Archive pour le 14 avril, 2014

Passion of Our Lord

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MARIA PRESSO LA CROCE NELLA CHIESA BIZANTINA

http://www.csscro.it/studi/spiritua0705.htm

MARIA PRESSO LA CROCE NELLA CHIESA BIZANTINA

Sommario

1. Presenza di Maria ai piedi della croce nelle celebrazioni del venerdì santo.
2. La compassione di Maria nei giorni festivi della croce.
3. Presenza della croce nell’ufficio giornaliero.
4. Presenza di Maria presso la croce nei giorni settimanali del mercoledì e del venerdì.
5. Importanza del tema della compassione e il suo senso.
6. Bibliografia

Il tema giovanneo di Maria ai piedi della croce (cfr Gv 19, 25-27), ricorre spesso nella liturgia bizantina. L’evento, fortemente messo in rilievo nella celebrazione liturgica del venerdì santo, trova anche posto nelle numerose feste della croce e nel ricordo che se ne fa nelle commemorazioni liturgiche settimanali non solo del mercoledì e del venerdì, ma anche il giorno di domenica, come risulta dalla copiosa innografia presente nei libri liturgici bizantini. Questa abbondante presenza di Maria ai piedi della croce spiega il fatto che la liturgia bizantina non ha provato il bisogno di istituire una festa specifica della compassione di Maria e dell’Addolorata, come invece è stato fatto nella liturgia latina.

