Archive pour décembre, 2013

Natività, Casalmorano CR, Italy (2011)

Natività, Casalmorano CR, Italy (2011) dans immagini sacre casalmorano

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NATALE DEL SIGNORE 2006, OMELIA – PAPA BENEDETTO XVI

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2006/documents/hf_ben-xvi_hom_20061224_christmas_it.html

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Domenica, 24 dicembre 2006

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo appena ascoltato nel Vangelo la parola che gli Angeli, nella Notte santa, hanno detto ai pastori e che ora la Chiesa grida a noi: « Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,11s). Niente di meraviglioso, niente di straordinario, niente di magnifico viene dato come segno ai pastori. Vedranno soltanto un bambino avvolto in fasce che, come tutti i bambini, ha bisogno delle cure materne; un bambino che è nato in una stalla e perciò giace non in una culla, ma in una mangiatoia. Il segno di Dio è il bambino nel suo bisogno di aiuto e nella sua povertà. Soltanto col cuore i pastori potranno vedere che in questo bambino è diventata realtà la promessa del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: « Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità » (Is 9,5). Anche a noi non è stato dato un segno diverso. L’angelo di Dio, mediante il messaggio del Vangelo, invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia. Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia che anche Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: « Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata » (Is 10,23; Rom 9,28). I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile. Così Dio ci insegna ad amare i piccoli. Ci insegna così ad amare i deboli. Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo. Preghiamo in questa notte, affinché il fulgore dell’amore di Dio accarezzi tutti questi bambini, e chiediamo a Dio di aiutarci a fare la nostra parte perché sia rispettata la dignità dei bambini; che per tutti sorga la luce dell’amore, di cui l’uomo ha più bisogno che non delle cose materiali necessarie per vivere. Con ciò siamo arrivati al secondo significato che i Padri hanno trovato nella frase: « Dio ha abbreviato la sua Parola ». La Parola che Dio ci comunica nei libri della Sacra Scrittura era, nel corso dei tempi, diventata lunga. Lunga e complicata non solo per la gente semplice ed analfabeta, ma addirittura ancora di più per i conoscitori della Sacra Scrittura, per i dotti che, chiaramente, s’impigliavano nei particolari e nei rispettivi problemi, non riuscendo quasi più a trovare una visione d’insieme. Gesù ha « reso breve » la Parola – ci ha fatto rivedere la sua più profonda semplicità e unità. Tutto ciò che ci insegnano la Legge e i profeti è riassunto – dice – nella parola: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso » (Mt 22,37-40). Questo è tutto – l’intera fede si risolve in quest’unico atto d’amore che abbraccia Dio e gli uomini. Ma subito riemergono delle domande: Come possiamo amare Dio con tutta la nostra mente, se stentiamo a trovarlo con la nostra capacità mentale? Come amarLo con tutto il nostro cuore e la nostra anima, se questo cuore arriva ad intravederLo solo da lontano e percepisce tante cose contraddittorie nel mondo che velano il suo volto davanti a noi? A questo punto i due modi in cui Dio ha « fatto breve » la sua Parola s’incontrano. Egli non è più lontano. Non è più sconosciuto. Non è più irraggiungibile per il nostro cuore. Si è fatto bambino per noi e ha dileguato con ciò ogni ambiguità. Si è fatto nostro prossimo, ristabilendo in tal modo anche l’immagine dell’uomo che, spesso, ci appare così poco amabile. Dio, per noi, si è fatto dono. Ha donato se stesso. Si prende tempo per noi. Egli, l’Eterno che è al di sopra del tempo, ha assunto il tempo, ha tratto in alto il nostro tempo presso di sé. Natale è diventato la festa dei doni per imitare Dio che ha donato se stesso a noi. Lasciamo che il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente siano toccati da questo fatto! Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l’agitazione. Così nasce la gioia, così si crea la festa. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi giorni la parola del Signore: « Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di invitare te » (cfr Lc 14,12-14). E questo significa, appunto, anche: Quando tu per Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini, Dio in modo nuovo! Così si schiude infine ancora un terzo significato dell’affermazione sulla Parola diventata « breve » e « piccola ». Ai pastori era stato detto che avrebbero trovato il bambino in una mangiatoia per gli animali, che erano i veri abitanti della stalla. Leggendo Isaia (1,3), i Padri hanno dedotto che presso la mangiatoia di Betlemme c’erano un bue e un asino. Al contempo hanno interpretato il testo nel senso che in ciò vi sarebbe un simbolo dei giudei e dei pagani – quindi dell’umanità intera – i quali abbisognano, gli uni e gli altri a modo loro, di un salvatore: di quel Dio che si è fatto bambino. L’uomo, per vivere, ha bisogno del pane, del frutto della terra e del suo lavoro. Ma non vive di solo pane. Ha bisogno di nutrimento per la sua anima: ha bisogno di un senso che riempia la sua vita. Così, per i Padri, la mangiatoia degli animali è diventata il simbolo dell’altare, sul quale giace il Pane che è Cristo stesso: il vero cibo per i nostri cuori. E vediamo ancora una volta, come Egli si sia fatto piccolo: nell’umile apparenza dell’ostia, di un pezzettino di pane, Egli ci dona se stesso. Di tutto ciò parla il segno che fu dato ai pastori e che vien dato a noi: il bambino che ci è stato donato; il bambino in cui Dio si è fatto piccolo per noi. Preghiamo il Signore di donarci la grazia di guardare in questa notte il presepe con la semplicità dei pastori per ricevere così la gioia con la quale essi tornarono a casa (cfr Lc 2,20). Preghiamolo di darci l’umiltà e la fede con cui san Giuseppe guardò il bambino che Maria aveva concepito dallo Spirito Santo. Preghiamo che ci doni di guardarlo con quell’amore, con cui Maria l’ha osservato. E preghiamo che così la luce, che i pastori videro, illumini anche noi e che si compia in tutto il mondo ciò che gli angeli cantarono in quella notte: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama ». Amen!

