dell’O.N.U. per rivolgere la mia parola ai rappresentanti dei popoli. Ma non è solo a questi eventi « al vertice » che si deve pensare. La Chiesa realizza il suo servizio alla pace di Cristo soprattutto nell’ordinaria presenza e azione in mezzo agli uomini, con la predicazione del Vangelo e con i segni di amore e di misericordia che la accompagnano (cfr Mc 16,20).
Fra questi segni va naturalmente sottolineato principalmente il Sacramento della Riconciliazione, che Cristo risorto istituì nello stesso momento in cui fece dono ai discepoli della sua pace e del suo Spirito. Come abbiamo ascoltato nella pagina evangelica, Gesù alitò sugli apostoli e disse: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi » (Gv 20,21-23). Quanto importante e purtroppo non sufficientemente compreso è il dono della Riconciliazione, che pacifica i cuori! La pace di Cristo si diffonde solo tramite cuori rinnovati di uomini e donne riconciliati e fatti servi della giustizia, pronti a diffondere nel mondo la pace con la sola forza della verità, senza scendere a compromessi con la mentalità del mondo, perché il mondo non può dare la pace di Cristo: ecco come la Chiesa può essere fermento di quella riconciliazione che viene da Dio. Può esserlo solo se resta docile allo Spirito e rende testimonianza al Vangelo, solo se porta la Croce come e con Gesù. Proprio questo testimoniano i santi e le sante di ogni tempo!
Alla luce di questa Parola di vita, cari fratelli e sorelle, diventi ancora più fervida e intensa la preghiera, che quest’oggi eleviamo a Dio in spirituale unione con la Vergine Maria. La Vergine dell’ascolto, la Madre della Chiesa ottenga per le nostre comunità e per tutti i cristiani una rinnovata effusione dello Spirito Santo Paraclito. « Emitte Spiritum tuum et creabuntur, et renovabis faciem terrae – Manda il tuo Spirito, tutto sarà ricreato e rinnoverai la faccia della terra ». Amen!

8 GIIUGNO : PENTECOSTE – OMELIA/LECTIO DIVINA : GV 20, 19-23

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/4-Pasqua-A-2014/Omelie/08-Domenica-Pentecoste-A/03-8a-Domenica-Pentecoste-A-2014-JB.htm

8 GIUGNO 2014 | 8A DOMENICA DI PASQUA: PENTECOSTE A | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : GV 20, 19-23

A differenza di Luca (Atti 2,1-41), Giovanni situa la venuta dello Spirito lo stesso giorno della risurrezione di Gesù: l’uomo nuovo, restituito alla vita senza fine e senza peccato, dà la missione e la possibilità ai suoi discepoli di essere uomini nuovi e fare nuova l’umanità, dando loro il suo Spirito. I discepoli ricevono l’alito del Risuscitato ed il mandato di perdonare nel suo nome e col suo potere. Come in quel primo giorno, sapere che Gesù è risuscitato significa sapersi capaci di perdonare, perché si conta sullo Spirito di Gesù. Chi crede nella risurrezione, ha il perdono da offrire e lo Spirito di Gesù come compagno: vivere per il perdono è vivere della resurrezione di Gesù, è vivere ubbidendo al suo mandato e col suo stesso Spirito.

