Il Profeta Abacuc

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
AULA PAOLO VI
MERCOLEDÌ, 19 DICEMBRE 2012
MARIA VERGINE: ICONA DELLA FEDE OBBEDIENTE
Cari fratelli e sorelle,
nel cammino dell’Avvento la Vergine Maria occupa un posto particolare come colei che in modo unico ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande mistero dell’Annunciazione.
«Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou», «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Sono queste le parole – riportate dall’evangelista Luca – con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria. A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo. Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il saluto dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella.
Ma perché Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente» (3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio vivente.
Nel saluto dell’angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in greco il termine “grazia”, charis, ha la stessa radice linguistica della parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione di Dio. Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore, si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede.
L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo nella promessa divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti.
Vorrei sottolineare un altro aspetto importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui che – come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr Lc 2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.
Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno di noi: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia – come Abramo e come Maria – tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’Infanzia di Gesù narrati da san Luca. Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al Signore come prescrive la legge di Mosé: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,48-49). Cioè nella proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più difficile, quello della Croce.
Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo – è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio –, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù, dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.
Cari amici, la solennità del Natale del Signore che tra poco celebreremo, ci invita a vivere questa stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo.
http://www.augustinus.it/italiano/apologetici.htm
SANT’AGOSTINO – APOLOGETICI
LA FEDE NELLE COSE CHE NON SI VEDONO
Niente di più certo dell’interiore visione dell’animo.
1. 1. Vi sono alcuni i quali ritengono che la religione cristiana debba essere derisa piuttosto che accettata, perché in essa, anziché mostrare cose che si vedono, si comanda agli uomini la fede in cose che non si vedono. Dunque, per confutare coloro ai quali sembra prudente rifiutarsi di credere ciò che non possono vedere, noi, benché non siamo in grado di mostrare a occhi umani le realtà divine che crediamo, tuttavia dimostriamo alle menti umane che si devono credere anche quelle cose che non si vedono. E, in primo luogo, a coloro che la stoltezza ha reso così schiavi degli occhi carnali che giudicano di non dover credere ciò che con quelli non scorgono, va ricordato quante cose non solo credano ma anche conoscano, che pure non possono vedere con tali occhi. Già nel nostro animo, che è di natura invisibile, ce ne sono innumerevoli. Per non parlare di altro, proprio la fede con la quale crediamo o il pensiero con il quale sappiamo di credere o di non credere qualcosa, sono totalmente estranei agli sguardi di codesti occhi; eppure che c’è di più manifesto, di più evidente, di più certo dell’interiore visione dell’animo? Come dunque possiamo non credere ciò che non vediamo con gli occhi del corpo, quando ci accorgiamo di credere o di non credere pur non potendo giovarci degli occhi del corpo?
Nessuna disposizione dell’animo si può vedere con gli occhi del corpo.
1. 2. Ma, essi dicono, queste cose che sono nell’animo, poiché le possiamo percepire con l’animo stesso, non c’è bisogno di conoscerle mediante gli occhi del corpo; quelle, invece, che ci proponete di credere, non le mostrate all’esterno in modo che le conosciamo mediante gli occhi del corpo, né sono interiormente, nel nostro animo, in modo che le vediamo con il pensiero. Questo è quanto dicono: come se si ordinasse a qualcuno di credere nel caso in cui potesse vedere davanti a sé l’oggetto del credere. Di certo, dunque, siamo tenuti a credere ad alcune realtà temporali che non vediamo, per meritarci di vedere anche quelle eterne nelle quali crediamo. Ma, chiunque tu sia , tu che non vuoi credere se non ciò che vedi, ecco, tu vedi con gli occhi del corpo i corpi presenti e vedi con l’animo, poiché sono nel tuo animo, le tue volontà e i tuoi pensieri del momento; ora dimmi, ti prego, la buona disposizione del tuo amico verso di te con quali occhi la vedi? Nessuna disposizione, infatti, si può vedere con gli occhi del corpo. O vedi forse con il tuo animo anche ciò che avviene nell’animo altrui? Ma se non lo vedi, come ricambi a tua volta la benevolenza dell’amico, dal momento che non credi ciò che non sei in grado di vedere? O, per caso, stai per dire che vedi la disposizione altrui dalle sue opere? Dunque, vedrai i fatti e sentirai le parole, ma, circa la disposizione dell’amico, tu sarai costretto a credere ciò che non si può né vedere né sentire. Quella disposizione, infatti, non è né un colore né una forma che si imponga agli occhi, non è un suono o una melodia che penetri negli orecchi, e non una tua disposizione, che sia percepita da un moto del tuo cuore. Non ti resta, pertanto, che credere ciò che non è né visto, né udito, né percepito dentro di te, affinché la tua vita non rimanga vuota, senza alcuna amicizia, o l’amore che hai ricevuto non sia, a tua volta, da te ricambiato. Dove è dunque quel che dicevi, e cioè che non devi credere se non ciò che vedi, all’esterno con il corpo o, all’interno, con il cuore? Ecco, a partire dal tuo cuore tu credi ad un cuore non tuo, e là dove non drizzi lo sguardo della carne e della mente, ci destini la fede. Tu, con il tuo corpo, scorgi il volto dell’amico, con il tuo animo discerni la tua fede: ma la fede dell’amico tu non puoi amarla se, a tua volta, non hai in te quella fede con la quale credi ciò che in lui non vedi. Sebbene l’uomo possa anche ingannare col fingere benevolenza o col nascondere la malvagità o, se non ha intenzione di nuocere, con l’aspettarsi da te qualche vantaggio, tuttavia egli simula perché manca di amore.
Nelle avversità si prova il vero amico.