Christmas Crib in Church 2011, St Mary Chatolic Church, USA

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25 DICEMBRE 2013 – SANTO NATALE – OMELIA : FESTA DI PRESENZA

 http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/2-Natale-A-2013/Omelie/01-Santo-Natale-A-2013-DG.html

25 DICEMBRE 2013 | SANTO NATALE | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

NATALE: FESTA DI PRESENZA

« Rallegriamoci tutti nel Signore, perché è nato nel mondo il Salvatore », così dice l’antifona dell’Introito. E’ uno squillo di gioia che inonda i nostri cuori in questa Notte Santa. Si può dire che Natale è una festa che parla da sé, tanto essa è sentita anche nei settori ove è meno attivo l’impegno cristiano. Tuttavia c’è un grande pericolo da evitare: quello cioè di ridurre questa celebrazione ai soli motivi folcloristici e sentimentali. Quello che si richiede a noi oggi è di penetrare nel mistero commemorato. Impresa ardua. E noi non potremo dire tutto in questi pochi minuti. Per fortuna il ciclo natalizio è ricco di feste e offre perciò diverse occasioni per ritornare sull’inesauribile tema del Natale. Questa Notte dobbiamo accontentarci di poche annotazioni. « Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale » (Sap. 18,14-15). Nelle loro credenze popolari gli Ebrei dicevano che il Messia sarebbe nato di notte, ma nessuno pensava che il Figlio di Dio sarebbe entrato nel mondo in punta di piedi. Tutti si aspettavano qualche grande segno, qualche prodigio strepitoso, un annuncio chiaro. Tutti si aspettavano di vedere la gloria di Dio manifestarsi in modo prodigioso. Invece Gesù venne al mondo come tutti i bambini. La sua casa, una grotta; la sua culla, una mangiatoia. Ad accoglierlo c’era solo sua Mamma Maria, e san Giuseppe. Tutto questo ha un significato. Gesù viene tra noi per servire, non per comandare; per salvarci, non per punirci; per portarci la gioia, non per spaventarci. Vuole che noi Lo accogliamo come amico, non che Lo temiamo come padrone. Per questo nasce bambino. Un bambino non fa paura a nessuno. Un bambino è la gioia di tutti. 1. Natale dunque è festa di presenza. « Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv. 1,14). Da questo momento dell’anno liturgico Gesù parlerà a noi con la sua presenza, con la sua parola e i suoi esempi. (Già nel periodo dell’attesa i nostri occhi erano fissi in Lui per desiderarlo, per invitarlo, per preparargli la strada. Adesso dobbiamo vederlo in mezzo a noi, sentirne la voce, seguirne gli esempi, che il corso dell’anno liturgico ci proporrà. Il Natale apre questa immensa prospettiva alla nostra imitazione). 2. Il Natale, inoltre, è festa di luce. Oggi tutto parla di luce attorno alla grotta ove è nato Gesù. La luce che circondò i pastori (Vangelo, prima Messa), la luce della stella che guidò i Magi è simbolo di quella luce che è Gesù stesso: « Io sono la luce del mondo ». « La luce splende nelle tenebre… La luce vera quella che llumina ogni uomo » (Gv. 1,5.9). Purtroppo – e potrebbe essere la nostra sorte e la nostra disgrazia – le tenebre non hanno acolto questa luce (Cfr. Gv. 1,5). 3. Natale è festa di salvezza. Il fatidico annuncio a noi riproposto dall’Avvento, oggi si compie. Dio è venuto davvero a salvarci. Tutta la liturgia ripete questo soave ritornello. Nella meditazione adorante e riconoscente, dovremmo assaporare questo dono di Dio, in Gesù nostro Salvatore. 4. Natale è festa di amore: che cosa è mai l’Incarnazione se non il grande sproposito dell’amore di Dio, deciso a salvare la sua creatura ingrata e ribelle e assolutamente incapace a risalire la china del suo peccato? Di che cosa ci parla il presepio, se non di amore? Sì, nel Natale « è apparsa la grazia di Dio » apportatrice di salvezza… (Tito, 2,11). Nel Natale « si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore » (Tt. 3,4). 5. Natale è festa di pace: dalla grotta di Betlemme si dispiega l’inno angelico augurante a tutti gli uomini la pace: « Pace in terra agli uomini che Egli ama » (Lc. 2,14). Gesù è venuto in terra per affratellare gli uomini, manifestando loro il Padre celeste, che è Padre di tutti. E’ venuto con la sua presenza e con la sua parola per avviare a soluzione, dal di dentro, i molteplici problemi della convivenza umana. Gesù è davvero « fonte di armonia per il mondo moderno » (PIO XII, Radiomessaggio natalizio 1957). « Il suo regno sarà un regno di pace », dice Isaia nella prima lettura. Con l’arrivo di questo Bambino splende la luce nelle tenebre, il cuore si apre alla gioia. E’ finito il tempo dell’oppressione, la liberazione è venuta. Col suo arrivo è finita la guerra, perché arriva « il principe della pace ». (La pace non è assenza di guerre; non è equilibrio di forze, giusto rapporto etico. La pace nell’A.T. è Alleanza. Dio che si impegna verso l’uomo, si lega a lui, gli promette la salvezza. Tutta la storia dell’Alleanza è storia di un rapporto di amore misericordioso). « La pace è comunione con Dio e in questo senso Gesù stesso è la nostra pace, perché Egli è il vincolo di comunione (cfr. Ef. 2,14-17). La pace viene dalla nostra unione con Gesù e supera ogni umano pensiero e non può essere realizzata con semplici mezzi umani (Fil. 4,7) 6. Natale è festa di gioia: « Gioiscano i cieli ed esulti la terra dinanzi al Signore, perché è già venuto ». Come già ai pastori viene ripetuto a noi: « Vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore » (Lc. 2,10-11). Chi riesce a comprendere chi è Gesù e che cosa vuol essere per ciascuno di noi, non può non trasalire di gioia… 7. Natale è festa di povertà: dobbiamo rilevare anche questo aspetto meno… folcloristico del Natale, con cui Gesù comincia a farci scuola, e una scuola severa e impegnativa… Dovremo ritornare spesso su questa meditazione. Ma accenniamola anche oggi, in mezzo a tanti sprechi del Natale. Gesù è nato povero per soffrire. Gesù è nato a Betlemme per avviarsi al Calvario. Natale, festa della povertà di Dio e ricchezza dell’uomo: Dio si è fatto povero per arricchirci della sua divinità e del suo amore. Il Natale con la sua povertà è stato per molti il momento della conversione ad una vita più evangelica e fervorosa. E’ il caso del Ven. Antonio Chevrier, di Lione, fondatore dell’opera del Prado. Nel 1856 egli aveva 30 anni ed era coadiutore nella parrocchia di S. Andrea in periferia, abitata da povera gente, resa ancor più miserabile dalle tremende alluvioni di quei giorni. La notte di Natale di quell’anno egli si trovava davanti al presepio e meditava sulle parole del Vangelo: « Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi ». Ad un tratto una particolare luce interiore lo colpì. Vide l’immenso amore di Gesù per l’umiltà e la povertà. Passò tutta la notte in preghiera. Poi andò per alcuni giorni ad Ars a confidare il suo segreto al Santo Curato, di cui era figlio spirituale. Non voleva rinunciare alla cura pastorale e nello stesso tempo desiderava realizzare alla lettera l’invito del Vangelo: « Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi ». Così ridusse al minimo le sue esigenze e appena gli fu possibile, si trasferì nel rione più povero e malfamato di Lione per dedicarsi all’evangelizzazione di quella gente, specie dei ragazzi abbandonati per le strade. Per essi non esitò a farsi mendicante alla porta della sua ex-parrocchia di S. Andrea, ricevendo anche gravi umiliazioni da chi non capiva il suo amore alla povertà e all’umiliazione. Il programma che lasciò ai suoi discepoli era molto semplice: « Tutto per Gesù e per le anime, niente per noi ». Tracciò poi il celebre programma sacerdotale con le tre frasi: « Il sacerdote è un uomo spogliato (la povertà del presepio); un uomo crocifisso (il Calvario); un uomo mangiato (il Cenacolo). E’ un programma perfettamente valido per ogni anima consacrata, perché anch’essa deve essere: spogliata, crocifissa e mangiata dalle anime. La Madonna che a Betlemme – casa del pane – ci ha dato Gesù – pane celeste – aiuti anche noi a diventare pane saporoso per tutte le anime.

