Archive pour le 22 novembre, 2013

Il trionfo della Croce, Mosaico dell’Abside della Basilica di San Clemente a Roma

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23 NOVEMBRE : SAN CLEMENTE I – PAPA E MARTIRE – BIOGRAFIA

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23 NOVEMBRE : SAN CLEMENTE I – PAPA E MARTIRE - BIOGRAFIA

San  Clemente. Il terzo successore di san Pietro. La storia non offre materiale per scrivere la vita di questo papa che, più o meno tra l’ 88 e il 97, ha occupato la cattedra di Pietro. Un’antica tradizione (attestata da san Girolamo e da sant’Ireneo) afferma che a ordinarlo sacerdote é stato san Pietro stesso. Questa notizia é molto più verosimile della leggenda che vede in Clemente un membro della famiglia imperiale. La lettera di Clemente gli « Atti di san Clemente », lasciano dubbioso lo storico Severo, non si può dire la stessa cosa della sola « lettera » che possediamo di lui, lettera fondamentale, nella quale la Chiesa di Roma scrive alla Chiesa di Corinto. L’importanza di questa lettera sta nella netta insistenza che essa pone sul primato della sede di Pietro. La forza di quest’affermazione risiede in ciò che Ireneo ha intensamente sottolineato: « Clemente aveva visto gli Apostoli in persona, la loro predicazione era ancora nelle sue orecchie e la loro tradizione sotto i suoi occhi ». Si presume che Clemente abbia subito il martirio, stando a quanto afferma una tradizione del IV secolo; A Roma una basilica gli é dedicata.

MARTIROLOGIO
San Clemente I, papa e martire, che resse la Chiesa di Roma per terzo dopo san Pietro Apostolo e scrisse ai Corinzi una celebre Lettera per rinsaldare la pace e la concordia tra loro. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo a Roma.

DAGLI SCRITTI…
Dalla »Lettera ai Corinzi » di san Clemente I, papa
Quanto sono mirabili e preziosi i doni di Dio, fratelli carissimi La vita nell’immortalità, lo splendore nella giustizia, la verità nella libertà, la fede nella confidenza, la padronanza di sé nella santità: tutto questo é stato messo alla portata della nostra intelligenza. Quali saranno allora i beni che sono preparati per coloro che lo aspettano? Solo il Creatore e il Padre dei secoli, il Santo per eccellenza ne conosce la quantità e la bellezza. Noi dunque, al fine di essere partecipi dei doni promessi, facciamo di tutto per ritrovarci nel numero di coloro che lo aspettano.
E come si verificherà questo, fratelli carissimi? Si verificherà se la nostra intelligenza sarà salda in Dio con la fede, se cercheremo con diligenza ciò che é gradito e accetto a lui, se faremo ciò che é conforme alla sua santissima volontà, se seguiremo la via della verità, insomma se ci terremo lontani da ogni ingiustizia, perversità, avarizia, rissa, malizia e inganno. Questa é la via, fratelli carissimi, in cui troviamo la nostra salvezza, Gesù Cristo, mediatore del nostro sacrificio, difensore e aiuto della nostra debolezza. Per mezzo di lui possiamo guardare l’altezza dei cieli, per mezzo di lui contempliamo il volto purissimo e sublime di Dio, per lui sono stati aperti gli occhi del nostro cuore, per lui la nostra mente insensata e ottenebrata rifiorisce nella luce, per mezzo di lui il Padre ha voluto che noi gustassimo la conoscenza immortale. Egli, essendo l’irradiazione della gloria di Dio, é tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente é il nome che ha ereditato (cfr. Eb 1, 3-4).
Perciò, fratelli, combattiamo con tutte le forze sotto i suoi irreprensibili comandi. I grandi non possono restare senza i piccoli, né i piccoli senza i grandi. Tutti sono frammisti, di qui il vantaggio reciproco. Prendiamo ad esempio il nostro corpo. La testa senza i piedi non é nulla, come pure i piedi senza la testa. Anche le membra più piccole del nostro corpo sono necessarie e utili a tutto il corpo; anzi tutte si accordano e si sottomettono al medesimo fine, perché tutto il corpo sia saldo. Si assicuri perciò la salvezza di tutto il nostro corpo in Cristo Gesù, e ciascuno sia soggetto al suo prossimo secondo il dono della grazia che gli é stata affidata. Chi é forte si prenda cura di chi é debole, il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero lodi Dio perché gli ha dato uno che viene a colmare la sua indigenza. Il sapiente mostri la sua sapienza non con le parole ma con le opere buone; l’umile non renda testimonianza a se stesso, ma lasci che sia un altro a dargliela. Avendo da Dio tutte queste cose, dobbiamo ringraziarlo di tutto. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. (Capp. 35, 1-5; 36, 1-2; 37, 1. 4-5; 38, 1-2. 4; Funk 1, 105-109).

