UNGARETTI E LA RICERCA DI DIO – ATTRAVERSO LA PORTA DEL DUBBIO
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UNGARETTI E LA RICERCA DI DIO
ATTRAVERSO LA PORTA DEL DUBBIO
Pubblichiamo alcuni stralci dal primo capitolo del libro Interrogare la fede. Le domande di chi crede oggi (Torino, Lindau, 2011 pagine 99, euro 12).
di LUCIO COCO
Il poeta Ungaretti è un uomo ferito (cfr. Pietà in: Giuseppe Ungaretti, Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972, p. 168) che chiede a Dio di chinarsi sulla sua e nostra debolezza e di mostrarci una traccia: « Dio, guarda la nostra debolezza. / / Vorremmo una certezza ». Ma può registrare solo il vuoto, « il gran vuoto della sua anima, la sua consapevolezza d’essere stato abbandonato a sé, la tremenda sua solitudine » (Giuseppe Ungaretti, Vita di un uomo. Saggi e interventi, Mondadori, Milano, 1974, p. 200), e riconoscere in questa vertigine del sentimento dell’assenza il terrore del vuoto e « l’orrore di un mondo privo di Dio ». Egli sente, ed è un sentire che è anche testimonianza, che Dio è divenuta una parola impronunciabile oggi: « Dio, coloro che t’implorano / Non ti conoscono più che di nome » (Pietà, p. 168). La sua immagine si è frammentata sotto la furia iconoclasta del secolo e si è ritirata in una zona grigia e oscura che confina con il sogno: « E tu non saresti che un sogno, Dio? » (Pietà, p. 170).
È profondo il solco lasciato da queste domande irrisolte: « Ma Dio cos’è? / / E la creatura / atterrita / sbarra gli occhi » (Risvegli, in: Vita di un uomo. Tutte le poesie, p. 36), che consegnano l’uomo a una percezione abissale e confusa di sé: « In questo oscuro / (…) // Mi vedo abbandonato nell’infinito » (Un’altra notte, in: Vita di un uomo. Tutte le poesie, p. 72), e affidano il mondo a una dimensione enigmatica e obliqua.
Sotto la lente di un osservatore « sbigottito di non sapere » si consuma il dramma non solo conoscitivo ma anche teologico ed esistenziale dell’uomo moderno perché « dove la distruzione di Dio è compiuta, dove non è più dibattuto il problema divino, con che cosa [la mente] colmerà il vuoto lasciato in essa e che la potenza dei secoli e degli istinti mantiene spalancato? » (Vita di un uomo. Saggi e interventi, p. 230). Ma forse è anche necessario che sia così, perché possiamo imparare a conoscere e a chiamare Dio con altri nomi, che pure sono i suoi nomi, e a trovarlo con altri modi e in altre circostanze, per certi versi inusuali, come l’interrogazione, il dubbio, la domanda che non trova risposta: « La speranza d’un mucchio d’ombra / E null’altro la nostra sorte? » (Pietà, p. 170).
Il Dio di questo secolo è qui, su questo discrimine di senso e non-senso, che vuole essere cercato e trovato. Diversamente si correrebbe il rischio di coltivare una vana spiritualità che non può soddisfare le menti problematiche oppure incerte della modernità. Trovare Dio dove la scena è ormai distrutta e muta: questo è il compito che Dio dà al poeta e a noi.
Come una cifra segreta risalta nel paesaggio sconsacrato la nudità dell’anima del poeta: « Ma ben sola e nuda / senza miraggio / porto la mia anima » (Peso, in: Vita di un uomo. Tutte le poesie, p. 34) e il suo essere solo (cfr. Pietà, p. 168).
Dio ora vuole essere interrogato dalla solitudine dell’uomo, dal suo lamento che non trova senso. Troppe cose ricordano all’uomo la sua precarietà, il suo destino che non riuscirà mai a ricomporre la sua vita in un disegno chiaro. Egli vuole che si arrivi a Lui attraverso questo passaggio dell’anima stretta che dubita e medita.
Dio resta « l’eterno tormento degli uomini, sia che s’ingegnino a crearlo sia a distruggerlo » (Vita d’un uomo. Saggi e interventi, p. 230) perciò la sua dimostrazione deve essere cercata pur nell’impossibilità che ha l’uomo di dimostrarne l’esistenza. È vero.
C’è troppo dolore intorno, troppo caos, troppo sangue innocente perché si possa dire « Credo »: « Nel cuore dell’uomo non c’è, come sempre, che notte, non ci sono, come sempre, che crolli » (Vita d’un uomo. Saggi e interventi, p. 782). E anche Cristo si unisce a questo silenzio. Anch’egli partecipa di questo distacco, di questa separazione, della diastasi della divinità dal mondo. Lo scenario devastato della seconda guerra lo rivela in maniera evidente e mette ancor di più in luce la solitudine dell’uomo. Come la domanda su Dio anche la domanda su Cristo sembra non trovare risposta. E se al colmo della crisi solo nel negativo della bestemmia, che viene letta come una preghiera rovesciata, è possibile farsi un’idea di Dio: « E per pensarti, Eterno, / Non ha che le bestemmie ». (Pietà, p. 171), analogamente al poeta giunge a risultare « blasfemo » – « Ora che osano dire / le mie blasfeme labbra » – anche il quesito che chiede al Figlio di Dio il perché di tanto scempio al mondo: « Cristo pensoso palpito, / Perché la Tua bontà / S’è tanto allontanata? » (Mio fiume anche tu, p. 228).
Ma per quanto fragile possa essere l’uomo, « per quanto impotente nel fondo della sua notte elementare » (Vita d’un uomo. Saggi e interventi, p. 525), il semplice dubbio che « la sua vita non è pura sordità, che qualche cosa c’è da fare su questa terra » assume quasi il significato di una prova di Dio. L’uomo si è trasformato in una domanda; l’uomo della modernità non può più dare risposte. Eppure tutto ancora deve compiersi nell’orizzonte di un qualcosa (« un punto, una formula ») che « esiste e dà alla vita il suo senso, il suo oriente » (Vita d’un uomo. Saggi e interventi, p. 525). La difficoltà ad affermare Dio e la facilità a negarlo sono ancora sua regione e suo territorio, provincia di Dio nella quale abitano gli uomini di oggi.
Il suo volto odierno è così, un volto incerto, che non dà certezze. Eppure anche la sua non risposta alla domanda che è l’uomo, ne connota l’essenza e introduce l’uomo nella dimensione della fede, quella più ineffabile e sfumata, quella dove il sì e il no quasi non si distinguono.
È così infatti la fede dell’uomo: una domanda continua, ininterrotta che confina sempre con il silenzio, che strappa al silenzio qualcosa, ma poi si richiude in se stessa. L’esperienza religiosa di Ungaretti è strettamente legata a questa intuizione: « Chiuso fra cose mortali / / (Anche il cielo stellato finirà) / / perché bramo Dio? » (Dannazione, in: Vita d’un uomo. Tutte le poesie, p. 35).
La domanda dell’uomo può bastare perché possa recuperare il senso della trascendenza e farsi un’immagine .dell’Assoluto, se mai ne sia possibile una in questo secolo e se non sia stato sempre così e sempre la stessa è la distanza tra l’uomo e l’Infinito. « L’essere umano, lo voglia o no, è nella sua responsabilità legato al segreto universale dell’essere, a Dio ».
(L’Osservatore Romano 21-22 febbraio 2011)
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