Archive pour le 5 novembre, 2013

S. Francesco d’Assisi, Icone Bizantine di Fra Tommaso Rignanese OFM

S. Francesco d'Assisi, Icone Bizantine di Fra Tommaso Rignanese OFM dans immagini sacre 00010
http://luirig.altervista.org/icone_bizantine/s__francesco_d_assisi.htm

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LO SPLENDORE DELLA PACE DI FRANCESCO (SAN FRANCESCO) – DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

http://www.30giorni.it/articoli_id_375_l1.htm

LO SPLENDORE DELLA PACE DI FRANCESCO (SAN FRANCESCO)

«Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura». Un articolo per 30Giorni del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

Storie di san Francesco, Giotto, basilica superiore, Assisi
La preghiera di san Francesco nella chiesa di San Damiano, particolare, Storie di san Francesco, Giotto, basilica superiore, Assisi
Quando, giovedì 24 gennaio, sotto un cielo gravido di pioggia, si è mosso il treno che doveva condurre ad Assisi i rappresentanti di un gran numero di Chiese cristiane e comunità ecclesiali assieme ai rappresentanti di molte religioni mondiali per testimoniare e pregare per la pace, questo treno mi è apparso come un simbolo del nostro pellegrinaggio nella storia. Non siamo, infatti, forse tutti passeggeri di uno stesso treno? Il fatto che il treno abbia scelto come sua destinazione la pace e la giustizia, la riconciliazione dei popoli e delle religioni non è forse una grande ambizione e, al contempo, uno splendido segnale di speranza? Ovunque, passando nelle stazioni, è accorsa una gran folla per salutare i pellegrini della pace. Nelle strade di Assisi e nella grande tenda, il luogo della testimonianza comune, siamo stati nuovamente circondati dall’entusiasmo e dalla gioia piena di gratitudine, in particolare di un numeroso drappello di giovani. Il saluto della gente era diretto principalmente all’uomo anziano vestito di bianco che stava sul treno. Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l’un l’altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l’impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni. Ma l’applauso, rivolto innanzitutto al Papa, esprimeva anche un consenso spontaneo per tutti coloro che con lui cercano la pace e la giustizia, ed era un segnale del desiderio profondo di pace che provano gli individui di fronte alle devastazioni che ci circondano provocate dall’odio e dalla violenza. Anche se talvolta l’odio appare invincibile e si moltiplica senza sosta nella spirale della violenza, qui, per un momento, si è percepita la presenza della forza di Dio, della forza della pace. Mi vengono alla mente le parole del salmo: «Con il mio Dio scavalcherò le mura» (Sal 18, 30). Dio non ci mette gli uni contro gli altri, bensì Egli che è Uno, che è il Padre di tutti, ci ha aiutato, almeno per un momento, a scavalcare le mura che ci separano, facendoci riconoscere che Egli è la pace e che non possiamo essere vicini a Dio se siamo lontani dalla pace.
Due immagini della Giornata di Assisi: in alto, il muftì della moschea di Roma mentre depone la lampada sul tripode posto davanti al palco; a destra, un gruppo di leader religiosi non cristiani
Due immagini della Giornata di Assisi: in alto, il muftì della moschea di Roma mentre depone la lampada sul tripode posto davanti al palco; a destra, un gruppo di leader religiosi non cristiani
Nel suo discorso il Papa ha citato un altro caposaldo della Bibbia, la frase della Lettera agli Efesini: «Cristo è la nostra pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2, 14). Pace e giustizia sono nel Nuovo Testamento nomi di Cristo (per «Cristo, nostra giustizia» vedere ad esempio 1Cor 1, 30). Come cristiani non dobbiamo nascondere questa nostra convinzione: da parte del Papa e del Patriarca ecumenico la confessione di Cristo nostra pace è stata chiara e solenne. Ma proprio per questa ragione c’è qualcosa che ci unisce oltre le frontiere: il pellegrinaggio per la pace e la giustizia. Le parole che un cristiano deve dire a colui che si mette in cammino verso tali mete sono le stesse usate dal Signore nella risposta allo scriba che aveva riconosciuto nel duplice comandamento che esorta ad amare Dio e il prossimo la sintesi del messaggio veterotestamentario: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12, 34).
Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi, mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia. Infatti, là dove manca la giustizia, dove agli individui viene negato il loro diritto, l’assenza di guerra può essere solo un velo dietro al quale si nascondono ingiustizia e oppressione.
Con la loro testimonianza per la pace, con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione. Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero. Anche prima della sua conversione Francesco era cristiano, così come lo erano i suoi concittadini. E anche il vittorioso esercito di Perugia che lo gettò in carcere prigioniero e sconfitto era formato da cristiani. Fu solo allora, sconfitto, prigioniero, sofferente, che cominciò a pensare al cristianesimo in modo nuovo. E solo dopo questa esperienza gli è stato possibile udire e capire la voce del Crocifisso che gli parlò nella piccola chiesa in rovina di San Damiano la quale, perciò, divenne l’immagine stessa della Chiesa della sua epoca, profondamente guasta e in decadenza. Solo allora vide come la nudità del Crocifisso, la sua povertà e la sua umiliazione estreme fossero in contrasto con il lusso e la violenza che prima gli apparivano normali. E solo allora conobbe veramente Cristo e capì anche che le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del Crocifisso.
Da quest’uomo, da Francesco, che ha risposto pienamente alla chiamata di Cristo crocifisso, emana ancora oggi lo splendore di una pace che convinse il sultano e può abbattere veramente le mura. Se noi come cristiani intraprendiamo il cammino verso la pace sull’esempio di san Francesco, non dobbiamo temere di perdere la nostra identità: è proprio allora che la troviamo. E se altri si uniscono a noi nella ricerca della pace e della giustizia, né loro né noi dobbiamo temere che la verità possa venir calpestata da belle frasi fatte. No, se noi ci dirigiamo seriamente verso la pace allora siamo sulla via giusta perché siamo sulla via del Dio della pace (Rm 15, 32) il cui volto si è fatto visibile a noi cristiani per la fede in Cristo.