D. Severino GALLO sdb, (+)

Presepio a Notre Dame, Parigi

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http://www.offi.fr/expositions-musees/cathedrale-notre-dame-2852/creche-de-notre-dame-39669.html

Publié dans:immagini sacre |on 23 décembre, 2013 |Pas de commentaires »

IL MISTERO DEL NATALE – Edith Stein

http://www.ariberti.it/tag/riflessioni-sul-natale

IL MISTERO DEL NATALE

Edith Stein

Le tenebre ricoprivano la terra, ed egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l’hanno compreso. A quanti lo accolsero egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore; ma non la pace con i figli delle tenebre. Ad essi il Principe della pace non porta la pace, ma la spada. Per essi egli è la pietra d’inciampo, contro cui urtano e si schiantano. Questa è una verità grave e seria, che l’incanto del Bambino nella mangiatoia non deve velare ai nostri occhi. Il mistero dell’incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti. Alla luce, che è discesa dal cielo, si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato. Il Bambino protende nella mangiatoia le piccole mani, e il suo sorriso sembra già dire quanto più tardi, divenuto adulto, le sue labbra diranno: «Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati». Alcuni seguirono il suo invito. Così i poveri pastori sparsi per la campagna attorno a Betlemme che, visto lo splendore del cielo e udita la voce dell’angelo che annunciava loro la buona novella, risposero pieni di fiducia: «Andiamo a Betlemme» e si misero in cammino; così i re che, partendo dal lontano Oriente, seguirono con la stessa semplice fede la stella meravigliosa. Su di loro le mani del Bambino riversarono la rugiada della grazia, ed essi «provarono una grandissima gioia». Queste mani danno e esigono nel medesimo tempo: voi sapienti deponete la vostra sapienza e divenite semplici come i bambini; voi re donate le vostre corone e i vostri tesori e inchinatevi umilmente davanti al re dei re; prendete senza indugio su di voi le fatiche, le sofferenze e le pene che il suo servizio richiede. Voi bambini, che non potete ancora dare alcunché da parte vostra: a voi le mani del Bambino nella mangiatoia prendono la tenera vita prima ancora che sia propriamente cominciata; il modo migliore di impiegarla è quello di essere sacrificata per il Signore della vita. «Seguimi», così dicono le mani del Bambino, [...] I misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Chi ne approfondisce uno, finisce per toccare tutti gli altri. Così la via che si diparte da Betlemme procede inarrestabilmente verso il Golgota, va dalla mangiatoia alla croce. Quando la santissima Vergine presentò il Bambino al tempio, le fu predetto che la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada, che quel bambino era posto per la caduta e la risurrezione di molti e come segno di contraddizione. Era l’annuncio della passione, della lotta fra la luce e le tenebre che si era manifestata già attorno alla mangiatoia! In alcuni anni la Candelora e la Settuagesima1, la celebrazione dell’incarnazione e la preparazione alla passione, cadono nello stesso giorno. Nella notte del peccato brilla la stella di Betlemme. Sullo splendore luminoso che irradia dalla mangiatoia cade l’ombra della croce. La luce si spegne nell’oscurità del venerdì santo, ma torna a brillare più luminosa, sole di misericordia, la mattina della risurrezione. Il Figlio incarnato di Dio pervenne attraverso la croce e la passione alla gloria della risurrezione. Ognuno di noi, tutta l’umanità perverrà col Figlio dell’uomo, attraverso la sofferenza e la morte, alla medesima gloria.

Edith Stein

1 La Grande Quaresima dura quaranta giorni. Tuttavia, non è possibile passare da un regime spirituale e alimentare normale ad un regime austero qual’è quello che contraddistingue il periodo quaresimale. Per questo la Chiesa in Occidente e in Oriente ha collocato un periodo intermedio tra il tempo liturgico ordinario e quello quaresimale. È un tempo nel quale si comincia ad abituare dolcemente il corpo e lo spirito ad un regime più esigente. Tale tempo intermedio in Occidente era denominato “Tempo di Settuagesima” e si estendeva nelle tre settimane precedenti la Quaresima. La sua apparizione avvenne a partire dal IV-V secolo in concomitanza con il fiorire del monachesimo. Con il tempo, allentandosi la tensione penitenziale, tale periodo si è sempre più svuotato di significato fino a quando, con la riforma liturgica della Chiesa cattolica-romana (1967), è stato abolito.

