Il MAESTRO NELLA PATRISTICA E NELLA TRADIZIONE ECCLESIALE

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Il MAESTRO NELLA PATRISTICA E NELLA TRADIZIONE ECCLESIALE

(in particolare nel « De Magistro » di S. Agostino e di S. Tommaso d’Aquino)

Atti del Seminario internazionale
su « Gesù, il Maestro »
(Ariccia, 14-24 ottobre 1996)

di Franco Pierini ssp

2. l’antichità pre-costantiniana (fino al 313)

2.1. Sguardo generale
L’impero romano, fin dall’epoca della sua fondazione, si presentò come vera e propria istituzione pedagogica, volta ad ottenere con i mezzi più diversi il consenso o almeno la sottomissione da parte dei sudditi (Virgilio, Eneide, 6, 851-853: «Tu regere imperio populos, romane, memento – hae tibi erunt artes – pacique imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos»). Furono pedagogici gli arcaismi di Augusto, Claudio, Adriano, Decio, ecc.; gli atteggiamenti paternalistici o filosofici di Vespasiano e Tito, di Nerva, Antonino Pio, Marco Aurelio, Caligola, Nerone, Commodo; la politica degli imperatori Severi.
L’atmosfera culturale dell’epoca, d’altra parte, spingeva nella direzione di un pedagogismo generalizzato: nella filosofia, nella letteratura, nell’arte.(22)

Nulla di strano, perciò, se le espressioni paideia di Dio, paideia di Cristo si trovino non solo negli scritti del Nuovo Testamento (specialmente nelle lettere deuteropaoline e pastorali) ma anche già nel primo, cronologicamente parlando, degli scritti patristici, ossia nella Lettera ai Corinzi di Clemente di Roma, risalente al 96 circa, specialmente negli ultimi capitoli.(23)
Se nell’ambito del giudeo-cristianesimo Cristo Maestro si presenta soprattutto come Cristo-legge (nomos),(24) nel cristianesimo ellenistico e romano assume sempre maggiore importanza (dietro l’esempio di Filone di Alessandria) Cristo Maestro come Cristo-logos.
Cristo Maestro inteso come legge è utile nella polemica con gli ebrei; Cristo Maestro inteso come logos lo è nella polemica con i pagani. Il filosofo-apologista Giustino li usa infatti entrambi, il primo nel Dialogo di Trifone, il secondo nelle Apologie (soprattutto nella forma di logos spermatikòs). In entrambi i casi, Cristo appare come il protagonista della paideia di Dio rivolta rispettivamente agli ebrei e ai pagani.(25)
Dato che l’eresia si presenta soprattutto come gnosticismo, Ireneo di Lione, nella sua opera Contro gli eretici, è in grado di contrapporre agli eoni gnostici Cristo-logos, al dualismo tipico dello gnosticismo l’unità della paideia divina nella storia della salvezza unica per tutti, nell’unico Cristo Maestro e nell’unica Chiesa maestra.(26)
Tutti i Padri della Chiesa di quest’epoca, naturalmente, sottolineano l’esigenza della imitazione di Cristo. In un’epoca che è anche caratterizzata da persecuzioni continuamente incombenti, il martire risulta, d’altra parte, l’imitatore più perfetto del Maestro Divino.(27)
La paideia di Cristo e della Chiesa, nei primi tre secoli di storia cristiana, giunge alla più significativa espressione, però, nell’esperienza dell’ambiente alessandrino. Qui esisteva già da vari secoli il Mouseion pagano, ossia la casa delle nove muse rappresentanti dei vari settori del sapere; esisteva la Casa della ricerca (o Bet-midrash) ebraica, dove Filone aveva condotto alla perfezione l’interpretazione allegorica della Torah. In questo centro culturale di primaria importanza, era inevitabile che sorgesse più precocemente che altrove una istituzione pedagogica cristiana, e fu il famoso Didaskaleion, fondato agli inizi del secolo III.(28)
Dall’ambiente alessandrino emergono due nomi: Clemente e Origene. Sono essi i protagonisti dello sforzo più impegnativo e più vasto volto a creare una vera e propria paideia cristiana, in grado di stare all’altezza di quella ebraica e di quella pagana anche dal punto di vista culturale. (torna al sommario)

