Archive pour août, 2013

Genesis The creation of the animals

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Publié dans:immagini sacre |on 12 août, 2013 |Pas de commentaires »

ANIMALI E PROFETI: LA TRADIZIONE BIBLICA

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ANIMALI E PROFETI: LA TRADIZIONE BIBLICA

Guidalberto Bormolini

(per gentile concessione della Rivista Appunti di Viaggio)

1. La creazione degli esseri viventi
Un’attenta rilettura della Bibbia può riservarci inaspettate sorprese[1]. Come hanno evidenziato numerosi studiosi, tornando alle fonti scritturistiche potremmo accorgerci che «La teologia occidentale appare non solo povera, ma addirittura non legittima rispetto alla verità profonda contenuta nelle fonti cristiane: la Bibbia, ma anche i testi dei padri. Se, infatti, rileggiamo con attenzione le Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento […] restiamo stupiti dell’attenzione riservata alle creature tutte e al loro rapporto con gli uomini»[2].
Già dalle prime pagine della Bibbia si può constatare quanta importanza venga riconosciuta a tutta l’opera di Dio, tanto che la Creazione può essere intesa come un «co-creaturalità tra uomo, animali, piante e cose»[3]. Vi è una grande solidarietà originaria tra l’uomo e l’intero universo circostante, perché in profonda dipendenza dalla terra:
Dio plasmò Adam che è polvere del suolo» (Gen 2, 7), sicché la terra in un certo senso è matrice dell’uomo. Non è madre, perché Dio ha creato l’uomo liberamente, senza un consenso della terra, ma la solidarietà creaturale, l’immanenza tra «terra e terreste» è subito affermata. L’uomo viene dalla terra, è fatto di terra, ritornerà alla terra, sarà di nuovo terra! E la terra fornisce all’uomo piante e frutti perché egli viva […][4].
Nel secondo millennio, soprattutto dopo Cartesio, in Occidente prevalse l’idea di credere l’uomo padrone e sfruttatore del creato, quando invece nel racconto biblico il Creatore lo pose nel giardino «affinché lo coltivasse e lo custodisse». Difatti l’uomo è da subito un essere-in-relazione: nel giardino dell’Eden non vive da solo, perché «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen. 2, 18)[5]. L’annotazione divina non si riferisce al rapporto con il mondo animale, ma allude chiaramente alla presenza della donna sua compagna; nondimeno subito dopo aver osservato quanto la solitudine sia negativa per l’uomo, il Creatore plasma dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo, e li conduce all’uomo perché dia loro il nome. C’è quindi una concordia originaria che consente all’uomo di vivere in armonioso e intenso rapporto con tutti gli esseri viventi.
In fin dei conti la prima azione dell’uomo- Adamo è un atto a favore degli animali. Nel dare il nome ad ogni animale l’uomo instaura con loro un rapporto speciale, poiché i nomi delle Scritture racchiudono un significato spirituale; non sono certo casuali i nomi biblici ad esempio di Michele, Gabriele, Raffaele, Abramo o Sara. A questo riguardo Origene afferma che «dunque è certo che gli angeli e gli uomini ricevono il nome in conformità alla loro funzione, o ai loro atti personali»[6]. Per un ebreo le parole aderiscono sempre al referente, e Adamo nomina tutti gli animali: «intendendo esattamente la realtà significante, in modo che nello stesso tempo la loro natura fosse pensata ed enunciata»[7]. L’etimologia è rivelazione della natura di un oggetto: Dio ha creato tutte le cose con la sua parola, pertanto il nome è tutt’uno con la persona[8].
Nella concezione biblica evidentemente il rapporto uomo-animale non è paritario, ma non rientra nemmeno in quello tra soggetto ed oggetto: «perché entrambi rimangono soggetti, anche se la relazione resta asimmetrica»[9]. Dando il nome all’animale l’uomo compartecipa al potere creativo divino, enuncia una parola co-creatrice. È indubbio che non sia una relazione alla pari, ma a maggior ragione ciò comporta una grave responsabilità dell’uomo su tutto ciò che gli è stato affidato e che Dio stesso vide come «buono e bello» (Gen 1, 25). In fin dei conti, come afferma Qohelet, l’animale in parte condivide il destino dell’uomo: «Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?» (Qo 3, 21).
A conclusione del racconto della creazione Dio benedice gli uomini e gli animali e dà loro la medesima esortazione: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» (Gen 1, 22.28). Per rimarcare questo rapporto vitale e di solidarietà, all’uomo delle origini non è consentito nutrirsi con la carne degli animali, infatti, suo unico cibo saranno i cereali, «ogni erba che produce seme» (Gen 1, 29), e i frutti degli alberi. Nemmeno gli animali, di qualsiasi specie essi siano, possono divorarsi tra loro, ma si nutriranno pascolando l’erba.
Il racconto biblico non contempla una logica di sfruttamento, e il testo di Genesi, come esorta Enzo Bianchi, non dev’essere travisato:
quanto poi ai verbi che conferiscono all’uomo un mandato sulla terra-normalmente tradotti: «Soggiogate la terra e dominate [...]» (Gen 1, 28)-, occorre comprenderli bene: l’uomo deve essere fecondo, lottare contro la morte affermando la vita, deve occupare e abitare lo spazio terrestre; ma questo riempire la terra non può significare calpestarla […] Questo dunque il senso del verbo kavash: non tanto «soggiogare», quanto piuttosto possedere la terra in un rapporto amoroso, armonioso e ordinato. Quanto al verbo tradotto usualmente con «dominare», radah, si ricordi che esso indica reggere, guidare, pascolare, con un’azione che è quella del re e del pastore capace di governare sostenendo e custodendo lo shalom, la vita piena nella pace[10].
2. Le storie bibliche e i profeti
L’alleanza che Dio ha stabilito con Noè, valida fino alla fine del mondo, è un patto sancito anche con tutti gli animali:
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra» (Gen 9, 8-11).