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro:
« Pace a voi ».
20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: « Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi ».
20 Detto questo, soffiò e disse loro:
« Ricevete lo Spirito Santo,
a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati;
a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati ».
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il racconto, parco in dettagli, è una cronaca della nascita della chiesa. Segue lo schema narrativo tipico dei racconti delle apparizioni: presenza inaspettata di Gesù risuscitato, riconoscimento da parte dei discepoli, missione al mondo
Il fatto, data la sua importanza, è notoriamente datato (20,19: essendo sera, quel giorno, primo della settimana) e localizzato (in una casa) a Gerusalemme.
Non si nomina nessun discepolo né si dice quanti erano. Si menzionano solo la paura che li attanagliava e la loro reclusione. Volendosi trovare coi suoi, il Risuscitato è capace di superare gli ostacoli: la casa sbarrata ed alcuni discepoli rinchiusi per la paura; si fa presente ai suoi ogni volta che vuole, superando limiti di spazio. L’assenza di Gesù ha riempito di angoscia l’esistenza dei suoi seguaci; la comunità si sente minacciata. Così è meglio ricalcata che l’iniziativa dell’apparizione è tutta del Risuscitato (20,19) che, mettendosi in mezzo ad essi, incoraggia quelli che non osavano uscire per strada e dichiararsi pubblicamente credenti. Può percepirsi, inoltre, una lieve intenzione apologetica: alcuni uomini atterriti non sarebbero usciti coraggiosi predicatori se non avessero avuto un incontro reale con il Signore Gesù.
La presenza inaspettata di Gesù in mezzo ad essi fa loro sperimentare il godimento promesso (16,20-22; 17,13). Mostra mani e fianco (19,34), identificandosi come il crocifisso; il riconoscimento è immediato (Lc 24,41-47). Identificato, concede loro, due volte, la pace: il saluto (20,19.21) non è mero desiderio di sicurezza ma dono reale e viatico per una missione (17,18; 4,38; 13,20). Primo frutto dell’incontro è la pace recuperata ed un’allegria sconosciuta. Il secondo, la missione. L’Inviato di Dio, restituito alla vita e rivolto al Padre, incarica i suoi della sua propria missione e fa di loro i suoi inviati (20,21: come a me…, anche io). Niente dice sul destino, né sul contenuto, dell’apostolato cristiano, si afferma solo che il Padre è il fondamento e Cristo la sua mediazione. Dio è l’origine della missione apostolica, Cristo ed i suoi inviati, gli anelli di congiunzione.
L’incarico è un atto di investitura ed una prova di fiducia. Questo passaggio di compiti da Cristo ai cristiani fa di questi, uomini nuovi: la missione li ricrea. Gli inviati ricevono lo stesso alito vitale di Gesù (20,22). La concessione dello Spirito è, dunque, legata all’imposizione della missione (20,23). Ed il racconto ricorda la creazione del primo uomo, quando Dio ispirò il suo alito al fango (Gn 2,7; Sap 15,11). Questa concessione dello Spirito è conseguente alla glorificazione di Gesù (7,39), al suo ritorno al Padre (15,26; 16,7): Gesù stesso inaugura il tempo dello Spirito; e lo vincola al perdono universale ed incondizionato dei peccati (20,23). Secondo Giovanni è la comunità cristiana l’unico posto nel mondo dove non ha oramai futuro il peccato dell’uomo, perché la sua missione, il suo compito esclusivo ed escludente, è il perdono senza restrizioni: perdonare/ritenere suppone una potestà senza eccezione: chi viene perdonato dalla comunità, è perdonato da Dio.
Nelle mani dei credenti che hanno visto il loro Signore rimane ora la sua missione: aprire gli uomini all’amore ed abilitarli per la missione; più che autorità e potere, questo è un nuovo servizio, una responsabilità, quello che li trasforma in uomini nuovi. Finché è assente il loro Signore, la comunità continua quella missione.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
L’irruzione dello Spirito di Gesù sui suoi discepoli segna la nascita al mondo della chiesa. Quando Gesù lasciò i suoi discepoli sulla terra, promise loro il suo Spirito; giorni dopo, quando glielo inviò, i suoi discepoli si sentirono inviati al mondo; in quel giorno nacque la chiesa, con lo Spirito di Gesù come patrimonio e col mondo da evangelizzare come compito. Da quel giorno lo Spirito ha accompagnato ed assistito, guidato e fortificato la vita dei seguaci di Gesù: appartenere alla comunità cristiana implica essere eredi della missione di Gesù ed avere in eredità il suo Spirito. Sapersi di Cristo si è sapersi inviati per Cristo al mondo come suoi testimoni e sapere che egli ci ha lasciato in possesso il suo Spirito.
È nostro lo stesso Spirito che incoraggiò Gesù durante la sua vita, che lo portò a predicare il vangelo per la Galilea, che lo fece forte davanti la tentazione e lo faceva sentire figlio di Dio. Questa è l’eredità di Gesù che possiamo possedere già oggi, tutto quanto abbiamo di lui è oggi alla nostra portata e a nostra disposizione. E tuttavia, continua ad esserci deficit di Dio nel nostro mondo; continuiamo a seguirlo ma sentiamo più l’assenza che la sua presenza.