1. 3. Ma, secondo quanto dici, tu credi all’amico, del quale non puoi vedere il cuore, perché lo hai sperimentato nelle tue situazioni difficili e hai conosciuto quale fosse la sua disposizione d’animo verso di te in occasione dei pericoli in cui non ti ha abbandonato. Forse dunque, a tuo parere, dobbiamo augurarci delle disgrazie per avere la prova dell’amore degli amici verso di noi? E nessuno proverà la felicità che proviene da amici fidatissimi, se non sarà stato infelice per le avversità, ovvero non potrà mai godere dell’amore collaudato di un altro, se non è stato tormentato dal proprio dolore o timore? E allora come si può desiderare, e non piuttosto temere, quella felicità che si prova nell’avere veri amici, quando solo l’infelicità può renderla certa? E tuttavia è indubbio che si può avere un amico anche nelle prosperità, sebbene è nelle avversità che ne abbiamo la prova più certa.
Crediamo al cuore degli amici anche prima di metterlo alla prova.
2. 3. Ma, comunque, per metterlo alla prova, tu non ti affideresti alle tue verifiche, se non credessi. Perciò, siccome tu lo fai per metterlo alla prova, tu credi prima di averne la prova. Di certo infatti, se non dobbiamo credere alle cose non viste, dal momento che crediamo ai cuori degli amici anche quando non ne abbiamo ancora prove certe, e dal momento che, anche quando abbiamo prove – a prezzo dei nostri mali – che sono buoni, anche allora, piuttosto che vedere, crediamo alla loro benevolenza verso di noi, tutto ciò accade soltanto perché in noi è così grande la fede che, in maniera del tutto conseguente, pensiamo di vedere, se si può dire, con i suoi occhi ciò che crediamo. E dobbiamo appunto credere, proprio perché non possiamo vedere.
Se scomparirà la fede, finirà del tutto l’amicizia.
2. 4. Se questa fede fosse eliminata dalle vicende umane, chi non si avvede di quanto scompiglio si determinerebbe in esse e di quale orrenda confusione ne seguirebbe? Se non devo credere a ciò che non vedo, chi infatti sarà riamato da un altro, dal momento che in se stesso l’amore è invisibile ? Pertanto finirà del tutto l’amicizia, perché essa non consiste in altro che nell’amore reciproco. Quale amore infatti si potrà ricevere da un altro, se non si crede affatto che sia stato dato? Con la fine dell’amicizia poi non resteranno saldi nell’animo né i vincoli matrimoniali né quelli di consanguineità né quelli di parentela, poiché anche in essi vi è senz’altro un comune modo di sentire basato sull’amicizia. I coniugi dunque non potranno amarsi a vicenda, quando, non potendo vedere l’amore come tale, l’uno non crederà di essere amato dall’altro. Essi non desidereranno avere figli, poiché non credono che saranno da essi ricambiati. E costoro, se nascono e crescono, ameranno molto di meno i loro genitori, non vedendo nel loro cuore l’amore verso di sé, dato che è invisibile; naturalmente, però, qualora il credere le cose che non si vedono è segno di colpevole impudenza e non di lodevole fede. Che dire poi degli altri vincoli familiari – tra fratelli, tra sorelle, tra generi e suoceri, tra congiunti di qualsivoglia grado di consanguineità e affinità – se l’amore è incerto e la volontà è sospetta, tanto da parte dei genitori verso i figli quanto da parte dei figli verso i genitori, e quindi finché la dovuta benevolenza non è ricambiata, perché non la si ritiene dovuta quando, non vedendola, non si crede che vi sia nell’altro? D’altra parte, se non è ingenua, è quanto meno odiosa questa cautela per la quale noi non crediamo di essere amati per il fatto che non vediamo l’amore di chi ci ama, e pertanto non ricambiamo a nostra volta coloro che non ci riteniamo in dovere di ricambiare. Fino a tal punto perciò le cose umane sono sconvolte, non credendo ciò che non vediamo, da essere distrutte fino alle fondamenta, se non crediamo a nessuna volontà d’uomo, che di certo non possiamo vedere. Tralascio di dire quante cose della pubblica opinione, della storia ovvero di luoghi in cui non sono mai stati credano coloro che ci riprendono per il fatto che crediamo ciò che non vediamo, e come essi non dicano » non crediamo perché non abbiamo visto « . Se dicessero ciò, infatti, sarebbero costretti a confessare di non avere alcuna certezza sull’identità dei loro genitori, poiché, anche in questo caso, hanno creduto a quanto altri gli raccontavano, senza peraltro essere capaci di mostrarglielo perché era ormai passato; e, pur non conservando alcun ricordo del tempo della loro nascita, tuttavia hanno dato il pieno consenso a coloro che in seguito gliene hanno parlato. Se così non fosse, inevitabilmente si incorrerebbe in un’irriguardosa mancanza di rispetto nei confronti dei genitori, nel momento stesso in cui si cerca di evitare la temerità di credere in quelle cose che non possiamo vedere.
La presenza di indizi chiari ci sprona a credere.
3. 4. Se, dunque, con il non credere ciò che non possiamo vedere crollerà la stessa umana società, perché verrebbe a mancare la concordia, quanto più è necessario prestare fede alle realtà divine, sebbene siano realtà che non si vedono? Se non si prestasse loro fede, non l’amicizia di un uomo qualsiasi ma la stessa suprema religione sarebbe violata, in modo che ne consegue la somma infelicità.
