beata Maria Vergine del Rosario

http://www.corsiadeiservi.it/ita/default1.asp?page_id=1210
IL MERAVIGLIOSO SENSO DELLA VISTA
Se si osserva con attenzione il corpo umano non si può fare a meno di restare ammirati e stupefatti della perfezione dei suoi organi. Noi, in effetti, siamo un “prodigio”, un “miracolo” che cammina. Il capo, il cervello, gli occhi, l’orecchio interno ed esterno, il naso, la bocca… ma perfino le estremità, le mani, i piedi hanno un criterio di “progettazione” ed un funzionamento che lascia strabiliati per l’efficienza e la precisione con cui operano trasformando le intenzioni della nostra volontà in atti concreti. Per non parlare poi degli organi interni: intestini, cuore, fegato, milza, reni, pancreas, ghiandole endocrine e ghiandole esocrine…, i quali costituiscono un insieme di complessità enorme ed incalcolabile fondato sulla trasmissione di segnali nervosi, sull’emissione o ricezione di ormoni, di enzimi, di secrezioni che, senza neanche che ce ne accorgiamo, mantengono l’omeostasi cioè lo stato d’equilibrio del nostro organismo. All’occhio dello scienziato noi appariamo come “macchine” perfette, concepite e realizzate per interagire con l’ambiente della Terra.
L’uomo e la donna occupano veramente il vertice della Creazione perché non esiste un altro essere vivente neanche lontanamente paragonabile a loro. Il pensiero astratto, l’intelligenza, la creatività artistica, la scienza, la filosofia, la vita sociale, soprattutto la Conoscenza di Dio, la Fede e la Religione, il Libero Arbitrio lo rendono unico ed ineguagliato nel panorama così variegato della vita sul pianeta Terra.
Scendendo nei particolari, analizzando i dettagli della sua conformazione corporea si accentua e si accresce la sensazione di essere davanti ad un’“opera” magnifica che non può non provenire che dalle mani di un Creatore infinitamente sapiente e potente.
Prendiamo per esempio l’occhio e il senso della vista. Rapidissimo, mobilissimo, ultra utile, precisissimo riesce, tramite una complessa interazione nervosa con la corteccia visiva che è nel cervello, a misurare le distanze, a percepire i colori (le frequenze della luce), a posizionarci nello spazio, a riconoscere il volto e l’espressione di una persona tra le migliaia e migliaia che sono stipate nella nostra memoria, il tutto in una frazione di secondo! Come afferma il dottor Alessandro Verri, docente di Computer Science a Genova (vedi Focus n. 234, aprile 2012, pp. 22, 28): «Un computer può riconoscere una faccia, ma soltanto se gli vengono presentate fotografie della stessa persona molto simili… gli occhi e il cervello dell’uomo, lavorando in coppia, restano enormemente superiori a qualsiasi apparato meccanico o elettronico». E pensare che anche un bambino è capace di riconoscere l’identità di una persona da una caricatura, da un disegno satirico, da pochi tratti di pennello con una velocità e una facilità che destano impressione.
Che dire poi della capacità dell’occhio di trasmettere all’esterno lo stato d’animo e i sentimenti? Gli studiosi hanno osservato come se siamo impauriti o stiamo pensando intensamente ad una decisione da prendere rapidamente la pupilla si dilata. Viceversa se ascoltiamo una spiegazione complicata e abbiamo difficoltà a capirla, oppure se siamo disgustati dalla scena che osserviamo la pupilla si restringe. Pertanto questo delicatissimo organello situato all’interno dell’occhio non serve solo a “dosare” la quantità di luce che deve arrivare sulla retina per darci una corretta visione, ma “esprime” le emozioni che agitano il nostro animo: l’occhio è la finestra dell’anima. Dice bene Nostro Signore: «La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,22).
Dentro di noi la dimensione materiale, fisica, biologica non è separabile dalla dimensione spirituale che informa la parte corporea: sono interconnesse ed interagenti. Nessun altro organo più dell’occhio manifesta questa sinergia, questa fusione intima che c’è tra anima e corpo. Da un punto di vista meramente “meccanico” l’occhio si presenta come una specie di piccola “macchina fotografica” o, se volete, come una minuscola “telecamera”. O forse dovremmo dire più propriamente che l’homo tecnologicus con tutta la sua scienza non ha trovato un sistema ottico-meccanico o un modello più perfetto dell’occhio per realizzare le telecamere.