I discepoli di Gesù viviamo come deficitarii del suo Spirito dimenticando che abbiamo tutto un mondo, ed il nostro cuore, da cristianizzare. Ce l’ha ricordato il vangelo: imbruniva già quando Gesù Resuscitato si presenta ai discepoli morti di paura; il vederlo li solleva dalla loro tristezza e li riempie di pace, ma l’allegria di averlo dura poco. Infonde loro un alito nuovo ed impone una nuova missione: « ricevete lo Spirito Santo; a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati. » Avranno con sé lo Spirito di Gesù, se hanno il mondo come luogo di fraternità.
Chi è nato il giorno di Pentecoste non si accontenta di non fare male, neanche di restituirlo, benché ciò sia abbastanza. Né gli basta fare il bene che può, purché non gli costi molto: il testimone di Gesù deve dare al mondo il suo Spirito ed il suo perdono. Dargli meno supporrebbe rubargli quello che ha ricevuto. A chi non si sa inviato ad offrire pace e perdono, non gli è stato inviato lo Spirito. Chi non crede che il perdono delle offese sia possibile, neanche crede nello Spirito di Gesù che lo fa possibile. Se non assumiamo il mandato di Gesù perché è un ordine dare il perdono a chi abbia bisogno di lui, non abbiamo ricevuto il suo Spirito né siamo i suoi inviati in questo mondo. Chi non perdona non ha lo Spirito di Cristo, non può essere un buon cristiano, benché sia un uomo buono. E’ per mancanza di uomini con lo Spirito di Gesù, impegnati per la pace tra gli uomini, è per scarsità di credenti che perdonino, che oggi il mondo è privo di Dio e scarso di pace vera.
Ci lamentiamo della pace che ci danno gli altri, perché è scarsa o troppo fragile; diamo loro il perdono che Dio ci concede e la nostra pace rimarrà al sicuro. Il cristiano sta oggi perdendo la sua vocazione di pacificatore, lasciando il compito che Cristo gli comandò di portare a chi non condivide la sua fede né ha la capacità, lo Spirito di Gesù; e così perde il suo Dio e perde il suo mondo. Altri avranno il potere, la tecnica, le risorse; noi abbiamo la forza di Dio ed anche il suo mandato. Cosa sperare di più?
Ritorniamo alla nostra comunità, al posto di lavoro, a noi stessi, coll’impegno di favorire la pace e di seminare perdono, di irrobustire la concordia ed iniziare la fraternità là dove stiamo. Avvicinare la pace ed il perdono agli altri significa avvicinare a Dio. È la migliore testimonianza che possiamo dar loro; e possiamo dargliela noi, non perché siamo migliori, ma bensì perché possediamo lo Spirito di Gesù ed il suo mandato.
Come cristiani, non lo dimentichiamo, nasceremo il giorno in cui, come discepoli di Gesù, supereremo le nostre paure, vediamo il Risuscitato e recuperiamo l’allegria di vivere ed il mondo come missione. In un solo giorno, e senza Gesù al loro fianco ma pieni del suo Spirito, i discepoli fecero più che durante gli anni di convivenza con Gesù per le strade della Palestina. Quelle sono le nostre origini; se vogliamo rinascere oggi come cristiani, sappiamoci inviati al mondo e viviamo dello Spirito che ci è stato inviato. Sarà lo Spirito di Gesù quello che, come nella prima pentecoste, ci invierà a parlare agli uomini nella loro propria lingua, direttamente al cuore; cominciamo da quelli che ci sono più vicino, cominciamo – perché no? – da noi stessi, facendo la pace con noi, coi nostri desideri intimi e con le nostre intime miserie. Vivere in pace con noi stessi è il modo più efficace di rendere possibile la pace a quanti convivono con noi.
Riconciliati nel nostro intimo, facciamo la pace nel seno delle nostre famiglie. Dove andare, se non lì dove sono i nostri per offrir loro la pace ed il perdono che abbiamo sperimentato? A chi dobbiamo più perdono se non a quelli che condividono vita e sogni, allegrie e fallimenti con noi? Come possiamo pensare di pacificare gli sconosciuti, se non siamo riusciti a farlo con gli intimi? Lì dove arriva il nostro perdono, lì arriverà anche lo Spirito di Gesù e diventerà presente la chiesa. Trasformiamo le nostre famiglie ed i nostri amici nella prima meta del nostro sforzo pacificatore: porteremo lì lo Spirito di Gesù e ci faremo suoi discepoli, nello stesso tempo che umanizziamo la nostra vita familiare.
I discepoli di Gesù, se sanno che vive, vivono per portare il suo Spirito ed il perdono agli uomini; credere, invece, che perdonare è impossibile, pensare perfino che nessuno può esigerlo, significherebbe pensare che Gesù non è risuscitato o ancora peggio, cercare di seppellirlo di nuovo. Per perdonarci morì ed affinché perdonassimo è risuscitato. Tutto quello che facciamo per creare pace intorno a noi e fare possibile il perdono ci trasformerà nei discepoli che il Risuscitato vuole: chi osa perdonare il suo prossimo, vede il suo Signore e possiede il suo Spirito; non c’è un’altra spiegazione possibile.
Offrire il perdono a chi ha bisogno di lui è stato sempre una forma di essere cristiano; farlo, oggi di nuovo, ci restituirebbe la certezza di essere chiesa di Cristo. Non lasciamo che nessuno ci tolga la missione che Cristo raccomandò ai suoi. Non permettiamo che ci rubino lo Spirito che ci diede per portarla a termine: recuperiamo il compito per il quale nascemmo al mondo come comunità, torneremo a sentire la sua presenza vicino a noi. Avremo il suo Spirito nei nostri cuori, se il perdono del prossimo occupa le nostre mani. Cosa sperare di più? O non crediamo che Cristo è resuscitato e ci ha concesso già il suo Spirito dandoci l’ordine di perdonare il mondo?

