Archive pour le 18 juin, 2014

Michelangelo, Crocifisso, Firenze

Michelangelo, Crocifisso, Firenze dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 18 juin, 2014 |Pas de commentaires »

EUCARISTIA, PANE DEL CAMMINO, FONTE E CULMINE DELLA VITA CRISTIANA

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EUCARISTIA, PANE DEL CAMMINO, FONTE E CULMINE DELLA VITA CRISTIANA

Cristiani: “… non si nasce, si diventa …”– come ha ben detto Tertulliano (Apologetico 18, 4) – e questo avviene con un progressivo inserimento nel mistero di Cristo e della sua Chiesa.
« Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane » (1 Cor 10, 16-17)
Non trovo espressione più adeguata per entrare nel merito di questi due versetti dell’Apostolo ai cristiani di Corinto del commento di S. Agostino, il quale scrive: « Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l’apostolo che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12,27). Se voi, dunque, siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete, voi rispondete Amen e, rispondendo, lo sottoscrivete. Odi infatti: « Il corpo di Cristo » e rispondi: « Amen ». Sii veramente corpo di Cristo, perché l’Amen (che pronunci) sia vero! » (Disc. 272). In questa semplice parola: « amen » è sintetizzata la realtà più preziosa che ogni uomo possiede, la fede. Ogni volta che ci poniamo dinanzi all’eucaristia dovremmo sentire forte il bisogno di rinnovare la fede, che purtroppo percepiamo sempre troppo debole, per entrare con coerenza all’interno di quel mistero che per grazia siamo chiamati a celebrare. La fede è in grado di suscitare in noi quello « stupore eucaristico » (EdE 6), mediante il quale scopriamo che sempre qualcosa di nuovo è posto sotto i nostri occhi.
L’eucaristia ci consente di essere partecipi di un mistero mediante il quale Cristo continua a vivere realmente in mezzo ai suoi e permane come una presenza viva e perenne nella vita della sua Chiesa. Il mistero dell’altare, infatti, dà la prova che Dio non è un’idea astratta, ma una persona opera e agisce nella storia, in mezzo all’umanità come una presenza unica, insostituibile, anche se ancora una volta, espressa nel linguaggio umano che obbliga a una kenosi perenne di quell’iniziale spogliarsi della gloria di Dio per entrare nel mondo degli uomini. L’eucaristia, da questa prospettiva, è davvero la continuazione e amplificazione del mistero dell’Incarnazione. La trasformazione che lo Spirito Santo compie del pane nel Corpo di Cristo non è altro che il rinnovarsi di quel primo momento con il quale il Figlio di Dio venne concepito nel seno della Vergine per divenire uno di noi. Quanto il pane della vita possa essere di genuino sostegno nella nostra vita lo percepiamo ogni volta che nell’eucaristia poniamo i nostri pensieri, le nostre attese e le nostre difficoltà. Sull’altare c’è davvero la nostra vita; nella quotidianità della celebrazione si condensa il giorno dopo giorno del nostro ministero in una circolarità tale che mentre, da una parte, sappiamo dove porre il nostro lavoro, dall’altra, abbiamo certezza della strada che dobbiamo seguire.
Nell’eucaristia, la Chiesa ci chiede di rendere grazie al Padre per esprimere in maniera visibile ciò che essa stessa è: segno della presenza del Signore risorto e strumento di comunione tra i fratelli. Solo a questa condizione comprendiamo cosa significa per noi appartenere e presiedere « un’assemblea santa », una « stirpe sacerdotale », « popolo chiamato a rendere il culto al Signore » (cf. 1 Pt 2,9). Nel celebrare l’eucaristia, « fonte e culmine » della vita della Chiesa e quindi dell’opera di evangelizzazione, noi celebriamo il mistero della nostra esistenza di fede. In un periodo come il nostro, carico di una cultura che impone l’acquisizione di ogni cosa solo in forza del desiderio di possedere, l’eucaristia insegna come percepire l’essenziale della vita. Senza la scoperta della gratuità, d’altronde, difficilmente potremmo pensare di raggiungere obiettivi che qualifichino la nostra stessa esistenza umana. Senza la scoperta della gratuità verrebbe meno ogni possibile comprensione dell’amore genuino, che nulla chiede in cambio e si cadrebbe nella sola pretesa dell’egoismo che ci farebbe cadere giorno dopo giorno in un abisso di illusione. La vita cristiana se non ha alla base la gratuità della nostra donazione non può essere realmente efficace e l’unità che siamo chiamati a rendere visibile rischia di essere precaria o, al massimo, riesce a diventare un palliativo emotivo, ma non un segno del Corpo di Cristo.
Se viviamola nostra vita in maniera eucaristica, allora più facilmente scopriremo che la gratuità del dono trasforma a tal punto da divenire noi stessi un dono. Ricevo Cristo, ma divento nello stesso istante offerta che si dona a lui e ai fratelli. Nutrirsi di Cristo diventa per noi porsi in un cammino irreversibile che mentre ci pone dinanzi a ciò che il Padre vuole per noi e da noi, nello stesso tempo ci consente di sapere che diventiamo noi stessi « corpo » che viene donato. Qui, infatti non siamo dinanzi a un « darsi » generico di Dio, ma è sempre un donarsi « per noi ».
Nutrirsi del corpo e del sangue di Cristo realizza con lui un’unità talmente inscindibile, « un solo corpo », che a noi non è più permesso partecipare a nessun’altra mensa sacra (cfr. vv 19-22), né condividere il nostro corpo con altri (cfr. 1 Cor 6,15-20); ciò significa che la nostra vita, appartiene solo a lui. « Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito… Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte »: Paolo non poteva trovare espressione più forte di questa per indicare l’unità basilare che sta a fondamento del nostro essere cristiano. L’essere espropriato di sé per divenire corpo di Cristo è quanto attesta il sacramento dell’eucaristia.
Il nostro impegno a costruire la comunità giorno dopo giorno è possibile solo se la fondiamo sulla comunione eucaristica. Questa un’unità è già stata data nel mistero pasquale, ma deve essere da noi conservata perché il mondo creda. Questo ci fa dire che verso la celebrazione dell’eucaristia devono convergere tutte le strade della nostra pastorale. Niente come l’eucaristia attesta al mondo che sono superate realmente tutte le barriere e le divisioni: di razza, di popolo, di lingua, di condizione sociale, di costume, di pensiero, di progettazione…
Diamo, pertanto, spazio all’azione dello Spirito che permette alla Chiesa di celebrare l’eucaristia come promessa di comunione e germe di unità. La preghiera contenuta nell’anafora di Ippolito Romano, unitamente all’esempio dei santi e tanti altri beati e servi di Dio, che hanno fatto dell’eucaristia il centro focale della loro esistenza, possano essere di sostegno per rendere il nostro sacerdozio un’eucaristia viva: « Fa scendere il tuo Santo Spirito sull’offerta della santa Chiesa, e dopo averli riuniti, concedi a tutti i santi che la ricevono di essere ripieni di Spirito Santo per fortificarli nella fede e nella verità, affinché ti lodiamo e glorifichiamo tramite tuo Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale a te viene la gloria e l’onore, Padre e Figlio con lo Spirito Santo nella santa Chiesa ora e nei secoli dei secoli » (Tradizione apostolica, 4).
Mons Pasquale Morelli