3. 5. Ma, tu dirai, la benevolenza di un amico nei miei confronti, malgrado non possa vederla, tuttavia la posso ricercare attraverso molti indizi; voi, invece, non potete mostrare con nessun indizio le cose che volete che crediamo pur senza averle viste. Intanto, non è di poco conto che tu concedi che si debbano credere alcune cose, anche se non si vedono, quando si è in presenza di chiari indizi; già questo, infatti, è sufficiente per concludere che non ogni cosa che non si vede non deve essere creduta. Ed è così completamente screditato quel presupposto per cui si dice che non dobbiamo credere le cose che non vediamo. Però sbagliano di molto quelli che ritengono che noi crediamo in Cristo senza nessun indizio su di Lui. Quali indizi, infatti, sono più chiari delle cose che ora constatiamo che sono state predette e si sono realizzate?. Voi, dunque, che escludete l’esistenza di indizi perché dobbiate credere, relativamente a Cristo, quelle cose che non avete viste, considerate quelle che vedete. La Chiesa stessa, con parole di materno amore, vi conforta : » Io, che vedete con meraviglia fruttificare e crescere per tutto il mondo 1, un tempo non fui quale ora mi ravvisate ». Ma, nel tuo seme saranno benedette tutte le genti 2. Quando Dio benediceva Abramo, prometteva me: io infatti mi diffondo fra tutte le genti nella benedizione di Cristo. Che Cristo è il seme di Abramo 3 lo attesta l’ordine di successione delle generazioni. Per riassumere in breve, Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò dodici figli, dai quali è scaturito il popolo di Israele. Giacobbe stesso, anzi, ebbe il nome di Israele. Tra questi dodici figli generò Giuda, da cui è derivato il nome dei Giudei, fra i quali è nata la Vergine Maria, che partorì il Cristo 4. Ed ecco, in Cristo, cioè nel seme di Abramo, vedete che sono benedette tutte le genti e ne restate stupiti; eppure esitate ancora a credere in lui, nel quale piuttosto avreste dovuto temere di non credere. Mettete in dubbio o rifiutate di credere che una vergine abbia partorito, quando piuttosto dovreste credere che così si addiceva a Dio di nascere come uomo? Sappiate, infatti, che anche questo fu predetto mediante il profeta: Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiameranno Emmanuele, che vuol dire » Dio è con noi » 5. Non metterete, dunque, più in dubbio che una vergine possa partorire, se volete credere in un Dio che nasce e, senza abbandonare il governo del mondo, viene tra gli uomini nella carne, e che possa concedere alla madre la fecondità, senza toglierle l’integrità verginale. Così bisognava che nascesse come uomo, pur restando sempre Dio, perché nascendo sarebbe divenuto per noi Dio. Per questo il Profeta dice di nuovo di Lui: Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro di rettitudine lo scettro del tuo regno! Tu hai amato la giustizia e hai detestato l’iniquità; per questo Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali 6. Questa è l’unzione spirituale con la quale Dio unse Dio, cioè il Padre il Figlio: donde sappiamo che Cristo prende il nome da crisma, che significa unzione. Io sono la Chiesa, della quale si parla in quel medesimo salmo, preannunziando come già avvenuto ciò che doveva avvenire: Stette la regina alla tua destra, in abiti d’oro, ornata di vari colori 7, cioè nel segno della sapienza, adornata dalla varietà delle lingue. Ivi mi si dice: Ascolta, o figlia, e guarda, porgi l’orecchio, e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, perché al re piacque la tua bellezza; poiché Egli è il Signore Dio tuo. A Lui si prostreranno dinanzi le figlie di Tiro con doni, tutti i ricchi del popolo supplicheranno il tuo volto. Tutta la gloria della figlia del re è all’interno; la avvolge un vestito dalle frange d’oro dai vari colori. Le vergini, al suo seguito, saranno condotte al re; a te saranno condotte le sue compagne; saranno condotte in gioia ed esultanza, saranno condotte nel tempio del re. Al posto dei tuoi padri ti sono nati i figli, li farai capi di tutta la terra. Si ricorderanno del tuo nome, di generazione in generazione. Perciò i popoli ti renderanno lode in eterno, nei secoli dei secoli 8.
Adempiute le profezie sulla Chiesa.
3. 6. Se non vedeste questa regina, ormai anche feconda di prole regale; se colei, alla quale fu detto: Ascolta, o figlia, e guarda, non vedesse realizzata la promessa un tempo udita; se colei, alla quale fu detto: Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, non avesse abbandonato le antiche consuetudini del mondo; se colei alla quale fu detto: Al re piacque la tua bellezza, poiché egli è il Signore Dio tuo, non riconoscesse ovunque che Cristo è Signore; se non vedesse che le città levano preghiere a Cristo ed offrono doni a Lui, del quale le fu detto: A lui si prostreranno dinanzi le figlie di Tiro con i doni; se anche i ricchi non deponessero la loro superbia e non supplicassero l’aiuto della Chiesa, a cui fu detto: Tutti i ricchi del popolo supplicheranno il tuo volto; se non riconoscesse la figlia del re, al quale le fu comandato di dire: Padre nostro, che sei nei cieli 9; e se colei della quale fu detto: Tutta la gloria della figlia del re è all’interno, non si rinnovasse di giorno in giorno nell’intimo 10 attraverso i suoi santi, sebbene colpisca sfavillando anche gli occhi di gente estranea con la fama dei suoi predicatori, che si esprimono in diverse lingue, paragonabili alle frange dorate di un vestito dai vari colori; se, dopoché il suo buon profumo l’ha resa famosa in ogni luogo, giovani vergini non venissero condotte a Cristo per essere consacrate a Lui, del quale e al quale si dice: Le vergini, al suo seguito saranno condotte al re, a te saranno condotte le sue compagne; e, affinché non sembrasse che fossero condotte come prigioniere in un carcere, dice: Saranno condotte in gioia ed esultanza, saranno condotte nel tempio del re; se essa non desse alla luce figli, dai quali avere come dei padri, da farli ovunque suoi reggitori, lei alla quale si dice: Al posto dei tuoi padri ti sono nati i figli, li farai capi di tutta la terra; lei, madre, sovrana e suddita insieme, che confida nelle loro preghiere, per cui fu aggiunto: Si ricorderanno del tuo nome, di generazione in generazione; se, per la predicazione di questi padri, nella quale il suo nome è stato ricordato senza interruzione, moltitudini così grandi non si riunissero in essa e non rendessero incessantemente lode, ciascuna nella sua lingua, alla gloria di colei alla quale si dice: Perciò i popoli ti renderanno lode in eterno, nei secoli dei secoli 11.