1. Presenza di Maria ai piedi della croce nelle celebrazioni del venerdì santo 1
La liturgia del venerdì santo segue da vicino tutti gli eventi che hanno contrassegnato la vita del Salvatore, li commenta, li celebra e canta con inni di rara bellezza, attinti ai diversi generi dell’innografia greca e dovuti a melodi, ossia autori insieme poeti e teologi. L’inno tipico del giorno è quello che si canta davanti alla croce dopo la proclamazione della quinta pericope evangelica: Oggi è appeso al legno colui che ha sospeso la terra sulle acque. E’ cinto di una corona di spine il Re degli angeli. Di una falsa porpora è rivestito colui che avvolge il cielo di nubi. È schiaffeggiato colui che ha liberato Adamo nel Giordano. È confitto con chiodi lo Sposo della Chiesa. È trafitto di lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo i tuoi patimenti o Cristo. Mostraci anche la tua risurrezione 2. Il canto, proclamato ad alta voce davanti al crocifisso, parla di Gesù come del « Figlio della Vergine », suggerito dalla pericope giovannea letta per ben due volte in questo giorno.
Una delle antifone, costituita da un stavrotheotokion, evoca così la presenza di Maria ai piedi della croce: Vedendoti appeso alla croce, o Cristo, la Madre tua gridava: ‘Quale mistero strano io contemplo, o Figlio mio? Come puoi morire, con la tua carne confitta al legno, tu che sei l’elargitore della vita’ 3?
Nel corso della celebrazione si legge un famoso inno di Romano il Melode, detto Kondakion di Maria ai piedi della croce. Nell’inno, che può essere chiamato dell’Addolorata, Maria vi è paragonata all’Agnella che segue l’Agnello destinato al macello, come si può leggere nella prima stanza dell’inno: Maria, l’Agnella, alla vista del proprio Agnello trascinato al macello, seguiva afflitta con le altre donne, e gridava: ‘Dove vai, Figlio? Per quale ragione corri con tanta premura? Si celebrano forse altre nozze a Cana, e ora tu ti affretti, per mutarvi per loro l’acqua in vino? Posso accompagnarti, Figlio? O piuttosto, meglio è aspettarti? Dimmi una parola, Verbo, non passare davanti a me in silenzio, tu che mi hai conservata pura, Figlio e Dio mio’ 4!
L’inno prosegue descrivendo Maria che non sa spiegarsi perché si sia pervenuti a tanto dopo il non lontano trionfo delle palme (str. 2); pesa per di più sull’anima di Maria la fuga dei discepoli (str. 3). Gesù prende la parola per spie­gare che egli doveva riscattare quanti erano nell’Ade (str. 4) e chiede alla Madre di non far impallidire il suo bel nome di Piena di grazia (str. 5), e di accettare il sacrificio che lui stesso si assume per la salvezza del mondo (str. 6). Maria insiste, mostrando l’impossibilità in cui si trova di capire che egli per questo debba morire (str. 7-8). Gesù le rivela allora che Adamo ed Eva erano gravemente malati e attendevano di essere liberati (str. 9-10). Ma il cuore di Maria non ne è rasserenato (str. 11) ed ella chiede al Figlio di lasciarsi ancora vedere nel futuro (str. 11). Gesù le promette che sarà lei la prima a vederlo (str. 12-14). Maria cede alle parole del Figlio e gli esprime il suo fermo proposito di non staccarsi da lui sino alla morte (str. 15). Gesù, a sua volta, accetta che la Madre lo accompagni, ma la sollecita a mostrarsi forte di animo (str. 16). L’ultima strofa contiene la consueta preghiera di chiusura (str. 17), particolarmente bella e sugge­stiva.
Il tema della compassione mariana è di nuovo rievocato in alcune strofe, dette Stichirà, che si cantano tra i versetti dei Salmi di Lodi, dopo la IX pericope evangelica (Gv 19, 25-37). L’autore anonimo mette in un raro rilievo i sentimenti che prova Maria a vedere il Figlio appeso al legno come un malfattore: Quando tu fosti crocifisso, o Cristo, tutto il creato vide e tremò. Le fondamenta della terra furono sconvolte dal timore della tua potenza. Oggi, alla tua esaltazione sulla croce, precipitò nella rovina il popolo ebreo. Il velo del tempio si divise in due. Si aprirono le tombe, i morti risuscitarono dai sepolcri. Il centurione vide il prodigio e tremò; ma la Madre tua, stando presso la croce, esclamava, gemendo maternamen­te: ‘Come potrei non piangere e non battermi il petto, vedendoti nudo, appeso al legno come un condannato’! O Signore crocifisso e risorto dai morti, gloria a te 5!
Il tema della compassione di Maria si prolunga anche sul sabato santo, giorno contrassegnato da una vera celebrazione funebre, accompagnata da una rappresentazione e dal canto di elogi funebri, nei quali si mettono anche in bocca a Maria parole come queste:
La Pura effondeva lamenti e lacrime di madre su di te, o Gesù, e gridava: Figlio, come potrò seppellirti?
L’Agnella, vedendo morto il suo Agnello, oppressa dal dolore, gemeva, commovendo tutto il gregge a gridare con lei.
Sola fra le donne, o Figlio, ti ho dato alla luce senza dolore, ma ora soffro doglie insopportabili, come di partoriente, gridava la Santa.
Sono orribilmente ferita, le mie viscere sono dilaniate, o Verbo, vedendo la tua ingiusta uccisione, diceva la tutta pura, facendo il compianto.
Il sabato santo si canta anche una lunga composizione innografica detta Canone, la cui nona Ode è attribuita a Cosma di Maiuma (+ c. 751); nella strofa iniziale Cristo invita la Madre a non piangere: Non piangere per me, o Madre, vedendo nella tomba il Figlio che senza seme hai concepito nel tuo seno. Risorgerò, infatti, e sarò glorificato e innalzerò nella gloria incessantemente coloro che ti esaltano con fede e con amore, perché io sono Dio! Maria risponde: Alla tua nascita straordinaria, ho sfuggito le doglie e sono stata soprannaturalmente beata, o Figlio che non hai principio; ma ora, vedendoti morto, Dio mio, senza respiro, sono orribilmente dilaniata dalla spada del dolore; risorgi, dunque, perché io possa essere detta beata 6.