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PAPA FRANCESCO: LA CHIESA: 1. DIO FORMA UN POPOLO (18.6.14)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20140618_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 18 giugno 2014

LA CHIESA: 1. DIO FORMA UN POPOLO

Cari fratelli e sorelle, buongiorno. E complimenti a voi perché siete stati bravi, con questo tempo che non si sa se viene l’acqua, se non viene l’acqua… Bravi! Speriamo di finire l’udienza senza acqua, che il Signore abbia pietà di noi.

Oggi incomincio un ciclo di catechesi sulla Chiesa. E’ un po’ come un figlio che parla della propria madre, della propria famiglia. Parlare della Chiesa è parlare della nostra madre, della nostra famiglia. La Chiesa infatti non è un’istituzione finalizzata a se stessa o un’associazione privata, una ONG, né tanto meno si deve restringere lo sguardo al clero o al Vaticano… “La Chiesa pensa…”. Ma la Chiesa siamo tutti! “Di chi parli tu?” “No, dei preti…”. Ah, i preti sono parte della Chiesa, ma la Chiesa siamo tutti! Non restringerla ai sacerdoti, ai vescovi, al Vaticano… Queste sono parti della Chiesa, ma la Chiesa siamo tutti, tutti famiglia, tutti della madre. E la Chiesa è una realtà molto più ampia, che si apre a tutta l’umanità e che non nasce in un laboratorio, la Chiesa non è nata in laboratorio, non è nata improvvisamente. E’ fondata da Gesù ma è un popolo con una storia lunga alle spalle e una preparazione che ha inizio molto prima di Cristo stesso.
1. Questa storia, o “preistoria”, della Chiesa si trova già nelle pagine dell’Antico Testamento. Abbiamo sentito il Libro della Genesi: Dio scelse Abramo, nostro padre nella fede, e gli chiese di partire, di lasciare la sua patria terrena e andare verso un’altra terra, che Lui gli avrebbe indicato (cfr Gen 12,1-9). E in questa vocazione Dio non chiama Abramo da solo, come individuo, ma coinvolge fin dall’inizio la sua famiglia, la sua parentela e tutti coloro che sono a servizio della sua casa. Una volta in cammino, – sì, così incomincia a camminare la Chiesa – poi, Dio allargherà ancora l’orizzonte e ricolmerà Abramo della sua benedizione, promettendogli una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare. Il primo dato importante è proprio questo: cominciando da Abramo Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra. E all’interno di questo popolo nasce Gesù. E’ Dio che fa questo popolo, questa storia, la Chiesa in cammino, e lì nasce Gesù, in questo popolo.
2. Un secondo elemento: non è Abramo a costituire attorno a sé un popolo, ma è Dio a dare vita a questo popolo. Di solito era l’uomo a rivolgersi alla divinità, cercando di colmare la distanza e invocando sostegno e protezione. La gente pregava gli dei, le divinità. In questo caso, invece, si assiste a qualcosa di inaudito: è Dio stesso a prendere l’iniziativa. Ascoltiamo questo: è Dio stesso che bussa alla porta di Abramo e gli dice: vai avanti, vattene dalla tua terra, incomincia a camminare e io farò di te un grande popolo. E questo è l’inizio della Chiesa e in questo popolo nasce Gesù. Dio prende l’iniziativa e rivolge la sua parola all’uomo, creando un legame e una relazione nuova con lui. “Ma, padre, com’è questo? Dio ci parla?” “Sì”. “E noi possiamo parlare a Dio?” “Sì”. “Ma noi possiamo avere una conversazione con Dio?” “Sì”. Questo si chiama preghiera, ma è Dio che ha fatto questo dall’inizio. Così Dio forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui. Questa è l’unica condizione: fidarsi di Dio. Se tu ti fidi di Dio, lo ascolti e ti metti in cammino, questo è fare Chiesa. L’amore di Dio precede tutto. Dio sempre è primo, arriva prima di noi, Lui ci precede. Il profeta Isaia, o Geremia, non