Le cose che vedete sono state predette molto tempo prima e si sono compiute con tanta chiarezza. Altrettanto sarà per le cose future.
4. 6. Se queste cose non si rivelassero così evidenti che gli occhi dei nemici non trovano in quale parte volgersi per evitare di essere colpiti da tale evidenza e di essere da essa costretti ad ammetterle manifestamente; allora forse a buon diritto potreste dire che non vi vengono mostrati indizi di sorta, visti i quali possiate credere anche quelle cose che non vedete. Ma se queste cose che vedete sono state predette molto tempo prima e si sono compiute con tanta chiarezza; se la verità stessa vi si mostra sia con i suoi effetti antecedenti sia con quelli che ne sono seguiti, perché crediate quello che non vedete, o resti dell’infedeltà, vergognatevi per le cose che vedete.
4. 7. Guardate me, vi dice la Chiesa; guardate me, che vedete, ancorché non vogliate vedere. Coloro, infatti, che in quei tempi, in terra di Giudea, furono fedeli, appresero direttamente, come realtà presenti, la meravigliosa nascita da una vergine, la passione, la resurrezione, l’ascensione di Cristo, e tutte le cose divine da Lui dette e fatte. Tutto ciò voi non l’avete visto; è per questo che vi rifiutate di credere. Guardate dunque queste cose, prestate attenzione a queste cose, pensate a queste cose che vedete, che non vi sono narrate come fatti del passato, che non vi sono preannunziate come eventi del futuro, ma vi sono mostrate come realtà del presente. Vi pare una cosa vana o insignificante, e ritenete che non sia un miracolo divino o che lo sia ma di poco conto che, nel nome di un crocifisso, accorre tutto il genere umano? Non avete visto ciò che fu predetto e si è avverato della nascita umana di Cristo: Ecco una vergine concepirà e darà alla luce un figlio 12; ma vedete compiuto ciò che la parola di Dio predisse ad Abramo: Nel tuo seme saranno benedette tutte le genti 13. Non avete visto ciò che fu predetto dei miracoli di Cristo: Venite e vedete le opere del Signore, che ha compiuto prodigi sulla terra 14, ma vedete ciò che fu predetto: Il Signore mi disse: Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato: chiedimi e ti darò le genti in eredità, e i confini della terra come tuo possesso 15. Non avete visto ciò che fu predetto e si è avverato della passione di Cristo: Hanno trapassato le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa; essi mi hanno osservato e guardato; si sono divise le mie vesti e hanno tirato a sorte sulla mia tunica 16, ma vedete ciò che nello stesso Salmo fu predetto, e che ora appare avverato: Si ricorderanno del Signore e a Lui ritorneranno tutti i confini della terra e lo adoreranno, prostrati davanti a Lui, tutte le stirpi dei popoli, poiché del Signore è il regno ed Egli dominerà sulle genti 17. Non avete visto ciò che fu predetto e si è avverato della resurrezione di Cristo, secondo quanto il Salmo gli fa dire anzitutto riguardo al suo traditore e poi ai suoi persecutori: Uscivano fuori e tutti insieme sparlavano di uno solo; tutti i miei nemici contro di me mormoravano, contro di me meditavano il mio male; una parola iniqua contro di me hanno fatto circolare 18. Ove, per far vedere che nulla valse loro uccidere chi sarebbe risorto, continuò dicendo: Chi dorme non potrà forse rialzarsi? 19 E poco dopo, avendo predetto, mediante la stessa profezia, del suo stesso traditore ciò che sta scritto anche nel Vangelo 20: Chi mangiava il mio pane, alzò sopra di me il calcagno 21, cioè, mi calpestò, subito aggiunse: Ma tu, o Signore, abbi pietà di me e resuscitami, e io li ripagherò 22. Ciò si è avverato: Cristo dormì e si risvegliò, ossia resuscitò; egli che, nella medesima profezia ma in un altro Salmo, dice: Io ho dormito e ho preso sonno; e mi sono levato su, poiché il Signore mi sosterrà 23. È vero, tutto ciò voi non lo avete visto, ma vedete la sua Chiesa, della quale fu detto in modo simile e si è avverato: O Signore mio Dio, a te le genti verranno dall’estremità della terra e diranno: » In verità i nostri padri adorarono gli idoli menzogneri, che però non sono di nessuna utilità » 24. Di certo ciò voi lo constatate, sia che lo vogliate sia che non lo vogliate, e, se ancora pensate che gli idoli siano o siano stati di qualche utilità, nondimeno di certo avete sentito che innumerevoli popoli, dopo aver abbandonato, rifiutato o distrutto simili vanità, dicono: In verità i nostri padri adorarono gli idoli menzogneri, che però non sono di nessuna utilità: se l’uomo può fabbricarsi i suoi dèi, ecco, essi non sono dèi 25. E poiché fu detto: A te le genti verranno dall’estremità della terra, non crediate che le genti predette sarebbero venute in un qualche luogo di Dio: capite, se vi riesce, che al Dio dei cristiani, che è sommo e vero Dio, le schiere dei popoli non vengono camminando ma credendo. La stessa cosa infatti fu così predetta da un altro profeta: Il Signore prevarrà su di loro e sterminerà tutti gli dèi dei popoli della terra; e tutte le isole della terra Lo adoreranno, ciascuna nel suo luogo 26. Come quello dice: A te verranno tutte le genti, questo dice: Lo adoreranno, ciascuna nel suo luogo. Dunque, verranno a Lui senza lasciare il loro luogo, perché chi crede in Lui lo troverà nel proprio cuore. Non avete visto ciò che fu predetto e si è avverato dell’ascensione di Cristo: Innalzati, o Dio, sopra i cieli, ma vedete ciò che viene subito dopo: e su tutta la terra sia la tua gloria 27. Tutto quel che, riguardo a Cristo, è avvenuto ed è passato, voi non lo avete visto, ma queste cose, che sono presenti nella sua Chiesa, non potete dire di non vederle. Le une e le altre noi ve le mostriamo come preannunciate, ma non possiamo presentarvele come avvenute e che è possibile vedere, perché non siamo capaci di riportare dinanzi agli occhi le cose passate.
