The Holy Trinity

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SANT’ANTONIO DA PADOVA – 13 GIUGNO
Testo a Cura di Emanuel Raddi
MEMORIA LITURGICA: S.ANTONIO DI PADOVA SACERDOTE E DOTTORE DELLA CHIESA FESTA: 13 GIUGNO
Sacerdote e dottore della Chiesa,in portoghese Santo António de Lisboa, nato Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo (Lisbona 15 agosto 1195-Padova 13 giugno 1231) Santo portoghese della Chiesa Cattolica,prima Agostiniano,poi Francescano,Antonio di Padova vanta il processo di canonizzazione più breve della storia della Chiesa,canonizzato a soli undici mesi dalla morte il 30 maggio 1232 nel duomo di Spoleto da Papa Gregorio IX.Chiamato il Santo dei Miracoli e Taumaturgo,è forse il Santo più popolare della Chiesa Cattolica.
SIGNIFICATO DEL NOME: Antonio,nato prima o che fa fronte ai suoi avversari.(Dal Greco)
STORIA: Fernando nacque a Lisbona il 15 agosto 1195,a soli quindici anni è novizio nel monastero di S.Vincenzo a Lisbona,successivamente entra nell’ordine degli Agostiniani nel monastero di Coimbra.Dove studia con grande passione le scienze teologiche.(negli anni successivi proprio papa Gregorio IX per la sua dotta conoscenza lo proclamerà,”Arca del Testamento.) A 24 anni venne ordinato Sacerdote.Quando ormai la sua vita sembra essere destinata alla filosofia e alla teologia,Fernando decide di lasciare l’ordine Agostiniano.Essendo la sua vita religiosa molto intensa e severa,non sopportava i maneggi politici tra il re e i canonici. L’occasione si presenta quando a Coimbra nel 1220 arrivano i corpi di cinque frati francescani,martirizzati in marocco mentre predicavano il Vangelo,per ordine di Francesco di Assisi. Quell’esperienza segnò molto la vita di Fernando che immediatamente decise di entrare nell’ordine nuovissimo dei frati minori di Francesco.Entrando nell’ordine gli venne dato il nome di Antonio. Sul finire del 1220 Antonio si imbarcò alla volta del Marocco,deciso anch’esso a predicare il vangelo e cercare il martirio; ma una misteriosa tempesta lo fece naufragare sulle coste della Sicilia; capì che la strada verso il Marocco non era la Volontà di Dio; da lì in poi iniziò un ministero di predicazione in Italia ed in Francia,imbattendosi contro la tirannia dell’usura;piaga che schiacciava i poveri.
Nel 1221 si recò ad Assisi per il capitolo generale dell’ordine,dove vide di persona frate Francesco. Dotato di grande umiltà,non amava mettere in mostra la sua scienza teologica,ma l’occasione si presentò quando a Forlì nel 1222,fu scelto per tenere un sermone in occasione dell’ordinazione sacerdotale di alcuni frati francescani; Antonio sbalordì tutti nel modo in cui parlava,sapeva toccare i cuori in modo tutto nuovo. Antonio sempre con grande umiltà amava insegnare la teologia a quei frati che volevano diventare sacerdoti;tanto che un giorno Frate Francesco gli scrisse una lettera con queste parole.” A Fratello Antonio mio Vescovo,(mio vescovo,sottolinea la scienza teologica di Antonio) frate Francesco augura salute.Fa piacere che tu insegni la teologia “Al fratello Antonio, mio vescovo, auguro salute. Approvo che tu insegni teologia ai frati, purché, a motivo di tale studio,tu non smorzi lo spirito della santa orazione e devozione, come è ordinato nella Regola. Sta sano”. La vita e la predicazione di Antonio fu sottolineata anche da numerosissimi miracoli che faceva in nome di Cristo,per convertire eretici e usurai,e per dare sollievo ai poveri. Un giorno venne invitato a cena a casa di un