2. La compassione di Maria nei giorni festivi della croce
La liturgia bizantina commemora la croce, cuore e simbolo della redenzione operata da Cristo, e la festeggia in quattro diverse occasioni più o meno solenni: la prima ricorre il 14 settembre e viene chiamata Esaltazione universale della venerata e vivificante croce; la seconda, celebrata il 7 maggio, ne commemora l’apparizione in cielo a Gerusalemme, sotto l’imperatore Costanzo, figlio di Costantino Magno nel 351; la terza ricorre il primo agosto con una processione penitenziale; la quarta infine ricorre la terza domenica di quaresima. I testi liturgici, dovuti ai grandi melodi del primo millennio, evocano spesso il tema della presenza di Maria ai piedi della croce e quello della sua compassione. Maria manifesta profondo dolore: ‘Quando ti ho messo al mondo, o Figlio, io non ebbi nessun dolore. Ora invece come è che sono piena di dolori? Vedo difatti appeso alla croce come un malfattore te che sospendi la terra sul nulla’, disse la Tuttasanta in lacrime. Essa si chiede perché deve vedere il Figlio appeso alla croce: ‘Ti vedo ora come un agnello senza macchia appeso alla croce, o Figlio mio che sei prima dei secoli, e sono soffocata dal dolore e la pena mi strangola’, diceva la Tutta pura. Noi con voci che non si stancano a lei inneggiamo con pietà in tutti i secoli 7.
Durante la processione che segue la divina liturgia eucaristica, si canta in conclusione di una serie di strofe il seguente Stavrotheotokion: In questo giorno l’inaccessibile Signore si rende a me accessibile, e patisce la passione per affrancarmi dalle mie passioni; colui che restituisce ai ciechi la vista riceve sputi da labbra impure e si lascia flagellare per liberare i prigionieri. La Vergine, sua madre, vedendolo sulla croce, gli dice fra gemiti: ‘Ohimè, o Figlio amatissimo, tu che sorpassi ogni mortale per la tua bellezza, eccoti senza fascino, senza grazia e senza vita. Ohimè, o luce dei miei occhi, una spada trafigge il mio cuore e le mie viscere soffrono di vederti così. Io celebro e inneggio alla tua Passione, adoro la tua misericordia infinita, Signore longanime, gloria a te’ 8.
Durante l’adorazione della Croce si canta, fra l’altro, il seguente inno che porta il nome dell’imperatore Leone VI (886-916): Oggi l’inaccessibile per essenza si rende accessibile per me, subisce la passione per liberarmi dalle passioni. Colui che restituisce la vista ai ciechi vede il suo volto insozzato dagli sputi di labbra empie, e offre il dorso alla flagellazione. La Madre vergine immacolata, vedendolo appeso alla croce, disse con lamenti: ‘Ahimè, Figlio mio! Cosa hai fatto per questo, tu che sei il più bello fra i mortali, tu appari senza soffio né forma né bellezza. Ahimè, o mia luce, io non posso vederti senza vita. Le mie viscere sono dilaniate e la terribile spada trafigge il mio cuore. Io inneggio però ai tuoi patimenti, adoro la tua misericordia. Signore longanime, gloria a te’ 9!

3. Presenza della croce nell’ufficio giornaliero
Per santificare le 24 ore del giorno e della notte i Bizantini hanno creato un fitto cursus di preghiere giornaliere, che, pur partendo dal numero settenario, lo ha sorpassato. Attualmente il cursus comprende: Vespro, Compieta, Mezzanotte, Mattutino (l’equivalente dei tre Notturni e delle Lodi latine), Prima, Terza, Sesta, Nona. Di più, in Quaresima: una Mesoria dell’ora Prima, Terza, Sesta e Nona, i Tipici che prendono il posto della divina liturgia nei giorni aliturgici, e la Grande Compieta.
A ciascuna di queste Ore è stato assegnato un significato tratto per lo più dalla vita di Cristo. Per i cristiani la preghiera di lode al sorgere del sole celebra la risurrezione gloriosa di Cristo, mentre l’ufficio dei Vespri, al declinare del giorno, ricorda la deposizione dalla croce e la sepoltura per il riposo sabatico del Signore al quale ogni cristiano è associato con la morte. La Tradizione apostolica ricollega le Piccole Ore ai momenti principali della Passione di Cristo: crocifissione a terza, tenebre sul mondo a sesta, morte di Gesù a nona; le tracce di questa interpretazione si ritrovano nei diversi riti orientali.
I tropari, recitati giornalmente in ciascuna di queste Ore, riflettono il senso assegnato a ciascuna. L’Ora Nona, che rievoca la morte di Cristo sulla croce, ha il seguente Stavrotheotokion che evoca la compassione di Maria: La Madre, alla vista dell’Agnello e Pastore e Salvatore del mondo appeso alla croce, diceva lacrimando: ‘Il mondo si rallegra per la salvezza ricevuta, ma le mie viscere bruciano alla vista della crocifissione che tu sopporti per tutti, Figlio e Dio mio’ 10!