3 – PREGARE : Prega il testo e desidera la volontà di Dio: cosa dico a Dio?
Non so bene perché, ma mi sento molto simile ai primi tuoi discepoli che ti sapevano vivo ed erano morti di paura. Rinchiuso nelle mie paure, non riesco a proclamarti risuscitato.
Vieni, Signore, a tirarmi fuori dalla mia reclusione e dammi la tua pace e la sicurezza che hai vinto il mondo.
Dammi il tuo Spirito, riempimi di Lui, prima di darmi la missione di perdonare il mondo che temo tanto. Senza il tuo Spirito, non riuscirò ad essere l’uomo della pace, il tuo inviato per il perdono universale. Voglio dare testimonianza della tua nuova vita, vivendo la mia perdonando.
Ma ho bisogno di te, ho bisogno del tuo alito, ho bisogno del tuo Spirito. Se continui a pensare a me per perdonare, inviami quanto prima il tuo Spirito.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

L’Albero di Jesse nell’altare di S. Leonardo nella Cattedrale di Venafro

 L’Albero di Jesse nell’altare di S. Leonardo nella Cattedrale di Venafro dans immagini sacre albero-di-jesse

http://www.econote.it/2012/09/13/il-simbola-della-natura-lalbero-e-le-sue-rappresentazioni/

Publié dans:immagini sacre |on 5 juin, 2014 |Pas de commentaires »

LE COLONNE DELLA DIMORA

http://www.usminazionale.it/2010_12/bissi.htm

LE COLONNE DELLA DIMORA

di ANNA BISSI

Un giorno il piccolo Placido1 ricevette una comunicazione da una figura drappeggiata di raccoglimento, la quale lo istruì in merito alla vita interiore. « La Vita interiore – disse – è una Vita che è interiore ». Il piccolo Placido si precipitò a informare il padre Maestro a proposito della sensazionale rivelazione, che avrebbe sconvolto tutti i monasteri e la cristianità intera, domandandosi se sarebbe stato opportuno avvertire il Santo Padre, il Papa. Il nostro giovane monaco ci rivela così, attraverso la sua « stupefacente scoperta », che la nostra dimora interiore non è una realtà statica, immobile, ma vitale. Questa è la prima colonna su cui possiamo edificare il luogo della nostra interiorità: la consapevolezza che dentro di noi abita una vita.