Ad ogni modo l’occhio funziona così: la luce, che è una radiazione elettromagnetica di una frequenza compresa tra i 564 (rosso) e i 420 (blu) nanometri, entra attraverso la parte anteriore dell’occhio che è trasparente: la cornea. La cornea è già di per sé una lente convessa che serve per mettere a fuoco le immagini. Dietro di essa è situato l’iride che è un delicatissimo “diaframma” costituito da tenuissime strutture muscolari capaci di farlo contrarre e distendere cosicché si stringe o si allarga il foro in esso praticato: la pupilla. Se una luce violenta colpisce l’occhio, un sistema automatico (sic!) immediatamente fa contrarre l’iride e riduce la pupilla ad un forellino di pochi millimetri in modo che non restino danneggiate le parti interne più delicate dell’occhio. Al contrario se siamo di notte o al buio, la pupilla si dilata per far entrare quanta più luce è possibile. Segue poi il cristallino che forse è la parte più sorprendente di quest’organo. È letteralmente una lente bi-convessa come quelle degli obiettivi fotografici, ma al contrario di questi che sono di vetro indeformabile, è morbida e flessibile al punto che può variare il suo spessore e così facendo mette a fuoco sulla retina le immagini osservate. Chi fa contrarre il cristallino? Un delicatissimo sistema muscolare situato dietro la “zonula ciliare” il quale, controllato da cellule nervose, realizza con tessuto biologico quel sistema sofisticato che noi chiamiamo autofocus per cui le immagini risultano sempre a fuoco. Che meraviglia! I raggi luminosi, penetrando attraverso il corpo vitreo raggiungono la retina dove si forma l’immagine capovolta del campo visivo. Tale immagine si “raddrizza” a livello della corteccia cerebrale nel senso che noi la percepiamo diritta solo quando è capovolta: in effetti sulla retina la scena osservata è doppiamente capovolta perché il nord è al posto del sud e la sinistra è al posto della destra. Nella retina, che si può paragonare alla vecchia pellicola fotografica o al moderno sensore CCD delle videocamere, il nervo ottico sfiocca, si allarga in formazioni dette “coni” e “bastoncelli”, i primi sensibili ai colori e i secondi al movimento. Il segnale “grezzo” costituito da impulsi elettrici viaggia dentro il nervo ottico, una specie di “cavo” formato da 1,1 milioni di nervi uniti insieme, verso il cervello in una zona ben precisa di questo: la corteccia visiva. A sua volta la corteccia visiva è suddivisa in tante “aree” ognuna specializzata a “catturare” particolari caratteristiche della scena presentata: ci sono neuroni che reagiscono in presenza di righe o oggetti allungati orizzontalmente, altri per quelli verticali, altri ancora che si attivano solo se c’è un movimento oppure una faccia di una persona e così via.
A questo punto la scienza si arresta e tutto diventa un mistero. Perché tutto questo lavorio e fermento di neuroni (le cellule del cervello), di segnali, di neurotrasmettitori, di sinapsi e quant’altro “diventa” la nostra coscienza? (Non la Coscienza nel senso spirituale ma la coscienza nel senso della nostra percezione di identità, del nostro io cosciente). In altri termini che rapporto c’è tra mente e cervello? Noi non siamo costituiti di solo corpo, noi abbiamo un’anima e in un modo attualmente inesplicabile l’anima interagisce, si affaccia alla “realtà” spazio-temporale attraverso il cervello. In conclusione il cervello è una specie di interfaccia, di “terminale”, una sorta di quadro di comando dal quale e sul quale l’anima riceve e trasmette informazioni con la realtà fenomenica-fisica.
Domanda finale: l’occhio con la sua meravigliosa struttura e funzionalità, e più in generale tutto l’essere umano, può essere frutto solo delle forze cieche del caso e degli eventi naturali o piuttosto ci appare come il prodotto di un sapientissimo progetto creativo divino? Alla luce di quanto abbiamo esposto ognuno di noi può tentare di dare una risposta a questa interessante domanda. Antonio Farina (Fonte: IL SETTIMANALE DI PADRE PIO)
http://www.figliesancamillo.it/260_59/default.ashx
SPIRITUALITÀ CAMILLIANA
LI AMERÒ DI VERO CUORE
IO NON TI DIMENTICHERÒ MAI
SR DENISE ILBOUDO
Dall’enciclica Haurietis Aquas possiamo studiare la devozione al Cuore di Gesù nella “sua preistoria, rintracciandola nei padri della Chiesa e nella teologia medievale. Nei libri sacri non si fa menzione esplicita di un culto al Cuore del Verbo Incarnato, in quanto simbolo della sua ardente carità, ma si può rintracciarne i fondamenti e gli elementi costitutivi, sia nell’Antico Testamento sia nel Nuovo, nei quali viene esaltata la divina carità verso di noi, ragione principale del culto al Sacro Cuore. Ciò viene continuamente ricordato nella Bibbia. Nel libro di Geremia si leggono espressioni di tenerezza e misericordia per l’umanità, rappresentata nel popolo d’Israele: “Ti ho amato di un amore eterno per questo ti conservo ancora pietà” (Ger 31,3).
Una lettura approfondita dell’Antico Testamento mette in evidenza il dinamismo dell’amore del Padre per l’umanità già all’inizio della creazione: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò” (Gen 1,27). Questo amore accompagna l’uomo nello svolgimento storico. Così Dio manifesta il suo amore nella storia della salvezza. Ne testimonia la storia del popolo d’Israele, popolo eletto che Dio libera dalla schiavitù e stabilisce un patto di alleanza basato sull’amore, amore interpretato dai profeti e simboleggiato nell’amore umano in tutta la grandezza. Dio ama con amore di Padre misericordioso e amorevole: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio… Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore… Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore, perché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele, esso fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano” (Os 11,1.3-4;14,5-6).
Il profeta Isaia lo paragona all’amore di una madre: “Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato. Il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò” (Is 49,14-15).
Il Cantico dei Cantici presenta l’amore di Dio come quello di uno sposo per la sposa: “Io sono per il mio diletto e il mio diletto e per me: egli pascola il gregge tra i gigli… mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la gelosia: le sue vampe di fuoco, una fiamma del Signore” (Ct 2,2; 6,2; 8,6).
Il Nuovo Testamento mostra l’incarnazione come la nuova alleanza perfetta e definita nell’amore che il Padre ha per la sua creatura prediletta, l’uomo. Il mistero del Cuore di Cristo trae così il suo significato profondo dalla manifestazione dell’amore del Padre. Quando questo amore si rivolge all’uomo debole, peccatore diventa amore misericordioso; a questo proposito vengono narrate alcune parabole tipiche come il figlio prodigo (Lc 15,11-31) la pecora smarrita (Lc 15 4-7); diventa perdono e salute come la peccatrice perdonata (Lc 7, 36-50) e le altre molteplici guarigioni; l’amore è anche grazia e bellezza come il dono totale di sé nell’Eucaristia, dono particolare e più prezioso dell’amore di Cristo grazie al quale egli perpetua sacramentalmente il proprio sacrificio.
San Giovanni scrive: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16); e ancora: “chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8).
Venite a me
La tradizione patristica concepisce il mistero di Cristo come mistero d’amore. I padri della Chiesa, testimoni della tradizione rivelata, iniziano dal “costato trafitto” del quale parla San Giovanni nel quarto Vangelo per giungere al mistero del Cuore.
Già nel IV secolo Sant’Agostino ravvisa nella ferita del costato una porta aperta; il Cuore è la meta, il santuario recondito nel quale incontrare l’amore per darsi a Cristo e per vivere la carità. In forma privata ma in modo graduale e sempre più vasto, tale devozione andò diffondendosi in seno agli Istituti religiosi.
Nel secolo XVII San Giovanni Eudes (1601-1680) occuperà un posto importante nella ripresa e nello sviluppo del culto al Sacro Cuore. A lui è da attribuire la composizione del primo ufficio liturgico in onore al Cuore Sacratissimo di Gesù, con Messa e litanie proprie; egli celebrò per la prima volta il 20 ottobre 1672 la festa solenne del Sacro Cuore di Gesù.
Le meraviglie del suo amore
A Santa Margherita Maria Alacoque (1648-1690) ispirata da Gesù si deve la forma devozionale odierna e l’origine del suo espandersi nella Chiesa e in tutto il mondo.
