Archive pour le 28 novembre, 2013

l’icona della Gioia inattesa

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OMELIA – PER LA MEDITAZIONE – I DOMENICA DI AVVENTO, 28 NOVEMBRE 2010 (ANNO A)

http://www.zenit.org/it/articles/avvento-levati-maria-corri-apri

AVVENTO: “LEVATI” MARIA, “CORRI, APRI!”

I DOMENICA DI AVVENTO, 28 NOVEMBRE 2010 (ANNO A)

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 26 novembre 2010 (ZENIT.org).- “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finchè venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24,37-44). “Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24,44): non incutono timore queste parole del Vangelo (e quelle che precedono) se le ascoltiamo riferite alla vergine Maria nel giorno in cui le fu annunziato che il “Verbo della vita” (1 Gv 1,1) si sarebbe fatto carne in Lei, non senza il suo assenso al disegno del Padre. Questa fu davvero un’ora inimmaginabile per la fanciulla di Nazaret, immensamente sorpresa dall’annunzio più inconcepibile che mente umana potesse pensare: il Figlio di Dio sarebbe stato concepito nel suo grembo verginale per opera della Spirito Santo. Tale stupefacente iniziativa divina, a quanto sembra, trovò Maria del tutto impreparata: “Come avverrà questo? Non conosco uomo” (Lc 1,34); impreparata, ma pronta. Sì, perché si può essere pronti anche se impreparati, a ben considerare il duplice modo possibile della vigilanza. Anzitutto la nostra vigilanza può dirsi prossima: quella di chi attende un avvenimento conosciuto (se non quanto al contenuto, almeno come fatto ignoto ed importante che si avvicina); in secondo luogo essa può essere remota, cioè profonda, radicata nella vita: come quella naturale di una mamma nei confronti del suo bambino, vigilanza che il suo amore materno alimenta e tiene desta giorno e notte. Se in Maria mancò la vigilanza prossima, poiché le era impossibile prevedere il contenuto dell’annunzio celeste, certo non mancò quella remota. Non mancò e da sola fu più che sufficiente, dal momento che la “piena di grazia” attimo dopo attimo si ritrovava perfettamente disposta e pronta ad obbedire alla volontà di Dio, in forza e grazia della purezza del suo cuore verginale abitato solo dal desiderio di amare il Signore “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Tale meravigliosa vigilanza è così cantata da un innamorato della Madonna: “Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano (…)Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. “Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38)” (San Bernardo, “Omelie sulla Madonna”, breviario del Tempo di Avvento). La triplice esortazione del santo (“levati, corri, apri!”) è una pura contemplazione dell’intima disposizione del cuore di Maria che ci aiuta a comprendere il dinamismo della sua vigilanza silenziosa e nascosta, perfettamente pronta ad accogliere in sé la venuta del Cristo non per una preparazione razionale, ma per l’attitudine profonda del suo essere, della sua persona, del suo cuore.