Edith Stein, Il mistero del Natale, Queriniana p,. 26-27, 42-43

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RIFLESSIONI SUL SANTO NATALE – SANT’ARCANGELO TADINI

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SANT’ARCANGELO TADINI – RIFLESSIONI SUL SANTO NATALE

Angelo di Verola

Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II

da, Sermones, Archivio Suore Operaie, Botticino Sera

Omelia  

A differenza di tutti gli altri bambini che non possono fissare il luogo della loro nascita, Gesù se Io scelse e molti anni prima Io fece predire dai Profeta Michea: Betlemme. Questa predizione ci reca grande meraviglia: e come può non esser tale mentre tutti sappiamo che a Nazareth e non a Betlemme fu annunziato il grande mistero dell’incarnazione, che a Nazareth e non a Betlemme abitava la fortunata donna che doveva darlo alla luce? Come poteva dunque avverarsi questa profezia, come compirsi questo vaticinio? Nelle mani del Signore tutto è grande, tutto è sublime. Aveva in quel tempo Cesare Augusto, imperatore romano, emanato un editto col quale comandava che tutti i sudditi dell’imperatore si portassero alla capitale, alla città da dove traevano origine per dare il loro nome. Questo comando colpiva anche i Santi Sposi Maria e Giuseppe, e siccome discendevano entrambi dalla stirpe di Davide che era di Betlemme, così essi dovettero portarsi in questa città per darvi il loro nome Sorpresi dalla notte, non avendo ormai più tempo di ritornare a Nazareth si diedero a cercare alloggio per Betlemme; ma mentre per i ricchi e i grandi della terra erano preparati grandi palazzi, ricche sale, per la Madre di Dio e per il suo custode non vi era dove posare capo. Preoccupati e dolenti dovettero mettersi in viaggio, uscire dalla città e ricoverarsi in una stalla; qui si compì il tempo per il quale Maria doveva dare alla luce il suo Divin Infante e in quella notte stessa nacque al mondo Gesù: il Salvatore del mondo. E quale grande nuova ammirazione! In quale condizione si mostra al suo regno il sovrano dominatore dell’universo! Attorno a lui non ha che un semplice artigiano e una povera donna occupata a coprirlo con fasce. Il suo palazzo consiste in una stalla sordida ed infetta, ed invece di assidersi sopra un trono giace sopra una umile mangiatoia. Ma, perché o Signore non compariste al mondo quale possente monarca, circondato di splendore, rivestito di maestà? Perché non sceglieste come madre una regina della terra, e come vostro custode un grande del mondo? Oh Gesù mio io v’intendo. Vi siete fatto accessibile a tutti nascendo in una capanna e qui con la più amorosa abiezione preparaste per le nostre povere anime un’accoglienza degna della misericordia di un Dio venuto proprio tra noi per la salute di tutti. Ah miei cari corriamo tutti, corriamo a Betlemme, corriamo alla scuola di Gesù col sincero desiderio di approfittare dei suoi insegnamenti. In queste sere che precedono la sua comparsa soave nel mondo, affacciamoci assidui alla culla di questo divino Infante ansiosi di imparare da lui la via che sicuri ci conduce al cielo. E voi o buon Maestro, dateci un cuore attento e pieno di fede affinché vi ascoltiamo; un cuore umile e docile affinché pronti ai vostri voleri facciamo qui in terra sempre la vostra volontà, per avervi in cielo nostra consolazione e nostro premio. Appena nacque il Salvatore, appena si compì il grande Mistero dell’incarnazione del Verbo, il cielo subito venne a rivelarlo alla terra. Un angelo appositamente mandato da Dio agli uomini porta una notizia sì straordinaria. Ma a chi annunzia per primi questo grande avvenimento? Andrà forse nei palazzi di Betlemme a scuotere il sonno dei grandi dei secolo, usciti come Gesù dalla stirpe di Davide, e recherà ad essi l’annunzio che dal loro sangue è nato il Salvatore? Andrà egli a trovare i maestri in Israele, i dottori della legge e accennerà loro che è finalmente compiuta l’attesa delle genti, e che, nel tempo segnato dai profeti, il liberatore d’Israele sì sovente promesso e tanto desiderato per sì lungo tempo è ora comparso? Non già, ma uomini semplici e grossolani, che con la custodia dei loro gregge sostentavano meschinamente la vita, questi sono quelli che la divina Provvidenza scelse a primi contemplatori di tale avvenimento. A questi poveri e semplici pastori, prima d’ogni altro, gli angeli scesi apposta dal cielo fanno sentire quel dolce comando: « andate a Betlemme ». Questo per indicare a noi che per essere ammessi alla scuola di Gesù bisogna avere un cuore semplice e distaccato dalle cose della terra. E’ infatti la semplicità quello che rende l’uomo veramente grande. La semplicità quella che adorna di nuovo pregio le virtù, quella che aggiunge ai sommi ingegni nuovo splendore. E’ per la semplicità appunto che questi poveri uomini meritano di poter essere i primi a attirare sopra di sé gli sguardi dei cielo. Gesù li chiama a sé con trasporti d’amore, vola alle loro braccia, riceve i loro affetti, si lascia abbracciare, baciare e in essi trova le sue delizie e le sue consolazioni. Oh Gesù caro noi vi intendiamo, l’affetto disordinato alle ricchezze, ai piaceri e agli onori del mondo è come uno spinaio che soffoca nel nostro cuore il seme prezioso della vostra santa parola. Che faremo noi miserabili che ci vediamo sì pieni di attacchi terreni? Ah Signore noi non potremo che istantaneamente pregarvi con Sant’Agostino: « bruciate, tagliate tutto ciò che in noi vi dispiace e mette ostacolo al vostro santo amore, distaccateci dal mondo amareggiando tutti i suoi diletti, deh fate insomma che noi abbiamo a sentire il bisogno di rivolgerci a voi, perché sciolti da ogni legame d’amor terreno, siamo disposti e pronti a seguire i vostri divini insegnamenti. » Prostriamoci adunque con la faccia per terra e domandiamo a questo nostro buon maestro una vera umiltà e semplicità di cuore. Baciamo la soglia beata di questo umile presepio e qui, prima di passare innanzi, deponiamo ogni pensiero di propria stima, ogni desiderio ed ogni amore di lode, di comparsa, di fasto e preghiamo Gesù che per la sua infinita misericordia ci renda quali dobbiamo essere prima d’accostarci alla sua culla: cioè compresi dei sentimento del nostro niente, della nostra miseria e dei bisogno estremo che abbiamo di essere istruiti da lui. E voi o caro Gesù, mandateci per carità un raggio del vostro lume che ci faccia capire bene chi noi siamo e chi voi siete, a ciò possiamo amare voi e odiare noi stessi; in questo consiste la vera scienza della salvezza, che voi venite ad insegnarci. Poniamoci o cari a considerare, in questa sera, attentamente la povertà di Gesù. E questa sia la prima lezione che noi impariamo dall’amabile Maestro e Bambino. Chi direbbe mai al vederlo in sì meschino albergo, ricoperto appena di poveri panni, mal difeso contro i rigori della stagione, chi direbbe che Egli è il Re dei re, ed il Signore dei dominanti? Come riconoscere in questo stato di miseria e di abiezione il Sovrano dominatore dell’universo, il Re della gloria, l’Ente supremo al cui cospetto tutti gli altri esseri s’umiliano e si annientano? Non poteva egli nascere in un luogo meno disagiato? Avere, nascendo, quel che non manca ai più poveri… un tetto che lo ripari, un po’ di fuoco che lo riscaldi, una culla su cui adagiarsi? « Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli hanno i loro nidi; ed il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. » Ma e perché tutto questo? Vedeva bene Gesù Cristo di quanto ostacolo ai conseguimento dei