L’epoca moderna è caratterizzata nel suo insieme e in misura sempre crescente dalla laicizzazione del mondo in tutti i suoi aspetti, dove l’elemento religioso perde sempre più le sue oggettività: un mondo caratterizzato dall’assenza di Dio. A questa società disorientata, il Salvatore aveva manifestato “le meraviglie del suo amore” invitando tutti ad “attingere acqua alla sorgente della salvezza” (Is 12,3) come nella Sacra Scrittura: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, io vi ristorerò” (Mt 11,28).
Le rivelazioni a S. Margherita Maria Alacoque attirano l’attenzione sul cuore veramente umano di Gesù per far comprendere il mistero del suo amore divino, misericordioso e fedele, oltraggiato e misconosciuto dagli uomini.
Nella seconda grande rivelazione del 1674 Gesù manifestava il desiderio di una forma concreta di riparazione: la comunione riparatrice del primo venerdì. In questo senso riparare è amare l’amore non amato, nella misura in cui è rigettato. Da questa piccola osservazione scaturisce l’impegno della consacrazione al Cuore di Gesù; iniziativa di Dio da una parte e risposta con un impegno particolare dell’uomo dall’altra.
Nel secolo XIX, dichiarato secolo della devozione al S. Cuore, il 2 febbraio 1892 nasceva la Congregazione delle Figlie di San Camillo. Nata dal tronco fecondo e benedetto dell’Ordine camilliano, questa nuova famiglia religiosa ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono di testimoniare l’amore misericordioso di Cristo – buon samaritano – tra gli uomini attraverso le opere di misericordia spirituali e corporali esercitate con voto.
Essere suore secondo il Cuore di Gesù
La Madre Vannini contemplava e amava Gesù nelle realtà di Crocifisso, di Cuore offerto per amore; batteva, dunque un buon cammino, una strada che l’aiutava ad andare lontano nelle vie dell’Amore.
La devozione al Sacro Cuore di Gesù divenne ben presto uno dei programmi dell’Istituto stesso, il 16 novembre 1909 così scriveva a Suor Gerarda Legrand: “Formi le suore all’amore delle croci e delle umiliazioni e avremo sempre ottimi soggetti, oltre le celesti benedizioni sul nostro piccolo Istituto, che sarà certo secondo il Cuore di Gesù, perché basato sulla santità dietro l’esempio di Nostro Signore che amò e cercò il patire per sé. Se potessimo un giorno arrivare a poter dire con tutta verità: Sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni” (2 Cor 27,4).
Anche l’apostolato è presentato come azione di conquista delle anime per strapparle al maligno conducendole al Sacro Cuore di Gesù; ed ecco un metodo sicuro per ottenere tale effetto: “Bisogna che le suore che le sono attorno facciano continui atti di virtù religiose e il Signore ci concederà la continua salvazione delle anime dei malati affidati alle nostre cure”, scriveva il 5 luglio 1910 a suor Pia Guidoni; “nulla è piccolo avanti al Signore, specialmente allorché si opera con grande amore a Lui”, scriveva il 31 luglio 1909 a suor Teodora Marro.
Un aspetto caratteristico del suo amore per Gesù era lo spirito di riparazione: “Oggi, 17 giugno 1898, festa del Sacro Cuore, ognuna di voi credo avrà già principiato, appena alzata, o almeno nella S. Comunione avrà offerto tutte le azioni della giornata in riparazione dei tanti oltraggi che riceve questo Cuore amorosissimo da tanti cristiani…”.
La giornata era per lei un esercizio continuo d’unione della mente con Dio. Chiedendo una volta a una suora se pativa distrazioni durante le preghiere, aggiungeva “quando ci troviamo a far orazione dobbiamo mantenerci umili come i poveri davanti a un ricco signore; essi aspettano tutto da lui, non osano neppure divertire altrove lo sguardo ma stanno fissi al suo viso per coglierne i sentimenti e vedere se egli si piega alle loro domande. Quale azione più importante della preghiera? Le posso assicurare che non ho mai distrazioni nella preghiera perché quando prego mi metto alla presenza di Dio e non vi è cosa che mi distolga”.
Quando l’anima è con Gesù fiorisce in lei spontaneamente la fiducia; “Gettiamoci sane e malate nel Cuore Sacratissimo di Gesù che meglio di noi sa quello che ci conviene”, fu l’ultima lettera del suo epistolario diretta a suor Aurelia Tresso il 17 gennaio 1911.
Quelle care piccole virtù
Il fondatore, padre Luigi Tezza, era un uomo nel quale si trovavano al contempo fervore di vita spirituale di attaccamento al proprio carisma camilliano, e personalità segnata dal sacrificio. Dimensioni che hanno trovato nel Cuore di Gesù, forza, consolazione, rifugio. A Suor Alfonsina da Lima scriveva il 28 agosto 1900: “…mi consolo nel pensiero che vi ho lasciate e vi rimetto tutte ogni giorno nelle mani e nel Cuore del Signore ove non si può stare che bene”.
Il suo luogo di preferenza è il Cuore di Gesù. Lì vuole incontrare le sue figlie. Lo esprime sempre da Lima in una lettera alla Madre fondatrice il 2 luglio 1902: “… nel Cuore adorabile del Divin Maestro sia il nostro continuo ritrovo dove, fin d’ora possiamo nell’amore che si immola, pregustare un saggio dolcissimo dell’amore che beatifica e dove sono e sarò sempre vostro padre.”
Così il suo amore per le figlie passava attraverso il Cuore di Cristo dal quale non può scaturire che un amore vero, di dilezione, santo e ordinato. Alla superiora e comunità del noviziato in Rieti, scriveva sempre da Lima: “A tutte e a ciascuna di voi, mie dilettissime figlie tutto il mio amore e affetto paterno nel Cuore adorabile di Gesù a cui vi tengo sempre ardentissimamente raccomandate e affidate”.
Alla Madre, che si lamentava della rara corrispondenza epistolare del padre lontano, rispondeva il 15 febbraio 1908, confermando il suo amore che è quello del Cuore di Gesù, immutabile, sincero e perenne: “Non ho cambiato e non cambierò mai, ne con te ne colle carissime figliole, perché non può mutarsi, ciò che viene dal Signore e ha come unico sorgente il Divino Suo Cuore e per unico alimento il suo inesauribile amore”.
Il Cuore di Gesù era la sua pace. Nutriva verso di esso una grande fiducia perché fonte di ogni grazia. In un momento difficile dell’Istituto scriveva alla Madre: “Come vi tengo chiuse nel Cuore Sacratissimo del Signore e abbandonate alla sua paterna provvidenza mi sto tranquillo e senza il minimo timore.”
Sofferenze e sacrifici diventano per padre Tezza giogo soave e carico leggero (Mt 11,30) perché collocati nel Cuore di Cristo. Le parole dell’apostolo Paolo se morirete con Cristo con Cristo risorgerete (2 Tm 2,11) trovano eco nella vita del padre Tezza. Riferendosi al doloroso sacrificio della separazione dalle figlie dichiarava a suor Emerenziana il 23 gennaio 1902. “Ora ci unisce nel Cuore di Gesù la volontà di Dio che crocifigge, perché poi ci unisca in cielo per sempre la volontà di Dio che beatifica e glorifica.”
Il P. Tezza era convinto che nessuno poteva capire adeguatamente il crocifisso se non penetrando nel Cuore di Lui e che una “fervida devozione verso il Cuore di Gesù alimenterà e promuoverà specialmente alla Sacratissima Croce come pure l’amore verso l’augustissimo sacramento dell’Altare” (HA, 83).
Conseguentemente una Figlia di S. Camillo che tutto si offre a Dio per essere Cristo servizievole al Cristo sofferente nell’infermo, sarà indispensabile coltivare una speciale devozione al Cuore di Gesù, scuola efficace della divina carità, dove imparare umiltà e mitezza, atteggiamenti che trascendono ogni sforzo di ascesi perché del Figlio di Dio. Per questo attraverso la sua vita, i suoi insegnamenti cercò di trasmettere questo patrimonio spirituale a lui tanto caro, Durante il rito di conferimento dell’abito religioso alla prima Figlia di S. Camillo il 19 marzo 1892, il P. Tezza identifica la chiamata alla vita camilliana alla formazione in noi del Cuore Divino: “Che il vostro core adunque, mia diletta figliola si effonda in questo momento col nostro nei più vivi affetti di rendimento di grazie al Signore che nella sua infinita bontà [...] degnò formare in voi il Divin Cuore ammettendovi per prima ad indossare la santa divisa dell’eroe della carità”.
In una delle sue lettere alle “Amatissime Figlie nel Signore” dedica tutto l’argomento esortando con insistenza alla pratica della devozione fino a scendere nei minimi particolari: “Vi raccomando assai assai il mese del Sacro Cuore non tanto quello esteriore e comune che farete non ne dubito, col massimo impegno ma soprattutto quello che ciascuna in particolare dovete praticare nella cella particolare e intima del vostro cuore. E ciò per mezzo della pratica fedele e costante delle virtù le più care al Cuore di Gesù le cui occasioni si presentano a ogni istante nella vita di comunità, come: la fedeltà alle piccole prescrizioni, l’umiltà, la pazienza, la dolcezza e affabilità colle compagne, la modestia e il silenzio ecc., insomma, tutte quelle care piccole virtù, come le chiama S. Francesco di Sales, che nascono appié della croce e si tengono nascoste agli occhi degli uomini, ma che brillano di bella luce agli occhi di Dio, e nella pratica delle quali il nostro amor proprio non può avere alcuna parte. Ve lo raccomando dunque assai. Fateci uno studio speciale durante questo santo mese, avendo più che mai presente allo spirito la parola del vostro Sposo celeste: Discite a me, quia mitis sum et humilis corde”.
La sua gioia era nel sapere che le sue figlie sono di consolazione al S. Cuore: “…consolando il Cuore del vostro Sposo farete sempre contento il vostro povero vecchio padre”.
Ritornava spesso nelle sue lettere l’insegnamento di essere un cuor solo e un’anima sola. Una unione che si colloca nel Cuore di Gesù perché di questa unione intima col Cristo può scaturire il frutto che è il servizio ai malati: “Siate un cuor solo e un anima sola nel Cuore Sacratissimo di Gesù in questa unione troverete sempre con l’abbondanza delle consolazioni, forza, coraggio e anche i mezzi materiali per sostenere e dilatare sempre più la vostra opera”.
Curare le ferite del cuore
Al centro del mistero di Cristo vi è il rapporto Padre-Figlio, in quanto viene riprodotto in Lui, come in uno specchio vivente, la realtà paterna genitrice di Dio-Trinità, esplosione di un cuore al quale è congenito l’elam vitale dell’esigenza intrinseca al primo bene che diffusivum est.
Questo bene, come proposta d’amore perfetto, è partecipato da Dio all’uomo, a tutto l’uomo. L’unità sostanziale – anima e corpo – rappresenta, dunque, l’integrità del bonum diffusivum di Dio. Questa unità sostanziale dell’uomo, però, è ferita dalla defezione, o distacco da Dio, per la rottura dei rapporti bilaterali operata dal peccato che rompe la linea interna dell’amore creatore. Dio stesso allora per ricostruire e ripristinare la linea dell’amore, origine e ragion d’essere dell’uomo nella sua identità nativa, partecipa anche della parte materiale dell’uomo stesso, vulnerata e scomposta nella sua propria ragion d’essere.
Qui si inserisce la missione della Figlia di San Camillo, che è chiamata per sua vocazione a ripristinare e ricomporre la parte materiale in ordine alla reintegrazione dell’essere umano nella sua perfezione.
Come da parte di Dio la reintegrazione del rapporto Padre-Figlio avviene nel piano dell’amore così per la Figlia di San Camillo la collaborazione alla reintegrazione del rapporto Dio-uomo avviene sullo stesso piano, e la religiosa è la pia samaritana che ricuce le ferite del corpo infermo concorrendo a ridonare all’uomo il sorriso, segno di integrità riconquistata totale, e riportando l’uomo alla gioia esistenziale primogenia.
L’impronta della devozione al Sacro Cuore lasciata nella Congregazione dai fondatori rimane e rimarrà parte costitutiva e formativa nella vita delle Figlie di San Camillo. Imitando Cristo negli atteggiamenti del suo Cuore, le Figlie di San Camillo tendono a promuovere una forma di umanesimo oggettivo e sacro secondo il carisma di San Camillo approvato dalla chiesa: riconoscere nel sofferente Cristo Gesù, una vocazione che si realizza dal Crocifisso al malato e dal malato al Crocifisso.