usuraio,Antonio accettò e approfittò dell’occasione per riportarlo sulla retta via. Mentre discutevano in casa dell’usuraio,ad Antonio gli fu servita una minestra. La minestra era avvelenata;nel cuor dell’usuraio quell’invito serviva per avere occasione di uccidere frate Antonio. Sotto ispirazione dello Spirito Santo,Antonio si accorse dell’inganno e ammonì severamente e con parole dure quell’uomo malvagio. L’usuraio sotto inganno di satana esclamò: ” Ti ho messo alla prova; non sta scritto che i servi di Dio pur se prenderanno una bevanda avvelenata non gli nuocerà?.” Antonio alzandosi in piedi disse: ” Non faccio questo con la presunzione di tentare Dio,ma solo per la tua salvezza”, e dopo aver tracciato sulla minestra il segno di Croce,la mangio tutta senza che nulla gli succedesse,tra l’incredulità dell’usuraio,che dopo aver visto ciò si convertì e cambiò vita. Un altro miracolo un giorno compì. Un giovane si andò a confessare da Frate Antonio,disse che in preda ad ira aveva colpito con un calcio sua madre. Antonio lo riprese con parole severissime;ma alla fine,visto il pentimento del giovane gli diede l’assoluzione. Il giovane però tornando a casa ripensava alle parole dure del Santo e in un raptus di pura follia prese un ascia e si tagliò il piede. La mamma del giovane corse da Antonio in lacrime e gli raccontò dell’accaduto,supplicandolo di aiutare suo figlio. Antonio preso da pietà andò a casa del giovane,e, dopo aver raccolto il piede da terra,tracciò un segno di croce e miracolosamente ce lo riattaccò;il piede tornò sano come prima.Tantissimi miracoli fece Antonio in tutte le terre di Italia oltre questi citati; da ricordare il miracolo della Mula,della predica ai pesci,della bambina risuscitata ecc. Negli ultimi mesi della sua vita,ossia la Quaresima del 1231,Antonio si fece costruire nei pressi di Camposanpiero (padova) una cella su un albero di noce,dove a sua detta,poteva stare più vicino al cielo,pregando in tranquillità e solitudine,ma la folla presto lo venne a sapere e ogni giorno si recava sotto quell’albero ad ascoltare la parola di Antonio,che nonostante le forze già lo stessero abbandonando,non negava loro. Ricordiamo anche che negli ultimi periodi della sua vita,scrisse i famosi SERMONI DOMENICALI,opera notevole,dove metteva in luce tutta la sua conoscenza delle sacre scritture. Il 13 giugno le condizioni di Antonio si aggravarono,chiese di essere portato a Padova,dove lì sarebbe voluto morire. Ma durante il tragitto le sue condizioni si aggravarono ulteriormente,e fu deciso di ricoverarlo nel convento dell’Arcella,dove morì la sera del 13 giugno 1231 a quasi 36 anni. Nel 1946 Papa Pio XII lo proclama Dottore della Chiesa.
RELIQUIE: Il corpo di S.Antonio è conservato a Padova,nella basilica a lui dedicato. Nella basilica,e precisamente nella cappella delle reliquie sono conservate numerose reliquie del Santo,tra cui:La sua santa lingua incorrotta,rinvenuta da S.Bonaventura durante la sua prima ricognizione nel 1263, il suo saio del 1231,l’apparato vocale,il suo mento,il la pietra guanciale,il cilicio che usava durante la quaresima e altri resti di ossa del suo corpo. Alcune importanti si trovano anche a Lisbona,sua città natale,nella basilica a lui dedicata.
CITTA’ SOTTO LA SUA PROTEZIONE: In italia e nel mondo moltissime città sono sotto il suo patronato; tra le più importanti Padova e Lisbona,ma il suo nome è arrivato anche in Brasile ed in ogni angolo della terra,dove sorgono numeosissime chiese a lui dedicate.
LEGAMI CON ALTRI SANTI: La figura di S.Antonio è da sempre legata a quella di S.Francesco,di cui ne seguì con grande amore esempio e virtù,in molti dipinti della Vergine Maria,si può notare che ai piedi del suo trono ci sono sempre raffigurati i Santi Francesco e Antonio.
PROTETTRICE CONTRO: S.Antonio concede ai suoi devoti tredici grazie al giorno. E’ invocato soprattutto per ritrovare le cose smarrite;per la purezza,contro le disgrazie e i giovani lo invocano per la volontà nello studio.
ICONOGRAFIA: La Raffigurazione classica di S.Antonio è quella che lo vede con il Bambin Gesù tra le braccia e con il giglio,simbolo della sua purezza. La tradizione vuole che Antonio mentre era in preghiera nell sua piccola cella,e immerso nella contemplazione più assoluta ebbe l’apparizione del Bambin Gesù,che gli si posò dolcemente tra le sue braccia.Un uomo disse di aver visto tutto ciò,spiando nel buco della serratura della cella. Altre due però sono le raffigurazioni riguardanti S.Antonio. La prima,che lo vede raffigurato con il giglio e la Sacra Bibbia,simbolo di dotta conoscenza delle sacre scritture e la seconda che lo vede raffigurato con in braccio il Bambin Gesù,mentre distribuisce il pane ai poveri.
DEVOZIONI PARTICOLARI E FESTE: S.ANTONIO è festeggiato in tutta la Chiesa Cattolica il 13 Giugno,ma in alcune città e paesi i festeggiamenti cominciano la sera della vigilia il 12 giugno. Nei 13 giorni precedenti la festa del santo,i suoi devoti e fedeli,si preparano con la famosa “tredicina a S.Antonio.” A partire dal 31 maggio ogni sera si partecipa alla S.Messa,con la recita della tredicina al Santo,chiedendo,protezione e grazie. Altre particolari forme di devozioni all’infuori della festa,sono: Novene in onore del Santo ogni qualvolta si desidera chiedere una grazia, ogni 13 del mese partecipazione alla S.Messa in suo onore con integrante supplica; scegliere un giorno della settimana,(di solito lunedì o martedì) e non mangiare carne in suo onore.
EVENTUALI CANTI E PREGHIERE: la preghiera più famosa recitata a S.Antonio è il famoso responsorio,quesa preghiera antichissima,è recitata per trovare le cose smarrite,per chiedere aiuto da pericoli dell’anima e del corpo e per ogni situazione,l’efficacia di questa preghiera l’ha resa la più famosa tra i suoi devoti. La sua versione Famosa è in latino,ma oggi per agevolare i devoti è detta anche in italiano. Ecco le due versioni:
Latino:
Si quaeris miracula
mors, error, calamitas,
demon, lepra fugiunt
aegri surgunt sani.
Cedunt mare, vincula
membra, resque perditas,
petunt et accipiunt
juvenes et cani.
Pereunt pericula,
cessat et necessitas,
narrent hi qui sentiunt,
dicant Paduani.
Cedunt mare, vincula, ect.
Gloria Padri et Filio et Spiritui Sancto.
Cedunt mare, vincula ecc.
ITALIANO:
Se miracoli tu brami,
fugge error, calamità,
lebbra, morte, spirti infami
e qualunque infermità.
Cede il mare e le catene
trova ognun ciò che smarrì
han conforto nelle pene
vecchi e giovani ogni dì.
I perigli avrai lontani,
la miseria sparirà;
ben lo sanno i Padovani,
preghi ognun e proverà!
Cede il mare e le catene…
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo
Cede il mare e le catene…
http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_j.htm
LA REGOLA DI FEDE
Sant’lreneo *
Sant’lreneo di Lione (seconda metà del Il secolo), originario dell’Asia Minore, è il primo grande teologo dell’età patristica. li suo pensiero, d’ispirazione profondamente biblica, è al tempo stesso semplice, vigoroso e profondo. Opposto al dualismo gnostico, tale pensiero si sintetizza in una visione d’unità: la ricapitolazione universale nel Cristo. Nella Testimonianza della predicazione apostolica di cui riportiamo qui un brano caratteristico, con pacato entusiasmo egli espone le verità fondamentali della fede cristiana.
Ecco la regola della nostra fede, le fondamenta del nostro edificio, ciò che dà fermezza al nostro comportamento.
Primo articolo della nostra fede: Dio Padre, increato, illimitato, invisibile; Dio uno, creatore dell’universo. Secondo articolo: il Verbo di Dio, Figlio di Dio, Gesù Cristo, nostro Signore; rivelato ai profeti conformemente al genere delle loro profezie ed al disegno del Padre; per sua mediazione, tutto è stato fatto; alla fine dei tempi, per riassumere in sé ogni cosa, s’è degnato di farsi uomo fra gli uomini, visibile, tangibile, per distruggere in tal modo la morte, fare apparire la vita ed operare la riconciliazione tra Dio e l’uomo. Infine, terzo articolo: lo Spirito Santo; tramite lo Spirito, i profeti hanno profetizzato, i nostri padri hanno appreso le cose di Dio ed i giusti sono stati guidati lungo la via della giustizia; alla fine dei tempi, è stato diffuso sugli uomini in modo nuovo, affinché su tutta la terra essi fossero rinnovati, per Dio.
Questa è la ragione per cui il battesimo della nostra nuova nascita è posto sotto il segno di questi tre articoli. Dio Padre ce l’accorda in vista della nuova nascita nel suo Figlio tramite lo Spirito Santo. Poiché coloro che portano in sé lo Spirito Santo sono condotti al Verbo che è il Figlio, ed il Figlio li conduce al Padre, ed il Padre ci concede l’incorruttibilità. Senza lo Spirito, è impossibile vedere il Verbo di Dio, e senza il Figlio non ci si può accostare al Padre. Poiché la conoscenza del Padre, è il Figlio, e la conoscenza del Figlio si fa tramite lo Spirito Santo, ed il Figlio dona lo Spirito in conformità al beneplacito del Padre.
Per lo Spirito, il Padre è chiamato l’Altissimo, l’Onnipotente, il Signore delle potestà. Così noi perveniamo alla conoscenza di Dio; noi sappiamo che Dio esiste, che è creatore del cielo e della terra e di tutte le cose, creatore degli angeli e degli uomini, Signore, per cui tutto ha avuto origine, da cui tutto procede, ricco di misericordia, di grazia, di compassione, di bontà, di giustizia.
E’ il Dio di tutti: degli Ebrei, dei pagani, dei credenti. Per i credenti è Padre: perché alla fine dei tempi, egli ha aperto il testamento della loro filiazione adottiva. Per gli Ebrei è Signore e legislatore: perché nei tempi intermedi, allorché gli uomini l’avevano dimenticato, abbandonato, e si erano a lui ribellati, Dio li sottomise alla Legge, onde insegnare loro che hanno un Signore che è loro creatore ed autore, che ha dato loro il soffio di vita e che essi sono tenuti ad adorare giorno e notte. Per i pagani Dio è creatore, autore, Signore supremo. E per tutti egli è sostentatore, re e giudice. Nessuno sfuggirà al suo giudizio, sia egli ebreo o pagano, sia egli peccatore credente o spirito angelico. E coloro che ora rifiutano di credere nella sua bontà, conosceranno la sua potenza nel giorno del giudizio, secondo la parola del santo Apostolo: Non vedi che la bontà di Dio ti spinge a penitenza? Or tu, con la tua durezza e col tuo cuore impenitente, accumuli sopra di te ira per il giorno dell’ira e della manifestazione del giudizio di Dio. Allora egli darà a ciascuno secondo le sue opere (Rom. 2, 4-6).
Tale è colui che, nella Legge, è chiamato Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe: Dio dei viventi. Di questo Dio, l’altezza e la grandezza superano ogni descrizione.
* Démonstration de la prédication apostolique, paragrafi da 6 a 8. Traduzione di Pierre Patrick Verbraken leggermente modificata, in Les Pères de l’Eglise, panorama patristique, Epi, Parigi 1970 pp. 31-33.
15 GIUGNO 2014 | 11A DOM.: LA SS. TRINITÀ A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO
LECTIO DIVINA : GV 3,16-18
In dialogo con Nicodemo, l’ebreo pio che gli si avvicinò di notte, Gesù fa un’affermazione fondamentale: la salvezza dipenderà dalla fede che si ha avuto. L’autore del vangelo ha messo in bocca di Gesù la convinzione della sua comunità; Gesù dice a Nicodemo quello che la comunità cristiana sta proclamando al mondo, Dio ha accondisceso alla morte del Figlio; la sua consegna svela l’amore con il quale Dio ama al mondo. Credere, che sapersi amati da Dio nella morte di Cristo, ottiene la vita eterna, si è salvati per il Figlio. Dio che invia, il Figlio che si dona, l’Amore che si rivela coincidono come agire per la salvezza del mondo che crede. Tutto dipende, dunque, dall’accettazione personale di questo Dio, da una fede che è, soprattutto, amore riconoscente; fede è sapersi coinvolto dalla decisione di Dio e sentirsi obbligato da lei, come debito di una risposta. Non dovrebbe diventare penosa una fede, una salvezza, che si riduce a sapersi amato in tutto da Dio e di ‘tre forme’ differenti.
16 In quel tempo, disse Gesù a Nicodemo: « Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque creda in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
17 Dio, infatti, non ha mandato il suo Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
L’incontro di Gesù con Nicodemo (3,1-21), maestro in Israele, è l’occasione che motiva il primo discorso di Gesù nel quarto vangelo, un discorso nel quale appena si possono distinguere le affermazioni di Gesù dal commento dell’evangelista. Nicodemo è, più che un interlocutore, un pretesto; in realtà, presto sarà dimenticato (a partire da 3,9) e Gesù inizierà un lungo monologo che lo trasforma in rivelatore del Padre (3,11-21).
Il nostro breve testo, parte integrante della prima sezione del discorso (3,12-18), viene dopo le parole di Gesù sulla necessità di ‘rinascere’ di nuovo (= dall’alto, cioè, da Dio per raggiungere la vita eterna. La vita eterna porta con sé il protagonismo di Dio che ama, dà ed invia (3,16-17), tre attuazioni che hanno la consegna del figlio come dimostrazione e garanzia; il figlio donato/inviato (3,16.17.18) è l’unigenito (3,16.18) ed il mondo il suo destino (3, 16.17.19). Se è possibile rinascere, è perché ci fu la consegna del Figlio; se c’è vita eterna per il credente è perché Dio inviò suo Figlio. Così è svelato il suo amore. Dio ama tanto il mondo da dare il suo Unigenito (3,16).
Giovanni utilizza il verbo amare, il più delle volte, per esprimere la relazione tra Dio e Gesù (3,35; 10,17; 14,31; 15,9-10; 17,23-24.26) tra Gesù ed i discepoli (11,5; 13,1.33.34; 14,21; 15,9.12; 21,7.20) e dei discepoli tra di loro (13,34; 15,12.17; 17,269). Per questo motivo è qui significativo il suo impiego, riferito al mondo, il genere umano (3,17). L’amore di Dio precede tutto, perfino l’intera avventura del Figlio. Gesù è dono di Dio al mondo e chiunque lo accetti si libera dalla perdizione ed ottiene la vita eterna.
La consegna del figlio, il suo invio al mondo, aveva come finalità la sua salvezza. Ma benché l’amore del Padre e la missione del Figlio furono gratuiti, la sua accettazione non è libera. La volontà salvifica di Dio deve essere assunta per la fede. La fede è l’accettazione di quel Dono divino e della sua forma di esserci donato, la morte in croce; pertanto, nella fede in questo Cristo dato si decide l’accettazione dell’amore di Dio o il suo rifiuto: l’incontro con Gesù è decisivo, apre alla vita o alla morte. Come l’amore è gratuito e precede la sua accettazione, la perdizione è irremissibile se uno non si sa amato in quella consegna del Figlio.
