IL PECCATO – (papa Francesco)
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IL PECCATO
La vittoria sul peccato riportata da Cristo ci ha donato beni migliori di quelli che il peccato ci aveva tolto: « Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia ». (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 420).
Autore: Marco La Deda
Tratto da: Credere del 09/06/2013
Nella storia dell’uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che cosa sia il peccato, si deve innanzitutto riconoscere il profondo legame dell’uomo con Dio, perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell’uomo e sulla storia.
NELL’ANTICO TESTAMENTO
Il peccato si presenta come offesa al Creatore e rottura dell’alleanza tra Dio e il popolo. Essendo un allontanamento dall’ordine divino, la sua prima conseguenza è la perdita della salvezza. Nell’Antico Testamento non c’è un vocabolo specifico che racchiuda lo stesso significato che attribuiamo oggi alla parola “peccato”. Molti passi parlano del peccato in termini di rottura dell’alleanza con Dio. La condizione iniziale dell’uomo è quella di essere santo e amico di Dio. Il peccato è invece rinnegamento di Dio e distruzione della personalità umana. L’uomo annienta in sé stesso l’immagine soprannaturale di Dio e ne offusca anche quella naturale. Poiché il peccato è visto soprattutto in riferimento alla persona del Dio santo e giusto, è comprensibile che, tra le varie specie di peccati, l’idolatria, la magia e la bestemmia siano considerati le più gravi.
MANCARE IL BERSAGLIO
La parola “peccato” deriva dal latino peccatum che significa “ceppo ai piedi” o “laccio che lega i piedi”. In greco è hamarthia, “mancare il bersaglio”, cioè credere in Gesù, ma essere privo della capacità di essere salvato.
Nell’Antico Testamento si usano termini che sintetizzano situazioni specifiche e sottolineano, con varie sfumature, l’idea della rottura della relazione con Dio.
La parola più usata è peša’, in cui è presente l’idea di torto recato all’altro oppure la violazione dell’altrui diritto.
La parola esprime anche ribellione contro un superiore e contro i precetti divini.
Il termine kaf’at alla lettera significa “sbagliare il bersaglio” o “mancare il fine”, ma anche l’infedeltà o rottura di un patto.
La parola ‘awon, “iniquità”, esprime il delitto e racchiude l’idea di una deviazione dalla retta via.
Il peccato originale
Con l’espressione “peccato originale” la teologia cattolica intende il peccato di Adamo trasmesso a tutta l’umanità eccetto a Maria, madre di Gesù. Sue conseguenze sono la privazione dello stato di amicizia con Dio e i doni eccezionali – fra i quali quello dell’immortalità – e una vita di miserie e pene. Il primo uomo si presenta come un’opera perfetta, pienamente cosciente della sua superiorità su tutti gli animali e del suo legame con il Dio creatore. In quanto “immagine di Dio”, è colui che può ascoltarne la parola ed entrare in comunione vitale di amore con lui. Il Creatore l’ha dotato di capacità e libertà di scegliere fra l’obbedienza e il rispetto al suo ordine divino da un lato, e la disobbedienza con le sue conseguenze dall’altro. «L’albero delle conoscenze del bene e del male» (Gen 2,17) rappresenta il confine fra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Il primo peccato consiste nell’aver preteso di considerarsi autonomo rispetto al Creatore, decidendo da sé quello che è bene e quello che è male. La rivendicazione di una piena autonomia morale comporta il disconoscimento e la rottura di quel rapporto con Dio che egli stesso, di sua iniziativa, aveva instaurato con l’uomo. Dalla volontà umana di essere autonomi, erigendosi a rivali di Dio, deriva un disorientamento profondo nel rapporto con le autentiche sorgenti della vita, che si concretizza nelle realtà della morte e della sofferenza fisica e morale.
Le conseguenze per l’umanità
Il primo peccato è la causa fondamentale di tutti gli altri peccati, ed è fonte di conseguenze catastrofiche per l’umanità. Dopo il primo peccato l’umanità intraprende la strada della violenza, dell’omicidio, dell’invidia, dell’oppressione e del disordine sessuale. Il primo peccato provoca una frattura all’interno della prima coppia, Adamo ed Eva. Segue l’omicidio compiuto da Caino ai danni del fratello Abele; poi si instaura la legge della vendetta nella prassi di Lamec; dopo il diluvio la radice del male perdura e si manifesta in Cam, che disprezza suo padre; fino al tentativo di dare l’assalto al cielo con la costruzione della torre di Babele. Le depravazioni morali dell’umanità prima del diluvio sono la prova del limite che l’uomo può raggiungere a causa dello squilibrio scaturito dal primo peccato.
«Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi».
(1Giovanni 1,8)
NEL NUOVO TESTAMENTO
Nel Nuovo Testamento non si dà una riflessione autonoma né sistematica sul peccato. Esso viene compreso in relazione a Cristo, che ne è l’oppositore e l’antagonista.
La missione di Gesù è preparata nei Vangeli sinottici dall’annuncio di conversione e dal Battesimo per il perdono dei peccati del Battista. Gesù inizia la sua missione annunciando l’imminenza del Regno e richiedendo come corrispondente l’atteggiamento della conversione. Convertirsi significa aderire a lui, e al contempo implica distacco dall’agire peccaminoso. Gesù si presenta come colui che porta il perdono di Dio per i peccati e richiede la conversione degli stessi: è venuto a chiamare «i peccatori affinché si convertano» (Luca 5,32). Già nei Vangeli delle origini Gesù è presentato come colui che «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Matteo 1,21), che realizza «la remissione dei loro peccati» (Luca 1,77). Il Battista lo addita come «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1,29).
Se vi è un peccato che non può essere rimesso, ciò non è dovuto al suo potere superiore a quello di Cristo, ma alla sua indole, che è rifiuto manifesto e totale di Cristo.
Anche alla morte di Gesù è attribuita una valenza salvifica, ossia di perdono. Paolo asserisce che «Cristo morì per i nostri peccati» (1Corinzi 15,3), ossia per la loro remissione. Nelle tradizioni dell’Ultima cena le parole «per voi» interpretano la morte di Cristo come una morte a vantaggio dei peccatori; Matteo (26,28) lo esplicita ancor più chiaramente, affermando che il sangue di Cristo è «versato per molti in remissione dei peccati».
LA SORGENTE DEL PERDONO
«È proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati».
(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1851)
Soltanto Dio perdona
Dio solo perdona i peccati. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di sé stesso: «Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati» (Marco 2,10) ed esercita questo potere divino: «Ti sono rimessi i tuoi peccati» (Marco 2,5; Luca 7,48). Ancor di più: in virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini, affinché lo esercitino nel suo nome.
Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue.
Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo è affidato il «ministero della riconciliazione» (2Corinzi 5,18). L’apostolo è inviato “nel nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Corinzi 5,20).
Gesù e i peccatori
Proprio per manifestare il suo essere rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, Gesù si pone a fianco di individui emarginati dal sistema religioso del tempo e considerati “peccatori”. Il prender cibo di Gesù con loro è un dato caratteristico dei Vangeli sinottici. Esso suggella, per esempio, la vocazione del pubblicano Levi, contesto nel quale Gesù afferma di non essere venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Fa inoltre sì che Gesù sia riconosciuto loro “amico” (Matteo 11,19). Rende pertanto proprio i peccatori beneficiari privilegiati del Regno.
«Se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato».
(Benedetto XVI)
Il rapporto con la malattia fisica
Altro tratto caratteristico del Regno inaugurato da Cristo è l’opera taumaturgica da lui compiuta. Se si tiene conto del legame, scontato al suo tempo, tra opera demoniaca e malattia fisica, si comprende perché tutte le guarigioni risultino come una vittoria sul maligno. E, data la connessione tra maligno e peccato, la liberazione dalla malattia fisica e la liberazione dal peccato si trovano in stretta relazione tra loro.
Gesù inaugura il Regno di Dio che sconfigge il regno di Satana, e ciò è percepibile sia nella guarigione da malattie sia nella liberazione dal peccato. A volte echeggia nel Nuovo Testamento la convinzione giudaica che la malattia sia segno del castigo divino per un agire sconveniente, ma ciò è solo episodicamente suggerito. È meglio considerare la guarigione fisica come un segno espressivo dell’opera di liberazione integrale della persona, realizzata da Gesù in quanto rappresentante definitivo di Dio e della sua regalità nella storia. Esemplare, al riguardo, l’episodio del paralitico calato dal tetto (Marco 2,1-12), ove la sua guarigione ha la funzione di conferma della prima parola rivoltagli da Gesù: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Marco 2,5).
Una grande varietà
La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La Lettera ai Galati (5,19-21) contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: «Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio».
I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il prossimo o sé stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione.
«Il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato».
(1Giovanni 1,7)
Distinzione tra veniali e mortali
La distinzione tra peccato mortale e veniale, adombrata nella Scrittura, si è imposta nella tradizione della Chiesa. Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore. Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena consapevolezza e totale consenso. Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, della sua opposizione alla legge di Dio. Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. Il peccato mortale ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno.
Si commette un peccato veniale, quando, trattandosi di materia leggera, non si osserva la misura prescritta dalla legge morale, o quando si disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza e senza totale consenso.
Il peccato veniale:
- indebolisce la carità;
- manifesta un affetto disordinato per dei beni creati:
- ostacola i progressi dell’anima nell’esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale;
- merita pene temporali.
Il peccato veniale deliberato e rimasto senza pentimento ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato veniale non rompe l’Alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la grazia di Dio.
Come si genera il vizio
Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.
I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto. Sono chiamati “capitali” perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira, l’accidia.
CONTRO L’AMORE VERO
«Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni».
(Catechismo della Chiesa Cattolica m. 1849)
I PECCATI CAPITALI CHE GENERANO I VIZI
Ø Superbia: il desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, di leggi e del rispetto altrio.
Ø Avarizia: la scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede.
Ø Lussuria: il desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fino a sé stesso.
Ø Invidia: la tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio.
Ø Gola, meglio conosciuta come ingordigia: l’abbandono e l’esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo.
Ø Ira: l’irrefrenabile desiderio di vendicare violentemente un torto subito.
Ø Accidia: il torpore malinconico, l’inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene.
«Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio».
(papa Francesco)