Al riguardo vi sono due osservazioni da fare. La prima inerisce all’indole femminile di Maria. La sua vigilanza pronta è anzitutto naturale, essenziale, perché scaturisce dalla sua natura femminile materna. E’ per questo istinto proprio della donna che, quando una mamma nella notte è svegliata dal pianto del suo bambino, subito si alza (levati), si affretta alla culla (corri) e se lo prende tra le braccia per calmarlo (il gesto concreto: apri!). Tutto ciò, in genere, è molto più faticoso per il papà, specie se si deve ripetere varie volte nella notte. E’ su questo terreno favorevole che si innesta poi la fede di Maria, amplificando al soprannaturale la vigilanza della sua natura così da acconsentire la libera e pronta adesione all’invito dell’Angelo, senza titubanza alcuna. Vediamo infatti che nel dialogo con Gabriele, Maria si leva con la fede: “Eccomi”; corre con la devozione: “sono la serva del Signore”; apre il suo grembo con l’assenso: “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). La sua domanda “Come avverrà questo?” (Lc 1,34) non esprime un dubbio circa la possibilità di ciò che le viene detto, ma chiede responsabilmente una nuova luce per la ragione. Una volta ottenuta (“Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”) (Lc 1,35), ella dichiara subito quella disponibilità che già era totalmente presente nel suo cuore. Un po’ come un malato che, prontissimo a farsi operare dal chirurgo, chiede in anticipo a che tipo di intervento sarà sottoposto. Ci aiuta a comprenderne bene questa vigilanza cooperante di Maria il beato J. H. Newman: “..la Vergine merita il suo posto nel piano della salvezza poiché corrispose attivamente e personalmente alla grazia di Dio. Nel momento del suo concepimento ella era passiva nelle mani creatrici di Dio, ma nel momento dell’Annunciazione, quando divenne la Madre di Dio e della misericordia divina, non fu semplicemente uno strumento fisico passivo, ma causa vivente, responsabile e intelligente del fatto che Dio prendesse carne umana dentro di lei. Se non avesse fatto volontariamente atto di obbedienza e di fede non sarebbe diventata la Madre di Dio” (in “MARIA. Pagine scelte”, p. 60). Alla Madonna l’Angelo non chiede l’assenso, ma attende quella risposta personale che il mondo intero sollecita “prostrato alla sue ginocchia” (S. Bernardo). Maria è così invitata ad esprimere il “sì” del proprio grembo al concepimento della “Vita invisibile” (1Gv 1,2), un sì che è assenso “in luogo e al posto della natura umana” (San Tommaso, S. Theol. III, q. 30, a. I) alla venuta del Salvatore. Venendo al Vangelo, vediamo che Gesù accosta oggi il Tempo dell’Avvento al tempo di Noè: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito..e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24,38-39). Il messaggio per noi è reso ancor più chiaro dall’immagine di Maria incinta, inseparabile dall’Avvento. Come il ventre di una donna all’ottavo mese di gravidanza è segno inequivocabile della presenza del bambino dentro di lei, così l’Avvento è il “sacramento” della presenza viva ed efficace di Dio nel nostro mondo, e della sua venuta continua nella storia, entrambe le cose per mezzo della liturgia e della sua Chiesa. Quelli che ignorano tale presenza e tale venuta del Signore sono da compiangere più di tutti gli uomini, poiché, non sapendo nemmeno di avere bisogno di un Salvatore, sono nella condizione di coloro che perirono nel diluvio: un racconto, per altro, che non deve far venire in mente la “Protezione Civile”. Infatti: “Per la Sacra Scrittura quell’evento acquista i contorni di un atto di un giudizio divino morale sul peccato umano: il Dio biblico non è indifferente di fronte alla corruzione e all’immoralità. Il diluvio è perciò, secondo questa interpretazione, uno strumento di giudizio secondo la classica teoria della retribuzione per cui ad ogni delitto deve già ora corrispondere un castigo” (G. Ravasi, “150 Risposte. Questioni di fede”, p. 143-144). Oggi il peccato più di ogni altro abominevole ed emblematico dell’attuale cultura della morte è l’uccisione della vita umana nel grembo. Ogni aborto infatti, anche quando la vita è spuntata da un giorno, è una sorta di distruzione di tutta la storia sacra che Dio ha fatto con l’umanità nel suo Figlio, concepito e nato da Maria, poiché: “lo avete fatto a me” (Mt 25,40). “Ma l’ultima parola non è quella del giudizio e della morte. Nell’uomo giusto Noè, e nella sua discendenza, si manifesta l’amore del Creatore che fa pace con l’umanità. Sorge così l’aurora di un nuovo mondo e di una nuova storia, ed è per questo che la tradizione cristiana ha riletto l’epopea del diluvio in chiave battesimale, come anticipazione simbolica delle acque che cancellano l’uomo vecchio e fanno rinascere l’uomo nuovo che vive nella giustizia e nella santità”(G. Ravasi, id.). L’Avvento rivela che quest’aurora del mondo nuovo è la Madre di Gesù, Madre di tutti i viventi, di tutti gli uomini concepiti nel grembo e fuori del grembo. A Lei rivolgiamo la supplica della nostra speranza cristiana: “Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare e amare con te; indicaci la via verso il Salvatore e guidaci nel nostro cammino!”(Enciclica “Spe Salvi”, n. 50, modificato).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