Tanto le cose passate che quelle presenti e future le sentiamo o le leggiamo preannunciate prima che accadano.
5. 8. Ma, come per gli indizi che si vedono crediamo nelle volontà degli amici che non si vedono, così la Chiesa, che ora si vede, di tutte quelle cose che non si vedono ma che sono mostrate in quegli scritti in cui essa stessa è preannunciata, è segno di quelle passate, profezia di quelle future. Perché tanto delle cose passate, che ormai non si possono più vedere, quanto delle cose presenti, che non si possono vedere tutte, non si poteva vedere nulla quando furono preannunciate. Allorché, dunque, le cose preannunziate cominciarono ad accadere, da quelle già accadute a queste che stanno accadendo, tutte le cose predette riguardo a Cristo e alla Chiesa si sono susseguite in una serie ordinata. A questa serie appartengono quelle sul giorno del giudizio, sulla resurrezione dei morti, sull’eterna dannazione degli empi con il diavolo e sull’eterna ricompensa dei giusti con Cristo, cose che, anch’esse preannunciate, accadranno. Perché, dunque, non dovremmo credere le cose passate e quelle future che non vediamo, quando abbiamo come testimoni delle une e delle altre le cose presenti che vediamo e quando, nei libri dei profeti, tanto quelle passate che quelle presenti e future le sentiamo o le leggiamo preannunciate prima che accadano ? A meno che per caso gli infedeli non ritengano che siano state scritte dai cristiani in modo che queste cose, che essi già credevano, avessero un peso maggiore in fatto di autorità, col ritenere che fossero state promesse prima che accadessero.
I Giudei nelle Scritture sono nostri sostenitori, nei cuori nemici, nei libri testimoni.
6. 9. Se hanno questo sospetto, esaminino attentamente i libri dei Giudei, nostri nemici. Vi leggeranno tutte le cose che abbiamo ricordato e troveranno che sono state preannunciate riguardo a Cristo, nel quale crediamo, e alla Chiesa, che vediamo dall’inizio faticoso della fede fino alla beatitudine sempiterna del regno. Ma, quando leggono, non si meraviglino se coloro che detengono questi libri non comprendono tali cose a causa delle tenebre dell’inimicizia. Che essi non avrebbero capito, infatti, era stato predetto dagli stessi profeti; e dunque era necessario che questo, come tutto il resto, si avverasse e che, secondo un segreto ma giusto giudizio di Dio, subissero la pena che avevano meritato. È vero, colui che crocifissero e al quale diedero fiele e aceto, benché pendesse dal legno, per coloro che avrebbe condotto dalle tenebre alla luce avrebbe detto al Padre: Perdona loro, perché non sanno quello che fanno 28; tuttavia per gli altri che, per più occulte ragioni, avrebbe abbandonato per bocca del profeta tanto tempo prima predisse: Hanno messo fiele nel mio cibo e quando avevo sete mi hanno fatto bere aceto. La loro mensa divenga per essi una trappola, come ricompensa e come motivo di scandalo. Si offuschino i loro occhi, affinché non vedano, e piegato per sempre sia il loro dorso 29. Così, benché i loro occhi siano offuscati, vanno in tutte le parti del mondo con le più illustri testimonianze della nostra causa, di modo che, per mezzo loro, sono confermate queste cose nelle quali invece essi sono smentiti. Ciò fu fatto per evitare che fossero distrutti e che della stessa setta non restasse nulla; ma essa fu dispersa per il mondo, affinché, portando le profezie della grazia a noi riservata, ci fosse dovunque di aiuto per convincere più fermamente gli infedeli. E ciò stesso che dico, sentite come è stato annunciato dal profeta: Non li uccidere – dice – perché non abbiano un giorno a dimenticare la tua legge; disperdili con la tua potenza 30. Dunque non furono uccisi in quanto non dimenticarono quelle cose che presso di loro si leggevano e si udivano. Se infatti, anche senza comprenderle, dimenticassero completamente le Sacre Scritture, verrebbero uccisi nello stesso rito giudaico, perché, non conoscendo nulla delle leggi e dei profeti, i Giudei non sarebbero stati di nessun giovamento. Costoro, dunque, non furono uccisi ma dispersi, affinché, pur non avendo la fede che li salverebbe, tuttavia conservassero la memoria dalla quale ci proviene l’aiuto: nelle Scritture sono sostenitori, nei cuori sono nostri nemici, nei libri testimoni.