4. Presenza di Maria presso la croce nei giorni settimanali del mercoledì e del venerdì
I cristiani, adottando il ritmo della settimana ebraica, dettero a ciascuno dei suoi giorni un nuovo contenuto: ciò si riflette nel culto liturgico di tutte le Chiese orientali, specie bizantina. L’organizzazione liturgica della settimana privilegiò ben presto quattro giorni: la domenica, il mercoledì, il venerdì e il sabato. In seguito la liturgia bizantina ha assegnato a ciascun giorno le seguenti memorie: domenica, la risurrezione; lunedì, gli Angeli; martedì, Giovanni Battista; il mercoledì, la croce e la Madre di Dio; il giovedì, gli Apostoli e san Nicola; il venerdì, di nuovo la croce; il sabato, i defunti e tutti i santi.
Il mercoledì e il venerdì, particolarmente consacrati alla croce, vengono messi in rilievo con molti inni, detti Stavrotheotokia, che mettono in grande luce le sofferenze della Madre per il Figlio ingiustamente crocifisso, e più di una volta gli chiede di non lasciarla sola e senza figli: Contemplando, o Cristo, la tua iniqua uccisione, la Vergine gemendo ti gridava: ‘Figlio dolcissimo, come mai ingiustamente soffri, come mai sei appeso sul legno, tu che hai sospeso tutta la terra sulle acque? O misericordiosissimo Benefattore, ti prego, non lasciare sola me, la tua Madre e tua serva’ 11. In molti inni ricorre il tema dell’Agnella e dell’Agnello: L’immacolata Agnella, contemplando morto sul legno l’Agnello e Pastore, in lacrime gridava, maternamente gemendo: ‘Come celebrerò, Figlio mio, la tua inesprimibile condiscendenza e il volontario soffrire, o Dio sommamente buono’ 12? Altri testi evocano la spada profetizzata da Simeone, come in questo attribuito a Giuseppe l’Innografo, poeta siculo: Una spada ti ferì, o Purissima, quando mirasti la passione del Figlio tuo: contemplando lui trafitto da una lancia e pensando alla spada che, sulle porte del paradiso, impediva il divino adito ai fedeli. Giuseppe mette anche in bocca a Maria il seguente grido: O Fanciulla, che in modo ineffabile hai partorito il Verbo amico degli uomini, vedendolo spontaneamente soffrire sopra le forze dell’uomo, gridavi: ‘Che è questo? L’Impassibile Dio si sottomette alla passione, a fin di sottrarre alle passioni coloro che fedelmente l’adorano’ 13! Un altro innografo mette in bocca a Maria: L’immacolata Agnella, vedendo in croce come agnello sgozzato l’Agnello e Pastore, levava acute grida e lamentando diceva: ‘O temeraria audacia degli Ebrei omicidi! O tua divina longanimità, Figlio mio! perché volontariamente soffri’ 14.