HANUKKAH 2013

http://www.messiev.altervista.org/Hanukkah.htm

HANUKKAH 2013

(Argentino Quintavalle)

(da Chiesa Evangelica)

Come vedremo – Hanukkah – la Festa della Dedicazione o Festa delle Luci, illumina la vita e il ministero del Messia. La sua origine è menzionata profeticamente nel libro di Daniele, ma quello che maggiormente coglie di sorpresa è che il riferimento più chiaro di Hanukkah si trova nel Nuovo Testamento. Hanukkah è una celebrazione di otto giorni che inizia il giorno 25 del mese di Kislev (novembre/dicembre). Sebbene conosciuta come Festa delle Luci, Hanukkah significa Dedicazione, e il tema di questa festa è la ri-dedicazione (ri-consacrazione) del Tempio di Gerusalemme, dopo averlo liberato dal malvagio potere di un re pagano che l’aveva profanato. Ma per i credenti nel Messia Gesù, la festa ha un significato più profondo. Essere parte del corpo di Cristo significa avere la responsabilità di esprimere Cristo, dedicarsi a perseguire i suoi santi scopi, essendo stati salvati dalla potenza del male. Possiamo anche applicare il principio della dedicazione alle nostre vite in quanto individualmente membri del suo corpo. Siamo chiamati giornalmente a dedicare le nostre vite a Colui che ci ama e proclamare il glorioso vangelo del Messia Gesù, essendo luci in questo mondo di tenebre. Per capire completamente Hanukkah, abbiamo bisogno di conoscere un po’ la storia. La maggior parte di quello che conosciamo riguardo la storia di questa festa si trova nei libri extra-biblici di 1 e 2 Maccabei e negli scritti dello storico giudeo Giuseppe Flavio. Il periodo di tempo tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento è stato chiamato “gli anni del silenzio”, ma la verità è che in questo periodo sono accadute molte cose di notevole rilevanza. La storia di Hanukkah è una storia di sopravvivenza, di audacia e di fede vittoriosa. Sono accadute cose troppo importanti per poterle passare sotto silenzio. Il messaggio è che davanti a cose inaspettate, con Dio siamo sempre vittoriosi. La storia risale ad Alessandro il Grande. Partendo dalla Grecia, nel 4° secolo a.C., l’ambizioso Alessandro, all’età di 23 anni, ha iniziato a conquistare il mondo allora conosciuto. Il libro del profeta Daniele lo ritrae, simbolicamente, dapprima come un leopardo alato e poi come un capro con un corno tra gli occhi, che correva così velocemente tanto da non toccare il suolo (Dan.7:6; 8:5-7). È stato con le sue conquiste che è iniziata l’Ellenizzazione del mondo. Le idee dei filosofi greci, che glorificavano il corpo umano sia nello sport che nell’arte, e la maniera greca di comprendere l’universo che ci circonda, ha permeato il mondo. Queste nuove idee filosofiche hanno cambiato le culture esistenti e hanno cercato d’influire anche sulle religioni dei popoli conquistati. Alla morte di Alessandro nel 323 a.C., c’è stata una spartizione di potere tra quattro dei suoi generali, ed ha segnato l’inizio di un lungo periodo di guerre durato per quasi 200 anni. Il regno è stato diviso in quattro parti, governato da varie dinastie. Alla fine, la dinastia Seleucide/Siriana, sotto il comando di Antioco IV, che si è chiamato Epifane (che vuole “manifestazione di Dio”), ha avuto il controllo della regione che includeva anche Israele. L’obiettivo di Antioco era quello di unificare il suo regno. Egli ha imposto una politica di assimilazione della cultura ellenista, senza alcun riguardo alla cultura ed alle usanze dei popoli conquistati. I greci pensavano che, per essere veramente efficace, questa assimilazione doveva essere applicata a tutti gli aspetti della vita, comprese la lingua, le arti e la religione. Tutto e tutti si dovevano conformare alla maniera greca di vivere, considerata superiore. Questa politica di ellenizzazione, per molti, non è stato affatto un problema. Infatti, i greci erano