L’INFINITO OLTRE LA SIEPE (…Giacomo Leopardi)
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L’INFINITO OLTRE LA SIEPE
15 SETTEMBRE 2013
Mi risuona alla mente, come canto del cuore, “L’infinito” che Leopardi compone nel settembre del 1819. In questo delicato idillio il poeta dipinge, con contenuta dolcezza, il puro ritmo dell’immensità percepito e accolto da un animo illeso che contempla lo scorrere e il mutare di un mondo infinito.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Oltre la siepe c’è l’infinito nella sua misteriosa immensità. Oltre l’orizzonte vive l’universo nella sua imperscrutabile varietà. Siepe e orizzonte delimitano lo sguardo umano. Fissare il cielo, amplificare l’orizzonte, aprirsi all’infinito, tuffarsi nell’immenso: ecco il segreto dell’uomo che vuole realizzare se stesso vivendo nello spazio del tempo proiettato oltre la siepe, aldilà dell’orizzonte. La vera grandezza dell’uomo è collegata alla sua innata capacità di aprirsi all’infinità degli spazi cosmici e lasciarsene catturare.
Come gli alberi, che con le radici succhiano la linfa dal cuore della terra e con i rami protesi verso l’alto bevono il sole dal cielo, così l’uomo che cammina sulla terra spazia con lo sguardo della sua intelligenza oltre i vasti orizzonti del cosmo e del mistero. Arroccarsi nel proprio “piccolo mondo antico”, ma più che “antico”, “vecchio”, lì dove si trovano le inconsistenti sicurezze di una realtà che non è o non è più, fa vivere in un’apparente e fragile stabilità. Ciò può essere comodo, ma non costruttivo di una storia in perpetua evoluzione.
All’uomo spesso manca la capacità di quest’ampio sguardo che si proietta sull’eterno infinito ed è per questo che egli non si rende conto che la creazione è “bella e buona” proprio perché è infinitamente varia negli orizzonti, nelle prospettive, nei colori, nei sapori, negli odori, nei suoni e in tutte quelle straordinarie espressioni che la rendono sinfonicamente affascinante e armoniosamente variegata, nonostante la siepe e l’orizzonte.
La figura di Leopardi è la più alta testimonianza della crisi religiosa dell’uomo moderno. Le sue opere sono l’espressione poetica più raffinata di questa crisi fatta di solitudine e di aspirazione a una felicità che pare non trovi sbocco alcuno. Proprio all’interno di questa crisi, acutamente percepita e mai superata, la poesia di Leopardi s’illumina di una sua particolare religiosità. Certo non è la profonda e robusta fede cristiana del Manzoni, ma, in quel dolce naufragare nell’infinito, ritengo che il poeta superi l’infinita vanità del tutto. E il rifiuto della fede, che per lui è protesta contro la falsa immagine di Dio, diventa provocazione allo stesso Dio affinché si riveli e parli. Il Dio del poeta, identificato all’inizio della sua esperienza religiosa con la “diva Natura”, col trascorrere degli anni si trasformò in una sorta di potere malvagio che vuole l’infelicità dell’uomo condannandolo alla morte. Questo suo sofferto “credo” nasce dall’ambiente familiare che respira, dagli studi e dalle letture che assimila, dal contatto con una sorta di fede cristiana che per lui è senza vita e senza forza. Leopardi aspira a un’esperienza religiosa più pura e più vera. Con la sua poesia raffigura quell’uomo moderno che lotta contro Dio e, allo stesso tempo, non può fare a meno di Lui. Al poeta, evidentemente, manca il vero volto di Dio rivelatosi in Cristo.
Nel canto idilliaco L’Infinito, Leopardi trascrive, con sobria dolcezza e interiore energia, i ritmi dell’immensità attraverso il vento che stormisce tra le piante, che percuote e risuona come eco di fremiti infiniti, che dà l’idea dello scorrere del tempo nella quiete dello spazio dove avvengono le vicende degli uomini e del cosmo.
Prima d’immergersi nel pensiero dell’infinito, Leopardi volge lo sguardo sull’idea corporea dello spazio per coglierne il musicale di un’armonia senza fine che sgorga dagli sguardi del suo cuore di poeta. Se la siepe gli impedisce la visione della curva estrema del cielo, sedendo e mirando il suo pensiero lo proietta aldilà di quella stessa siepe fino a intravedere, ammirato, interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete.
Visione e ascolto si armonizzano così nello scorrere del tempo: la visione è lo spazio infinito, l’ascolto è il suono del silenzio celeste e arcano. Spazio e silenzio immergono il poeta in quella pace intima che quasi lo spaura: gli manca, infatti, il salto di fede dall’infinito cosmico all’Eterno Infinito. E mentre paragona l’infinito dello spazio con quello del tempo, interviene la musica dello stormire del vento tra le fronde che increspa la quiete della sua immaginazione e lo richiama alla realtà. Il silenzio infinito e il canto del vento gli evocano il mistero dell’eterno, il tempo trascorso che non è più e il suono vivo del tempo presente.
Leopardi non annega in una vuota immensità, ma, immergendosi nell’infinito, dà a esso un volto e un suono che trae dal suo animo che guarda mirando, interminati spazi… e sovrumani silenzi. Il pensiero che vaga diventa così un divino sognare, quasi dolce naufragare nel vasto mare dell’infinito lì dove raggiunge la sovrumana profondissima quiete.
Per l’uomo di fede, oltre la siepe che il guardo esclude di quell’orizzonte che a sua volta lo delimita, c’è sempre l’Eterno Infinito come suprema Bellezza, ineffabile Armonia e sommo Amore.
L’uomo è stato creato per l’Infinito. Non è un oggetto sulla terra, non è un frammento del cosmo caduto per caso. L’uomo è persona, è soggetto autocosciente, dotato di volontà libera e responsabile, è persona redenta da Cristo, con duplice vocazione: temporale ed eterna. L’umanesimo integrale dona alla persona immanenza e trascendenza: l’interiorità caratterizza l’aspetto immanente, la proiezione verso Dio e verso i fratelli, quello trascendente. Così, tra spazio e tempo, con lo sguardo immerso nell’infinito creaturale e nell’Infinito trascendente, germoglia il canto nuovo della teandrica avventura della vita.
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