5. Importanza del tema della compassione e il suo senso
Il tema di Maria ai piedi della croce può anche essere della compassione di Maria. Quest’ultimo nome non si trova tale quale nei testi liturgici descritti sopra, ma si ritrova in un testo di Giovanni Damasceno e è stato ripreso dal Vaticano II nel capitolo VIII della Lumen Gentium. Il testo del Damasceno, tratto dal suo Trattato sulla fede ortodossa, così si esprime:
Ma ella, beata e stimata degna dei doni al di sopra della natura, quei dolori a cui era sfuggita nel partorire invece li subì al tempo della passione, soffrendo la lacerazione delle sue viscere a causa della sua compassione materna. E, vedendo uccidere come un malfattore colui che, nel generarlo, ella aveva conosciuto come Dio, fu lacerata dai suoi pensieri come da una spada: infatti questo significa ‘una spada trafiggerà la tua anima’. Ma poi il dolore è trasformato dalla gioia della risurrezione, la quale annunzia come Dio colui che era morto nella carne (De fide orthodoxa, IV, 14: PG 94, 1920) 15.
Il termine greco reso con compassione è quello di sympatheia; il Damasceno parla di sympatheia splachnon, che si può tradurre compassione delle viscere, o anche del cuore. In un altro capitolo del suo trattato, il Damasceno vede nella compassione una specie di afflizione causata dal male che proviene dagli altri 16.
I sentimenti di Maria davanti alla passione del Figlio sono paragonati a quelli dell’agnella di fronte alle sofferenze del suo agnello. Il nome di Agnella dato a Maria è molto antico e lo si incontra per la prima volta nell’Omelia sulla Pasqua di Melitone, vescovo di Sardi in Asia Minore, morto dopo l’anno 180. Egli parla della kale amnas, la bella agnella da cui nacque l’agnello muto, l’agnello sgozzato, che fu preso dal gregge e trascinato all’immolazione 17. Nel secolo V Proclo di Costantinopoli (+ 446) usa il termine in contesto dell’incarnazione e parla spesso della « agnella da cui nacque l’agnello ». A sua volta nel secolo VI Romano il Melode (+ ca. 560), nel suo inno di Maria ai piedi della croce, riprende a suo conto questo nome di Agnella in contesto della passione applicandolo a Maria che piange il Figlio chiamato Agnello. Gli autori posteriori riprenderanno spesso questi nomi, come si può vedere dai non pochi testi che abbiamo citato sopra.
Non sfugge a nessuno l’origine biblica di questo nome: esso trae origine dal tema biblico del Messia-vittima, o del Messia-redentore. Giovanni Battista, mostrando col dito Gesù e dicendo: Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29), identifica l’immagine biblica con la sua realizzazione storica nella persona di Gesù. L’immagine fu estesa in modo del tutto naturale anche alla sua Madre che prese il nome di Agnella.
Gli autori dei testi che parlano della compassione di Maria, vedono nelle sofferenze patite in occasione della passione del Figlio la realizzazione della profezia della spada di Simeone. Questa interpretazione, confermata da Giovanni Damasceno citato sopra, prende le distanze da alcuni rari padri o scrittori ecclesiastici, come Origene, Cirillo di Alessandria e altri, che avevano interpretato la spada promessa come spada del dubbio, frutto di una crisi di fede di Maria, di scandalo o di incredulità davanti all’apparente fallimento del Figlio nella passione e nella morte. Ciò facendo, la liturgia corregge il tiro e propone la visione tradizionale della Chiesa, la quale esclude ogni veduta personale e sintonizza l’anima dei fedeli sulle grandi verità della fede ad esclusione di ogni interpretazione personale eccessiva.
In molti testi Maria viene consolata dal Figlio con la promessa della sua propria risurrezione e con quella della glorificazione della propria Madre. Promessa di gioia spesso accompagnata dalla certezza di vedere per primo il Figlio risuscitato. Il fatto, è vero, non trova alcun riscontro nei Vangeli, anche se la cosa non è inverosimile. Il libro degli Atti infatti attesta che Maria, all’indomani dell’ascensione, si trovava in mezzo agli apostoli in attesa dello Spirito Santo. Non stupisce quindi l’apparizione nella Chiesa di una tradizione che vuole che la Madre di Dio sia stata la prima a conoscere la notizia della risurrezione tramite o un angelo, o dalla stessa bocca del Figlio risuscitato che le sarebbe apparso dal primo istante della sua uscita dal sepolcro. Le due versioni hanno trovato posto nella liturgia pasquale bizantina.
Alla prima di queste versioni, che parla di un messaggio dell’angelo Gabriele, si riferisce ad esempio il seguente Megalinario cantato con l’Inno della IX Ode del Canone di Pasqua di Giovanni Damasceno: L’Angelo gridò alla Piena di grazia: ‘Rallegrati, o Vergine! Ripeto: Rallegrati: Il tuo Figlio è risorto dal sepolcro il terzo giorno! Illuminati, illuminati, o nuova Gerusalemme: la gloria del Signore è sorta sopra di te! Intreccia danze ed esulta ora, o Sion! E tu, o pura Madre di Dio, rallegrati nella risurrezione di tuo Figlio’ 18!
L’inno di Romano, invece: Maria ai piedi della croce, citato sopra, si basa sulla seconda versione e mette in bocca dello stesso Cristo agonizzante questa promessa alla Madre: Coraggio, Madre, sarai tu la prima a vedermi all’uscita dal sepolcro. Verrò a mostrarti da quante afflizioni avrò liberato Adamo, e quanti sudori avrò sopportato per amor suo. Mostrerò agli amici le testimonianze dei segni nelle mie mani; e allora vedrai, o Madre, Eva viva come era prima, e griderai di gioia: Ha salvato i miei antenati, il Figlio e Dio mio 19.
I testi liturgici che parlano della gioia di Maria per la risurrezione del Figlio sono numerosi, alcuni dei quali non portano nome di autore. Il più conosciuto di questi è un Apolitikion domenicale del sesto modo, tratto dal libro liturgico dell’Ottoeco, che viene quindi cantato a cadenza regolare nel corso dell’anno. L’anonimo Autore così si rivolge al Cristo risorto: Le Potenze angeliche vennero al tuo sepolcro e i custodi ne furono tramortiti. Maria invece stava presso il sepolcro in cerca del tuo immacolato corpo. Hai predato l’inferno e non fosti la sua preda, sei andato incontro alla Vergine, elargendo la vita. O Signore, risorto dai morti, gloria a te 20!
La convinzione dell’apparizione del Risorto alla Madre e l’invito alla gioia riecheggiano ancora nel Canone della Madre di Dio che si canta nella domenica detta delle Mirofore, la seconda dopo Pasqua, e che si ripete nelle tre domeniche successive. Ne è autore san Teofane Grapto, un poeta di origine palestinese. Una strofa della prima Ode così canta, rivolta a Maria: Avendo visto risorto il tuo Figlio e Dio, tu ti rallegri con gli Apostoli e tu ricevi per prima il saluto della gioia, essendo stata tu la causa della gioia universale 21.
La stessa convinzione traspare dalla seguente strofa della quarta Ode: O Casta, che sei la più bella e casta tra le donne, alla vista oggi di tuo Figlio risorto dai morti e splendente di bellezza per la salvezza di tutti rallegrati e glorificalo insieme con gli Apostoli 22.
Un’altra strofa, rivolta allo stesso Risorto, stabilisce un parallelo tra la verginità di Maria e l’uscita di Cristo dal sepolcro: Tu non hai aperto le porte chiuse della Vergine nell’incarnarti né hai rotto i sigilli del sepolcro, o Re del creato. Per cui vedendoti risorto, la Madre fu colmata di gioia.
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Note – 1 I testi liturgici della Santa e Grande Settimana si trovano nel libro liturgico greco chiamato Triodion. L’edizione che sarà qui di seguito citata è quella cattolica stampata a Roma nel 1879. I testi della Settimana Santa esistono anche in edizione separata, una delle quali esiste in traduzione italiana fatta da M. Gallo, Liturgia orientale della Settimana Santa, 2 voll., Città Nuova, Roma 1974. Si tratta di un lavoro eccellente che non mancherà di essere citato in seguito. Molti altri inni si trovano tradotti in Testi mariani del I millennio, 4 voll., Roma 1988-1991, in seguito così abbreviati TMPM, I-IV. – 2 Triodion, 673. – 3 Ib. – 4 Testo greco in Triodion, 676. – 5 Triodion, 678. – 6 Testo greco in Triodion, 733; tr. it. di M. Gallo, o. c., 166-167; TMPM, II, 599-600. – 7 Testo greco in Menea, VI, Roma 1901, 280 ss. – 8 Ib., 290. – 9 Testo greco in Triodion, 363. – 10 Testo greco in Horologion, Roma. – 11 Testo greco in Parakletike, Roma 1885, 49. – 12 Ib., 50-51. – 13 Ib., 51-59 passim. – 14 Ib., 74-75. – 15 La versione qui proposta è quella di V. Fazzo, Giovanni Damasceno. La fede ortodossa. Città Nuova, Roma 1998, 278. – 16 Cfr Fazzo, o. c., 127. – 17 TMPM, I, 151. – 18 Testo greco in Pentecostario, Roma 1883, 11. – 19 TMPM, I, 725. – 20 Testo greco in Parakletike, Roma 1885, 452. – 21 Testo greco in Pentekostario, Roma 1883, 94. – 22 Ib., 98.