 

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INNO CRISTOLOGICO: COL 1,3-12-20 – CRISTO IL PRIMOGENITO – PAPA BENEDETTO

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CRISTO IL PRIMOGENITO

INNO CRISTOLOGICO: COL 1,3-12-20

BENEDETTO XVI, L’OSSERVATORE ROMANO, 05-01-2006

Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose.
Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

Ci soffermiamo a meditare il celebre inno cristologico contenuto nella Lettera ai Colossesi, che è quasi il solenne portale d’ingresso di questo ricco scritto paolino. L’Inno proposto alla nostra riflessione, recitato ai Vespri del Mercoledì della quarta settimana, è incorniciato da un’ampia formula di ringraziamento (cf vv. 3.12-14). Essa ci aiuta a creare l’atmosfera spirituale per vivere bene questi giorni pasquali, come pure il nostro cammino lungo l’intero anno liturgico (cf vv. 15-20).
La lode sale a «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 3), sorgente di quella salvezza che è descritta in negativo come «liberazione dal potere delle tenebre» (v. 13), cioè come «redenzione e remissione dei peccati» (v. 14). Essa è poi riproposta in positivo come «partecipazione alla sorte dei santi nella luce» (v. 12) e come ingresso «nel regno del Figlio diletto» (v. 13).

Gesù rende visibile il Padre
A questo punto si schiude il grande e denso Inno, che ha al centro il Cristo, del quale è esaltato il primato e l’opera sia nella creazione sia nella storia della redenzione (cf vv. 15-20). Due sono, quindi, i movimenti del canto. Nel primo è presentato il primogenito di tutta la creazione, Cristo, «generato prima di ogni creatura» (v. 15). Egli è, infatti, l’«immagine del Dio invisibile», e questa espressione ha tutta la carica che l’«icona» ha nella cultura d’Oriente: si sottolinea non tanto la somiglianza, ma l’intimità profonda col soggetto rappresentato.
Cristo ripropone in mezzo a noi in modo visibile il «Dio invisibile», attraverso la comune natura che li unisce. Cristo per questa sua altissima dignità precede «tutte le cose» non solo a causa della sua eternità, ma anche e soprattutto con la sua opera creatrice e provvidente: «per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… e tutte sussistono in lui» (vv. 16-17). Anzi, esse sono state create anche «in vista di lui» (v. 16).

Cristo è la pienezza della vita
Il secondo movimento dell’Inno (cf Col 1,18-20) è dominato dalla figura di Cristo salvatore all’interno della storia della salvezza. La sua opera si rivela innanzitutto nell’essere «capo del corpo, cioè della Chiesa» (v. 18): è questo l’orizzonte salvifico privilegiato nel quale si manifestano in pienezza la liberazione e la redenzione, la comunione vitale che intercorre tra il Capo e le membra del corpo, ossia tra Cristo e i cristiani. Lo sguardo dell’Apostolo si protende alla meta ultima verso cui converge la storia: Cristo è «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (v. 18), è colui che dischiude le porte alla vita eterna, strappandoci dal limite della morte e del male.
Ecco, infatti, quel pleroma, quella «pienezza» di vita e di grazia che è in Cristo stesso e che è a noi donata e comunicata (cf v. 19). Con questa presenza vitale, che ci rende partecipi della divinità, siamo trasformati interiormente, riconciliati, rappacificati: è, questa, un’armonia di tutto l’essere redento nel quale ormai Dio è «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).