In molte occasioni il Creatore manifesta premura per le Sue creature animali e vegetali: «Non dovrei aver pietà di Ninive […] nella quale sono più di centoventimila persone […] e una grande quantità di animali?» (Gio. 4, 11), d’altronde anche gli animali fecero penitenza con tutto il popolo per porre rimedio ai mali commessi. La Sua cura è così affettuosa da proclamare nel Salmo che sarà Lui, al tempo opportuno, a fornire il cibo necessario affinché gli animali si sazino[11]. Il decalogo consegnato a Mosè in fin dei conti fa dono del riposo settimanale, «“la delizia del sabato”, come dicono i maestri di Israele»[12], sia agli uomini che agli animali[13]. Nel Deuteronomio Egli mostra tenero riguardo anche per le piante e ammonisce: «Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non gli taglierai, perché l’albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell’assedio?» (Dt. 20, 19). Per riconoscere l’impronta della Sua mano nella nostra vita, ci esorta a rivolgerci agli animali:
Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino,
gli uccelli del cielo, perché ti informino,
o i rettili della terra, perché ti istruiscano,
o i pesci del mare perché te lo facciano sapere.
Chi non sa, fra tutti questi esseri,
che la mano del Signore ha fatto questo? (Giobbe 12, 7-10).
Nella discussione con Giobbe, il Signore fa un lungo elenco delle meraviglie del mondo animale per mostrare all’uomo la mirabile sapienza divina[14]. Il profeta Natan viene inviato dal Signore a redarguire il re David; il profeta si serve di un racconto che narra la storia di un povero che aveva allevato un’agnellina insieme ai suoi figli, e l’amava tanto da farla mangiare dal suo piatto e bere dalla sua coppa, e le permetteva anche di dormirgli in grembo. Finché un ricco prepotente, anziché sacrificare un suo capo di bestiame, rubò al povero l’agnellina per offrirla come cena ad un ospite. Il racconto accese l’ira di David verso quell’uomo crudele, ma il profeta fece notare al re che era lui stesso a comportarsi in quel modo. La parabola non avrebbe senso se «l’intimità affettuosa e tenera tra il povero e la sua agnellina non fosse preziosa agli occhi di Dio»[15].
Sono numerosi gli episodi biblici in cui il protagonista ha un rapporto significativo col mondo animale. Come il profeta Gioele, che si preoccupò per la sete degli animali della valle quando le acque dei fiumi si prosciugarono[16]. Il profeta Giona ebbe un legame profondo con un animale: rimase tre giorni nel ventre di una balena, poiché Dio si servì di questo grosso pesce per far capire a Giona che direzione doveva prendere per obbedire alla Sua volontà. L’immagine sarà poi ripresa da Gesù per indicare i tre giorni della sua morte che anticiparono la resurrezione. Il profeta Daniele, durante la sua prigionia in Babilonia, rimase per sei giorni nella fossa dei leoni e ne uscì illeso[17].
Il Signore, talvolta, si serve di animali per nutrire, guidare o consigliare i Suoi profeti. È un volatile che reca l’aiuto celeste al profeta Elia, perseguitato per la giustizia: «Ed io ho ordinato ai corvi di fornirti il cibo» (1Re 17, 4). Un’asina parlò con voce umana per ammonire il profeta Balaam[18].
Tra le storie più toccanti vi è sicuramente quella di Tobia, che parte per un lungo viaggio accompagnato dall’angelo Raffaele e dal suo cane fedele[19], «piccola solidale comitiva in cammino secondo il disegno di Dio»[20].
3. Il nuovo testamento e gli animali
Nelle primissime righe del Vangelo di Marco, subito dopo il battesimo nel Giordano, si racconta che la prima cosa che fece Gesù, mosso dallo Spirito, fu quella di andare nel deserto a vivere con le bestie selvatiche[21].
Sono numerose le parabole del Maestro nelle quali si fa riferimento al mondo animale e vegetale. Gesù sottolinea l’attenzione della Provvidenza per gli animali che, anche se non seminano e non mietono « il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6, 26). Le piante, offrendoci i loro frutti, ci insegnano a riconoscere i segni dei tempi[22], e il giglio del campo, vestito più elegantemente di Salomone, ci ricorda il ricco amore della Provvidenza[23]. Con grande tenerezza il Maestro si identifica con una chioccia che raduna e difende i suoi pulcini[24], e il canto di un gallo risveglierà la coscienza impaurita di Pietro[25].
Sarà poi una colomba a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo su Gesù[26], e lui stesso si è identificato con un agnello[27].
4. La profezia di Isaia e la reintegrazione finale
Molte profezie bibliche che riguardano i tempi finali, quando l’uomo ritornerà ad uno stato paradisiaco, raccontano di una recuperata, totale armonia col mondo animale:
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullino li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme, si sdraieranno insieme i loro piccoli; il leone si ciberà di erba, come il bue; il lattante si trastullerà sulla buca della vipera, il bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi (Is 11, 6-8).
La mistica ebraica descrive spesso la serenità che si crea attorno alle persone pure, e quell’atmosfera di beatitudine è un’anticipazione di ciò che ci attende alla fine dei tempi. Nel Talmud e in numerosi racconti rabbinici si esorta a vivere da subito in affiatamento e in concordia con tutto il creato, con le piante e gli animali, ed è per questo motivo che un rabbino si chiede: «Se gli uomini hanno peccato, quale fu la colpa degli animali [per essere sacrificati?]»[28]. Nel Talmud viene espressa una norma di comportamento da seguire nei confronti degli animali: «Disse rabbi Giuda in nome di Rav: “A un uomo è vietato mangiare alcunché finché non ha dato da mangiare alla sua bestia”»[29]. Questo amore per il creato, che ricorda l’Eden delle origini, aveva un grande portavoce in rabbi Nachman di Brazlav, che arrivò ad affermare: «se un uomo uccide un albero prima del suo tempo, è come se avesse ucciso un’anima vivente»[30].
Il Signore ha creato il mondo come un paradiso di pace e armonia, ma la libertà dell’uomo non ha reso possibile la realizzazione di questo progetto, che prevede per gli animali una particolare considerazione: «In quel tempo farò per loro un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo: arco e spada e guerra eliminerò dal paese» (Os 2, 20).

