LA MUSICA PIÙ BELLA (San Francesco)

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LA MUSICA PIÙ BELLA (San Francesco)

Festa della Comunità Parrocchiale – 4 Ottobre 2010

La Musica più bella ancora non te l’ho suonata… le parole più belle ancora non tele ho dette… i giorni più belli ancora non li abbiamo vissuti! Eppure di giorni insieme ne abbiamo passati tanti a partire dal 4 ottobre di 76 anni fa quando veniva posta la prima pietra della nostra Chiesa… una chiesa più di note che di mattoni, come sembra ricordarci la copertina del libretto dei canti disegnata da Alessandro.
Da dove nasce allora un augurio così, da dove viene tanta voglia di cantare? È quello che si è chiesto Francesco d’Assisi: « Fino ad allora la sua gaiezza poteva sembrare il riflesso di una gioventù dorata. Ma ecco che questo umore si mantiene e si rafforza nel buio di una prigione. Era dunque un’altra l’origine di questa gioia, veniva da più lontano che da una semplice ebbrezza del mondo. Nessun chiarore gli arriva e allora canta e trova nel canto la sua vera casa e la sua vera natura. Non è che la prima intuizione, Francesco indovina d’istinto che la verità è più in basso che in alto, più nella mancanza che nella pienezza … lo sa , lo sente. Ma vi è ancora un’ombra fra lui e la sua gioia, fra il mondo che trova luce in Dio e il mondo che gli brucia nel cuore. Un’intima reticenza che esprime con la precisione del muratore » (L’infinitamente Piccolo, C. Bobin):

Il Signore dette a me frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così:
quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi;
e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo.

Per Francesco questo è il punto di non ritorno… esce di là con la febbre nel cuore, o piuttosto non ne uscirà più. Ha trovato la casa del suo Signore, ora sa dove abita l’Infinitamente Piccolo: ai margini delle luci di quel secolo, la dove la vita manca di tutto. La è il luogo dove Francesco tornerà tutta la vita… quando la vita s’incarta e ha bisogno di vedere con gli occhi del corpo quello che era diventato oscuro agli occhi del cuore. Per questo ammoniva sempre ai suoi frati, lasciandolo come il tesoro più prezioso del suo testamento: di tornare ai lebbrosi la dove la vita prende origine.
Da questa prospettiva la festa della Dedicazione della nostra chiesa acquista una luce diversa, fioca come le candele sulle colonne portanti dove sono affisse le croci della consacrazione, tenera come lo sguardo di una madre (e ce n’erano tante, dalle più anziane a quelle in attesa) flebile come la voce di un bambino. Anche perché il ricordo non si ferma al 1934 e nemmeno al 1208, quando Francesco cominciò quel viaggio continuato secoli dopo da Padre Leone e i suoi compagni nel nostro quartiere; ma risale come un rivotorto – il lebbrosario d’Assisi – fino a Gesù Cristo, la sorgente in cui siamo stati immersi per diventare figli di Dio.
Per questo siamo in festa: per la benedizione del nuovo Fonte Battesimale, dove nasce la Chiesa, questo pezzetto di Chiesa che è Sant’Ippolito, persone nuove che diventano « fonte d’acqua viva che zampilla per la vita eterna » . Quel Fonte sta li a ricordarci quale grande dono ci ha dato il Padre, di essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente. Quel Fonte da cui comincia la Vita c’invita – stavolta suona bene – a prendere il giogo del Signore Gesù, perché è leggero, perché per un Dio così vale la pena vivere. E quel Fonte è là per gli affaticati e gli oppressi che hanno perduto il senso e la sete della vita, perché meglio che si prosciughi la sete che la fonte, perché quando la sete tornerà la fonte sarà sempre li a dissetarti.
E’ un mistero… davvero tutto questo in una goccia d’acqua… cioè H2O, una sostanza inodore, incolore insapore? Ma sono immagini del Vangelo di questa Festa, proprio quello in cui Gesù ringrazia il Padre perché ha rivelato queste cose ai piccoli e le ha tenute nascoste ai dotti e ai sapienti. E’ una scelta di campo questa che Francesco con la sua Preghiera Semplice e Maria con il Magnificat hanno tradotto nella loro vita. Maria infatti « non è come certe madri, che per amore di quieto vivere, danno ragione a tutti, e pur di non creare problemi finiscono con l’assecondare i soprusi dei figli più discoli. Lei prende posizione senza ambiguità e senza mezze misure. La parte su cui sceglie di attestarsi non è però il fortilizio delle rivendicazioni di classe, ma il terreno l’unico, dove Lei spera che un giorno ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli possano trovare la loro liberazione » (Don Tonino Bello).
 Quasi a sottolineare questo passaggio ci pensa una preghiera dei fedeli scritta di corsa in sagrestia che finiva così: ti preghiamo di cominciare questo nuovo anno a servizio dei piccoli e dei grandi… in realtà era i poveri ma l’abbiamo copiata male in bella copia, però forse ci aiuta a comprendere che questo Vangelo non esclude coloro che non sono piccoli perché in realtà siamo tutti piccoli e poveri di fronte a Dio, il grande Elemosiniere. Prenderne atto è un’autentica esperienza di liberazione, un’alternativa alla mentalità che regola l’economia del mondo, una profezia che annuncia l’incarnazione di Gesù nella nostra vita: il lupo dimorerà insieme con l’agnello (Isaia 11).
Allora il sole, riflesso sulle vetrate, non si rattrista se è la fiammella di una candela ad indicare dove è custodito il Corpo del Signore, né l’oro s’incupisce perché una mollica di pane è divenuta così preziosa da doverla contenere, ma si compiace di avere lo stesso colore del grano da cui quella proviene. Allora anche il Figlio maggiore può incamminarsi verso casa e prendere parte alla Festa.
Mentre continua la Messa me li sono immaginati così: s’incensano le colonne della Chiesa dove sono affisse le dodici croci della consacrazione della Chiesa e Francesco sembra dire a Maria « Ave Signora, Santa Regina, Santa Madre di Dio, Maria, che sei vergine fatta Chiesa » e dopo la Comunione, quando il Corpo di Gesù viene riposto nel nuovo tabernacolo – una teca dorata con l’effige di un agnello, racchiuso da un’ogiva di marmo metafora di una donna in cinta – continua ancora « Ave suo palazzo, ave suo tabernacolo, ave sua casa » come in una serenata.
Giusto il tempo di un fugace sorriso, poi Lei, Donna di servizio, Donna del Pane, va giù con Rossella, Stefania, Rita e tutte le altre a cucinare, e lui, l’uomo fraterno, si sofferma sull’uscio della chiesa a chiacchierare con Petra, Marco e gli altri fratelli randagi che ci salutano ogni volta e ogni volta c’interrogano. Giù nel salone corrono su un muro le immagini di questo anno (del resto è un metodo che si è inventata santa Chiara) per sentirsi presenti al cammino e al servizio della comunità perché anche se poi non siamo andati a piedi ad Assisi o in traghetto in Albania abbiamo fatto comunque tutto tutti insieme. Ecco perché alla fine dobbiamo ringraziarci tutti, l’uno con l’altro ringraziando Dio di avere tanti fratelli e pregare che avvenga per noi come Francesco:

…dopo che il Signore mi ebbe dato dei frati,
nessuno mi diceva cosa dovessi fare
ma lo stesso Altissimo mi rivelò…
…che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo.

…e vivere il Vangelo nella vita di ogni giorno anche quando non pensiamo a Dio, imbottigliati nel traffico o in un laboratorio di chimica (salutando Stefano, con la sua chitarra, mi viene questa immagine) perché ogni cosa che avremo fatto ad uno solo dei suoi fratelli più piccoli, l’avremo fatto a Lui.

Emilio C.

Publié dans : San Francesco d'Assisi, Santi |le 8 octobre, 2013 |Pas de Commentaires »

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