rispettati per la loro cultura ed anche molti giudei hanno accettato e difeso l’ellenismo. Però, c’era un numero significativo di Giudei che erano terrorizzati dal cambiamento della loro società e si sono rifiutati di sottoporvisi. È iniziata così una massiccia lotta tra culture: Giudaismo contro Ellenismo. Antioco credeva che la religione giudaica fosse l’ostacolo che impediva l’accettazione dell’ellenismo, così ha messo fuori legge il giudaismo e condannato a morte chiunque lo praticasse. Nel Tempio si è praticata la prostituzione sacra. È stato dichiarato illegale il possesso delle Sacre Scritture. Famiglie intere di giudei sono state uccise per aver voluto osservare il sabato e la circoncisione. Molte famiglie, quando si scopriva che avevano circonciso i loro figli, venivano crocifisse con i neonati impiccati sui loro colli. Nonostante queste misure raccapriccianti ed il clima di terrore, molti giudei si sono rifiutati di assimilarsi alla cultura greca. Nel 167 a.C., Antioco Epifane ha marciato su Gerusalemme, è entrato nel Tempio e l’ha saccheggiato. Vi ha eretto un’immagine del suo dio, Zeus, e sull’altare sacro vi ha sacrificato un maiale. I giudei “ribelli”, invece di chiamarlo Antioco Epifane (manifestazione di Dio), l’hanno chiamato Epimene – che è l’equivalente greco per “pazzo”. Egli ha inviato i suoi soldati nelle campagne, distruggendo villaggi e sinagoghe e costringendo gli abitanti a partecipare alla celebrazione di Zeus con una festa del maiale. Quando sono entrati nella città di Modin, la gente è stata fatta riunire nella piazza della città dai soldati greco-siriani, è stato fatto costruire un altare ed il vecchio sacerdote Mattatia avrebbe dovuto sacrificare un maiale affinché la cittadinanza lo mangiasse. Mattatia si è rifiutato. A questo punto, un uomo del villaggio si è offerto di collaborare con i greco-siriani. Come l’uomo si è avvicinato al maiale, Mattatia gli è andato incontro ed ha ucciso il collaborazionista. I cinque figli di Mattatia hanno preso le loro armi, colpito i soldati, e poi sono fuggiti verso le colline. Si sono uniti a loro molti altri Giudei, ed insieme hanno iniziato una rivolta contro il potente impero greco-siriano. Poco dopo, Mattatia è morto e suo figlio Giuda ha assunto la guida del gruppo, divenuto noto come il gruppo dei «Maccabei». Ci sono due teorie riguardo questo nome. Il primo e più comune è che derivi dalla parola maqqabôt, « martello », dalla radice maqab. Si crede che a Giuda sia stato dato il nome di maqqabôt per la sua grande forza. La seconda teoria è che la parola « maqqabôt » sia un acrostico – « Mi kamokha ba’elim Adonai » che significa, « chi tra i potenti è simile a te, o Signore?”. Si crede che “maqqabôt” sia stato il grido di battaglia dei Giudei che hanno combattuto contro l’esercito Siriano. Sotto la conduzione di Giuda e di fronte ad una siffatta disparità di forze, i « ribelli » hanno adottato la tattica della guerriglia, ed in seguito hanno sorpreso e sconfitto l’esercito Siriano mandato contro di loro per domare la rivolta. Convinti della fedeltà di Dio, i “ribelli” si sono spinti fino a Gerusalemme, l’hanno liberata dai Siriani ed hanno riconquistato il Tempio. Hanno buttato giù la statua di Zeus e rimosso l’altare contaminato, costruendone uno nuovo. È stata fissata una data per la riconsacrazione del Tempio – il 25 di Kislev, lo stesso giorno nel quale, tre anni prima, Antioco aveva emesso le sue leggi anti-giudaiche ed aveva commesso «l’abominazione della desolazione». Nel Luogo Santo del Tempio, con grande gioia dei conquistatori Giudei, è stata ritrovata la grande menorah, che era il simbolo della luce di Dio. Era stata danneggiata, ma essi l’hanno riparata ed hanno cercato lo speciale olio per accenderla. In uno dei magazzini hanno trovato una sola bottiglia d’olio, che era sufficiente solo per un giorno e la procedura per la sua preparazione richiedeva otto giorni. Essi erano di fronte alla decisione se fare l’olio ed aspettare otto giorni per accendere la menorah, dando così il tempo ai Siriani di riorganizzarsi ed attaccare, oppure accenderla subito e sperare che la gente, vedendo che la luce di Dio era ancora una volta nel Tempio, si unisse alla lotta insieme a loro. Il solo pensiero di riaccendere la luce per vederla splendere di nuovo era una cosa che toccava il cuore. Inoltre, lo zelo per la riconsacrazione del Tempio era così forte che, malgrado il dilemma, essi decisero di accendere il candelabro. Dio ha mostrato la Sua approvazione per gli atti di valore e di zelo dei Maccabei, quando l’olio, che doveva durate per un solo giorno, è miracolosamente durato per tutti gli otto giorni, fino a quando era pronto il nuovo olio santo. Il sentimento nazionale è cresciuto a tal punto che i Siriani non hanno più potuto riprendere Gerusalemme. Giuda stabilì che questo evento sarebbe stato ricordato con una festa annua, Hanukkah, la Festa della Dedicazione. Un detto tradizionale è nato dalla storia di Hanukkah: «nes gadol haya sham», che vuole dire, «un grande miracolo è accaduto». Perciò, questa festa di 8 giorni è conosciuta anche come «Festa delle Luci». Ci sono alcune tradizioni associate alla commemorazione di Hanukkah, ma voglio concentrarmi su quello che, in maniera molto chiara, mostra un simbolismo Messianico. Durante la festa, veniva usata una menorah speciale. L’Hanukkah Menorah ha nove bracci invece dei normali sette. Quello chiamato «Shamash» o «Servitore» si trova ad un lato oppure in mezzo ma in posizione più elevata. La prima notte, viene messa una candela nello Shamash e una alla fine. Si accende lo Shamash, e poi con esso si accende l’altra candela. La seconda notte, si aggiunge una candela, e così via fino alla fine degli otto giorni. Durante l’accensione, la famiglia recita una tradizionale preghiera di benedizione. È della candela Shamash di cui voglio parlare. La candela centrale, lo Shamash, il Servitore – ci ricorda Gesù e quello che egli ha detto di sé stesso: «il Figliuol dell’uomo non è venuto per esser servito ma per servire» (Mat.20:28). Come lo Shamash è l’unica fonte di luce per le altre candele, così Gesù è l’unica fonte di luce delle nostre vite. Vediamo in Giov.1:9 che «La vera luce che illumina ogni uomo, era per venire nel mondo». Per i credenti in Gesù la metafora è significativa: Gesù, la «luce del mondo» (Giov.8:12), è venuto come un servitore (Mar.10:45) per dare a tutti la luce (Giov.1:4,5), in modo da poter diventare luce per gli altri (Mat.5:14). Per la comunità ebraica, Hanukkah è diventata un tempo per esprimere la speranza Messianica, in quanto è un ricordo di liberazione. Noi sappiamo che il vero Shamash è Gesù, la Luce del mondo. Ho già detto che la citazione più chiara di Hanukkah si trova nel Nuovo Testamento, e precisamente in Giov.10:22-30. Leggiamo che Gesù era a Gerusalemme per celebrare la festa della Dedicazione ed è in quella occasione che egli ha scelto di dichiarare pubblicamente la sua divinità – dichiarare sé stesso come Messia. Il passaggio inizia: «In quel tempo ebbe luogo in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone». (vv.22,23). Gli Israeliti dei tempi di Gesù conoscevano gli eventi che avevano portato alla Festa della Dedicazione, quando gli si sono avvicinati nel Tempio. Era nel contesto di quella storia che gli hanno chiesto: «Se tu sei il Cristo diccelo apertamente» (v.24). Se egli era veramente il Messia, essi ragionavano, avrebbe dovuto avere il potere di liberare il popolo dalla tirannia dei Romani, così come Dio li aveva liberati dal perverso Antioco. Gesù ha risposto loro con un rimprovero. «Ve l’ho detto, e non lo credete» (v.25). Gesù ha chiaramente affermato la sua