INNI DELLA SETTIMANA SANTA: “VEXILLA REGIS PRODEUNT”

http://tuespetrus.wordpress.com/2010/03/29/inni-della-settimana-santa-vexilla-regis-prodeunt/

INNI DELLA SETTIMANA SANTA: “VEXILLA REGIS PRODEUNT”

(link al testo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Vexilla_regis )

29 MARZO 2010

di Inos Biffi

Incominciano con la Settimana Santa i giorni della prolungata e appassionata contemplazione della Croce. Vi risuona, in particolare, il grande inno del Vexilla Regis. L’autore, Venanzio Fortunato – nato a Valdobbiadene (530/540) e morto vescovo di Poitiers (600/610) -, viene considerato come « il creatore della mistica simbolica della Croce, di cui più tardi si faranno cantori ispirati san Bonaventura o Iacopone da Todi » (Henry Spitzmuller).
La composizione, in dimetri giambici acatalettici, fu cantata la prima volta a Poitiers, nel 568, in occasione della deposizione di un frammento della Santa Croce nella chiesa del monastero a essa dedicata, retto dall’abbadessa Radegonda, che aveva ricevuto quel frammento dall’imperatore Giustino ii.
I versi, pur non privi di qualche enfasi e retorica, sono animati da una fede ardente e pervasi da una profonda ispirazione. E a emergere subito con chiarezza è il senso salvifico della Croce, insieme dolorosa e gloriosa.
Al nostro giudizio terreno, la croce appare un ignominioso strumento di morte, un orrendo marchio di infamia, un segno di insensatezza e di impotenza. Qui, invece, la Croce è esaltata come « il vessillo del Re » (vexilla Regis), come « un luminoso mistero » (fulget Crucis mysterium).
Il pensiero va alla « Parola della Croce », di cui parla Paolo, la quale è « stoltezza per quelli che si perdono », ma « potenza di Dio » « per quelli che si salvano ». « I Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza – dichiara l’apostolo – noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani » (cfr. 1 Corinzi, 1, 18ss). La Croce, dal profilo umano, è quanto di più debole e ignobile si possa pensare; e, pure, Dio l’ha scelta per manifestare la sua sapienza e la sua potenza. Dio ha scelto quel legno funesto come il trono della regalità del suo Figlio.
Pilato credeva di irridere Gesù, presentandolo con una « corona di spine » e con addosso « un mantello di porpora » (Giovanni, 19, 5); in realtà, non faceva che esprimere il sorprendente disegno di Dio, che dall’eternità aveva predestinato come Re dell’universo il Crocifisso risorto e come esemplare dell’uomo l’umanità gloriosa del Figlio morto sulla Croce.
Sorprendentemente, sulla Croce non falliva, ma al contrario, di là da ogni ragionevole attesa, si compiva e aveva successo esattamente la scelta divina, presente da sempre nel cuore della Trinità. A Dante, che contemplava estatico la « luce eterna », parve di intravvedere dipinta nel « lume riflesso », il Verbo, la « nostra effigie » (Paradiso, 33, 131): ossia il mistero dell’Incarnazione. Potremmo precisare: in quel « lume riflesso », era impresso il mistero della passione e della risurrezione del Signore, o il Crocifisso glorioso.
La regalità del Risorto da morte – per il quale tutto era stato ed era voluto – non si giustappose, infatti, a riparare un imprevisto divino, dovuto all’uomo, ma era la ragione per la quale tutto da principio era stato creato. Per questo Venanzio Fortunato può avviare felicemente il suo inno, cantando la luce che risiede e promana dal mistero della Croce.
Al patibolo – prosegue il poeta, fissando il suo sguardo pietoso sui particolari di quella crocifissione – è appeso il corpo del « Creatore del mondo »: « Straziato nelle carni / con le mani e i piedi trapassati dai chiodi / vi si è immolato come vittima del nostro riscatto » (redemptionis gratia / hic immolata est hostia).
Poi viene « il colpo di lancia crudele », che « squarcia il suo fianco » (Quo vulneratus insuper / mucrone diræ lanceæ): ne « fluisce sangue e acqua », come da fonte « che lava ogni crimine » (ut nos lavaret crimine / manavit unda, sanguine). Sul fatto si era soffermata l’attenzione dell’evangelista Giovanni, che lo attesta con speciale autorevolezza: la tradizione cristiana vi lesse un evento ricco di simboli: dal Crocifisso, vero Agnello pasquale, scaturisce lo Spirito, e sgorgano i sacramenti, in particolare il lavacro battesimale e il sangue eucaristico.
Lo sguardo è quindi rivolto all’albero della Croce, di cui è elogiata, con profusione un po’ barocca di immagini, la luminosità, il pregio, il profumo, la dolcezza e la fecondità.
In apparenza è uno squallido legno; in realtà è un « albero rivestito di bellezza e di fulgore », « adorno del sangue come di porpora regale » (Arbor decora et fulgida / ornata regis purpura), « scelto tra tutti per essere il tronco degno / di portare membra tanto sante » (electa, digno stipite / tam sancta membra tangere!). Un « albero beato, sulle cui braccia aperte / fu sospeso il prezzo della redenzione del mondo » (Beata, cuius bracchiis / pretium pependit sæculi!), simile a « bilancia », su cui venne pesato il corpo di Cristo, e che strappò la preda all’inferno. Un albero che emana un profumo soave, e stilla una dolcezza più gustosa del miele, e su cui maturano frutti copiosi.
Segue, a conclusione, il solenne saluto alla Croce, e alla Vittima su di essa sacrificata come sopra un altare: luogo dove la Vita sopporta la morte, e la morte elargisce la vita: « Salve, Croce adorabile! / Su questo altare muore / la Vita e morendo ridona / agli uomini la vita » (Salve ara, salve victima / de passionis gloria / qua Vita mortem pertulit / et morte vitam reddidit).
È il paradosso del progetto salvifico: sperimentata dal Figlio di Dio, la morte diviene sorgente di vita: l’onnipotenza divina mirabilmente trasforma uno strumento di rovina in mezzo di redenzione.
« Salve, Croce adorabile – ripete con slancio rinnovato il poeta – sola nostra speranza! » (O crux, ave spes unica); « Concedi perdono ai colpevoli / accresci nei giusti la grazia » (piis adauge gratiam / reisque dona veniam).
Quando apparve il contenuto del « mistero nascosto da secoli e da generazioni » (Colossesi, 1, 26), si rivelò come la gloria del Crocifisso, e come la regalità di Cristo sul trono della Croce. Gesù stesso aveva dichiarato che, una volta innalzato, avrebbe tratto tutto a sé (cfr. Giovanni, 12, 32). E, infatti, tutte le creature, quelle del cielo e quelle della terra, portano l’impronta di Gesù risuscitato da morte, essendo state progettate dal Padre fin dall’origine a sua immagine. « Sul legno avviene la regalità di Dio », canta un verso splendido di Venanzio (Regnavit a ligno Deus).
Non stupisce, allora, che san Massimo di Torino, con esegesi fantasiosa e, pure, acuta e suggestiva, abbia ricercato e rinvenuto « il sacramento della Croce » e la presenza del suo segno nell’intero universo: nella « vela sospesa del marinaio all’albero », nella « struttura dell’aratro, con il suo dentale, i suoi orecchi e il manico », nella disposizione « del cielo in quattro parti », nella « posizione dell’uomo quando innalza le mani »: « Da questo segno del Signore è solcato il mare, è coltivata la terra, è governato il cielo, sono salvati gli uomini ».
Tutto il mistero che ci avvolge è racchiuso nel Crocifisso glorioso. Tutta la nostra aspirazione è di poterlo comprendere, per poter vivere.

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