Gesù dice a Nicodemo quello che crede la comunità cristiana: non basta essere amato dal Padre per essere salvato dal Figlio; bisogna crederlo, accettandosi amato e salvato. Questa è la fede che rende buona, efficace, l’amore di Dio e la missione di Gesù in questo mondo.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Guardando bene, il breve testo evangelico non parla della Trinità, mistero centrale della fede cristiana che celebra oggi la liturgia, bensì di due persone divine che sono impegnate – eccome – nella nostra salvezza. Ci consta l’esistenza del Padre e del Figlio, dei quali ci parla il passaggio evangelico, precisamente perché, e nel caso in cui, ci sentiamo amati da essi a tal punto da essere salvati. Per il cristiano l’essere di Dio la sua Trinità ha a che vedere con la sua propria salvezza: scoprendosi salvato il credente scopre un trio di persone divine che, ognuno a suo modo, si impegnarono nella sua salvezza.
Ma oggi, a che cosa ci serve credere che ci sono in Dio tre persone, se riusciamo appena a sentire Dio vicino a noi?
Dio è più grande della nostra capacità di capirlo, sta fuori della nostra logica: è nel suo essere il non essere compreso dagli uomini ed è la nostra fortuna non poter comprenderlo con concetti, né rinchiuderlo in immagini né definirlo dentro i nostri limiti: ci sarà sempre Qualcuno al di sopra del nostro potere ed oltre la nostra impotenza, dietro i nostri difetti o carenze ed oltre il nostro sapere o la nostra ignoranza. Grazie a Dio, Egli sta lì dove finiamo noi, dove non arrivano le nostre forze e terminano le nostre possibilità.
Ma il mistero di Dio non è qualcosa che compete solo a Lui. Certo non possiamo comprenderlo, ma non è da meno che dobbiamo sentirci compresi da Lui. Se crediamo nel Dio Trino rinunciamo coscientemente a capire Dio, ma non rinunciamo a sentirci capiti da Dio, compresi in Lui. Credere non vuol dire intendere quello che si crede, ma affermarlo. Dichiararsi disposti a non capire Dio, perché ci sorpassa, implica cominciare a rispettarlo come Dio: accettarlo come Egli si è manifestato significa amarlo come Egli si aspetta di noi. È ciò che guadagniamo quanti confessiamo Dio e celebriamo il suo mistero trinitario: la sua natura, i suoi pensieri, il suo volere, non stanno all’altezza né alla portata delle nostre possibilità; gli dobbiamo riconoscimento ed amore, obbedienza e paura, fede e fedeltà personale.
Anche nel nostro mondo, nelle relazioni umane – e come poteva essere differente, se siamo stati creati a sua immagine e somiglianza? – le realtà più personali, quelle che più ci soddisfanno e ci danno più serenità, non sono frutto della nostra capacità di comprendere né della nostra abilità di proporzionarceli: l’amore, la fiducia, la fedeltà si danno e si ricevono, gratuitamente, senza capire mai molto bene il perché e senza avere tutta la sicurezza desiderabile. E quanto più diamo, più abbiamo: quanto più riceviamo, più siamo obbligati a restituire. C’è qualcosa di divino, certamente, nell’esperienza umana dell’amore e della fedeltà: o non è vero che ci sentiamo ‘divinamente’, quando ci sappiamo amati e siamo oggetto della fiducia o motivo della fedeltà di chi ci vuole bene?