La Chiesa si è diffusa mirabilmente in tutto il mondo.
7. 10. Del resto, anche se riguardo a Cristo e alla Chiesa non vi fossero state tante testimonianze precedenti, chi non dovrebbe sentirsi spinto a credere che la divina chiarezza all’improvviso ha cominciato a risplendere per il genere umano quando vediamo che, abbandonati i falsi dèi e distrutte dappertutto le loro statue, demoliti i templi o destinati ad altri usi ed estirpati tanti vani riti dalla ben radicata consuetudine umana, un solo vero Dio è invocato da tutti? E tutto ciò è accaduto per mezzo di un uomo deriso dagli uomini, catturato, legato, flagellato, schiaffeggiato, vituperato, crocefisso, ucciso. Per diffondere il suo insegnamento scelse come discepoli uomini semplici e senza esperienza, pescatori e pubblicani: essi annunziarono la sua resurrezione e ascensione, affermando di averla vista, e, riempiti di Spirito Santo, fecero risuonare questo messaggio in tutte le lingue, pur senza averle imparate. E tra quanti li ascoltarono alcuni credettero, altri non credettero, opponendosi ferocemente alla loro predicazione. In tal modo, in presenza di credenti capaci di lottare per la verità fino alla morte, non contraccambiando con i mali ma sopportandoli, e di vincere non con l’uccidere ma con il morire, il mondo si è talmente mutato in questa religione, i cuori dei mortali, uomini e donne, piccoli e grandi, dotti e ignoranti, sapienti e stolti, potenti e deboli, nobili e non nobili, di rango elevato e umili, si sono così ben convertiti a questo Vangelo e la Chiesa si è diffusa tra tutte le genti ed è cresciuta in modo tale che contro la stessa fede cattolica, non spunta nessuna setta perversa, nessun genere di errore che sia così ostile alla verità cristiana da non aspirare e ambire a gloriarsi del nome di Cristo. Di certo, non si consentirebbe a tale errore di diffondersi sulla terra, se la stessa opposizione non servisse da stimolo per la sana disciplina. Quel crocifisso come avrebbe potuto realizzare cose così grandi, se non fosse Dio fattosi uomo? E tutto ciò, anche se non avesse predetto mediante i Profeti nessuna di queste cose future. Ma, dal momento che un così grande mistero di amore è stato preceduto dai suoi profeti e araldi, dalle cui voci divine fu preannunciato ed è avvenuto così come è stato preannunciato, chi sarebbe così folle da dire che gli Apostoli hanno mentito su Cristo, quando ne annunciarono la venuta così come era stata predetta dai profeti, i quali non tacquero neppure gli eventi che sarebbero veramente accaduti riguardo agli Apostoli? Di essi infatti avevano detto: Non vi è idioma e non vi è discorso in cui non si senta la loro voce; in tutta la terra si sparge il loro strepito e sino ai confini del mondo le loro parole 31. Ciò di certo lo vediamo avverato in tutto il mondo, anche se non abbiamo ancora visto Cristo in carne. Chi pertanto, a meno che non sia accecato da una strana pazzia o non sia duro e inflessibile per una singolare caparbietà, si rifiuterà di credere alle Sacre Scritture, che predissero la fede di tutto il mondo?
Esortazione ad alimentare e accrescere la fede.
8. 11. Quanto a voi, o carissimi, questa fede che avete o che avete cominciato ad avere da poco, si alimenti e cresca in voi. Come infatti sono accaduti gli eventi temporali predetti tanto tempo prima, così accadranno anche le promesse sempiterne. Non vi ingannino né i vani pagani né i falsi Giudei né gli ingannevoli eretici e neppure, all’interno stesso della Chiesa cattolica, i cattivi cristiani, che sono nemici tanto più nocivi quanto più intimi. Perché neppure su questo punto, per non lasciare i deboli nel turbamento, la profezia divina tacque, laddove, nel Cantico dei Cantici, lo sposo parlando alla sposa, cioè Cristo Signore alla Chiesa, dice: Come un giglio in mezzo alle spine, così la mia amata in mezzo alle figlie 32. Non disse in mezzo alle estranee, ma in mezzo alle figlie: chi ha orecchi per intendere, intenda 33. E, quando la rete gettata in mare e piena di pesci di ogni genere, come dice il santo Vangelo, viene tratta a riva, cioè alla fine del mondo, essa si separi dai pesci cattivi col cuore non con il corpo, cioè cambiando i cattivi costumi e non rompendo le sante reti. In modo che i giusti, che ora sembrano mescolati con i reprobi, non ricevano una pena ma una vita eterna, quando sulla spiaggia comincerà la separazione 34.
6 OTTOBRE 2013 | 27A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C | PROPOSTA DI LECTIO DIVINA
LECTIO DIVINA SU: LC 17,5-10
Dobbiamo ringraziare Luca che ci ricorda questo episodio: i discepoli di Gesù gli si sono avvicinati riconoscendo la debolezza della loro fede. Senza motivo previo, la confessione è inaspettata. Senza sorprendersi né recriminarli, Gesù coglie l’occasione per istruirli sull’enorme potere che possiede l’uomo che si fida di Dio. Per piccola che sia, la fede è capace di realizzare le cose impossibili. Le immagini che usa Gesù sono forti: potrà radicarsi nel mare chi basa la sua esistenza su Dio. Con la parabola come commento, Gesù aiuta a capire in che cosa consiste la fede che chiede ai suoi; non si tenta di non credere a ciò che non si è visto né di affermare quello mai sperimentato; la fede consiste nel mantenersi attento ed ubbidiente.