Paradiso sarebbe stato per le anime nostre io sregolato amore dei beni presenti, ci volle dare l’esempio di una povertà, di uno spogliamento così universale, così che, almeno in parte, imitandolo arrivassimo a conseguire i beni eterni. Oh quanto ci dobbiamo confondere nel vedere l’amoroso Salvatore ridotto in questo stato! La nudità, lo squallore, la miseria che lo circonda ci tuonano al cuore quei « guai » terribile che egli ha minacciato a coloro che vorranno mettere la loro consolazione nelle cose dei mondo; quella nudità e quella miseria ci predica di tenere il cuore distaccato da tutto perché possiamo liberamente servirlo ed amarlo. Quella miseria ci dice che sono beati i poveri di spirito perché di loro è il Regno dei Cieli … Difatti che cosa è mai davanti a Dio tutto lo splendore della terra? La ricchezza o la miseria, lo splendore o l’umiliazione, sono un nulla davanti a Lui. Egli stima più la povertà che tutte le ricchezze del mondo, come dice San Paolo « ogni cosa di terra io stimo fango e sozzura per guadagnarmi Gesù Cristo. » li santo profeta Davide considerando con profetico lume la povertà di Gesù Cristo uscì in questa bella esclamazione:  » Beato chi ha cura del mendico e del poVro ». Dateci lume o Bambino amato affinché intendiamo la lezione salutare della vostra estrema povertà e fateci capire bene come dobbiamo imitarla nelle circostanze particolari della nostra vita… Sentite o Gesù mio quel che proponiamo di fare e benedite con la vostra grazia questi nostri proponimenti. Per amore alla vostra santa povertà noi ci studieremo di servire gli altri in quel che potremo; ci mostreremo sempre contenti di tutto ricevendo tutto come elemosina dalla benefica mano della vostra Provvidenze, senza desiderare né più né meno di quello che ci darete voi. Non permettete mai che il falso splendore delle prosperità terrene ci abbagli e ci faccia perdere di vista la strada che guida al cielo. Imprimeteci bene nel cuore che i beni del mondo non sono beni per noi se non in quanto ci possono servire a guadagnare altri beni non caduchi, mediante le buone opere di carità. Immaginiamoci o cari di vedere il Divin Pargoletto tremare di freddo su poca paglia; immaginiamoci che Egli ci stenda la fredda sua manina per chiederci qualche soccorso. Ditemi, non vi sentireste forzati a spargere anche tutto il vostro sangue per sopperire al minimo dei suoi bisogni? Orbene in questa sera il Bambino Gesù ci domanda che noi abbiamo a sopportare in pace la povertà che a Lui piacque di mandarci, che l’abbiamo a sopportare per amor suo. Si, o divino In fante, noi d’ora innanzi stimeremo e adoreremo col più profondo ossequio dello spirito la vostra santa povertà, proponiamo di cercarla più che potremo in noi stessi, di rispettarla, compatirla e soccorrerla nei poveri che la rappresentano. Consideriamo, in questa sera, la promessa che Gesù fa a quelle anime che avranno imparato dal suo esempio l’amore alla povertà e ai poveri. Giacché il santo Profeta Davide dopo di aver detto « Beato chi ha cura del mendìco e del povero » aggiunge: « nel giorno cattivo lo libererà il Signore ». Cosa sia questo giorno cattivo tutti lo intendiamo, i Santi ce lo dissero più volte, è il giorno della morte e per questo giorno appunto il Signore promette la sua speciale assistenza. Si vede proprio non esservi cosa che renda tanto tranquilla e consolante la morte, quanto il distacco sincero dalle cose del mondo e l’esercizio costante delle opere della misericordia. Queste ispirano all’anima una gran fiducia nella bontà di quel Dio che deve essere nostro giudice avendo egli promesso d’usare misericordia ai misericordiosi. E il distacco da ogni cosa terrena ci libera anticipatamente dal maggior affanno che rechi la morte, cioè il dover lasciare tutto. Conviene dunque privarsi volentieri di qualche cosa per amore di Gesù…. Fosse pure una cosa assai cara all’amor proprio, come quell’ornamento, quel comodo, quel diletto, per averlo propizio nel giorno terribile della morte. Verrà presto o cari per tutti l’ora della morte, per alcuni di noi questa è l’ultima novena del Natale, è l’ultima volta che trattiamo Gesù come Bambino. Presto lo dovremo vedere coi nostri occhi giudice severo, presto lo dovremo sentire pronunciare quella irrevocabile sentenza o di condanna o di premio eterno. Questo spaventevole istante verrà per me e verrà anche per voi. Certo molti di noi l’anno venturo non ci saranno, passati da questa all’altra vita avranno già abbandonato il mondo, saranno entrati nell’eternità. Pensiamo o cari, riflettiamo seriamente. La morte ci sta sempre davanti e noi vi andiamo sempre più avvicinando… E allora che faremo dei beni della terra? Ah, quante più saranno le cose da noi amate in vita, tanti più saranno i nostri tormenti in morte. Gran dire! Tutti i beni del mondo non potranno allora servire ad altro che a affliggerci: e noi ci affanniamo tanto per averli? Benedetta la povertà del mio Gesù che fa beato il cuore! Intendiamolo adunque che è una vera pazzia l’amare i beni presenti: Gesù solo è un bene vero, un bene eterno. Se attenderemo ad amare Lui solo ci sentiremo felici nel stringerlo povero e crocifisso per amor nostro sul letto di morte e benediremo il momento in cui, per grazia di Gesù, ci saremo distaccati da ogni cosa terrena. Benediremo le privazioni che avremo fatte per soccorrerlo nella persona dei poveri, e con una ineffabile speranza ci prepareremo ad udire da Lui quelle consolanti parole: « venite o benedetti dal Padre mio, venite a possedere il Regno che vi è preparato, poiché io ebbi fame e voi mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere. » Che invito di Paradiso! O Regno eterno! Merita bene di essere guadagnato, con la perdita d’ogni caduco bene del mondo. Alla nascita di Gesù Salvatore gli angeli del Paradiso, a schiere, a coppie discesero sulla terra per invitare gli uomini a far festa, a rallegrarsi per un sì fausto avvenimento. Ma in mezzo al comune tripudio Gesù solo nel silenzio di una spelonca sospira e piange. Qual è il motivo di queste lacrime? Ecco che Gesù stesso ce lo dice per bocca del suo Profeta: « il mio dolore è sempre innanzi a me ». Senti o anima cristiana? Gesù non può togliere lo sguardo dal quadro doloroso delle umane ingratitudini e piange per dolore e compassione di noi miserabili. Gesù ha sempre presenti allo spirito tutti i peccati, piange la perdizione eterna di tante anime, piange le loro segrete miserie… gli errori e le passioni che le accecano, … i piaceri e le tentazione che le seducano, i pravi abiti che le trascinano all’inferno. Gesù piange al vedere il disprezzo della sua legge e della sua grazia, la dimenticanza dei beni eterni, l’amore disordinato alle cose presenti, l’impero del peccato e del demonio, … la falsa pace nella quale viviamo, sebbene peccatori, sebbene ì bisognosi di penitenza e di lacrime per ottenere misericordia! Ma forse Gesù vede in noi anche al presente qualche cosa che lo fa piangere. Ah, forse noi stessi siamo la più amara cagione delle sue lacrime e del suo dolore. Si fa piangere Gesù commettendo il peccato, o mettendosi nell’occasione prossima di commetterlo. E avremo cuore ancora di far piangere Gesù? E non ci risolveremo a finirla una buona volta col peccato? Ah se le lacrime di Gesù non ci commuovono, diciamolo pure, pure noi abbiamo in petto un cuore di macigno e dobbiamo temere di essere caduti nella più terribile ostinazione di peccato. Se così fosse, quanto maggior bisogno avremmo della misericordia del santo Bambino, quanta necessità di pregarlo perché lasci cadere la rugiada celeste delle sue lacrime sull’arida terra del nostro povero cuore, affinché si intenerisca alla vista delle sue pene. L’aspetto d’una persona afflitta e piangente muove naturalmente a pietà e desiderio di poterla in qualche modo consolare. E noi non sentiremo il desiderio di consolare Gesù? Farlo cessare dal piangere e asciugare le sue lacrime? Sono i nostri peccati e i peccati di tutti gli uomini che lo fanno piangere e penare: lo sappiamo.. e perché non vorremmo dunque detestare e odiare questi maledetti peccati, fuggire le occasioni che ce lo fanno commettere? Sì, o amabile Gesù, noi ve lo promettiamo questa sera qui davanti a voi, e la nostra promessa la manterremo a qualunque costo. Dovessimo perdere la vita, noi non vi faremo spargere lacrima alcuna per l’avvenire. Ci prostreremo nelle prossime feste ai piedi del vostro Ministro e là dolendoci di vero cuore domanderemo perdono di tutti i nostri peccati e di quelli ancora che furono commessi dagli altri per colpa nostra. E voi, o amabile Redentore, fate che unendo le nostre lacrime alle vostre esse valgano a cancellare tutte le nostre ingratitudini, e renderci mondi e puri agli occhi vostri. Oh! Quale consolazione sarà per noi il poter dire con San Tommaso: « Divin Bambinello abbracciatemi affinché noi piangiamo insieme. Voi per amore verso di me, io per amor vostro. Voi mi convertirete e io vi possederò; voi vi consolerete con me e io mi con foderò con voi. » Oh quale dolcezza, qual bene! Bandite dunque da noi, caro Gesù, tutti i fallaci godimenti della terra, affinché sospirando e piangendo in questa vita meritiamo la bella sorte di vedervi e possedervi per tutta l’eternità. Mancherei ad una grande necessità, mi parrebbe di fare un insulto al Dio Bambino se lasciassi passare questa sacra novena in preparazione alla solennità del Natale, senza dirvi almeno due parole sopra la potenza e insieme la dolcezza del nome di Gesù. Purtroppo lo sento, io sono incapace, fallirò certo nel mio intento. Ma e perché non ho io la lingua d’un serafino per lodare ed encomiare questo sì gran bel Nome? Perché non ho io la mente ed il cuore e l’ingegno capace di tributargli quell’omaggio eterno di riverenza che gli si conviene? Gesù! Oh Nome sopra tutti i nomi degno solo di Colui che lo porta! Questo è il nome augusto dell’Unigenito Figlio di Dio, nome che merita perciò riverenza e onore, esso è la letizia degli angeli ed il terrore dell’inferno. Al suono di questo santo Nome, ogni ginocchio si piega nel cielo e negli abissi. Oh potenza, oh grandiosità di questo nome di Gesù che è il nome di un Dio Salvatore! Nessun altro al mondo potrà essere degno di un tal nome, poiché nessuno potrà mai fare quello che ha fatto Gesù. Dacché Adamo con la sua disubbidienza si ribellò a Dio, le porte del Paradiso si chiusero e più non si sarebbero aperte se Gesù non avesse patito. Noi eravamo schiavi del demonio, condannati alla pena eterna dell’inferno e nessuno fuorché Dio stesso poteva cancellare questo terribile decreto con una soddisfazione adeguata. Se tutte le creature si fossero poste mediatrici di pace fra Dio e l’uomo, non avrebbero potuto ottenerci il perdono. Se tutti gli spiriti beati si fossero offerti in sacrificio d’espiazione per noi, non avrebbero potuto placare la divina giustizia giustamente sdegnata contro di noi. Per salvarci ci voleva Gesù: cioè un Salvatore divino che prendesse sopra di sé il carico dei nostri peccati e si assoggettasse a pagarne la pena. Oh la possanza adunque del nome di Gesù. Andavano al tempio gli apostoli Pietro e Giovanni per farvi orazione ed un certo uomo infermo dalla sua nascita stava alla porta del tempio domandando elemosina. Vedendo entrare Pietro e Giovanni stese loro la mano sperando di ricevere qualche cosa. Ma Pietro disse « io non ho né argento né oro, quel che ho te lo do. » Lo prese per mano e gli disse. « Nel nome di Gesù alzati e cammina. » Si rassodarono le sue gambe e saltando entrò nel tempio lodando l’onnipotenza del nome di Gesù. Ed era ben giusto poiché egli in forza di questo Nome Santissimo aveva ottenuto la salute, e noi cristiani salvati per virtù di questo Nome cosa faremo? Noi dobbiamo aver viva confidenza in Gesù, domandare e sperare tutto per i meriti di Gesù. Quando ci sentiamo tentati invochiamo Gesù, quando ci vediamo deboli ed afflitti chiamiamo Gesù. Ogni pensiero della nostra mente, ogni palpito del nostro cuore, ogni respiro della nostra vita porti questa dolce impronta « viva Gesù ». Esso sarà quanto il dire: « Viva il Padre, viva l’Amico, viva lo Sposo dell’anima! » Misuriamo infatti l’altezza e la gloria del dono di Dio e insieme la distanza infinita che c’è tra Lui e noi poveri vermiciattoli della terra, e poi pensiamo che un Dio sì grande per essere nostro Salvatore ha dovuto abbassarsi alla forma di Servo. Non basta: « si è fatto obbediente sino alla morte e alla morte di Croce » cioè alla morte più obbrobriosa che ci potesse essere. Non basta ancora: si è quasi annientato agli occhi nostri nascondendosi sotto le povere specie sacramentali per essere nostro compagno, nostro cibo e nostra vittima fino alla consumazione dei secoli. Ditemi, poteva Egli fare di più? E vi sarebbe sulla terra chi potrebbe fare altrettanto? Gesù, come voi vi siete donato tutto a noi, noi ci doneremo tutto a voi. Il nostro cuore sia vostro perché voi vi stampiate in mezzo il vostro Nome, affinché il mondo, i demoni e le creature non abbiano a rubarvelo mai più. Scrivete Gesù nella nos fra mente perché si ricordi sempre di voi. Scrivete Gesù sulla nostra bocca affinché volentieri parli di voi, scrivete Gesù su tutte le mie opere, affinché per sola gloria del vostro nome le cominci e le compia. Viva adunque Gesù in eterno; sia sempre lodato e ringraziato il Santissimo Nome di Gesù. Molte sono ancora le istruzioni che ci dà Gesù Bambino. Tutte ci sarebbero di estrema necessità, ma il tempo ci manca, già siamo giunti all’ultimo giorno della novena. Perciò questa sera impareremo da Gesù la virtù della santa umiltà come quella che racchiude in sé tutte le altre. Come quella che Gesù pose a fondamento della sua celeste dottrina. Immaginiamoci dunque che Egli stesso ci dica al cuore quelle dolci parole « impara da me ad essere umile di cuore ». Che gloria sarà per noi imparare da Gesù! Egli ci dice: « impara da me » affinché abbiamo a concepire una stima altissima della santa umiltà, vedendola praticata in modo sì eminente dal nostro Maestro divino. Guarda o anima cristiana come Gesù confonde la superbia del mondo: « impara da me » Egli dice, non a far miracoli, non a predicare, non a comandare, ma ad essere umile di cuore. Anche noi applichiamoci d’ora innanzi con ogni studio ad acquistare questo tesoro nascosto della santa umiltà di cuore. Umiltà di cuore che ci faccia amare una vita abbietta e nascosta agli occhi degli uomini, e ci renda chiaro abbassarci a tutti, sottometterci a tutti e ricevere volentieri da Gesù qualunque umiliazione. Quando pure fossero le maggiori umiliazioni di questo mondo non potrebbero confrontarsi con quelle che abbracciò Gesù per amor nostro. Egli è Dio che si abbassa e noi siamo povere creature. Egli è santo e noi siamo peccatori. A Lui è dovuto ogni onore e gloria in cielo e in terra, e noi meritiamo ogni obbrobrio a questo mondo e nell’inferno per i nostri peccati. Procuriamoci dunque questa umiltà del cuore che nasca in noi dalla sincera convinzione del nostro nulla e della nostra miseria.