Vita è un termine difficile da spiegare. Il card. Tomas Spidlik ci propone questa definizione: noi « spontaneamente consideriamo vivo ciò che si muove da sé, che ha il principio del movimento interno e dunque, muovendosi, sviluppa se stesso. Inoltre esigiamo che tale sviluppo sia organico, armonico ».2

Tali parole ci permettono di cogliere altre « colonne » su cui costruire la dimora della coscienza. Innanzitutto il dinamismo, il movimento interno: perché ci sia vita è necessario il superamento della staticità, poiché ogni vita comporta sempre una crescita incessante, uno sviluppo. Ricordo un sacerdote il quale mi confessava la sua sofferenza quando, domandando ai suoi parrocchiani anziani come stavano, si sentiva rispondere: « Tiriamo avanti ». Ancor più doloroso è pensare alle comunità religiose che parlano del loro « tran tran ». Questi termini, che offrono un’immagine della vita come il susseguirsi di istanti da catturare e trattenere, in cui ciò che è importante è il sopravvivere più che il vivere, è fondamentalmente anti-cristiana. La nostra vocazione è, infatti, una chiamata alla vita da intendersi in senso dinamico, un invito alla crescita, allo sviluppo: Gesù è venuto a portarci una vita abbondante (cf Gv10,10).

Siamo allora invitati a riflettere sulla nostra vita e domandarci se essa sia davvero tale. Il rischio, infatti, è quello di ridurre l’esistenza, esperienza spirituale inclusa, a un ritualismo, alla ripetizione di gesti che hanno perso di significato; altro pericolo possibile è quello di irrigidirsi di fronte a ciò che non corrisponde ai nostri desideri e sentirsi così delusi, senza più vita, delle « anime morte » interamente o parzialmente, perché scontente e amareggiate, incapaci di sperare in se stesse e negli altri o, ancor peggio, in Dio. Un invito evangelico ci ammonisce rispetto alla possibilità di non-vita presente anche in coloro che cercano il Signore o a cui egli si rivolge: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti », dice Gesù all’uomo che gli chiede di andare al funerale del padre prima di seguirlo (cf Lc 9,59).

La dimora e le sue leggi

Se la dimora interiore è il luogo dove nasce e cresce la vita, e se questo sviluppo vuole essere organico e armonico, ciò significa che tale costruzione non può essere pensata in termini soggettivi, ma deve rispettare alcune leggi. Nella nostra epoca caratterizzata dal sincretismo, le esperienze più diverse– psicologiche, religiose, di benessere fisico – si possono accostare l’una all’altra, senza apparire contraddittorie. Per il cristiano, al contrario, la vita interiore è vita, se risponde a dei criteri definiti, esterni al soggetto che la vive. Essa è vita se lo mette in relazione, se lo orienta verso colui che è la Vita.

La dimora della coscienza è il luogo dove Dio abita e non tutte le esperienze sono atte a preparargli un posto, in cui egli può venire a dimorare presso di noi (cf Gv 14,23). Essa non si costruisce dunque in modo spontaneo e superficiale e richiede la capacità di andare contro corrente rispetto al riduzionismo contemporaneo. Tale fenomeno tende innanzi tutto a far coincidere la vita interiore con la vita psichica; di questa, poi, prende in considerazione solo le funzioni più primitive e inconsistenti, le emozioni epidermiche, le sensazioni di benessere che pongono allo stesso livello un’esperienza di preghiera e una seduta di ginnastica rilassante, la lettura della Bibbia o il testo di un qualche « santone » indiano.

La dimora della coscienza si costruisce invece là dove la dimensione psichica si lascia illuminare dalla luce ricevuta nel Battesimo. Essa ci abita interiormente e, se glielo permettiamo, può informare tutto il nostro vissuto, orientando le scelte, il sentire, il riflettere e tutte quelle capacità psicologiche che possono essere messe al servizio del fine per cui costruiamo la dimora: l’incontro con Dio.

Relazioni intime e profonde

La dimora della coscienza è, quindi, il laboratorio dove si apprende la vita relazionale nel senso più vero e profondo del termine, vale a dire dell’apice a cui possono giungere i legami: l’amore. Non è la meditazione in cui si dilettano molti nostri contemporanei, non è la preghiera recitata con le labbra, ma senza toccare il cuore. Non è nemmeno la riflessione teologica, che talvolta può ridursi a un insieme di elucubrazioni teoriche. Ciò che rende la nostra vita veramente interiore è piuttosto una vita in cui si intrecciano rapporti, si creano dei nessi, si coglie il filo d’oro dell’amore, capace di tenere insieme tutte le realtà. La dimora della coscienza è l’ambito dove si intessono i legami, in cui il nostro spirito impara a integrare le varie dimensioni dell’esistenza, cogliendo in esse un senso, un significato sempre uguale e, nello stesso tempo, sempre diverso: l’amore di Dio donato all’uomo.