Salvati nella carne di Cristo
A questo mistero grandioso della redenzione dedichiamo ora uno sguardo contemplativo e lo facciamo con le parole di San Proclo di Costantinopoli, morto nel 446. Egli nella sua Prima omelia sulla Madre di Dio Maria ripropone il mistero della Redenzione come conseguenza dell’Incarnazione.
Dio, infatti, ricorda il Vescovo, si è fatto uomo per salvarci e così strapparci dal potere delle tenebre e ricondurci nel regno del Figlio diletto, come ricorda appunto l’inno della Lettera ai Colossesi. «Chi ci ha redento non è un puro uomo: – osserva Proclo – tutto il genere umano infatti era asservito al peccato; ma neppure era un Dio privo di natura umana: aveva infatti un corpo. Che, se non si fosse rivestito di me, non m’avrebbe salvato. Apparso nel seno della Vergine, Egli si vestì del condannato. Lì avvenne il tremendo commercio, diede lo spirito, prese la carne» (8: Testi mariani del primo millennio, I, Roma 1988, p. 561).
Siamo, quindi, davanti all’opera di Dio, che ha compiuto la Redenzione proprio perché anche uomo. Egli è contemporaneamente il Figlio di Dio, salvatore ma è anche nostro fratello ed è con questa prossimità che Egli effonde in noi il dono divino.

24 NOV. 2013 | 34A DOM. CRISTO RE : LECTIO DIVINA SU: LC 23,35-43

 http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/34-Domenica-Cristo_Re-C-2013/34-Domenica-Cristo_Re-2013_C-JB.html

24 NOV. 2013  | 34A DOM. CRISTO RE – DEL TEMPO ORDINARIO C  – (LECTIO AD USO OMELIA)

LECTIO DIVINA SU: LC 23,35-43

Con la celebrazione della maestà di Cristo, la chiesa termina l’anno liturgico. Durante questo periodo, domenica dopo domenica, abbiamo ricordato quanto Dio fece per noi e quanto costò a suo figlio portarlo a termine: l’amore smisurato di Dio e il sacrificio volontario di Gesù sono stati, perciò, i motivi centrali del nostro pellegrinaggio liturgico. La solennità di Cristo Re è come una specie di sintesi di tutto il vissuto e celebrato durante l’anno che termina. Cristo Gesù è nostro re perché Dio lo ha fatto signore della nostra vita e del nostro mondo. Gli ha dato tale potere non per farci servi suoi, ma per salvarci dalla morte. Per non perderci, Dio ci ha affidati all’attenzione di chi desidera aver cura di noi; l’amore che Dio ha per noi lo ha portato a metterci sotto la sovranità di colui il quale ha dato la sua vita per noi: suo figlio Gesù Cristo, nostro Signore. Chi può avere cura di noi se non colui che ha dato la sua vita per noi?

In quel tempo, 35le autorità deridevano Gesù, dicendo: « Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, l’Unto. »
36 Anche i soldati lo deridevano, offrendogli aceto 37e dicendo: « Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso ».
38 In cima alla croce vi era un cartello in greco, latino ed ebraico con scritto: « Questi è il re dei Giudei ». 39 Uno dei malfattori appesi alla croce insultava Gesù, dicendo: « Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi « .
40 Ma l’altro lo rimproverava: ‘Non hai timore di Dio, essendo nella stessa condanna? 41Per noi è giusto, perché riceviamo il pagamento di quello che abbiamo fatto, ma, invece lui, non ha fatto niente ».
42 E diceva: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ».
43 Gesù gli rispose – « Io ti dico oggi sarai con me in paradiso ».
 1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice

E’ antichissima tradizione di fede cristiana che, con la sua risurrezione, Dio ha stabilito Gesù di Nazareth Cristo e Signore. Col passare del tempo i cristiani giunsero a capire che la morte in croce fu, in realtà, la cerimonia della sua intronizzazione a re. Ora Luca fa di questa convinzione una cronaca.
La scena è breve ed è magistralmente redatta. Luca ha dato spazio e parola a quelli che furono presenti alla morte di Gesù: le autorità, che lo avevano condannato (Lc 23,35) i soldati, che lo stavano giustiziando (Lc 23,36); i ladroni, che morivano accanto a lui (Lc 23,39-40). I tre gruppi credono a Gesù solo con la sua auto salvezza; lo accetteranno come messia solo se si salverà e se li salverà (Lc 23,35.36,39). Le autorità mettono in dubbio che si può salvare, anche se non possono negare che egli ha salvato gli altri. I soldati gli chiedono che si liberi dalla morte, e dimostri così il suo potere. Uno dei ladroni lo incita a far si che mostri la sua potenza salvandosi e salvando lui. Solo l’altro, confessando la sua colpa, chiede che lo ricordi quando sarà nel suo regno. Egli sarà l’unico che guadagnerà la salvezza e il regno (Lc 23,43).
Significativamente Gesù, di cui tutti parlano mentre lui muore, interviene solamente alla fine per assicurare la salvezza a chi non dubiterà della sua dignità messianica. Il ‘buon ladrone’ non fece che confessare la sua colpa, riconoscere l’innocenza di Gesù e chiedere di essere ricordato nel suo regno. Coloro che chiedevano una prova -sempre la liberazione dalla croce- per accettarlo come messia d’Israele, non otterranno nessuna risposta. Chi non aveva nessun dubbio sulla sua innocenza e neppure sopra la sua realtà divina, chiedeva a Gesù unicamente di essere ricordato: ottenne perciò di poterlo accompagnare nel suo regno. (Lc 23,43).
La scena si chiude affermando la reale volontà di Gesù di salvare coloro che glielo chiedono. Ma per poterlo chiedere, occorre prima confessare la propria indegnità e accettare il modo di come Gesù si manifesta messia di Dio, ossia: morendo in croce. Gesù non è messia perché sfugge alla morte, ma perché muore per salvare l’umanità dalla morte.
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