La forza del credente risiede in un’obbedienza totale, servile, perché rinuncia al salario, al riconoscimento da parte del padrone. Non bisogna solo prescindere da qualunque altro signore, bisognerà desistere dal sognare ricompense. A chi deve obbedienza non gli è dovuto gratitudine. Chi crede in Dio fino a potere fare la sua volontà senza pensare a ricompense dovute, vede intorno a se le cose impossibili. La fede che vuole Gesù per i suoi si alimenta dei piccoli, ma costanti, servizi a Dio. Quella è la fede che Gesù vuole da quanti gli chiedono che gliela aumenti. Sapendo quello che ci chiede Gesù, siamo disposti a chiedergli più fede?
In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: « Aumenta la nostra fede ».
6 Il Signore rispose:
« Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo gelso: ‘Sii sradicato e trapiantato nel mare. » Ed esso vi ascolterebbe.
7 Supponiamo che un tuo servo sia ad arare o a pascolare, al ritorno dal campo, chi di voi dice: « Allora, vieni e siediti a tavola »? 8 Non gli dice piuttosto: ‘Prepara la mia cena, servi me, mentre mangio e bevo, e poi puoi mangiare e bere’? 9Deve essere grato al servo perché ha fatto quello che ha dovuto? 10 Lo stesso fate voi: Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare ».
1. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FACENDO ATTENZIONE A COME LO DICE
Il testo appartiene ad una breve istruzione di Gesù sulla vita comune. Dirigendosi agli apostoli (Lc 17,1), li ha avvertiti di non scandalizzare i fratelli più deboli, (Lc 17,1-3a), e li ha esortati a perdonare senza limite coloro che li abbiano offesi, (Lc 17,3b -4). È precisamente questa imposizione del perdono fraterno quello che provoca negli apostoli il desiderio di un aumento di fede. Di fronte ad un’esigenza tanto poco logica, tanto esagerata, (bisogna perdonare quello che ha peccato sette volte in un solo giorno contro uno), è normale che gli apostoli riconoscano che sono scarsi di fede, (Lc 17,5). Perdonare l’aggressore che chiede perdono esige fiducia. E sembra sempre maggiore l’offesa che la capacità di fidarsi dell’aggressore. Bisogna notare la ‘novità’ del concetto di fede che sottostà alla richiesta degli apostoli: l’offeso crede in Dio se, e quando, riesce a perdonare al suo aggressore.
La risposta di Gesù è molto superiore a questa concezione del perdono dovuto come esercizio di fede. Si incentra nella forza della fede, non nei suoi effetti. Gesù ha indovinato, con poche parole, a creare una poderosa similitudine: basterebbe alla fede avere il volume di uno dei più piccoli semi per trapiantare gelsi nel mare. Solo con un minimo di fede si riuscirebbe in una cosa impossibile, rimboschire il mare (Lc 17,6).
Per dare fondamento e spiegare la similitudine ricorre ad altro esempio più elaborato, ma che non si riconcilia molto bene al tema della fede; perché non parla espressamente, di credere, poco o molto, bensì di servire sempre, (Lc 17,7 -10). Il servo, perfino quando fa quello che gli è stato comandato, non riesce a sentirsi libero di continuare a servire il suo padrone. A servizio compiuto non segue ricompensa completa, bensì nuovi ordini da compiere. Il padrone non ringrazia per essere servito sempre ed in primo luogo. Per captare il senso della parabola bisogna tenere in conto, oltre al suo motivo, la straordinaria potenza di una minima fede, il protagonista, il domestico che deve servire senza aspettare riconoscimento né salario. Quando faccia tutto quello che si chiede a lui, e qui, in concreto, è il perdono del fratello che mette a prova la fede personale, non smetterà di essere quello che è, un povero servo che fa quello che deve fare.
Compresa in questo modo, la catechesi di Gesù indica, con chiarezza estrema che dobbiamo essere disposti a perdonare sempre, che il perdono dovuto al fratello richiede sempre più fede di quella che si ha, che la fede è solo servizio concreto e permanente al Signore che non deve ringraziarci quando noi facciamo quello che ci comanda, perché siamo quello che siamo, servi inutili.
2. MEDITARE: APPLICARE ALLA VITA QUELLO CHE DICE IL TESTO!
Non ci richiama l’attenzione che un giorno gli apostoli chiedessero a Gesù che aumentasse la loro la fede? Com’è possibile che coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo riconoscessero, improvvisamente, che ancora non si fidavano quanto basta del loro Signore? Quegli uomini che tutti i giorni condividevano vita e fortuna con Gesù, lo ascoltavano con più frequenza, gli ubbidivano più radicalmente, notarono un bel giorno che la loro fede era insufficiente. Non sempre, e questo può essere il nostro caso, essere fedeli discepoli porta ad essere migliori credenti.
Gli apostoli scoprirono la scarsità della loro fede quando ascoltarono che dovevano perdonare al fratello che offendeva « sette volte al giorno », (Lc 17,4). Non si sentirono capaci di fidarsi di un Signore che imponeva loro tale obbligo, perdonare l’aggressore sette volte in un stesso « giorno. » Con tutto ciò risulta istruttivo comprovare come la loro scarsa fede non li separò, nemmeno per un momento, dal loro Signore: perché seguivano colui al quale non credevano del tutto, si rivolsero a lui e accorsero con la richiesta che aumentasse la loro fede. Non si defraudarono di se stessi solo perché non potevano essere migliori credenti. E non lo erano, per non potere perdonare.
