SCOPRIRE IL DIO VICINO – CARDINALE ANGELO SCOLA (6 LUGLIO 2013)

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SCOPRIRE IL DIO VICINO   CARDINALE ANGELO SCOLA (6 LUGLIO 2013)

Come il Risorto nella Chiesa incontra tramite il testimone gli uomini e le donne delle generazioni intermedie con cui condividiamo ogni giorno lavoro, affetti e riposo?

Scoprire il Dio vicino

a) Desiderio di Dio e realtà Innanzitutto è necessario riconoscere un dato dell’esperienza elementare, comune appunto ad ogni uomo e ad ogni donna, qualunque sia la situazione in cui si trova a vivere. Al mondo reale ognuno di noi si rapporta sempre e inevitabilmente secondo quella dinamica, tipicamente umana, che possiamo identificare col termine desiderio. Non si comprende la parola desiderio, tanto meno se si parla di desiderio di Dio, se non la si concepisce come il tendere di tutto il mio io all’incontro, inevitabile ed insuperabile, con il mondo reale. Infatti, secondo la definizione semplice ma completa del vocabolario, desiderio è il « volgersi con affetto a qualcosa che non si possiede e che piace ». Come in una calamita sono sempre presenti due poli. La dinamica del desiderio implica sempre e inseparabilmente la cosa che non si possiede e che piace e il volgersi ad essa con affetto. Sottolineo « con affetto », vale a dire con la mente, col cuore, con la totalità del nostro io. Questa dinamica è stata descritta in modo insuperabile da sant’Agostino nel libro delle Confessioni: « Tu ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te » . Agostino usa la parola cuore per esprimere il desiderio nella sua ampiezza totale costituita dai due poli prima identificati: l’io che anela all’infinito nell’incontro con la realtà totale. Il termine cuore è decisivo in tutta la Sacra Scrittura e perciò in tutta la tradizione giudaica e cristiana. Desiderare Dio è la grande aspirazione dell’uomo: « Il tuo volto, Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto » (Sal 26, 8-9). Come ha affermato uno dei più grandi filosofi viventi, il tedesco Robert Spaemann (2008): anche se in tutti i tempi qualcuno o molti pensano, teoricamente o praticamente, che Dio sia morto, perché allora la diceria di Dio è immortale? Perché non si riesce a metterla a tacere? Perché la natura del cuore, cioè il desiderio profondo di ogni uomo e di ogni donna, si porta dentro, come un quotidiano, ineliminabile rumore di fondo, questa presenza? La risposta si impone in qualche modo da sé: ogni uomo identifica con questo vocabolo il termine ultimo del proprio desiderio, ciò per cui vale la pena fino in fondo vivere, anche solo cinque minuti, ciò per cui la vita nel mondo reale è un bene e non un male.

b) Come riconoscere Dio vicino? Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un « nuovo ateismo , giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte ad una grossa sorpresa: Dio è tornato. Anzi, osserva il sociologo Casanova, « le religioni di tutto il mondo », quelle tradizionali piuttosto che i « nuovi movimenti religiosi », « stanno facendo il loro ingresso nella sfera pubblica » e partecipano alle lotte per la ridefinizione dei confini tra sfera pubblica e privata, tra sistema e mondo vitale, tra legalità e moralità, ecc . Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Oggi la domanda cruciale non è più: « Esiste Dio? », ma piuttosto: « Come aver notizia di Dio? » E quindi: « Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno, e in particolare quello delle generazioni intermedie, lo percepisca significativo e quindi conveniente? » . Nell’ottica occidentale, influenzata radicalmente dal giudaismo e dal cristianesimo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo delle generazioni intermedie, « si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare » (Jüngel, 1978). È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo ed interrogarsi su di essa perché Dio possa essere veramente conosciuto. Un problema di sempre, è divenuto particolarmente acuto nel nostro tempo che, come abbiamo detto, non è interessato ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più preso dai problemi del vivere quotidiano. Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è familiare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare perché si è compromesso con la storia degli uomini è nel Dna della mentalità occidentale (Ibidem). Se le cose stanno così – e al di là di tutte le apparenze che sembrano contraddire questa affermazione, stanno veramente così – allora evangelizzare le generazioni intermedie non sarà altro che scoprire come la presenza di Dio ci diventa quotidianamente familiare, giungendo a colmare, in modo del tutto gratuito, il desiderio in senso pieno, sciogliendo l’inquietudine di cui parlava Agostino. In questo modo la parola desiderio acquista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, ad una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ultimo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso.

c) La familiarità di Dio all’uomo La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunicazione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una persona vivente: Gesù Cristo, l’Interprete di Dio. Il Vangelo di Giovanni lo dice fin dall’inizio a chiare lettere: « Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato » (Gv 1, 18). In Gesù, morto e risorto, Dio ci viene incontro in quanto Dio. La tradizione teologica ricorda che « Dio ha reso breve la sua Parola (Verbo, Figlio), l’ha abbreviata » (Is 10,23; Rom 9,28) . Il Figlio stesso che è « il Logos eterno si è fatto piccolo… Si è fatto bambino, affinché diventi per noi afferrabile » . In caso contrario sarebbe stato impossibile andare al di là della conoscenza, anche questa confusa e non senza errori, della Sua esistenza. Per dire Dio occorre, quindi, approfondire la lingua (in senso forte) della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assumere. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di confessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere. Almeno nei termini indicati da Paolo nella Lettera ai Romani , quando, parlando di Abramo, dice: « Come sta scritto: « Ti ho costituito padre di molti popoli »; (è nostro padre) davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono » (Rm 4, 17). Con questa stupenda espressione Dio è descritto, nello stesso tempo, come creatore ed operatore di salvezza. E l’Apostolo sa bene Chi è il Dio di cui vuol parlare. Dio è « colui che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono ». Infatti, nel primo capitolo della stessa Lettera ai Romani, l’apostolo aveva ammonito che non ha alcuna scusa chi non riconosce « ciò che di Dio si può conoscere… perché Dio stesso lo ha manifestato. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo per le opere da Lui compiute » (Rm 1, 19-20). Ciò che di Dio si può conoscere, dice Paolo. Cioè: di Dio non si può conoscere tutto, ma quel che di Dio si può conoscere lo possono conoscere tutti.

 

Publié dans : Cardinale Angelo Scola |le 12 décembre, 2013 |Pas de Commentaires »

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