AI: « Sermones », ASO Botticino

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Natività, IV secolo Milano

Natività, IV secolo Milano  dans immagini sacre Milan+Crib+Frieze

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Publié dans:immagini sacre |on 20 décembre, 2013 |Pas de commentaires »

OMELIA : « CHIEDI UN SEGNO »

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OMELIA (22-12-2013)

PADRE GIAN FRANCO SCARPITTA

« CHIEDI UN SEGNO »

Per mezzo del ?profeta Isaia, Dio invita il re Acaz di Giuda a chiedere un segno « dal profondo degli inferi oppure dall’alto ». Cioè un segno della presenza di Dio in una situazione ordinaria. In parole povere, Dio chiede ad Acaz di avere fede in Lui e di chiedere il suo intervento in quella situazione contestuale delicata che era la guerra Siro Efraimita. Succedeva che dal Nord il popolo assiro stava minacciando Israele, la Siria e il Regno di Giuda con un’imminente invasione e i primi due popoli suddetti, Israele (detto anche Efraim) e la Siria si stavano organizzando insieme per marciare contro il popolo invasore. A tale coalizione avevano invitato ad associarsi anche il re Acaz di Giuda, che a sua volta aveva però rifiutato di allearsi con loro. Di conseguenza Israele e Siria tendevano a muovere guerra contro il regno di Giuda al fine di estromettere il re Acaz e far sorgere un monarca che stesse alle loro richieste. Ma il re Acaz per prevenire tali invasione dei due popoli vicini, farà poi atto di sottomissione e di servizio al re di Assiria, con il quale si umilierà. Questi allora interverrà e porrà l’assedio solamente a Israele, Siria e Idumea. Mentre si svolgono tutti questi fatti, Acaz viene perciò invitato ad aprirsi fiduciosamente a Dio, a chiedergli un « segno » della sua presenza e della sua vicinanza e pertanto ad aver fede indefettibile in Lui. « Chiedi un segno » gli dice il Signore per mezzo del profeta, ma non un segno straordinario o miracoloso, ma solo una semplice manifestazione che Dio è con te. Sarà lo stesso Signore a promettere e a rivelare tale « segno », poiché Acaz avrà come figlio Ezechia, che diventerà poi a sua volte un monarca impeccabile. « La vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi. Tale è l’appellativo che si da ad Ezechia. Ciò nondimeno, il profeta Isaia va ben oltre e usa lungimiranza, poiché tale rivelazione ha carattere messianico: il « figlio della vergine » è anche il Salvatore, il Messia che nascerà (di fatto) dalla Vergine Maria a Betlemme. Il profeta Isaia in questo e in altri passi del suo scritto profetizza la nascita del futuro Re universale dei Giudei, il vero re dei re,, nonché vero Messia: egli nascerà dalla Vergine a Betlememe.. L’evangelista Matteo delinea la realizzazione di quanto profetizzato nel riportare la genealogia che conduce di generazione in generazione da Abramo a Davide fino allo stesso Gesù Cristo, a sottolineare la vera discendenza davidica del Cristo e concludendo con efficacia che è proprio Gesù l’Emmanuele, Dio – con – noi. In Gesù Cristo nato a Betelemm si realizzano tutte le promesse rivolte all’antico Israele ee si dischiudono le porte della vera gioia dell’uomo: Dio si incarna e prende forma mortale per tutti gli uomini. Cosicché ciascuno potrà esultare e gioire prendendo atto della bellezza e dell’importanza di un Dio che si concede al punto da dare il suo unico Figlio. Scrive Sant’Agostino: « Svegliati o uomo, perché Dio per te si fatto uomo. L’incarnazione e l’ingresso nella storia di Gesù, che volentieri spoglia se stesso per rendersi partecipe delle miserie e delle precarietà dell’uomo, costituisce motivo di gioia e di esultanza perché l’uomo viene davvero raggiunto da Dio e solo in lui potrà riporra la propria fiducia in tutti i domani che gli si porranno davanti. La certezza che in Cristo Dio è veramente il Dio – con noi infonde coraggioe e fiducia, dissipando malanimi inquietitudini.

SONO LA SERVA DEL SIGNORE!

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/1-Avvento-A-2013/Omelie/Avvento-A-2013-4/4-Domenica-Avvento-A-2013-BF.html

SONO LA SERVA DEL SIGNORE!

22 dicembre 2013 – 4a Domenica di Avvento A

L’arcangelo Gabriele non stava più nelle piume. Il Signore del Cielo e della Terra gli aveva affidato un compito di fiducia e responsabilità enormi. L’incarico più importante mai esistito dalla Creazione in poi: trovare una madre per il Messia, il Figlio di Dio, Dio stesso fatto uomo sulla terra. Una missione davvero delicata, ma Gabriele non era preoccupato. Tutte le donne della terra (ed erano tante) sarebbero state onorate di diventare la mamma del Messia. Quindi tutto si sarebbe risolto in un rapido voletto di qualche ora. Gabriele planò lemme lemme sulla terra. Fece un largo giro di ispezione e si fermò su una villa magnifica circondata da un grande parco. Accanto ad una fresca fontana, una signora bella ed elegante scherzava con un gruppo di amici simpatici, abbronzati e sorridenti. « La mamma giusta e il posto giusto per il Figlio di Dio! » pensò Gabriele. Si presentò alla signora e le parlò a colpo sicuro: « Vuoi essere la madre del Messia? » La signora lo guardò con aria frivola: « Scherzi? Siamo tutti in partenza per una crociera che farà il giro del mondo, figurati se mi metto a pensare a un bambino… » Gabriele riprese il volo brontolando: « Sì, forse è meglio una mamma meno ricca, più pratica… ». Sorvolò una grande centro di uffici e in uno di questi scorse una donna efficiente e sicura, alle prese con un voluminoso fascicolo. « Questa sarà una madre fantastica… » pensò il buon Gabriele che si fermò in bilico sulla scrivania e le fece senza tanti preamboli la sua proposta. La risposta però gli arruffò tutte le penne delle ali: « Un bambino? Adesso? Ma tu sei matto! Hai idea di quante società ho messo insieme per dare la scalata alla Borsa? Sto arrivando al top, capisci? Non posso certo fermarmi ora. Per un bambino, poi…! » « Ma è il Messia… » replicò Gabriele timidamente. « E allora? » rispose la donna in modo distaccato. Gabriele riprese il volo ma il suo ottimismo era svanito. « Forse devo cercare una donna che abbia già dei bambini… Sarà più facile » pensava un po’ preoccupato. Volò e volò, in lungo e in largo, finché trovò una donna indaffarata e sempre di corsa , ma felice, con tre bambini vivaci e giocherelloni. « Mamma, Alberto ha ingoiato la mia biglia! » « Mamma, Lucia ha strappato il mio libro di storie! » « Mamma, ho fame, ho sete, sono stanco e non so che cosa fare! » L’angelo Gabriele fu costretto a urlare per farsi sentire dalla signora e fece la sua proposta. La donna lo guardò con aria stralunata e poi sbottò: « Un altro bambino? Ma come farei? Questi tre mi divorano viva! non vedo l’ora che siano cresciuti! » Gabriele se ne andò a piedi, con le ali basse. Ora era proprio nei guai. Ma non poteva fallire. La sua missione era la più importante nei secoli dei secoli! « Devo trovare qualcuno più giovane… più coraggioso… più generoso…una donna dall’anima grande…ma veramente grande…immensa. Ma dove la trovo una così? » Gabriele riprese il suo volo. Volò e volò, in lungo e in largo, a nord e a sud. Per mesi, per anni. Un giorno, in un paesino minuscolo, aggrappato ad una collina di Galilea, trovò una ragazza giovane giovane, forse quindicenne, che mentre lavorava cantava e pregava, povera, libera e felice. « E’ lei! » si disse Gabriele. E si buttò in picchiata con l’angelico cuore che batteva all’impazzata. La fanciulla si chiamava Maria. L’angelo entrò in casa e le disse: « Ti saluto, Maria! Il Signore è con te: egli ti ha colmata di grazia ». A queste parole Maria rimase sconvolta e si domandava che significato poteva avere quel saluto. Ma l’angelo le disse: « Non temere, Maria! Tu hai trovato grazia presso Dio. Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Egli sarà grande: Dio, l’Onnipotente, lo chiamerà suo Figlio; il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre sul popolo d’Israele. Il suo regno non finirà mai ». Allora Maria disse all’angelo: « Come è possibile questo, dal momento che io non ho marito? » L’angelo rispose: « Lo Spirito Santo verrà su di te, l’Onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il bambino che avrai sarà santo, Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, alla sua età aspetta un figlio. Tutti pensavano che non potesse avere bambini, eppure è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio! » Allora Maria disse: « Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto ». Poi l’angelo la lasciò.

Dio è qui. Il suo nome è Emmanuele, Dio-con-noi. E’ questo il mistero incredibile. Ma siamo capaci noi di far posto a lui? La sua presenza cambia la vita di Maria. E’ fatale che anche a noi dica: « Stringiti un po’ » « Fammi posto perché voglio stare con te. Dio vuole occupare uno spazio: non è un’idea, non è un’astrazione, non è una formula. Dio non è virtuale. Vuole una casa di mattoni, e una di persone vive: la Chiesa. Un Dio astrazione non farebbe paura a nessuno. Dio-nella-storia fa paura, deve essere neutralizzato. Sono duemila anni che qualcuno ci prova. Ma ci sono altre sottili forme di neutralizzazione, per non lasciare spazio a Dio: la parola si e’ fatta carne, afferma l’evangelista Giovanni e gli uomini per troppo tempo hanno cercato di trasformare questa carne, che è Gesù, in parole, parole, parole. Dio è storia, sangue, carezze. DIO è CON NOI perché impariamo a conoscerlo. Si presenta vulnerabile, rifiutabile, eliminabile con facilità. Un bambino. Un pezzetto di pane. E’ in agguato per tutti (specialmente per chi fa tante prediche) il pericolo del mestiere. Dell’abitudine. È la sindrome dell’uomo invisibile Chi ci sta sempre sotto gli occhi non conta più: non lo vediamo più. Quante messe passano in cui badiamo a tante cose, tanti particolari, meno che a Lui, a questa presenza reale che dovrebbe sconvolgerci, abbagliarci. Dio con noi è il paradiso. Abbiamo il paradiso accanto così spesso e non ce ne accorgiamo neppure.

Come se non bastasse, Dio disturba. È come se dicesse anche a noi, come a Maria e a Giuseppe: « Io ho un piano per il mondo che ho creato e voglio portarlo a termine. Ma non lo posso fare senza di te. D’altra parte non voglio forzarti perché la libertà è il dono più grande che ti ho fatto. Vuoi far parte del mio piano? » Gli angeli volano ancora e portano a tutti la domanda di Dio. Se questo messaggio debba raggiungere solo poche persone o tutti gli abitanti di una città o il mondo intero dipende esclusivamente dalla scelta di Dio. L’unica cosa importante è essere convinti che ognuno di noi è adeguatamente equipaggiato: tu hai i doni giusti per adempiere il tuo compito ed io ho i doni appositamente scelti per terminare il mio.

Una graziosa storia racconta: « Dimmi, quanto pesa un fiocco di neve? », chiese la cinciallegra alla colomba. « Meno di niente », rispose la colomba. La cinciallegra allora raccontò alla colomba una storia: « Riposavo sul ramo di un pino quando cominciò a nevicare. Non una bufera, no, una di quelle nevicate lievi lievi, come un sogno. Siccome non avevo niente di meglio da fare, cominciai a contare i fiocchi che cadevano sul mio ramo. Ne caddero 3.751.952. Quando, piano piano, lentamente sfarfallò giù il 3.751.953esimo – meno di niente, come hai detto tu – il ramo si ruppe… ». Detto questo, la cinciallegra volò via. La colomba, un’autorità in materia di pace dall’epoca di un certo Noè, rifletté un momento e poi disse: « Manca forse una sola persona perché tutto il mondo piombi nella pace? ».

Forse manchi solo tu. Un aspetto particolare della verità di Dio è stato messo nelle tue mani, e Dio ti ha chiesto di condividerlo con ognuno di noi, e lo stesso vale per me. Proprio perché tu sei unico, la tua verità è data soltanto a te e nessun altro può dire al mondo la tua verità, o compiere per gli altri il tuo atto d’amore. Solo tu hai tutti i requisiti per essere e fare ciò che devi essere e fare. Solo io ho tutto ciò che è necessario per portare a termine il compito per cui sono stato inviato in questo mondo.

Celebrando Dio con noi possiamo ripetere quello che dice un’antica preghiera liturgica:

Resta con noi, Signore, si sta facendo sera, la giornata volge al tramonto.
Resta con noi e con l’intera umanità Resta con noi quando tramonta il giorno, alla sera della vita e del mondo.
Resta con noi, con la tua grazia e la tua bontà, con la tua parola e il tuo pane, con il tuo conforto e la tua benedizione.
Resta con noi quando su noi viene la notte del tormento e dell’angoscia, la notte del dubbio e della tentazione, la notte della morte amara.

Bruno FERRERO sdb |

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