L’ARTE SACRA AUTENTICA : RAPPRESENTA LA REALTÀ CREATA…

http://www.zenit.org/it/articles/l-arte-sacra-autentica

L’ARTE SACRA AUTENTICA

RAPPRESENTA LA REALTÀ CREATA E ATTRAVERSO ESSA E IN ESSA QUELL’ »OLTRE » CHE LA SPIEGA, LA FONDA, LA REDIME

ROMA, 22 NOVEMBRE 2010 (ZENIT.ORG) RODOLFO PAPA

L’arte sacra ha il compito di servire con la bellezza la sacra liturgia. Nella Sacrosanctum Concilium è scritto: “La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari Riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura” (n. 123).
La Chiesa, dunque, non sceglie uno stile; ciò vuol dire che non privilegia il barocco o il neoclassico o il gotico, ma tutti gli stili capaci di servire il rito. Questo non significa, evidentemente, che ogni forma d’arte possa o debba essere accettata acriticamente, infatti nel medesimo documento, viene affermato con chiarezza: « la Chiesa si è sempre ritenuta, a buon diritto, come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate, e risultavano adatte all’uso sacro» (n. 122). Risulta utile, allora, domandarsi “quale” forma artistica possa meglio rispondere alle necessità di una arte sacra cattolica, ovvero “come” l’arte possa servire al meglio “con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti”.
I documenti conciliari non sprecano parole e tuttavia danno direttive precise: l’arte sacra autentica deve cercare “nobile bellezza” e non “mera sontuosità”, non deve contrariare la fede, i costumi, la pietà cristiana, o offendere il “genuino senso religioso”. Quest’ultimo punto viene esplicitato in due direzioni: le opere d’arte sacra possono offendere il senso religioso genuino o “perché depravate nelle forme”, dunque formalmente inopportune, o perché “mancanti, mediocri o false nell’espressione artistica”(n. 124). Si richiede all’arte sacra la proprietà di una forma bella, “non depravata”, e la capacità di esprimere propriamente e sublimemente il messaggio. Una chiara esemplificazione è presente anche nella Mediator Dei dove Pio XII chiede un’arte che eviti «l’eccessivo realismo da una parte e l’esagerato simbolismo dall’altra» (n. 190).
Queste due espressioni si riferiscono a concrete espressioni storiche. Troviamo infatti “eccessivo realismo” nella complessa corrente culturale del Realismo, nato come reazione al sentimentalismo tardoromantico della pittura alla moda, e che possiamo rintracciare poi nella nuova funzione sociale assegnata al ruolo dell’artista, con peculiare riferimento a temi direttamente tratti dalla realtà contemporanea, e poi ancora la possiamo collegare alla concezione propriamente marxista dell’arte, che condurranno alle riflessioni estetiche della II Internazionale fino alle teorie esposte da G. Lukacs. Inoltre, c’è’ “eccessivo realismo” anche in talune posizioni propriamente interne alla questione dell’arte sacra, ovvero nella corrente estetica che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento propose dipinti che trattano temi sacri senza affrontarne correttamente la questione, con eccessivo verismo, come per esempio una Crocifissione dipinta da Max Klinger che è stata definita una composizione «mista di elementi di un verismo brutale e di principi puramente idealisti» (C. Costantini, Il Crocifisso nell’arte, Firenze 1911, p. 164).
Troviamo invece “esagerato simbolismo” in un’altra corrente artistica che si contrappone a quella realista. Tra i precursori del pensiero simbolista si possono annoverare G. Moureau, Puvis de Chavannes, O. Redon, e più tardi aderiranno a questa corrente artisti come F. Rops, F. Khnopff, M. J. Whistler. In quegli stessi anni il critico C. Morice elaborò una vera e propria teoria simbolista, definendola sintesi tra spirito e sensi. Fin poi a giungere, dopo il 1890, ad una vera e propria dottrina portata avanti dal gruppo dei Nabís, con P. Sérusier, che ne fu il teorico, dal gruppo dei Rosa-Croce che univa tendenze mistiche e teosofiche e infine dal movimento del convento benedettino di Beuron.
La questione diviene più chiara, dunque, se inquadrata immediatamente nei giusti termini storico-artistici; nell’arte sacra occorre evitare gli eccessi dell’immanentismo da una parte e dell’esoterismo dall’altra. Occorre intraprendere la strada di un “realismo moderato” affiancato da un motivato simbolismo, capaci di cogliere lo slancio metafisico, e di realizzare, come afferma Giovanni Paolo II nella Lettera agli Artisti, un medio metaforico carico di senso. Non dunque un iperrealismo ossessionato da un sempre sfuggente particolare, ma un sano realismo che nel corpo delle cose e nel volto degli uomini sa leggere e alludere, e riconoscere la presenza di Dio.
Nel messaggio agli artisti è detto: “Voi [gli artisti] l’avete aiutata [la Chiesa] a tradurre il suo divino messaggio nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere avvertibile il mondo invisibile”. Mi sembra che in questo passaggio si tocchi il cuore dell’arte sacra. Se l’arte, ogni arte, informa la materia, esprime l’universale mediante il particolare, l’arte sacra, l’arte al servizio della Chiesa, compie anche la sublime mediazione tra l’invisibile e il visibile, tra il divino messaggio e il linguaggio artistico. All’artista è chiesto di dare forma a una materia ri–creando addirittura quel mondo invisibile ma reale che è la suprema speranza dell’uomo.
Tutto ciò mi sembra conduca verso una affermazione dell’arte figurativa —ovvero un’arte che si impegna a “figurare” la realtà— quale massimo strumento di servizio, quale migliore possibilità di un’arte sacra. L’arte realistica figurativa, infatti, riesce a servire adeguatamente il culto cattolico, perché si fonda sulla realtà creata e redenta, e, proprio confrontandosi con la realtà, riesce a evitare gli opposti scogli degli eccessi. Proprio per questo si può affermare che il più proprio dell’arte cristiana di tutti i tempi è un orizzonte di “realismo moderato” o se volgiamo di “realismo antropologico”, all’interno del quale si sono sviluppati, nel tempo, tutti gli stili propri dell’arte cristiana (data la complessità dell’argomento si rimanda ad altri articoli).
L’artista che voglia servire Dio nella Chiesa, non può che misurarsi con l’“immagine” la quale rende avvertibile il mondo invisibile. All’artista cristiano è, dunque, chiesto un particolare impegno: quello di rappresentare la realtà creata e attraverso essa e in essa quell’“oltre” che la spiega, la fonda, la redime. L’arte figurativa non deve neanche temere come inattuale la “narrazione”, l’arte è sempre narrativa, tanto più quando si pone al servizio di una storia avvenuta, in un tempo e in uno spazio. Per la particolarità del compito, all’artista è chiesto anche di sapere “cosa narrare”: conoscenza evangelica, competenza teologica, preparazione storico-artistica e ampia conoscenza di tutta la tradizione iconografica della Chiesa. D’altra parte, la teologia stessa tende a farsi sempre più narrativa.
L’opera d’arte sacra, dunque, costituisce uno strumento di catechesi, di meditazione, di preghiera, essendo destinata “al culto cattolico, all’edificazione, alla pietà e all’istruzione religiosa dei fedeli”; gli artisti, come ricorda il più volte citato messaggio della Chiesa agli artisti, hanno “edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia” e devono continuare a farlo.
Così anche noi oggi siamo chiamati a realizzare nel nostro tempo opere e capolavori atti a edificare l’uomo e a rendere Gloria a Dio, come recita ancora la Sacrosanctum Concilium: «Anche l’arte del nostro tempo di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo potrà aggiungere la propria voce al mirabile concerto di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica» (n. 123).

* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana

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