SALMO 122 (121): PACE PER GERUSALEMME!
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PACE PER GERUSALEMME!
SALMO 122 (121)
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
Là salgono insieme le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.
Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Il Sal 122 (121), è uno dei più belli tra i Canti delle ascensioni, i salmi che ritmavano il pellegrinaggio a Gerusalemme dei pii Israeliti. Il viandante, giunto finalmente nella Città Santa, rivive, tutt’insieme, un cumulo di emozioni: rammenta la gioia della partenza, quando, finalmente, il desiderio iniziava a divenire realtà. È sopraffatto dall’emozione dell’arrivo e dallo stupore che suscita la città, per la sua bellezza. Interiorizza l’esperienza religiosa data dalla consapevolezza della Presenza di Dio, nel suo Tempio. Avverte, più fortemente, l’identità di Popolo di Dio e il suo legame ombelicale con Gerusalemme. Ha la sensazione di stare già gustando il più grande tra i doni messianici: lo “shalom”, che è molto più della nostra pace. In ciò fa gioco anche l’etimologia popolare del nome Gerusalemme = città della pace.
Infine, chiede che questa pace, e tutto ciò che di bene e di bello può dare il Signore, sia concesso alla Città Santa e a tutti coloro che ad essa fanno riferimento.
Questo è il Salmo scelto da Giovanni Paolo II, quando, pellegrino a Gerusalemme, davanti al Muro del pianto, volle esprimere i propri sentimenti e la sua preghiera, anche a nome di tutti i Cristiani.
La Liturgia utilizza in modo tematico il Sal 121 (122):
ai secondi vespri per la dedicazione di una Chiesa;
ai secondi vespri per il comune della beata Vergine Maria;
ai secondi vespri per il comune delle Vergini;
ai secondi vespri per il comune delle Sante.
Questo perché la nuova casa di Dio, luogo della Presenza e della Pace, è ora l’edificio dove si riuniscono i cristiani per celebrare i Misteri, ma è anche il cuore di Maria, delle Vergini e delle Sante che hanno saputo amare e rispondere all’amore di Dio, con cuore indiviso.
LEGGIAMO IL SALMO 121 (122) CON I PADRI DELLA CHIESA:
«Andremo alla casa del Signore». (v.1)
Poiché per i Padri “la casa di Dio, è la Chiesa” (1Tm 3,15), e “la nostra patria è nei cieli” (Eb 11,14.16), essi leggono questo salmo in chiave escatologica:
“Chi è tutto preso dal desiderio del cielo, non vede alcuna oscurità in questo salmo: è il suo stesso sentimento che gli dà l’intelligenza di questa magnifica profezia, perché egli si ricorda di essere coerede e compartecipe dei beni eterni, che la risurrezione lo renderà simile agli angeli, che sarà reso conforme alla gloria del corpo di Gesù Cristo e diverrà cittadino della città di pietre vive… Nell’apprendere che tutti questi beni sono accessibili a noi, per la fede, ognuno esclamerà: Ho gioito quando mi hanno detto…” (ILARIO).
“Siamo pellegrini sulla terra, siamo lontani dai nostri veri concittadini. Ma già in questo viaggio incontriamo dei compagni, degli amici che, avendo già visto la nostra città, ci invitano a correre verso di lei. Il salmista pensa a loro quando esclama: Ho gioito quando mi hanno detto: andremo alla casa del Signore… Corriamo perché andremo alla casa del Signore. La nostra anima gioisca con coloro che ce lo annunciano: hanno visto prima di noi questa patria. Gioisco con i profeti, gioisco con gli apostoli. Tutti infatti ci hanno detto: Andremo alla casa del Signore! Già stavano i nostri piedi nei tuoi atri, Gerusalemme! Quale Gerusalemme? C’è anche quaggiù una Gerusalemme, ma è solo una figura dell’altra. È ben lontano dal pensare alla Gerusalemme terrena questo esiliato che brama di giungere alla Gerusalemme celeste, che è nostra madre (cfr. Gal 4,26) e che l’Apostolo definisce come eterna nei cieli (cfr. 2Cor 5,1) … È quella la Gerusalemme, costruita come città… Corriamo dunque alla casa del Signore e giungiamo alla città dove stiano fermi i nostri piedi…” (AGOSTINO).
“Gerusalemme è costruita / come città salda e compatta” (v. 3)
Qui abbiamo sovente, nei Padri, un’applicazione di tipo morale e pastorale, che rimanda alla Chiesa ideale descritta dagli Atti degli Apostoli (At 2,42-47).
“Quando i credenti non sono più che un cuore e un’anima sola, e tutte le membra hanno una stessa sollecitudine le une per le altre, allora sono Gerusalemme di cui si partecipa tutti insieme”. (ORIGENE)
“Là salgono insieme le tribù, del Signore” (v. 4)
Si mette in risalto il valore positivo della Legge, (nel caso specifico: quella dei tre pellegrinaggi annuali) che costituisce un Popolo e lo lega al suo Dio:
“Tutte le tribù che Dio ha fatto uscire dall’Egitto si recano a Gerusalemme per rendere testimonianza al Dio d’Israele e per un rendimento di grazie… Questo raduno a Gerusalemme era, infatti, il momento più importante per far conoscere la legge, la Scrittura, la storia dei patriarchi e per riunire una comunità nella carità”. (ORIGENE)
Anche i Genitori di Gesù “Salirono a Gerusalemme secondo l’usanza” (Lc 2,42). E, Gesù stesso vivrà la sua vita pubblica come un salire a Gerusalemme (Mt 20,18; Mc 10,32; Lc 18,31) per l’estremo pellegrinaggio, concluso con la sua glorificazione.
“Domandate pace per Gerusalemme” (v. 6).
Per i Padri è l’invito a chiedere pace per la Chiesa e nella Chiesa. Ma è anche l’impegno ad essere in pace con se stessi e con Dio:
“Abbiamo detto molte volte che Gerusalemme si traduce con « visione di pace ». Se dunque Gerusalemme si costruisce nel nostro cuore, cioè se una visione di pace prende dimora in noi, se contempliamo e custodiamo sempre nel nostro cuore il Cristo che è la nostra pace, se dimoriamo in questa visione di pace, allora potremo dire che siamo in Gerusalemme”. (ORIGENE).
“Per la casa del Signore nostro Dio, / chiederò per te il bene” (v. 9).
Al dono della pace si unisce quello del bene. Abbiamo così il saluto francescano: “Pace e bene!”. Bene che in ebraico è “tov”, per dire tutto ciò che di bello e buono Dio sa donare a quelli che lo amano.
“Le auguro pace, per la sua gloria. Non crede che i beni promessi gli siano dovuti, ma li chiede per la gloria di Dio” (CRISOSTOMO).

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