La dimora della coscienza è il luogo della relazione, ma gli incontri che in essa avvengono devono avere due caratteristiche: l’intimità e la profondità. Una coscienza matura, infatti, presuppone la capacità di un vero incontro con l’altro e dunque la presenza di un Io che ha superato modalità primitive di mettersi in relazione, basate sulla gratificazione e sul rapporto strumentale, dove l’altro è usato – anche se spesso inconsapevolmente – per i propri scopi personali. Essa tende piuttosto al vero incontro, fatto di dono e di accoglienza, di dimenticanza di sé e di generosa disponibilità. I legami instaurati da una persona interiore, inoltre, hanno la caratteristica dell’intimità, vale a dire della capacità di stare davanti all’Altro/ altro così come si è, senza il bisogno di difendersi, proteggersi, mascherarsi e apparire diversi.

Un laboratorio di simboli

Infine, la dimora interiore è un laboratorio, dove tutta la realtà può venire letta in chiave simbolica. Per l’uomo interiore, che mantiene salda la relazione con Dio e con i fratelli, tutto – in particolar modo il cosmo e la storia – diventa un simbolo, vale a dire una realtà che lega, tiene insieme il visibile e l’invisibile o manifesta la presenza dell’invisibile nel visibile. Per questo l’uomo interiore è un po’ come l’innamorata, che vede le tracce dell’amato in tutto ciò che la circonda. La vocazione dell’uomo alla relazione, all’amore, è data infatti a una creatura inserita in un mondo con cui è necessario creare un legame. La dimora interiore è dunque il luogo in cui si riacquista una giusta relazione con il cosmo: innanzi tutto attraverso un atteggiamento rispettoso nei confronti della natura, dove l’uomo non si pone come colui che usa e sfrutta, ma come chi accoglie e ha cura. Il cosmo, però, è anche il dono che Dio ha fatto alla sua creatura ed esso acquista valore prima di tutto perché ci parla del donatore, di colui da cui l’abbiamo ricevuto.

La vita interiore è la vita in cui colleghiamo costantemente il dono accolto alla persona di colui che ce l’ha donato, in un gioco di continui rimandi: per l’uomo interiore tutto è un richiamo a un Amore da cui tutto proviene.

La vita interiore diventa allora lo spazio in cui la persona esercita il suo ministero regale, risponde alla vocazione di introdurre il cosmo creato nel mondo spirituale, di creare il nesso tra il visibile e l’invisibile, perché, come dice Gregorio di Nazianzo, tutto l’universo, visibile e invisibile, « sia riempito della gloria di Dio, dal momento che tutto è di Dio ».3 La vita interiore è anche il luogo in cui si esercita la profezia. La capacità simbolica, animata dallo Spirito Santo, trasforma anche il modo di interpretare la storia: essa non si configura più come un susseguirsi di eventi, ma come una realtà attraversata dal Mistero, in cui le vicende personali e collettive sono interpretate alla luce della Pasqua.

Nella dimora della coscienza si creano così dei nessi tra funzione simbolica e relazione: la capacità di interpretare la realtà al di là dei fatti specifici che la attraversano si associa alla fiducia, grazie alla quale è possibile trascendere il dato reale e l’apparenza, per cogliere tutto ciò che avviene, a livello personale e nella storia degli uomini, come segno della presenza di un amore, da rintracciare oltre il visibile. Allora, come scrive Olivier Clément:4 « Nella contemplazione della natura » – ma noi potremmo anche aggiungere: e in quella dei volti e della storia – « il cuore intelligente diventa … « dimora di luce » che raggiunge la luce segreta delle cose ».

1 Personaggio uscito dalla penna di suor G. Gallois che, sotto le apparenze di un fumetto, presenta
in modo ricco e profondo la vita monastica. G. GALLOIS, La vita del piccolo san Placido, Gribaudi, Milano
1993, 29.
2 T. SPIDLIK, Maranatha. La vita dopo la morte, Lipa, Roma 2007, 37.
3 GREGORIO DI NAZIANZO, Orazione 39, 13.
4 O. CLÉMENT, I volti dello Spirito, Qiqajon, Bose 2004, 145.

Anna Bissi
Psicoterapeuta
Basilica sant’Andrea
p.za Roma 35 – 13100 Vercelli

Publié dans:meditazioni, spiritualità  |on 5 juin, 2014 |Pas de commentaires »

DIO È PER NOI UN RIFUGIO ED UNA FORZA

http://www.ilfaro-it.net/Brevi%20meditazioni%20bibliche%20Scuderi1.

DIO È PER NOI UN RIFUGIO ED UNA FORZA

“Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nella difficoltà. Perciò non temiamo se la terra è sconvolta, se i monti si smuovono in mezzo al mare, se le sue acque rumoreggiano, schiumano e si gonfiano, facendo tremare i monti.
C’è un fiume, i cui ruscelli rallegrano la città di Dio, il luogo santo della dimora dell’Altissimo. Dio si trova in essa: non potrà vacillare; Egli fa udire la sua voce, la terra si scioglie. Il Signore degli eserciti è con noi, il Dio di Giacobbe è il nostro rifugio.
Venite, guardate le opere del Signore, Egli fa sulla terra cose stupende. Fa cessare le guerre fino all’estremità della terra. “fermatevi”, dice “e riconoscete che io sono Dio. Io sarò glorificato fra le nazioni, sarò glorificato sulla terra”. Il Signore degli eserciti è con noi; il Dio di Giacobbe è il nostro.
(Salmo 46)