Non abbandonarono il loro Signore con la scusa che non si fidavano oramai quanto basta di lui. Rimasero con lui e lo pregarono di aumentare la loro fede. Tutta una lezione, meglio, una doppia lezione. Impararono, in primo luogo, che perdonare al fratello è un esercizio di fede in Dio. Che l’aggressore non può meritarsi il perdono in qualche occasione, ma Dio merita sempre la nostra fiducia. Che si può perdonare in realtà, non chi è riconosciuto come offeso e ristabilisce il suo diritto bensì chi si mette nelle mani di Dio.
Ci sarebbe meno penoso, ci si trasformerebbe in godimento, perdonare chi ci ha offesi, se ci arrendessimo, fiduciosi, a Dio. Non ci mancherebbe il suo potere, se l’avessimo sperimentato prima. Gli apostoli impararono, inoltre, che chi è offeso ‘deve’ non il suo perdono al suo aggressore, bensì al suo Dio. Perdonare è compito dei credenti e la fede è relazione di fiducia con Dio. Se all’aggressore tocca chiedere perdono, all’offeso tocca affidarsi a Dio e concedere il suo perdono.
È curioso e consolante che Gesù non rimanesse per niente deluso di alcuni discepoli che gli confessarono la loro poca fede. Li sfidò, piuttosto, a che osassero fidarsi della sua parola. Con un’audace immagine, Gesù insegnò ai suoi apostoli ad appoggiarsi più sulla potenza della fede che nella debolezza constatata dell’incredulità. Molto poca fede basterebbe, assicurò loro, per piantare gelsi in mare. La nostra incredulità personale, la scarsa fede che prestiamo a Gesù ed il suo messaggio, non sarebbe ostacolo per sentirci sempre meno inviati di Cristo ad un mondo credente, se ci accorgessimo che Gesù continua a contare su di noi, uomini di poca fede, per trasformarci in suoi apostoli.
Non è necessario essere una gran credente, per essere un buon apostolo: basta avere la fede sufficiente per tentar di fare le cose impossibili. Invece di condannare i suoi discepoli per la loro poca fede, Gesù li incoraggiò a stimarla di più alludendo al potere che hanno quelli che sanno avere una fede scarsa: chi si fida di Dio non trova limiti per la sua fede, benché la sua fede abbia un limite. Chi conosce i limiti della sua fede non è obbligato a mettere limiti alla sua immaginazione: può tentar di fare le cose impossibile se si fida di Dio.
Gesù non era preoccupato dall’essere accompagnato da cattivi credenti, uomini di poca fede. Non si sorprende, se scopre che tra coloro che lo seguono, continuiamo ad esserci alcuni increduli. Gli fa male, quello sì, che continuiamo essendo timidi, pusillanimi, inattivi. La poca fede non è scusa valida per non tentare di fare le cose impossibili, come trapiantare gelsi nel mare. Se è bene avere poca fede, peggiore è ancora non osare vivere di fede. Che cosa manca ancora alla nostra fede affinché sia tanto grande quanto un granello di senape? Se Dio ha messo ad un livello di fede tanto piccolo il miracolo, perché nella nostra vita di fede scarseggiano tanto i portenti, le sorprese, l’impossibile?
Non sembra che preoccupasse Gesù che suoi più vicini fossero poco credenti. Ma esige da loro che la loro scarsa fede sia fede autentica, cioè, cieca obbedienza. Con la similitudine del servo povero, Gesù spiega ai suoi apostoli che tipo di fede si aspetta da parte loro. Come il servo non può aspettare ricompense quando fa quello che gli è stato comandato, così il credente non deve illudersi di ottenere quello che si aspettava, solo perché ha obbedito al suo signore legittimo. In ciò sta, possibilmente, il motivo più frequente per il quale la nostra vita, sincera, di fede non riesca a procurarci le soddisfazioni che speriamo.
Desideriamo che Dio premi la nostra vita di fede ed il nostro servizio, mettendosi a nostro servizio quando sentiamo qualunque necessità. Il servo che ritorna a casa del suo padrone, dopo avere compiuto il suo dovere, ci fa notare Gesù, continua ad essere servo. Il mandato compiuto non dà diritto ad un salario né a un premio. A chi deve obbedienza totale non gli è dovuto né saldo né riconoscimento. La paga del servo è avere un signore.
Vivere la nostra relazione con Dio come se dovessimo guadagnarci il merito per il nostro servizio, prestargli solo obbedienza quando, o unicamente, speriamo di assicurarci di essere ascoltati nelle nostre domande di aiuto, trasformare la nostra vita di credenti in un elenco di meriti di fronte a Dio, fare la sua volontà per sperare che dopo deve fare la nostra, significa non avere fede, né molta né poca. Gesù sopporta la poca fede dei suoi, ma non la sua mancanza, la disubbidienza. Gesù ci fa notare oggi, come fece un giorno coi suoi apostoli che quando desideriamo qualcosa da lui, non si limiterà a vedere se la nostra fede è piccola o grande, guarderà se abbiamo fede, cioè, se viviamo nella sua presenza come il servo in casa del suo signore, facendo quello che dobbiamo fare.
La fede che è obbedienza, ci salva, dunque, dell’impotenza senza dovere obbligarci ad essere grandi credenti. L’obbedienza della fede ci fa riconoscere la nostra piccolezza senza lasciarci cadere nella delusione. Non presenziamo, non facciamo miracoli, non perché non abbiamo sufficiente fede in Dio, bensì perché non gli siamo sufficientemente servi. Dato che vogliamo essere i suoi apostoli, chiediamo al Signore una fede che, per piccola che sia, ci faccia suoi servi: come Maria, la serva del Signore, sperimenteremo le cose impossibili, quando incominciamo a servire veramente Dio. Se non ci chiede molta fede, diamogli più fiducia e serviamolo meglio.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb,