Archive pour le 19 avril, 2014

The empty tomb, the women

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Publié dans:immagini sacre |on 19 avril, 2014 |Pas de commentaires »

MEDITAZIONE SUL SABATO SANTO (2013) – …e già splendevano le luci del sabato (Lc 23, 54).

http://www.diocesinocerasarno.it/2011/vescovo-giuseppe-giudice/documenti/lettere-pastorali/meditazione-sul-sabato-santo-del-vescovo-giuseppe-giudice/

MEDITAZIONE SUL SABATO SANTO DEL VESCOVO GIUSEPPE GIUDICE

† GIUSEPPE, VESCOVO

NOCERA INFERIORE, 30 MARZO 2013, SABATO SANTO

…e già splendevano le luci del sabato (Lc 23, 54).

Mi ha affascinato, ed ho sempre cercato di viverlo intensamente, il Sabato santo perché è il giorno per me che racchiude in sintesi il grande Mistero cristiano e in cui il silenzio diventa, se lo si sa ascoltare con il cuore, lo sfondo per la lettura di ogni vicenda personale.
Sabato santo: il sepolcro è ormai sigillato; la croce è rimasta vuota; il cenacolo non è più la sala della cena, ma è diventato il luogo che racchiude la paura di poveri uomini.
Succede come quando un amore finisce, un’amicizia si lacera, un paese si lascia, sopraggiunge una malattia e una persona cara non c’è più. È Sabato santo e tu cerchi di ricucire i dettagli, di capire, di rielaborare.
Come proiettati su uno schermo, ritornano alla mente i giorni della gioia, dell’amore consumato insieme nella sala grande e addobbata, ma ritornano anche i momenti incomprensibili della passione, le urla, il sangue, le cadute, i chiodi, il pianto della Madre e, al di sopra di tutto e in tutto, il Suo sguardo che cerca, che ti cerca e, guardandoti, ti perdona.
Ora il silenzio avvolge ogni cosa, ogni situazione, ogni umano dolore. Anche la tua vita, è custodita dal canto del silenzio. Un canto nella notte mi ritorna nel cuore e il mio spirito si va interrogando, così il salmista.
Eppure, nonostante tutti questi segni di delusione e scoraggiamento, cogli nell’aria un’attesa, già respiri la Speranza.
La Chiesa, che ami e ti ama immensamente, spoglia e nuda, ti è ancora compagna accanto al sepolcro nuovo di Giuseppe di Arimatea. Ella si fa speranza nel tuo dolore e, mentre ogni cosa sembra scrivere la parola fine, avverti che tutto sta per ricominciare.
Ti accorgi che sono giunti i dolori del parto e si attendono le prime luci dell’alba, quando zampillerà il vino nuovo e si innalzerà un nuovo inno alla vita. Si sente, nelle fibre più nascoste dell’essere, che non tutto può essere già finito.
C’è qualcosa o Qualcuno che induce ancora a sperare. E il dolore diventa amico, perché ti fa piccolo e ti incammina verso il Regno, più povero e più semplice. Il Sabato santo diventa veramente, concretamente, perché lo vivi nella tua carne segnata dalla Passione, il giorno in cui impari a sperare, diventi alunno della Speranza pasquale.
La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza.

La piccola speranza avanza tra le sue grandi sorelle,
ma non le si fa attenzione.
Sulla strada che sale, trascinata,
appesa al braccio delle sue grandi sorelle,
che la tengono per mano,
la piccola speranza avanza.
In realtà è lei che fa camminare le altre due,
e le trascina,
e fa camminare tutti quanti.
…ciò che mi stupisce, dice Dio, è la speranza (Charles Péguy).

Il silenzio del Sabato santo diviene l’ambiente in cui è possibile rileggere i giorni andati e consegnati al Signore. Si comprende come la nostra ora, quella che pesa sul cuore, è inserita nell’ora pasquale di Gesù. Con Lui si può anche gridare verso il Padre, ma alla fine ti accorgi che, come Lui, devi rimetterti nelle sue mani. Umanamente è sempre l’ora della paura, dell’incomprensione, della tristezza e della solitudine. Il Mistero pasquale suppone assurdi umani: il silenzio e la croce. Pasqua è maturità di silenzio e fecondità di croce.
E mai, come nei momenti della sofferenza, senti che tenendo nelle mani l’ostia e il calice, tu compatisci con Lui, sei sacerdote con Lui, nella Chiesa e per tutti.
Si beve al calice e in esso si riflette e si sintetizza l’oscurità del vespro del Venerdì santo e l’alba radiosa di Pasqua.
Vivere il Mistero pasquale, Cristo nostra Pasqua, significa accettare le ore buie, le giornate amare, le incomprensioni, le sconfitte, i perché che bruciano sulle labbra, i limiti fisici come passaggi obbligati, non semplici incidenti, per gli squarci della Risurrezione.
È il doveva accadere che Gesù spiega ai viandanti di Emmaus.
È saper scorgere nel dolore concreto che bussa alla porta un inverno fecondo, che cammina verso primavere impazzite di fiori.
Vuol dire ancora camminare sulla via della croce, quella feriale che percorriamo ogni giorno, sapendoci in compagnia con l’Uomo dei dolori, il Pellegrino che versa olio e vino sulle ferite dell’umanità.
Perché dove l’uomo si rifiuta di toccare il dolore degli altri, non c’è Pasqua. Dove le mani dell’uomo non sono forate per amore dei fratelli, non c’è Pasqua (don Primo Mazzolari).
Ecco donde nasce la speranza del Sabato santo, che ci fa camminare decisamente, indurendo la faccia come Gesù, verso Gerusalemme.

Sabato santo, il tuo chiaror ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo che ne abbraccia le speranze.
…Sabato santo, la tua luce illumina
solo le mani, unica festa, stanche (Carlo Betocchi).

Sono stanche le mani, stanchi i piedi, è stanco il cuore, a volte può succedere. Non vorrei mai stancarmi però di essere un pellegrino del Mistero; di credere, sperare, non senza fatica, non senza pagare di persona, che ogni Croce prepara una Pasqua, ogni Calvario un Tabor, che ogni Notte partorisce un’Aurora.
Sperare ogni giorno significa spezzare con tutti e per tutti il pane della Speranza, della Fede e della Carità.
Nella celebrazione della Veglia pasquale, Madre di tutte le veglie, la Chiesa, popolo allelujante, accende la sua luce al Cero offerto per illuminare l’oscurità della notte. E la sala della Cena si riaccende di luci; la Pietà si rianima perché la Madre ritrova il Figlio; le donne corrono al Sepolcro ormai vuoto; l’Angelo della Risurrezione nel luogo in cui peccavo non mi trova più, perché Egli è Risorto ed io con Lui, e le prime luci dell’alba diradano le tenebre dal cuore di ogni uomo.
Allora sperare non significa più dire ormai, ma nonostante, ed allora, solo allora è Pasqua!

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI – VENERAZIONE DELLA SANTA SINDONE – « ICONA DEL SABATO SANTO »

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20100502_meditazione-torino_it.html

VISITA PASTORALE A TORINO

VENERAZIONE DELLA SANTA SINDONE – « ICONA DEL SABATO SANTO »

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Domenica, 2 maggio 2010

Cari amici,

questo è per me un momento molto atteso. In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.
Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di san Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.
Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.
Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.
E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale.
In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.
Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati – “Passio Christi. Passio hominis” -, da questo volto promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.
Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, Sindone (la) |on 19 avril, 2014 |Pas de commentaires »

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