ATTI 6,1-7 – COMMENTO BIBLICO

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ATTI 6,1-7 – COMMENTO BIBLICO

1 In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. 2 Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. 3 Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico.
4 Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». 5 Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. 6 Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
7 Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.

COMMENTO
Atti 6,1-7
I sette «diaconi»

Nella prima parte degli Atti (1,15- 8,4) si narra la prima espansione del cristianesimo in Gerusalemme. Essa termina con il racconto delle vicende che hanno come protagonista Stefano, la cui morte violenta darà l’avvio all’annunzio del vangelo al di fuori della città santa. Il racconto si apre con l’elezione di sette uomini deputati al servizio delle mense (At 6,1-7). Uno di costoro, Stefano, si dà alla predicazione e viene arrestato dal sinedrio (6,8-15). In questa occasione egli pronunzia un duro discorso di condanna nei confronti dei suoi accusatori (7,1-53) e alla fine del quale viene lapidato (7,54-60). La liturgia propone qui il racconto della nomina dei sette incaricati. L’autore descrive anzitutto la situazione (v. 1), indica poi la presa di posizione dei Dodici (vv. 2-4) e infine rende nota la decisione della comunità (vv. 5-7).

La situazione (v. 1)
Il nuovo racconto si apre con la descrizione di una situazione nuova che si era verificata nella comunità di Gerusalemme: «In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana.» (v. 1). L’episodio viene situato nel tempo mediante una formula temporale piuttosto vaga: «In quei giorni» (cfr. 1,15). Compare qui per la prima volta il termine «discepoli», usato poi una trentina di volte nel corso del libro per indicare coloro che aderiscono al movimento di Gesù. Il numero dei discepoli continua ad aumentare, ma la vita della comunità è minacciata da una grave tensione fra due gruppi che si sono formati al suo interno.
Il primo di questi gruppi viene designato con l’appellativo di «ellenisti» (hellênistai). Questo termine riappare in At 9,29 dove designa un gruppo di giudei residenti a Gerusalemme, senza dubbio gli stessi che frequentavano «la sinagoga detta dei “liberti” comprendente anche i cirenei, gli alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia» (cfr. 6,9): si tratta dunque di giudei originari di questi paesi, i quali nelle loro sinagoghe leggevano la Scrittura nella loro lingua nativa, il greco, secondo la versione detta dei Settanta. Proprio da questo ambiente provenivano coloro che erano presenti in occasione della pentecoste (cfr. 2,5). Aderendo alla comunità dei discepoli di Gesù costoro avevano formato un gruppo a sé. Il secondo gruppo è quello degli «ebrei» (hebraioi): in contrasto con gli ellenisti, costoro non possono essere che i primi seguaci di Gesù, i quali erano sempre vissuti in Palestina, leggevano la Scrittura in ebraico e parlavano questa lingua (in realtà si trattava piuttosto dell’aramaico, che aveva sostituito l’ebraico come lingua parlata).
Il contrasto tra questi due gruppi viene alla luce nel campo della «assistenza (diakonia) quotidiana» che veniva prestata alle vedove (chêrai). L’assistenza a queste persone diseredate faceva parte del programma della comunità, che si era posta l’obiettivo della condivisione dei beni (At 4,32.34). È probabile che le vedove fossero più numerose fra coloro che erano venuti dai paesi della diaspora per trascorrere gli ultimi anni della loro vita a Gerusalemme: forse proprio per la loro origine straniera esse ricevevano meno attenzione delle altre. Di conseguenza gli ellenisti protestano perché ritengono che le vedove del loro gruppo siano trascurate.

Le direttive degli apostoli (vv. 2-4)
I Dodici vengono a conoscenza dello scontento che serpeggia nella comunità e lo affrontano apertamente: «Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense» (v. 2). Queste parole lasciano intendere che indirettamente la critica riguardasse proprio loro, in quanto amministratori dei beni che venivano messi in comune (cfr. 4,35). Essi perciò dichiarano che non ritengono giusto dedicarsi al servizio delle mense, con il rischio di trascurare la parola di Dio. Il «servizio delle mense» (diakonein trapezais) era un incarico religioso importante nelle confraternite farisaiche, essene o battiste; esso consisteva sia nell’organizzazione delle agapi fraterne sia nell’equa distribuzione del cibo ai poveri.
Per risolvere il problema alla radice i Dodici propongono una divisione dei compiti. A tal fine incaricano la comunità di scegliere sette uomini di buona reputazione, «pieni di Spirito e di saggezza», ai quali affidare il servizio delle mense (v. 3). Il loro ragionamento si ispira a quello di Mosè il quale, di fronte alla crescita del popolo, chiede di essere coadiuvato nel compito di giudice dai capi (Dt 1,9-18). Si noti che proprio la saggezza aveva abilitato Giuseppe a svolgere una funzione amministrativa di importanza vitale nel paese d’Egitto (Gn 41,33.39); la stessa virtù doveva qualificare i capi delle tribù designati da Mosè come giudici (Dt 1,15). I Dodici esprimono l’intenzione di riservare a sé la preghiera (proseuchê) e il «servizio della parola» (diakonia tou logou) (v. 4), cioè il ruolo di «testimoni» della risurrezione di Cristo (cfr. 1,22).