Non poteva essere altrimenti. Dio, nostro Bene, ha lasciato la sua orma e la sua legge, nei beni che ci fa sperimentare nella terra, affinché scorgiamo come Egli sarà il nostro Bene definitivo nel cielo. Tanto ci ha voluto dare Dio, tanto si è impegnato con noi che si è moltiplicato per tre: il mistero di Dio è un mistero di amore, di consegna disinteressata, di fedeltà e permanenza. Dovremmo essergli riconoscenti, dovremmo solo, se ci fosse possibile, moltiplicarci per dargli la dovuta risposta; inoltre, dovremmo sentirci orgogliosi di avere come Dio un Dio simile che per amarci di più, per volerci più bene, ha voluto amarci di tre forme diverse. Chi avrebbe potuto immaginare un Dio migliore? Chi potrà desiderare maggiore amore dal suo Dio?
I cristiani siamo orgogliosi di un Dio che è Padre, creatore del mondo e dell’uomo: un Dio che ci tirò fuori dal niente per condividere con noi la sua vita e la sua compagnia, tanto vicino che volle farsi compagno della sua creatura, sempre disposto al perdono e ricco in misericordia, tanto fedele ai suoi che non riflette sulla nostra infedeltà, tanto amante nostro che ci inviò il suo unico Figlio per essere, con viso e cuore umani, come uno di noi ed imparare, come uno di noi, ad essere uomo essendo figlio di Maria.
Siamo orgogliosi di avere un Dio che è uomo, Gesù Cristo, che si è incarnato per noi, vivendo tra noi, conoscendo le stesse limitazioni e passando per esperienze simili, coi nostri sentimenti e le nostre facoltà; che morì per noi e fu resuscitato per vivere intercedendo per noi vicino a Dio; che non ci lasciò soli quando abbandonò la terra, perché ci lasciò il suo Spirito ed il mondo come missione.
Siamo orgogliosi di avere un Dio che è Spirito che ci accompagna sempre, benché non si lasci vedere da noi; che possiamo sentirlo col cuore, benché le nostre mani non lo riescono a palpare; che ci fa capire quanto Gesù ci insegnò e che prega in noi quando stiamo davanti al Padre; che è presente nella comunità cristiana, purché questa si dedichi a fare del mondo la scuola del volere di Cristo e lo spazio della fraternità.
Di un Dio così che si è moltiplicato per tre per meglio badare a noi, come non si può essere orgogliosi? Il Dio unico, trinità di persone, vale la nostra fede, le pene che implica, il nostro amore e qualche altro patimento, la nostra totale fiducia benché non lo capiamo del tutto, la nostra fedeltà costi quello che costi. Perché chi può affermare, come noi oggi, di avere un Dio simile al nostro: che ha fatto tanto per noi; che ci ha pensati e ci ha voluti; che ha sofferto e ci ha salvati; che ci accompagna e ci guida costantemente, benché noi non lo vediamo né lo tocchiamo? Come Dio ha mostrato tanta immaginazione avendo tanta onnipotenza, tanto amore come volontà di fare realtà il suo volere?
L’unica risposta possibile per chi si avvicina al mistero personale di Dio l’ottiene non chi lo vuole afferrare con la sua intelligenza e palpare con le sue mani bensì chi si sente afferrato da Dio e mantenuto tra le sue braccia; è il riconoscimento e la gioia, la gratitudine ed il godimento per averlo come Dio, una natura in tre persone l’unica reazione legittima davanti a questo mistero: nessuno potrebbe sognare di essere meglio amato da Dio che chi si sa custodito da tre persone divine, nessuno è più caro di chi è oggetto del triplo volere divino. Troppe ragioni abbiamo noi cristiani per far festa, perché abbiamo un solo Dio da servire e tre persone divine dalle quali siamo serviti.
Chi confessa la Trinità di Dio ha, almeno, tre motivi per vincere le sue paure ed appoggiare la sua speranza. Se veniamo da un Dio Trino e verso Lui ci dirigiamo, contiamo su tre modi differenti, ma sulle tre persone, per relazionarci col nostro unico Dio. Siamo stati amati e siamo protetti, siamo stati creati e siamo mantenuti, da tre Persone diverse: oggi che lo confessiamo, ben merita che lo celebriamo in lungo e in largo.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb