BENEDETTO XVI – GIOVANNI PAOLO II – IL VIAGGIO IN POLONIA DEL PAPA TEDESCO

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BENEDETTO XVI – GIOVANNI PAOLO II

SULLE ORME DEL PREDECESSORE

IL VIAGGIO IN POLONIA DEL PAPA TEDESCO

Dal papa polacco al papa tedesco: il viaggio di Benedetto XVI in Polonia (25-28 maggio) ha chiarito che il senso di questa successione ruota in definitiva intorno alla «valle oscura» di Auschwitz, che il papa teologo continua a interrogarsi su di essa e a cercare le «orme» del predecessore, mentre la cattolicità polacca non ha difficoltà ad accoglierlo – si direbbe – con lo stesso affetto che riservava al papa polacco. È dal momento dell’elezione – come confidò il 19 maggio dell’anno scorso – che Benedetto XVI riflette sul «provvidenziale disegno divino» che ha voluto che «sulla cattedra di Pietro a un pontefice polacco sia succeduto un cittadino di quella terra, la Germania, dove il regime nazista poté affermarsi con grande virulenza, attaccando poi le nazioni vicine, tra le quali in particolare la Polonia». Quella riflessione ha raggiunto il suo culmine nei quattro giorni della visita e specie nelle ore passate ad Auschwitz-Birkenau.
Vista in prospettiva epocale l’avventura di questi due papi lega la vicenda cristiana di oggi alla grande prova della storia contemporanea: quella dello smarrimento abissale del nazismo. A protagonisti di questo raccordo sono stati chiamati un figlio della nazione che più ha sofferto per quella prova e un altro di quella che più ha fatto soffrire. I due papi – appunto – che si sono succeduti intorno ad Auschwitz e che proprio ad Auschwitz sono voluti andare, l’uno in quanto polacco e l’altro in quanto tedesco, per chiedere a nome di tutti dove fosse Dio e dove fossero gli uomini quando si scatenò l’abisso di quella tragedia.
Quella di Auschwitz-Birkenau è stata l’ultima tappa, prima che il papa ripartisse per Roma. Il viaggio alla ricerca della «fede» del popolo polacco – vista come fondamento della «missione» del predecessore – era iniziato a Varsavia e si era poi sviluppato attraverso le tappe di Czestochowa, Cracovia, Wadowice, Kalwaria Zebrzydowska e il santuario della Divina misericordia, alla periferia di Cracovia, che papa Wojtyla era andato a inaugurare nell’agosto dell’anno 2002. Momenti salienti del pellegrinaggio sono stati – dal punto di vista delle parole pronunciate dal papa – l’omelia della celebrazione di Varsavia e l’incontro con il clero in cattedrale, a Cracovia la celebrazione nel prato di Blonie e ovviamente la visita ad Auschwitz-Birkenau (cf. Regno-doc. 11,2006,337ss).

I preti spie e le colpe del passato
La visita papale si è svolta mentre era al culmine, in Polonia, la querelle sui «preti spie» del regime comunista e il papa ne ha parlato – senza riferimenti diretti – in un passaggio del discorso al clero di Varsavia, in cattedrale, il giorno stesso dell’arrivo. La Chiesa non deve «negare» le colpe del passato – ha detto Benedetto XVI – e deve «fare penitenza» per esse, come voleva Giovanni Paolo II, ma solo quando ci sono «prove reali» e senza «impancarsi» a giudice delle generazioni precedenti, «vissute in altri tempi e in altre circostanze» e con altre «precomprensioni»: «Crediamo che la Chiesa è santa, ma in essa vi sono uomini peccatori. Bisogna respingere il desiderio d’identificarsi soltanto con coloro che sono senza peccato». Conclusione: «Chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l’aiuto della grazia divina che, pur depositata in vasi di creta, ha portato spesso frutti eccellenti».
Sono i criteri prudenziali che il card. Ratzinger aveva fatto valere il 7 marzo 2000, presentando alla stampa il documento della Commissione teologica internazionale La Chiesa e le colpe del passato: questo evidente rinvio e l’assenza di una citazione esplicita dei «preti spie» ha indotto in errore parte della stampa internazionale (che ha pensato a una «revisione» del «mea culpa» giubilare wojtyliano) ma non quella polacca, che ha letto nelle parole del papa un invito alla pacificazione interna alla Chiesa locale, dove tira un forte vento giustizialista. Si deve a questa sollecitazione di papa Benedetto se il card. Dziwisz all’indomani della visita papale ha intimato all’ex cappellano di Solidarnosc, Tadeusz Zalewski, di cessare le sue indagini sui preti «compromessi» e di non procedere alla pubblicazione dei 28 nomi rintracciati, lasciando quel compito alla commissione di «memoria e tutela» costituita dall’episcopato il marzo scorso (cf. Regno-att. 6,2006,154).

Il consenso del predecessore
Il 26 maggio parlando alla folla di Varsavia, in piazza Pilsudski, Benedetto XVI ricorda che da quel luogo papa Wojtyla nel giugno del 1979 aveva invocato il «rinnovamento di questa terra», che poi – durante il suo pontificato – si verificò e arrivò ben oltre i confini polacchi: «Davanti ai nostri occhi sono avvenuti cambiamenti di interi sistemi politici» e «la gente di diversi paesi ha riconquistato la libertà».
Bellezza delle folle polacche per il papa tedesco, risorse della cattolicità! Lo attendono per ore sotto la pioggia a Varsavia, lo festeggiano come un parente sugli spalti del santuario fortezza di Czestochowa, lo cercano con affetto la sera alla famosa finestra dell’arcivescovado di Cracovia. I ragazzi gli gridano che s’affacci, tenendosi per mano. Proprio come facevano con il «loro» papa. Ed egli ricambia tanta generosità evitando di parlare tedesco. Dicono pronunci bene il polacco, che usa per qualche frase di saluto e poi continua in italiano, lasciando a un sacerdote di leggere lo stesso testo in polacco.
La visita a Wadowice è all’insegna del «santo subito», come è scritto su uno striscione all’ingresso della cittadina. Nel suo discorso, papa Ratzinger chiama tre volte «grande» il predecessore, ne loda la «coerenza della fede, il radicalismo della vita cristiana, il desiderio di santità» e conclude: «Mi sono voluto fermare proprio qui a Wadowice, nei luoghi in cui la sua fede si è destata e maturata, per pregare insieme con voi affinché venga presto elevato alla gloria degli altari». Più tardi, a Kalwaria, al termine dell’incontro Dziwisz lo riporta – prendendolo per un braccio – davanti al microfono e gli suggerisce di dire qualcosa alla folla. Il papa gli chiede «in che lingua» e il cardinale gli dice con determinazione: «in italiano». Il papa teologo, che non ama improvvisare, dice: «Anch’io spero, come il caro card. Dziwisz, che il Signore ci conceda presto la beatificazione e la canonizzazione del caro papa Giovanni Paolo II».

Il silenzio di Dio e le polemiche
Infine la visita al campo di sterminio. Il «papa tedesco» non poteva «non venire qui», ad Auschwitz, per sostare «sconvolto» e «oppresso» in «sbigottito silenzio», davanti alla «innumerevole schiera» delle vittime di un «cumulo di crimini» che non ha «confronti nella storia» e per alzare poi una «domanda ad alta voce di perdono e riconciliazione». Papa Benedetto s’interroga sul «silenzio» di Dio: «Dov’era in quei giorni? Perché egli ha taciuto?» (cf. in questo numero a p. 365). Ma la sua visita a «questo luogo di orrore» non può non essere caratterizzata dalla sua nazionalità tedesca, di questa parla ed è su queste parole che si appunteranno le critiche: perché ha attribuito la diretta responsabilità dello sterminio a «un gruppo di criminali», scagionandone il popolo che da esso fu «usato e abusato». Ecco le parole tanto criticate: «Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco. Figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato e abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio».
Come già papa Wojtyla, papa Ratzinger ha pregato davanti al Muro della morte ed è sceso nella cella dove morì Kolbe. In più del predecessore, ha incontrato le dodici carmelitane del Centro di dialogo e di preghiera (realizzato fuori del recinto di Auschwitz nel 1992) e ha partecipato a Birkenau a un incontro di preghiera interconfessionale con un gruppo di ex prigionieri, nel corso del quale è stato cantato il Kaddish ebraico.
Nel discorso di Auschwitz Benedetto XVI non aveva nominato Hitler, il nazismo, l’antisemitismo e i sei milioni di ebrei mandati allo sterminio e ne erano venute critiche, ed ecco che all’udienza generale di mercoledì 31 maggio dice tutto questo, rievocando le tappe del viaggio: «Proprio in quel luogo tristemente noto in tutto il mondo ho voluto sostare prima di far ritorno a Roma. Nel campo di Auschwitz-Birkenau, come in altri simili campi, Hitler fece sterminare oltre sei milioni di ebrei. Non dimentichi l’odierna umanità Auschwitz e le altre « fabbriche di morte » nelle quali il regime nazista ha tentato di eliminare Dio per prendere il suo posto! Non ceda alla tentazione dell’odio razziale, che è all’origine delle peggiori forme di antisemitismo!».
Tra i tanti che hanno criticato papa Ratzinger per le parole dette e per quelle non dette nel campo di sterminio, ricordo Daniel Goldhagen (Corriere della sera 29.5.2006), Gian Enrico Rusconi (La Stampa 30.5), Lucio Caracciolo e Jürgen Habermas (La Repubblica 30.5), Riccardo Di Segni (La Stampa 1.6). Tra quelli che l’hanno difeso segnalo Peter Schneider (La Repubblica 29.5), Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera 30.5), Gianni Baget Bozzo (Il Giornale 30.5), Benedetto Carucci Viterbi (Il Foglio 31.5), Franco Cardini (Avvenire 31.5). Una difesa appassionata – «Sono tedesco anch’io» – delle parole del papa ha fatto il card. Walter Kasper in margine all’inaugurazione della libreria EDB in via della Conciliazione, il 31 maggio (cf. in questo numero a p. 372): «Il discorso è stato di altissimo livello, straordinario. Un papa tedesco che va ad Auschwitz compie un cammino molto difficile. Chi ha visto il suo volto in quel momento capisce che cosa io voglia dire. È essenziale ciò che ha detto, non ciò che non ha detto».
Suggerisco due letture a chi è interessato ad approfondire l’idea che l’uomo Ratzinger si è fatto del nazismo, in oltre sessant’anni di dolorosa riflessione: L’Europa in guerra e dopo la guerra1 e i primi cinque capitoli de La mia vita. Autobiografia.2 Vi appare chiaro che non gli si può attribuire un’intenzione banalmente assolutoria del proprio popolo.
Critiche analoghe a quelle che hanno colpito il discorso tenuto da Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau erano state indirizzate – da ambienti intellettuali, ebraici e non – a ognuno dei grandi gesti di avvicinamento agli ebrei, o di ripensamento della Shoah, compiuti negli anni da Giovanni Paolo II: dalla visita ad Auschwitz (1979) a quella alla sinagoga di Roma (1986), alla preghiera al Muro del pianto (2000). Ma oggi non c’è nessuno che non citi quei fatti come «positivi» e si può immaginare che anche la visita del papa tedesco al campo di sterminio realizzato dai tedeschi sarà ritenuto da tutti, domani, come un evento straordinario.

Luigi Accattoli

1 J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, San Paolo, Milano 2004,75-80.

2 J. Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, San Paolo, Milano 1997.

Publié dans : Papa Benedetto XVI, Shoah |le 12 octobre, 2013 |Pas de Commentaires »

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