La decisione comunitaria (vv. 5-6)
L’assemblea accoglie la proposta dei Dodici e procede all’elezione del gruppo dei Sette: «Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas e Nicola, un proselito di Antiochia» (v. 5). Stranamente tutti i prescelti portano un nome greco: si ritiene quindi che appartenessero al gruppo degli ellenisti. Nella lista dei «Sette», il primo e l’ultimo meritano una menzione particolare: Stefano, «uomo pieno di fede e di Spirito santo», cioè un uomo eccezionale dal punto di vista della fede e del vigore missionario di cui si parlerà subito dopo. Nicola invece è presentato come un «proselite», cioè un gentile che si era convertito al giudaismo prima di abbracciare la fede cristiana. Questi inoltre è originario di Antiochia, una città ellenistica, che avrà un posto molto importante nel seguito del racconto, perché lì si formerà una comunità aperta ai gentili (cfr. 11,19).
L’investitura dei Sette si svolge in un clima liturgico, con la preghiera e l’imposizione delle mani (v. 6): nel testo greco non è chiaro se questo rito sia compiuto dagli apostoli o da tutta la comunità. Luca non fornisce nessuna spiegazione sul significato specifico di tale gesto, ma sembra evidente che si tratti di una benedizione e di un conferimento di autorità per compiere il loro ruolo specifico.
Al termine del brano appare di nuovo il ritornello della crescita, che accosta la diffusione della parola di Dio all’incremento numerico dei membri della chiesa (v. 7). Luca riprende qui la stessa espressione del v. 1, lasciando intendere che la felice soluzione di una crisi interna apre la strada a un nuovo progresso nell’evangelizzazione. Viene detto inoltre che fra i convertiti figurano molti «sacerdoti» (hiereis), cioè esponenti del sacerdozio giudaico. Luca non spiega il motivo di questo fatto, ma la logica del racconto lascia supporre che queste conversioni abbiano il loro peso nel conflitto che scoppierà subito dopo.

Linee interpretative
Il racconto di Luca non appare del tutto verosimile. Anzitutto è strano che i nomi dei prescelti siano tutti greci. Si può certo supporre che per un eccesso di buona volontà sia stato affidato proprio agli ellenisti il compito di provvedere a tutte le vedove, per evitare alla radice il pericolo che essi si sentissero discriminati. Ma è più probabile che questo dettaglio sia un indizio che in realtà i Sette esistevano già prima come gruppo a sé stante e svolgevano un ruolo direttivo nell’ala ellenista della comunità. Ciò sembra trovare conferma nel fatto che certe comunità della diaspora giudaica erano rette da sette «giudici». Di fatti almeno due di essi, Stefano e Filippo, si dedicheranno subito dopo non al servizio delle mense ma alla predicazione. Infine è strano che la persecuzione scoppiata dopo la morte di Stefano colpisca solo gli ellenisti, i quali devono lasciare Gerusalemme, mentre gli apostoli, e presumibilmente il loro gruppo (gli «ebrei»), vi restano indisturbati (cfr. 8,1).
Si può dunque supporre che in realtà molto presto si fosse verificata nella comunità di Gerusalemme, composta quasi esclusivamente di giudeo-cristiani, una scissione tra coloro che parlavano aramaico, i quali erano guidati dai Dodici, e quelli di lingua greca rappresentati dai Sette. La ragione remota di questa separazione era certamente di origine linguistica. Si può anche supporre che, come apparirà nel discorso di Stefano, gli ellenisti abbiano preso una posizione critica nei confronti del tempio di Gerusalemme e della legge mosaica (cfr. 6,13-14; 7,48-53), mentre gli apostoli e il loro gruppo erano fedeli osservanti della legge e partecipavano al culto del tempio (cfr. 2,46). O forse gli ellenisti erano più audaci nel proclamare l’imminente ritorno di Gesù e l’instaurazione del regno di Dio.
Il trattamento riservate alle vedove potrebbe essere stato quindi semplicemente l’occasione che ha fatto esplodere il dissidio, ma questo aveva ragioni più remote. Ai fini di presentare in modo armonico lo sviluppo della chiesa primitiva, Luca nasconde di proposito la rottura che si era già prima verificata all’interno della comunità. Anzi, pur non chiamando mai i Sette con il nome tecnico di «diaconi», li presenta come i primi incaricati di un ministero, quello del diaconato, che si svilupperà nelle comunità paoline alla fine del I secolo (cfr. 1Tm 3,8-13). Facendoli diventare diaconi prima del tempo, egli ha voluto far capire che anche i dissidenti non hanno rotto il legame di comunione con il resto della comunità, la quale invece li ha accolti come fratelli. Ciò è importante per lui perché saranno proprio loro i primi missionari che porteranno il vangelo ai gentili (cfr. 8,4; 11,20).
La vicenda degli ellenisti, così come è stata raccontata da Luca, può essere letta come esempio delle modalità con cui una comunità deve superare il rischio della scissione, che minaccia ogni gruppo umano, anche e soprattutto quello che appare più unito intorno ad una “verità” ritenuta assoluta e indiscutibile. Il fatto che i dissidenti non vengano espulsi ma ricevano un incarico di responsabilità nella comunità stessa mostra che i diversi punti di vista devono essere considerati non come occasione di divisione, ma piuttosto come espressione di una ricchezza che dà origine a compiti e servizi diversi.

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