Messianicità. Egli ha dichiarato di avere la potenza divina per liberare e sostenere il suo popolo, ma non nel modo che essi speravano ed attendevano: «le opere che fo nel nome del Padre mio, son quelle che testimoniano di me; ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date, è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre». (vv.25-29). Il potere di cui parlava Gesù non era un potere temporale e materiale. Era spirituale ed eterno – ed era basato sulla fede in lui come Cristo di Dio. La salvezza che egli offriva non era dall’oppressione romana, ma dall’oppressione di Satana, dal peccato e dalla morte. La riconsacrazione del Tempio ricordava la potenza di Dio per mantenere le Sue promesse e preservare il Suo popolo Israele. Ma Uno maggiore del Tempio stava nel portico di Salomone in quel giorno. Egli ha fatto una affermazione sbalorditiva: «Io ed il Padre siamo uno» (v.30). Questo è il ricordo di Hanukkah. Era ancora fresco tra la gente il ricordo che essi avevano rifiutato di sottomettersi ad Antioco. Ora c’è qui Gesù, che sta in piedi nel Tempio e che afferma la sua divinità. La reazione della gente era prevedibile. «I Giudei presero di nuovo delle pietre per lapidarlo» (v.31). E se egli non fosse stato colui che sosteneva di essere, essi avrebbero avuto pienamente ragione a fare questo. Non c’è stato alcun fraintendimento, essi hanno capito perfettamente quello che Gesù esigeva di essere, «Molte buone opere v’ho mostrate da parte del Padre mio; per quale di queste opere mi lapidate voi?» (v.32). I Giudei hanno risposto: «Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (v.33). Quando la gente ha rifiutato Antioco, Dio ha mantenuto la Sua promessa di liberarli miracolosamente. Ma quando i capi Giudei hanno rifiutato Gesù, essi hanno perso un miracolo ben più grande della vittoria che Israele aveva ottenuto sull’esercito Siriano. Essi hanno perso il miracolo dell’Emmanuele, Dio con noi. Quel miracolo ha dato a Gesù il diritto di esercitare la potenza per salvare tutti quelli che vanno a Dio attraverso di Lui. Dio mantiene le Sue promesse, anche quando l’essere umano non riesce a vederlo. Egli ha detto, «Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figliuolo, e gli porrà nome Emmanuele…Poiché un fanciullo ci è nato, un figliuolo ci è stato dato, e l’imperio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace» (Is.7:14; 9:6). Gesù ha adempiuto queste promesse preziose di Dio. In lui, Dio ha dimostrato la Sua fedeltà ad Israele e a tutto il mondo. Quando guardiamo il miracolo di Hanukkah, sappiamo di avere motivo per fare festa. Poiché Dio mantiene le Sue promesse, Egli salverà e sosterrà Israele. Poiché Dio mantiene le Sue promesse, Egli salverà e sosterrà tutti quelli che sono venuti a Lui per mezzo della fede nell’Emmanuele, il nostro Messia Gesù. Poiché Dio mantiene le Sue promesse, Egli ha comprato con sangue ogni credente per essere il Suo proprio Tempio, dove l’Emmanuele, Dio con noi, ha posto la sua residenza. E poiché Dio mantiene le Sue promesse, ci uniamo ad altri nel dedicare noi stessi a vivere per Lui per mezzo della potenza del Ruach haKodesh, lo Spirito Santo che arde dentro di noi. Se non abbiamo mai considerato Hanukkah come una festa, un giorno santo, possiamo incominciare ad apprezzarla. Ricordiamo che ognuno di noi, illuminato dallo Shamash, è ora il Tempio di Dio. Ci è stata data una fiamma eterna – un rifornimento senza fine di « olio nelle nostre lampade ». Facciamo radiosamente bruciare questa fiamma nei nostri cuori. E ora, possa Dio darci luce agli occhi, e farci vedere Gesù nella vita di tutti i giorni. Possa la Sua luce illuminare della Sua presenza le nostre case. Possa Egli permettere ad ognuno di noi di essere come lampade splendenti nel mondo in cui viviamo.  

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