Il Salmo inizia con una certezza di fede: “Dio è per noi un rifugio ed una forza”. Questa è una constatazione che si basa sulle esperienze vissute. Perciò, visto quello che è successo, visto il manifestarsi della potenza di Dio, è scritto “noi non temiamo”, parola che esprime la certezza della fede, dell’essere sicuri perché fondati su quanto è avvenuto nel passato. Così cantava l’antico Israele. Anche oggi la fede nell’azione di Dio nel passato fonda la certezza per l’azione di Dio nel futuro. La fede cristiana infatti è ancorata alla fedeltà di Dio, all’azione divina della storia. Il nostro domani è nelle mani di Dio fedele alle promesse di salvezza e di amore per il suo popolo e per tutti gli uomini.
Ma il Salmo continua: “perciò non temiamo se la terra è sconvolta”. Facciamoci una domanda: oggi possiamo anche noi dire come il salmista: “perciò non temiamo?”.
Consideriamo la nostra situazione oggi. Il testo infatti accenna a possibili situazioni negative. Parla di “terra sconvolta” e “montagne scosse”, questo fa pensare ai terremoti. Il testo parla di “acque che rumoreggiano, schiumano e si gonfiano facendo tremare i monti”, questo fa pensare a nubifragi, frane e maremoti. Siamo così lontani da questa realtà?
Abbiamo ancora eventi naturali che scuotono e che ci danno un forte senso di impotenza. Ma ciò che spesso ci sconvolge è che questi eventi non sono casuali, ma sono la risposta naturale alle manomissioni dell’uomo sulla natura trattata nono come dono di Dio, ma come preda da spartire e violentare per l’arricchimento di pochi. Accanto a questi sconvolgimenti poi esistono i grandi smottamenti dovuti al normale assesto idrogeologico; sconvolgimenti che avvengono solitamente a distanza di secoli, ma che abbiamo vissuto ultimamente. Quanto scritto nel Salmo è storia di oggi.
Ma questo non basta. Il Salmo parla anche di nazioni che rumoreggiano, regni che vacillano. Impossibile elencare la grande quantità di guerre e conflitti etnici esistenti nel mondo. Ci Sono continuamente conferenze e riunioni internazionali nel tentativo di risolvere queste crisi che sorgono all’improvviso o che durano da secoli. Anche in questo Salmo si racconta la storia dei nostri giorni: una situazione negativa che investe il mondo.
Ma qual è la nostra reazione a questa situazione generale?
Come credenti partecipiamo alla vita degli uomini e non possiamo estraniarci dalle responsabilità e dall’impegno umano per arginare le crisi. Ogni tentativo, ogni azione, ogni aiuto umanitario, ogni lotta che la società intraprende per tentare una via di soluzione deve vedere i credenti in prima linea solidali con chi sacrifica se stesso ed i propri interessi per creare a tutti uno spazio vitale, una società aperta e nuova. In questo senso come singoli e come comunità partecipiamo con le nostre voci, con la nostra presenza ed il nostro aiuto a tutte quelle iniziative che rivendicano la pace e la necessità di tutti gli esseri umani senza distinzione, di avere le stesse opportunità e lo stesso diritto alla vita che ha bisogno anche di cibo, vestiti, medicine e tutto il necessario. La tecnica del riccio che quando avverte il pericolo si appallottola su se stessi e tira fuori le spine è irresponsabile sintomo di rinuncia e di viltà. I credenti che si chiudono sono i primi ad essere trascinati nella rovina delle strutture inique della società così come il riccio per quanto spinoso verrebbe travolto dalle “acque schiumeggianti” del nostro testo.
Partecipare alle lotte degli uomini come credenti però significa parteciparvi con metodi e contenuti diversi da quelli dettati dalle parti in causa. Il credente è portatore dei metodi e del messaggio di salvezza di Dio per la storia e per gli uomini e questa la vocazione specifica del popolo di Dio che vive della Sua presenza e su questa fonda la propria azione, la propria testimonianza quotidiana e la certezza della vittoria.
L’antico Israele vedeva la presenza di Dio in Gerusalemme, nel tempio con le sue mura e l’arca, nella città santa, sicuro rifugio. Per noi la presenza di Dio è legata non ad un luogo, ma ad una persona: Gesù Cristo, Dio per noi. E’ con Cristo che deve confrontarsi la storia degli uomini perché Cristo è il Signore degli uomini e della storia. Il credente sa che non saranno le soluzioni umane a salvare l’umanità, ma solo una conversione a Cristo, a Colui che rappresenta un rifugio ed una forza, la roccia su cui fondarci.
Ma per far questo, il Salmo ci grida un messaggio urgente, una visione profetica. E’ un messaggio di richiamo alla realtà: “fermatevi e riconoscete che io sono Dio” (verso 10).
“Fermatevi” significa dire all’uomo che la sua corsa al progresso senza limiti, alla supremazia dell’uomo sull’uomo e delle nazioni, la corsa al denaro, al benessere, è una corsa verso la rovina. La corsa verso soluzioni centrate sull’uomo è soltanto una fuga dalle responsabilità perché tutto ciò che è umano è provvisorio e noi viviamo in questa provvisorietà.
“Riconoscete che io sono Dio” vuol dire date a Dio il primo posto nella vita, vuol dire riscoprite la sovranità di Dio. Riconoscete Dio come Signore vuol dire ritrovare il senso dei propri limiti. Riscoprire l’uomo alla luce di Dio vuol dire avere una nuova etica sociale del lavoro, politica, personale, coniugale. E questo resta valido di fronte a qualsiasi terremoto, sia esso mondiale, sia esso personale quando situazioni avverse, egoismi, malvagità, incapacità nostre od altrui ci hanno portato ad una crisi profonda fino al punto da non farci più sentire la voce di Colui che ci ama.
Dove l’essere umano sa fermarsi per considerare la maestà di Dio lì nasce l’uomo nuovo che vince la crisi e vive la propria storia in modo responsabile per il bene di tutta l’umanità. Chi crede nell’Iddio vivente ed operante ha una visione profetica perché vede come già realizzato il futuro: “egli fa sulla terra cose stupende. Fa cessare le guerre fino all’estremità della terra”. Questo versetto è l’invito a vedere la vittoria di Dio allora sul campo assiro distrutto ed abbandonato, oggi sui disastri della terra e sulle sicurezze costruite dagli uomini. Questo versetto diviene profezia della vittoria del Regno di Dio come regno di pace in cui non ci sarà più alcuna guerra.
I credenti testimoniano perché questo Regno venga, pur sapendo che la venuta del Regno è nelle mani di Dio e la sua realizzazione non sarà frutto delle soluzioni umane. Il nostro compito è indicare agli uomini che solo in Cristo e nel riconoscimento della sua Signoria è l’unica soluzione ai problemi. Predicare questa vittoria sul male è credere che Dio agisce, è operare per manifestare che già in noi Egli è il Signore, è indicare le cose grandi e le soluzioni di Dio e
non noi stessi e la nostra provvisorietà. Allora una Chiesa operante e potente potrà portare frutti di pace e di salvezza e essere segno delle cose grandi di Dio.
Operiamo con fede, testimoniamo con fermezza perché “Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà” ed Egli “glorificato sulla terra”.

Di Marco Scuderi

Publié dans:BIBBIA, BIBBIA. A.T. SALMI |on 5 juin, 2014 |Pas de commentaires »
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