Nel calvario la maestà di Gesù non può essere male interpretata, al massimo, e come ricorda il vangelo di oggi, può non essere capita: deridendolo, mentre pende dalla croce, è proclamato, non senza ironia, re e messia. Regnare da una croce è una forma insolita di regnare, poco credibile. Entrare nel proprio regno accompagnato da un giustiziato non sembra un modo né troppo nobile né logico di esordire come un re. Tra tutti coloro che presenziarono alla crocefissione, condivise il regno solamente colui che aveva compartito la sua sofferenza e la sua morte; il compagno di passione di Gesù lo accompagnò nel suo regno. Chi supera lo scandalo e condivide la sua sorte, anche se fosse un giustiziato, lo accompagnerà nel suo imminente trionfo. Chi lo accompagna in questo passaggio, il più meritevole, trionferà con lui. E’ l’impegno, è la promessa che il crocifisso ha fatto dalla croce e ha realizzato con il suo primo accompagnatore.
E’ stato tutto un dettaglio -degno solamente di un Dio- l’aver posto il destino della nostra vita, la sua fortuna o la sua disgrazia, nelle mani di chi diede la sua vita per salvare la nostra. Se desidero conoscere la verità per sempre, l’amore che Dio ha per me, devo conoscere maggiormente la regalità di Gesù sopra la mia morte. Dio ci ha liberati da tutti i signori e da tutte le schiavitù, perché desideriamo essere sudditi di un solo signore, Cristo crocifisso.
Perciò, se il servizio a Cristo ci procura l’amore di Dio, dobbiamo fare del tutto per realizzare questo servizio. Il racconto evangelico viene in nostro aiuto; Gesù è il re perché morì crocifisso; non è re al modo di come lo sono oggi o lo sono stati in passato tanti; per eredità familiare o per elezione del popolo; se lo guadagnò con fermezza compromettendo la sua vita; la sua sovranità dipese dal suo sacrificio personale; la sua sovranità la esercita servendo i suoi servi, senza servirsi di loro. Cristo tornerà a regnare nel luogo dove vive un suo servo, con tanto potere capace di mettersi a servizio degli altri. Cristo non cesserà di regnare tra di noi fintanto che esisteranno cristiani capaci di mettere a disposizione la loro vita per far si che gli altri non perdono la loro.
E, notate bene, non è l’aver fatto meglio degli altri, perché Cristo inizi a regnare con uno. È solamente necessario, questo sì, mantenersi vicino alla croce di Cristo, essergli compagni, se non di vita, compagni nella croce. Lo ha ricordato il vangelo: fu un malfattore il primo cittadino del regno; le autorità, i soldati che si burlavano di lui, i curiosi che guardavano lo spettacolo, gli amici, i discepoli che lo avevano abbandonato, tutti persero la loro opportunità; non si credevano tanto cattivi per meritarsi un simile castigo. In cambio: un uomo che riconosceva la sua colpa, un condannato che -casualmente- divideva la sua sorte con lui, seppe approfittarne e guadagnare un posto nel suo regno.
Inoltre, per accompagnare Cristo nel suo paradiso, non basta essergli compagni di passione; bisogna riconoscere il proprio peccato e bisogna pregarlo di non dimenticarsi di noi quando tornerà col suo regno. Gesù che muore con noi, non è come noi, meritevoli della nostra pena. Dividere tutto con Gesù, incluso la sua morte infame, è la condizione per dividere il suo regno. Nessuno può illudersi di entrare nel suo regno se non ha fatto il proprio percorso: dichiararsi suddito di Cristo re, impone il servizio della croce: il fatto che la croce sia il suo trono, obbliga chi lo accetta come re, ad accettarlo crocifisso e accettare le proprie croci; potremo conoscere in pienezza, la sovranità di Cristo solamente se riconosciamo il modo di come egli la ottenne. Non è la croce, ma Cristo crocifisso la meta della vita del cristiano; e, pur indegna che sia stata la vita, entrano nella sua gloria solamente i suoi compagni di passione.
Chi oggi si rallegra di avere un simile re, che arrivò ad esserlo perché morì per lui, dovrebbe essere più cauto e verificare se veramente lo sta servendo come egli merita. Desiderare di averlo come Signore e continuare a mantenere il successo, il potere, il denaro, il piacere, come ragione della vita e, a volte, causare la morte di altri, non è possibile. A quale regno vogliamo appartenere, al regno degli infami o al regno del crocifisso? Se, compagni del crocifisso, passeremo la nostra vita al servizio degli altri, giorno per giorno, senza grandi gesti, ma con perseveranza, avremo più vita, più futuro, più speranza, e opereremo in una società di cristiani disposti a dare la vita prima che toglierla. Il nostro mondo abbonda di cattive persone; mancano buoni cristiani, sudditi di un re crocifisso.
Non lo dimentichiamo: per avvicinare il regno di Cristo agli uomini di oggi, Dio non spera solamente nella nostra bontà, gli basterebbe che noi compartissimo con Cristo la croce che abbiamo meritato. Cristo continua il suo agire avendo bisogno di compagni di passione; cristiani che, nonostante i tanti difetti che possano avere, non arrivano a rinnegare il loro Signore crocifisso. Dobbiamo essere disposti a compartire con lui le nostre pene e le nostre solitudini, comunicargli le nostre disgrazie, per non perderlo per sempre. Perché, se Cristo regna dalla croce, tutti quelli che soffrono possono contare su di lui, come compagno di pena, e gli verrà assicurato un posto accanto a lui quando ‘sarà’ nel suo regno.
La promessa che Cristo promise al ladrone nel giorno della sua morte, non l’ha ritirata; anche lei entrò nel suo regno e la rinnova mentre regna. Non volle far trionfare con il miracolo della salvezza chi moriva e neppure assicurare una salvezza momentanea; di fatto, non si salvò né lui e neppure chi gli era accanto. Ma il compagno di passione di Gesù non venne dimenticato.
Il compagno di Gesù crocifisso può stare sicuro che, anche se gli altri lo condanneranno o lo abbandoneranno, Dio lo libererà dal suo dolore e dalla sua morte. Un re così merita il nostro servizio: venga a noi il tuo regno, Signore!

 JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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