2.2. Il pedagogo e la paideia cristiani di Clemente e Origene
Clemente di Alessandria (150-215 circa), pur non avendo insegnato ufficialmente nel Didaskaleion, è considerato uno degli esponenti più caratteristici dell’ambiente culturale cristiano di Alessandria d’Egitto. Fu lui a progettare una specie di enciclopedia cristiana intorno alla figura del Maestro Divino, il Logos incarnato, Dio fatto uomo.
Seguendo lo schema didattico in voga presso le filosofie religiose dell’epoca, egli probabilmente svolse una prima parte, di tipo persuasivo e propagandistico (l’attuale opera intitolata Protrettico); una seconda parte, in cui Cristo appare come il Maestro rivolto a tutti, essoterico (Il Pedagogo); una terza parte, in cui vengono approfonditi i temi dei rapporti fra cultura e rivelazione, ragione e fede, ecc. (l’attuale opera Stromati, che forse avrebbe dovuto intitolarsi Il Didascalo), in funzione dell’insegnamento di tipo esoterico.
La teologia di Clemente è una vera e propria pedagogia cristologica. Ispirata da un sottofondo filosofico di tipo eclettico, manca ancora di sistematicità, ma, nella sua sterminata erudizione, offre una quantità di prospettive preziose sia per lo studio della tradizione cristiana antica, sia per i confronti con la cultura classica greca e romana.(29) È comunque il primo tentativo di costruire una strategia propagandistica, una cultura elementare e una conoscenza superiore (gnosi) per la comunicazione del cristianesimo a tutti i livelli e in tutte le direzioni.(30)
Origene di Alessandria (185-254) svolge in maniera ancora più vasta e sistematica la paideia cristiana messa in cantiere per la prima volta da Clemente. Mentre però costui si era limitato a costruire il processo della propria indagine intorno al centro focale costituito da Cristo maestro come protrettico, come pedagogo e come didascalo, Origene adotta la totalità della metodologia dei dotti del suo tempo, dando vita ad una paideia vasta e articolata, da lui messa in opera prima ad Alessandria (fra il 203 e il 231), poi a Cesarea di Palestina (fra il 232 e il 253).
La descrizione della paideia cristiana di Origene si trova nel Discorso a Origene, composto nel 238 dallo studente Gregorio il Taumaturgo. Come si desume da questo documento, abbiamo qui quello che è stato giustamente definito « il primo abbozzo di università cristiana ».
Il piano di studi promosso da Origene è lo stesso delle scuole superiori pagane, ispirate soprattutto dal medio platonismo di Albino, Massimo di Tiro, Numenio, dallo stoicismo di Cornuto e Cheremone, dal neopitagorismo di Filostrato, ecc. Le materie sono la logica, la fisica, l’etica e la metafisica; la metodologia prevalente l’allegorismo. Ma naturalmente lo spirito e lo scopo sono diversi: lo spirito è quello cristiano-ecclesiale, lo scopo è l’intelligenza sempre più profonda dell’insegnamento divino incarnato nella persona di Cristo Maestro e presente nella parola della Bibbia.(31)
Con le opere di Clemente e Origene si compie così una prima assimilazione complessiva sia della rivelazione cristiana, sia della cultura antica. E questo come paideia, ossia come prima espressione dell’umanesimo cristiano. (torna al sommario)