ricordo bene, diceva che Dio è come il fiore del mandorlo, perché è il primo albero che fiorisce in primavera. Per dire che Dio sempre fiorisce prima di noi. Quando noi arriviamo Lui ci aspetta, Lui ci chiama, Lui ci fa camminare. Sempre è in anticipo rispetto a noi. E questo si chiama amore, perché Dio ci aspetta sempre. “Ma, padre, io non credo questo, perché se lei sapesse, padre, la mia vita, è stata tanto brutta, come posso pensare che Dio mi aspetta?” “Dio ti aspetta. E se sei stato un grande peccatore ti aspetta di più e ti aspetta con tanto amore, perché Lui è primo. E’ questa la bellezza della Chiesa, che ci porta a questo Dio che ci aspetta! Precede Abramo, precede anche Adamo.
3. Abramo e i suoi ascoltano la chiamata di Dio e si mettono in cammino, nonostante non sappiano bene chi sia questo Dio e dove li voglia condurre. E’ vero, perché Abramo si mette in cammino fidandosi di questo Dio che gli ha parlato, ma non aveva un libro di teologia per studiare cosa fosse questo Dio. Si fida, si fida dell’amore. Dio gli fa sentire l’amore e lui si fida. Questo però non significa che questa gente sia sempre convinta e fedele. Anzi, fin dall’inizio ci sono le resistenze, il ripiegamento su sé stessi e sui propri interessi e la tentazione di mercanteggiare con Dio e risolvere le cose a modo proprio. E questi sono i tradimenti e i peccati che segnano il cammino del popolo lungo tutta la storia della salvezza, che è la storia della fedeltà di Dio e dell’infedeltà del popolo. Dio, però, non si stanca, Dio ha pazienza, ha tanta pazienza, e nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio. Dio cammina con noi. Dice il profeta Osea: “Io ho camminato con te e ti ho insegnato a camminare come un papà insegna a camminare al bambino”. Bella questa immagine di Dio! E così è con noi: ci insegna a camminare. Ed è lo stesso atteggiamento che mantiene nei confronti della Chiesa. Anche noi infatti, pur nel nostro proposito di seguire il Signore Gesù, facciamo esperienza ogni giorno dell’egoismo e della durezza del nostro cuore. Quando però ci riconosciamo peccatori, Dio ci riempie della sua misericordia e del suo amore. E ci perdona, ci perdona sempre. Ed è proprio questo che ci fa crescere come popolo di Dio, come Chiesa: non è la nostra bravura, non sono i nostri meriti – noi siamo poca cosa, non è quello -, ma è l’esperienza quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene e si prende cura di noi. È questo che ci fa sentire davvero suoi, nelle sue mani, e ci fa crescere nella comunione con Lui e tra di noi. Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio, che è padre e ci ama, ci accarezza, ci aspetta, ci fa sentire la sua tenerezza. E questo è molto bello!
Cari amici, questo è il progetto di Dio; quando ha chiamato Abramo, Dio pensava a questo: formare un popolo benedetto dal suo amore e che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra. Questo progetto non muta, è sempre in atto. In Cristo ha avuto il suo compimento e ancora oggi Dio continua a realizzarlo nella Chiesa. Chiediamo allora la grazia di rimanere fedeli alla sequela del Signore Gesù e all’ascolto della sua Parola, pronti a partire ogni giorno, come Abramo, verso la terra di Dio e dell’uomo, la nostra vera patria, e così diventare benedizione, segno dell’amore di Dio per tutti i suoi figli. A me piace pensare che un sinonimo, un altro nome che possiamo avere noi cristiani sarebbe questo: siamo uomini e donne, siamo gente che benedice. Il cristiano con la sua vita deve benedire sempre, benedire Dio e benedire tutti. Noi cristiani siamo gente che benedice, che sa benedire. E’ una bella vocazione questa!

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