3. l’antichità post-costantiniana (313-450 circa)
3.1. Sguardo generale
Terminate le persecuzioni, riconosciuta la libertà al cristianesimo, si passa ben presto ad una trasformazione di portata epocale: l’impero romano-pagano diventa impero romano-cristiano. Le esigenze pedagogiche dello Stato rimangono le stesse: procurarsi il consenso. Ma cambiano le modalità. Nonostante i tentativi cesaropapisti di vari imperatori, che si illudono di poter strumentalizzare il cristianesimo come avevano fatto con le religioni pagane, il compito pedagogico, ossia di egemonia spirituale e culturale, passa sempre di più nelle mani della Chiesa.
Neppure il neo-platonismo, l’ultima grande filosofia religiosa del paganesimo, riesce a far tornare indietro la storia, nonostante la breve reazione anti-cristiana di Giuliano l’Apostata (361-363).
Nell’ambito del cristianesimo, d’altra parte, il venir meno della testimonianza del sangue (il martirio propriamente detto) viene compensato dalla nascita e dalla diffusione rapida e strepitosa di una nuova forma di testimonianza: quella dell’ascetismo monastico, sia nella forma eremitica, sia in quella cenobitica. L’imitazione di Cristo Maestro, che prima guardava soprattutto al martire, ora guarda soprattutto a Cristo asceta, cercando già di riprodurlo sotto ogni aspetto descritto dal Vangelo. Tutto questo è già evidente nella biografia di Antonio l’egiziano scritta da Atanasio (356 circa), ma diventa ancor più sistematico nella teorizzazione del monachesimo operata dai Padri Cappadoci, specialmente da Gregorio di Nissa (cf gli scritti Il fine cristiano, La professione cristiana, La perfezione cristiana, del 390-394 circa).
Pochi decenni prima, Ambrogio di Milano aveva sviluppato un’analoga operazione, propagandando la verginità, come imitazione di Maria, madre di Gesù.
La congiuntura favorevole suscita la seconda grande epoca di scolarizzazione cristiana, dopo quella avvenuta nei secoli II-III e culminata nel Didaskaleion di Alessandria. Ora nascono anche le scuole catechetiche di Antiochia (iniziata al principio del sec. IV ma giunta al suo acme nella seconda metà del secolo), di Edessa (fiorita nel medesimo periodo) ed altre minori, come Cesarea di Cappadocia, Milano, ecc., oltre quelle collegate con i primi grandi monasteri. E queste istituzioni scolastiche, seguendo i consigli di un Basilio di Cesarea (Ammonimento ai giovani sull’uso dei classici pagani) e di un Girolamo (in varie lettere), non respingono ma cercano di rianimare con spirito cristiano l’eredità culturale greca e romana, che ormai va sistemandosi nelle arti liberali del trivio e del quadrivio.
La scuola cristiana è rivolta, naturalmente, a educare l’uomo nuovo. Il fenomeno è evidente nella predicazione, tipicamente pedagogica, di Giovanni Crisostomo (344-407), che è anche autore della più antica esposizione di pedagogia cristiana sistematica (La vanità e l’educazione dei figli, del 380 circa), parallela, in certo senso, all’unico trattatello pedagogico giuntoci dall’antichità pagana, quello dello Pseudo Plutarco (Come educare i propri figli, risalente al II secolo d.C.), anche se ben diversa sia nella forma che nella sostanza e nello spirito.
In questa fase storica della paideia cristiana, importanza ben maggiore ebbero, tuttavia, le controversie teologiche e cristologiche con le relative definizioni conciliari (a Nicea contro l’arianesimo nel 325, a Costantinopoli contro il macedonianismo nel 381, a Efeso contro il nestorianesimo nel 431, a Calcedonia contro il monofisismo nel 451), e le contemporanee controversie sulla Chiesa (condanne del donatismo ad Arles nel 314 e a Cartagine nel 411) e sulla grazia (condanne del pelagianesimo a Cartagine e a Milevi nel 416).
Gli approfondimenti dottrinali che ne emersero diedero modo di comprendere meglio lo spessore e la fisionomia più autentica del magistero di Cristo. Prima attraverso le opere di Atanasio, Ilario, i Cappadoci, Cirillo di Alessandria, Leone I; poi soprattutto attraverso quelle di Agostino.
Ne risulta, in sostanza: Cristo, riconosciuto nella sua divinità preesistente l’incarnazione (Nicea); riconosciuto nella distinzione e completezza delle sue due nature, divina e umana, dopo l’incarnazione (Efeso e Calcedonia); riconosciuto come operante nella Chiesa attraverso il suo Spirito, terza persona della Trinità (Costantinopoli); questo Cristo è sempre garantito, nelle debite condizioni, a tutti i suoi fedeli (contro il donatismo), e non è un Maestro puramente esteriore, ma vera grazia di trasformazione radicale e di divinizzazione (contro il pelagianesimo). Insomma, Cristo Maestro non è solo il rabbì storico vissuto in Palestina con il suo insegnamento, col suo esempio, con i suoi miracoli, con la sua morte e risurrezione, ma è anche e soprattutto, nella attuale fase della storia della salvezza, il Maestro esistente e operante in tutti con la sua grazia, ossia lo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo.(32)
Agostino, quando si accinge a scrivere il suo De Magistro nel 389, è già in grado di intuire quest’orientamento della paideia cristiana. Egli, così, nel periodo post-costantiniano, può assolvere, ad un livello assai più alto, il compito assolto nel periodo precedente da Clemente e Origene insieme. (torna al sommario)

3.2. Il « De Magistro » di Agostino di Ippona (389)
Si può affermare con sicurezza che Agostino di Ippona (354-430) scrisse quello che prima personalmente sperimentò, perché egli stesso si è preoccupato di ricordarlo, descriverlo nelle opere autobiografiche, spiegarlo e approfondirlo in ogni occasione.
Anche il De Magistro, che può sembrare a prima vista un discorso fortemente speculativo e astratto nonostante la forma di dialogo, è l’eco di esperienze vissute. Questo risulta chiaramente, se l’opera viene contestualizzata come si deve nella vita di Agostino e nel complesso delle altre opere che la precedono e la seguono.
Agostino, nato a Tagaste nel 354, subisce un forte disorientamento intellettuale e morale all’età di sedici anni. Ne esce fuori una prima volta, con una conversione alla « passione della verità » nel 373 attraverso la lettura dell’Hortensius di Cicerone. Nuovi sbandamenti morali e ideologici. Una seconda conversione, la « conversione della mente », avviene a 32 anni, nel 386, quando si accosta alla filosofia neoplatonica e riesce a scoprire che la verità tanto cercata si trova nell’interiorità dello spirito. La terza conversione, la « conversione del cuore e della volontà », segue poco dopo, quando, con animo ben diverso, torna a leggere la Bibbia e soprattutto le lettere di S. Paolo, e viene a conoscenza di alcune esperienze ascetiche e monastiche.
La maturazione decisiva, comunque, avviene nel corso del 386 e 387, prima e dopo il battesimo, ricevuto nella notte di Pasqua, 24/25 aprile, del 387. Nelle opere scritte in questo periodo, soprattutto nel De ordine (novembre-dicembre 386), è evidente il progetto agostiniano di fondare su nuove basi non solo la propria vita e quella dei propri parenti e amici ma l’intera paideia, l’intera Weltanschauung antica, sulla base del cristianesimo, di Cristo Maestro.
Il De Magistro, dialogo fra Agostino e il figlio Adeodato (che muore l’anno dopo, nel 390), anche nella forma letteraria di tipo platonico, è il manifesto del nuovo « socratismo cristiano ». Vi si parla, infatti, socraticamente, delle condizioni per la ricerca e l’attingimento della verità e delle condizioni per la comunicazione della verità. La riflessione è perciò sullo strumento essenziale per la ricerca e la comunicazione della verità, ossia il linguaggio, più in generale il segno.
Lo stoicismo aveva già insegnato a distinguere nel segno (sémeion) il significante (semàinon) e il significato (semainòmenon). In che rapporto – si chiedono Agostino e Adeodato – significante e significato stanno con le cose (oggi diremmo, i referenti), per arrivare a conoscere la verità e comunicarla?
Il De Magistro non tratta, perciò, problemi di pedagogia spicciola (come il trattatello di Giovanni Crisostomo), ma temi di pedagogia fondamentale, di teoria della conoscenza e del metodo. La pedagogia è intesa non tanto come didattica, quanto piuttosto come teoria generale dei segni (semiotica: nn. 1-18) e dei significati (semantica: nn. 19-35) e solo dopo come teoria della didattica, ossia della comunicazione (didattica o pragmatica: nn. 36-46).
La tesi di fondo è che i segni (soprattutto il linguaggio) ma anche i non segni (come le azioni e le cose stesse) sono inevitabili per cercare la verità e comunicarla, ma nello stesso tempo sono insufficienti, dato che la verità vera ognuno la intuisce nel proprio intimo, in virtù della presenza non delle idee platoniche già contemplate e ora riemergenti attraverso la memoria, ma in virtù della presenza del « Maestro interiore », la luce del Verbo, la grazia dello Spirito.
Il principio agostiniano di verità, di conoscenza, di comunicazione è, in sostanza, quello dell’intuizione. Esso viene enunciato così nell’opera De vera religione, composta pochi mesi dopo, sempre nel 389: «Non uscir fuori, torna in te stesso: è nell’uomo interiore che abita la verità. E se avrai trovato mutabile la tua natura, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando ti trascendi, che trascendi un’anima che ragiona. Dirigiti, dunque, laddove viene accesa la luce stessa della ragione» (n. 39).
La nuova paideia agostiniana è perciò una didattica basata sulla semiotica, ma più ancora basata sulla teologia del Maestro interiore, ossia sulla cristologia pneumatica, sullo Spirito Santo. In Agostino, infatti, natura e soprannatura non sono mai separate.
In termini di comunicazione, per Agostino, non ci può essere rapporto fra l’io e il tu, il mittente e il destinatario, se non c’è sempre in qualche maniera anche Dio. Quindi: io – (Dio) – tu.
In termini di significazione, ossia di acquisizione della verità da comunicare, il significante e il significato esigono un costante rapporto con le cose, ossia con i referenti interni ed esterni. Ma tale rapporto non può essere garantito che dal collante della grazia divina, ossia dalla presenza dello Spirito di Cristo, del « Maestro interiore ». Perciò, per Agostino, il triangolo segnico tra significante, significato e referente deve essere necessariamente un quadrato dove sia presente anche la grazia, o meglio un circuito ermeneutico dove questi quattro elementi convivano in perfetta funzionalità e armonia.
La paideia agostiniana si perfezionerà poi con le opere sulla didattica vera e propria, come De doctrina christiana (396-397, 427) e De catechizandis rudibus (405). Ma si esprimerà anche attraverso la descrizione della paideia vissuta, sia sul piano personale (Confessionum libri, 397-401), sia sul piano storico-sociale (De Civitate Dei, 413-426).(33) (torna al sommario)

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