[1] Cfr. E. Bianchi, Adamo, dove sei?, Magnano 2007, pp. 97-198.
[2] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 5.
[3] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 7.
[4] E. Bianchi, Uomini, animali e piante, Magnano 2008, p. 7.
[5] Cfr. E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 8.
[6] Origene, Omelie su Giosuè, 23, 4.
[7] Filone Alessandrino, De opificio mundi
[8] B. Teyssedre, Angeli, astri e cieli. Figure del Destino e della Salvezza, Genova 1991, p. 20.
[9] E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 8.
[10] E. Bianchi, Uomini, animali e piante cit., p. 10.
[11] Cfr. Sal 104, 27-28; 136, 25; 147, 9.
[12] P. De Bendetti, E l’asina disse…, Magnano 1999, p. 40.
[13] Cfr. Dt 5, 12-14.
[14] Giobbe 39-41.
[15] P. De Bendetti, E l’asina disse… cit., p. 44.
[16] Gl 1, 15.
[17] Dan 6, 17-25.
[18] Cfr. Nm 22, 21-35.
[19] Cfr. Tb 6, 1; 11, 4.
[20] P. De Bendetti, E l’asina disse… cit., p. 46.
[21] Cfr. Mc 1, 13.
[22] Cfr. Mc 13 28.
[23] Cfr. Mt 6, 28-29.
[24] Cfr. Mt 6, 26.
[25] Mc 14, 72.
[26] Cfr. Mc 1, 10; Gv 1, 32.
[27] Gv 1, 29.36.
[28] Pesiqta de-rav kahana 65b
[29] Talmud Babilonese, Ghittin 62a.
[30] Cit. in P. De Bendetti, E l’asina disse…, Magnano 1999, p. 35.

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Benedizione delle famiglie

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TU SEI UNA BENEDIZIONE – COME INTERPRETANO LA BENEDIZIONE I RACCONTI DELLA BIBBIA

http://www.atma-o-jibon.org/italiano5/anselm_grun_2.htm

ANSELM GRÜN

TU SEI UNA BENEDIZIONE

INTRODUZIONE

COME INTERPRETANO LA BENEDIZIONE I RACCONTI DELLA BIBBIA

Negli ultimi anni, soprattutto nella chiesa evangelica, si è destato un nuovo interesse per il tema della benedizione. Due sono gli argomenti su cui riflettono i teologi protestanti: da un lato la benedizione come gesto. La benedizione è qualcosa di più che pregare a parole, si esprime attraverso un gesto. La benedizione può essere sperimentata dalle persone attraverso i sensi. Dall’ altro lato, si è riscoperto Dio come creatore. Ciò significa che Dio non è soltanto il redentore, bensì anche il creatore e come creatore ha benedetto gli esseri umani, facendoli partecipare della ricchezza della sua creazione.

Benedizione e fecondità
La benedizione è uno dei temi centrali della Bibbia. Già al momento della creazione dell’ essere umano Dio benedice Adamo ed Eva: «Dio li benedisse e disse loro: « Siate fecondi e moltiplicatevi »» (Gen 1,28). La benedizione qui è collegata alla fecondità, con la moltiplicazione e l’incremento della vita. L’intero creato è una benedizione di Dio da cima a fondo. Dio copre di doni l’essere umano e fa sì che la sua esistenza porti frutto. È in questo che consiste uno dei desideri primordiali dell’essere umano, che la sua esistenza non resti inutile e infeconda. Quando prospera, quando porta frutto nei figli o in un’ opera, l’essere umano vede un senso nella propria esistenza. La benedizione è una promessa di Dio all’ essere umano che la sua esistenza è sotto la protezione del Signore e partecipa della sua energia creativa, che si esprime e porta frutto nell’uomo.
Il grande cruccio dell’ essere umano sta nel fatto che la sua vita gli appaia priva di significato e che rimanga senza frutto. Le coppie di sposi spesso soffrono per la mancanza di figli. Le persone non sposate hanno talvolta l’impressione di non lasciare nulla in questo mondo. Non possono presentare né figli, né una grande opera. È un desiderio primordiale che la vita porti frutto. Per raggiungere l’armonia con se stesso, l’essere umano ha bisogno della sensazione di generare qualcosa, di creare qualcosa che resta. Non devono per forza essere i figli o una grande opera visibile a tutti. Ognuno, però, ha bisogno della certezza di portare frutto con la propria esistenza, di lasciare in questo mondo un’impronta che può essere lasciata soltanto da lui.
Di una donna incinta diciamo che è fertile. Ciò che vale per lei, è anche una promessa a ciascuno di noi. Anche noi siamo fertili. Nel nostro corpo si esprime la benedizione di Dio. E attraverso il nostro corpo deve fluire benedizione in questo mondo, qualcosa che può prosperare e diventare visibile nel mondo esclusivamente attraverso di noi. Lo psicologo americano Erik Erikson la definisce generatività. È espressione di una persona matura. Parte integrante della buona riuscita dell’ esistenza umana è il fatto che io crei qualcosa che mi sopravviva e vada oltre la mia persona. Quando vado al lavoro o vivo gli incontri con gli altri con la consapevolezza di essere fertile, lo farò confidando nel fatto che da me si sprigiona benedizione, che il mio lavoro diventa una benedizione per gli altri e che il dialogo o lo sguardo amorevole fa scaturire la vita nell’ altra persona. In quanto benedetto posso essere sorgente di benedizione. Ciò conferisce alla mia esistenza un sapore nuovo, il sapore della benedizione e non quello amaro di quanto è sterile e privo di valore.
Ti auguro, caro lettore, cara lettrice, che ti senta benedetto/ a da Dio fin dalla nascita. Su di te c’è sin dall’inizio la benedizione di Dio, che ti dice: «È bene che tu esista. Sei benvenuto/a su questa terra. Vivi la tua vita e sii fecondo/a!». Ringrazia Dio per averti creato così come sei e per tutto ciò che ti ha già donato in questa vita. La gratitudine ti donerà un nuovo sapore, il sapore della vitalità e della gioia.

Abramo, il benedetto
Il patriarca di Israele e padre della fede è Abramo. Dio gli promette: «Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione… In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2s.). Qui la benedizione non consiste soltanto nella fecondità, bensì anche nell’ elezione. Abramo è una persona speciale. Viene scelto da Dio come progenitore di un grande popolo. La benedizione è sempre collegata all’ elezione. Quando benedico una persona, questa sa di essere stata eletta da Dio. Eleggere ha a che fare con volere. La persona benedetta ed eletta sa di essere voluta da Dio, sa di essere accettata e approvata incondizionatamente. La Bibbia associa spesso la benedizione di Dio a un nuovo nome. Anche ad Abramo viene dato un nome nuovo. La benedizione istituisce una nuova identità. L’essere umano non si sente più segnato da un’ onta. Viene chiamato da Dio stesso con un nome nuovo. È creato, plasmato, costituito, amato e accettato interamente da Dio. Trova la sua identità in un’intensa relazione con Dio. Sa di non poter vivere senza questa relazione di amicizia con Dio, che accorda fecondità alla sua vita.
Elezione significa anche che Dio ritiene l’essere umano capace di compiere qualcosa. Dio pretende da Abramo che abbandoni la propria terra, i parenti e la casa paterna. I monaci hanno visto questa partenza come archetipo per ogni essere umano. Ogni essere umano deve abbandonare ogni dipendenza, i sentimenti del passato e le cose visibili con cui si identifica volentieri. Il rischio della partenza, però, può essere corso soltanto da chi sa di essere sotto la benedizione di Dio. Partendo lascia andare tutto ciò con cui finora si è sentito benedetto: i suoi beni, i suoi genitori, i suoi amici, tutto ciò che gli è consueto. Essere sotto la benedizione di Dio significa: percorrere il proprio cammino sotto la sua mano che protegge, confidando nel fatto che in noi Dio crea qualcosa di nuovo e volge a buon fine la nostra esistenza. Abramo non è una persona priva di difetti, esattamente come noi, pur essendo benedetti, continuiamo a essere pieni di difetti e di debolezze. Non di rado soffriamo per i nostri difetti. Ci sentiamo lacerati. La benedizione tiene unito ciò che noi non riusciamo a comporre.
Ti auguro quindi che tu ti sappia benedetto ed eletto da Dio e che la benedizione di Dio unisca dentro di te tutto ciò che talvolta minaccia di lacerarti. Dio ti benedica, affinché tu, come Abramo, possa percorrere la tua strada pieno di fiducia e ti sappia circondato sempre e ovunque dalla vicinanza protettrice di Dio.
«Diventerai una benedizione», dice Dio ad Abramo. È la promessa più bella che possa essere fatta a una persona: essere una benedizione per gli altri, diventare sorgente di benedizione per gli altri. Talvolta diciamo a proposito di una persona che è una benedizione per la comunità, l’azienda, il paese. Di alcuni bambini si dice che sono una benedizione per la famiglia. Intendiamo con questo che quel bambino ha in sé qualcosa che fa bene agli altri. Forse ha un carattere solare. Oppure effonde pace intorno a sé. Oppure c’è in lui qualcosa di schietto e di puro di cui tutti gioiscono. Ogni comunità ha bisogno di persone che siano una benedizione per essa. Alla lunga, senza persone benedette una comunità non può sussistere.
Quando diciamo di un adulto che è una benedizione per la comunità, pensiamo anche all’influenza positiva che si sprigiona da lui. Da una persona del genere si effonde speranza per gli altri. La sua influenza riconcilia, non divide. E da questa persona partono nuove idee. Della sua inventiva, della sua creatività vivono anche un po’ gli altri. Senza di lei la comunità si spaccherebbe. Una persona benedetta unisce le persone. Trasmette ad altri la benedizione che ha ricevuto.
Gli innamorati fanno l’esperienza che il loro amico o la loro amica diventa una benedizione per loro. Gli innamorati rifioriscono. Vicino al partner imparano ad accettare se stessi. Cresce una nuova fiducia in se stessi. Quanto è buio si rischiara, la disperazione sparisce. Lo sconforto se ne va. All’improvviso la vita riacquista fantasia e creatività. Si sviluppano nuove idee. Ciò che era pietrificato diventa vivo.
Alcuni hanno l’impressione che il loro medico, la loro terapeuta o il loro padre spirituale sia una benedizione per loro. Dalla loro guida spirituale si sprigiona qualcosa che fa bene all’ anima. Allora i dubbi su se stessi si disperdono, la svalutazione e la condanna di sé cessano. Da quella persona ricevono nuova speranza che la loro vita vada a buon fine.
Anche tu, caro lettore, cara lettrice, sei una benedizione per altre persone. Dio te ne ritiene capace. Non devi compiere imprese speciali per diventare una benedizione per gli altri. Basta che tu sia interamente te stesso/a. Così come sei, nella tua unicità, sei una benedizione per gli altri. Smetti di svalutarti, e sii grato/ a del fatto che Dio ti ha eletto a sorgente di benedizione per gli altri.

La benedizione notturna di Giacobbe
La Bibbia ci narra una storia singolare. È la storia della benedizione notturna che Giacobbe riceve proprio dall’uomo che ha lottato con lui tutta la notte. Da giovane Giacobbe aveva ottenuto con l’inganno da suo padre Isacco la benedizione del primogenito, suscitando così l’ira di suo fratello Esaù contro di sé. Questa benedizione appare qui come qualcosa di tangibile, qualcosa che non si può dare due volte. Giacobbe è in vantaggio rispetto a suo fratello Esaù. La benedizione del primogenito consiste nel fatto che ora Giacobbe sarà signore dei suoi fratelli.
A Giacobbe sembra riuscire ogni cosa. Torna a casa con grandi ricchezze, le sue due mogli e molti figli. Ma gli viene annunciato che suo fratello Esaù gli sta venendo incontro. Ora si ritrova a fare i conti con la paura. Esaù rappresenta l’ombra di Giacobbe. Giacobbe deve affrontare la propria ombra affinché la sua vita diventi davvero una benedizione. La Bibbia ce lo descrive nella lotta notturna con un uomo oscuro che si fa riconoscere come angelo di Dio. I due lottano nella notte, senza che uno dei due riporti la vittoria. Quando sorge l’aurora, l’angelo prega Giacobbe di lasciarlo andare. Giacobbe ribatte: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!» (Gen 32,27). Giacobbe lotta per la benedizione. Ci tiene tanto a essere benedetto da Dio da lottare come se fosse questione di vita o di morte. Dio in persona benedice Giacobbe e gli dà un nuovo nome: «Non ti chiamerai più Giacobbe [truffatore, ma Israele [colui che lotta con Dio]» (Gen 32,29).
È un paradosso che proprio ciò che è pericoloso per me e mi combatte debba benedirmi. In un primo momento a Giacobbe Dio non appare affatto come colui che benedice, bensì come colui che lo mette in discussione, che gli sbarra la strada. Da un punto di vista psicologico, si tratta di un incontro con l’ombra. Prima che Giacobbe possa riconciliarsi con suo fratello Esaù, deve incontrare l’ombra dentro di sé, la parte che imbroglia, quella falsa, la propria menzogna esistenziale. E proprio l’incontro con l’ombra si trasforma per lui in benedizione. La sua vita acquista una qualità nuova. Non soltanto riesce a riconciliarsi con il fratello, ma diventa uno dei patriarchi di Israele.
Pensiamo di incontrare la benedizione di Dio nelle situazioni in cui abbiamo successo, in cui tutto ci riesce. La storia di Giacobbe ci dimostra che sperimentiamo la benedizione proprio dove abbiamo toccato il fondo, dove incontriamo dolorosamente noi stessi, la nostra falsità, il nostro rifiuto della vita, il nostro sconfinato egoismo. Se diciamo di sì a noi stessi così come siamo, persino la parte debole e falsa di noi può trasformarsi in sorgente di benedizione. Dio non benedice ciò che è perfetto, ma ciò che è imperfetto, non ciò che è intero: ma ciò che è spezzato. Attraverso la benedizione il ramoscello tagliato torna a rifiorire. E la notte si trasforma in giorno chiaro.
Dio ti benedica anche dove ti senti fallito, dove soffri per le tue debolezze, dove sei circondato dall’oscurità. Non darti per vinto, quando tutto sembra privo di vie d’uscita e non sai come andare avanti, quando sei stanco della lotta e preferiresti darti per vinto. Allora, come Giacobbe, grida testardamente nella notte del buio e della tentazione: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!».

Benedizione o maledizione
Nel Deuteronomio Dio pone davanti al popolo la benedizione o la maledizione. Mette il popolo davanti all’alternativa di scegliere l’una o l’altra:
«Vedete, io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione, se obbedite ai comandi del Signore vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione se non obbedite ai comandi del Signore vostro Dio e se vi allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto» (Dt 11,26-28).
Possiamo dunque essere noi a scegliere tra benedizione e maledizione. Se ci atteniamo ai comandamenti, se viviamo in conformità della nostra natura di esseri umani, siamo benedetti. Se però agiamo contro la nostra natura e ci facciamo condizionare dalle nostre brame e dalle nostre pulsioni, scegliamo la maledizione. Dio afferma il Deuteronomio – ha legato il comportarsi secondo i comandamenti alla benedizione e l’allontanarsi dalla retta via alla maledizione. E sta in mano nostra scegliere l’una o l’altra. Se ci atteniamo ai comandamenti, la nostra vita viene benedetta. Porterà frutto e prospererà. Se invece voltiamo le spalle a Dio, sperimentiamo la maledizione. Per l’Antico Testamento, la maledizione è sempre un indebolirsi della vita. Il maledetto si sente ripudiato da Dio e vive estraniato dal Signore e da se stesso.
Esiste però anche l’esperienza che una persona ne maledica un’altra. Nel libro dei Numeri si narra di come il re Balak, nella sua paura del popolo di Israele, mandi a chiamare l’indovino Balaam. Gli dà l’incarico di maledire il popolo di Israele. Una volta che il popolo sarà maledetto spera di sconfiggerlo. Ma Dio ordina all’indovino: «Non maledirai quel popolo, perché esso è benedetto» (Nm 22,12). Chi è stato benedetto da Dio non può venire maledetto da un essere umano. Molte persone si sentono maledette. La parola tedesca fluchen, maledire, deriva da un gesto a cui si associava il malaugurio. Ci si batteva il petto con il palmo della mano aperta, per esprimere che si augurava il male all’ altra persona.
Torno sempre a incontrare persone che hanno l’impressione di essere maledette. Quando chiedo maggiori dettagli, mi raccontano che il padre, in preda all’ira, ha gridato loro: «Non farai mai strada. Non troverai mai un marito. Vedrai come finirai in malora». Altre sono piene di paura, perché un parente ha augurato loro di avere un bambino disabile o di rimanere sterili. Anche se con la ragione ci rendiamo conto che questi auguri malvagi nascono dall’ amarezza di persone malate, ben difficilmente riusciamo a sottrarci alloro potere. In noi permane la sensazione confusa che le parole non siano soltanto parole, ma abbiano un certo effetto. Talvolta le persone maledette si sentono rose interiormente. Anelano alla benedizione che scioglierà la maledizione che pesa sulla loro anima. Non basta dire loro che la maledizione non ha valore, perché essa dimora nella loro anima. C’è bisogno di una potente benedizione. Impongo le mani a queste persone e, in nome di Gesù Cristo, dico che protegga la loro anima dall’influsso nocivo delle parole altrui e che faccia penetrare sempre più a fondo nel loro cuore la sua parola di vita.
Una volta è venuta da me una donna che durante l’infanzia aveva subito degli abusi sessuali da parte di un sacerdote. Questi l’aveva maledetta. Se mai l’avesse raccontato a qualcuno, sarebbe morta. Quella donna non osava più andare in chiesa. Desiderava ardentemente partecipare alla messa. Ma non appena entrava in una chiesa, quella maledizione scendeva su di lei e la paralizzava. Un’amica la persuase a parlare con me. Quando le andai incontro amichevolmente e le tesi la mano, si tirò indietro. Ebbe il coraggio di parlarmi soltanto perché l’amica entrò con lei nel parlatorio. E ci volle molto tempo, prima che il suo blocco si sciogliesse e trovasse la fiducia di dire ciò che le pesava sull’ anima. Le chiesi se potevo impartirle la benedizione e imporle le mani. Lo volle.
Durante quella benedizione ho sentito che tutti i miei bisogni di mostrare partecipazione o riuscire ad aiutare dovevano passare in seconda linea. Dev’essere una benedizione pura, in cui sono permeabile soltanto allo Spirito di Dio. Ed ero consapevole del fatto che la benedizione ha bisogno di autorità conferita dall’ alto. Benedico in nome di Dio. Benedico con la forza della croce, sulla quale Gesù ha sconfitto il potere dei demoni. Affiorano in me immagini archetipe, per esempio l’immagine che Cristo protegge la donna con il suo potere, che con il segno della croce suggello la fronte affinché non possa entrare niente di negativo. E in questa situazione comprendo all’improvviso la frase di san Paolo, che altrimenti mi risulta piuttosto estranea, cioè che sulla croce Gesù è diventato maledizione per noi, per riscattarci dalla maledizione (cfr. Gal 3 , 13s.).
Forse conosci anche tu parole di maledizione che sono rimaste nella tua anima. Sovrapponi a queste parole oscure la Parola iniziale che ti è stata affidata nel battesimo: «Tu sei il mio figlio diletto. . Tu sei la mia figlia diletta. In te mi sono compiaciuto». Oppure pronuncia nel tuo cuore l’augurio con cui Paolo benedice Timoteo, il destinatario delle sue lettere: «Grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e Cristo Gesù Signore nostro» (2 Tm 1,2).

Donne che si benedicono a vicenda
Quando Maria visitò sua cugina Elisabetta, quest’ultima fu piena di Spirito Santo ed esclamò: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). La donna più anziana benedice la più giovane. Entrambe le donne sono incinte. È un incontro prodigioso quello che ci viene descritto da Luca nel suo vangelo. In quanto greco, Luca ha una sensibilità particolare per la dignità della donna e per la sua capacità di sentire che il nostro compito più importante è benedirci a vicenda e diventare una benedizione per gli altri. Le donne dicono di se stesse che sono fertili, quando sono incinte. Le donne conoscono la grande benedizione della creazione. Ai giorni nostri sono proprio le donne ad aver sviluppato nuove forme di liturgia della benedizione. Amano benedirsi a vicenda.
Nell’incontro tra Maria ed Elisabetta vedo una dimensione affettuosa nel rapporto reciproco. Lì non è questione di rivalità, come sperimentano spesso gli uomini nelle loro relazioni interpersonali. Lì è questione di gioire per l’altra persona e della capacità di vivere insieme la benedizione di Dio, che è destinata a tutti, e di gioirne insieme agli altri. La benedizione pronunciata da Elisabetta su Maria rende viva anche lei. Il bambino le sussulta nel grembo. Il suo isolamento si trasforma in nuova vitalità. E Maria, la benedetta, prorompe nel canto di lode del Magnificat. Trasmette ad altri la benedizione di Dio. Benedire significa: lodare Dio per tutto ciò che ha fatto per noi. Dio è la fonte di ogni benedizione. Per questo fa parte della benedizione la lode di Dio come nostro creatore, redentore e salvatore.
Con questo racconto l’evangelista ci invita a benedirci a vicenda. Benedirsi a vicenda può avvenire attraverso un gesto, per esempio tracciando una croce sulla fronte dell’ altra persona. Ma può anche semplicemente avvenire attraverso una parola. Elisabetta benedice Maria dicendole qualcosa di buono. La parola greca per ‘benedire’, euloghein, e la traduzione latina benedicere, significano: dire qualcosa di buono, dire bene. Benedire consiste nel dire qualcosa di buono dell’altro, su di lui e rivolto a lui. Elisabetta glorifica Maria come la donna che è benedetta più di tutte le altre, che ha una dignità inviolabile. Nella benedizione Elisabetta vede il mistero di questa giovane donna e del bambino che porta in grembo. Ciò che Elisabetta dice a proposito di Maria vale per ciascuno di noi. Ognuno di noi è una donna benedetta, un uomo benedetto. Ogni donna è sotto la benedizione di Dio. Ognuno è creato e amato da Dio come persona speciale e unica.
Elisabetta non glorifica soltanto Maria, bensì anche il frutto del suo seno. La benedizione che promette a sua cugina si riferisce al bambino che le cresce in grembo. Essere benedetti significa che in me fiorisce qualcosa di nuovo. Nei sogni il bambino rappresenta sempre qualcosa di nuovo e genuino, che desidera aprirsi una strada in me, attraverso tutto ciò che non è autentico e nasconde la mia vera natura. Oggi molte persone soffrono del fatto che la loro vita scorre in maniera monotona e basta, senza che accada nulla di notevole. Si sentono logorate. Tutto segue il suo corso abituale. Essere benedetti come Maria significa che Dio fa fiorire in me qualcosa di nuovo, che mi porta a contatto con l’immagine genuina e originale che egli si è fatto di me.
A proposito del bambino che Maria metterà al mondo, l’angelo dice: «Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Il nostro nucleo più intimo, l’immagine intatta di Dio dentro di noi, sono santi, sacri. In ognuno di noi c’è qualcosa di sacro, di cui gli esseri umani non possono disporre. Il sacro, infatti, è proprio ciò che è sottratto alla signoria del mondo. Per i Greci soltanto ciò che è sacro può risanare. L’angelo promette anche a noi che dentro di noi esiste qualcosa di santo, di sacro, che ha raggiunto salvezza e perfezione, che è intatto e non infettato dalla colpa.
Se sei a contatto con quanto di santo è in te, potrai avere un’zione benefica sugli altri. Allora – benedetto come Maria – anche tu diventerai una benedizione per gli altri. Ti auguro che, come Maria, tu sappia dire di sì al fatto che Dio ti ha benedetto e ti dona un figlio che sarà chiamato santo. È un mistero quello che avviene in te quando il bambino divino nasce dentro di te. Il mistero ha bisogno della tua parola di fede, come quella che ha pronunciato Maria dandoti l’esempio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).

La benedizione del vecchio Simeone
Luca ci narra un’ altra splendida storia di benedizione. Quando Maria e Giuseppe portano il loro bambino al tempio, vi incontrano il vecchio Simeone. Simeone prende il bambino tra le braccia per benedirlo. E lodando Dio, dice parole stupende sul neonato. In quel bambino i suoi occhi hanno visto la salvezza, la luce che illumina le genti e la gloria di Israele. È senz’ altro la cosa più bella che si possa dire di una persona: «Quando ti vedo, vedo la salvezza che Dio ha preparato agli uomini». Ogni persona ha una sua profondissima vocazione a portare gli altri alla salvezza, a che gli altri raggiungano attraverso di lei la salvezza e la perfezione.
Con Simeone vorrei dirti: «In te vedo la luce. Sei un raggio di speranza in questo mondo. Rischiari i miei occhi. Sei gloria. In te risplende la bellezza di Dio.
In te un po’ dell’amore di Dio riluce in questo mondo. Attraverso di te il mondo diventa più luminoso e più caldo. Vicino a te mi si riscalda il cuore». Forse pensi che questo, per quanto ti riguarda, non sia vero. Ma le parole benedicenti di Simeone valgono anche per te. Anche tu, infatti; sei benedetto, come il bambino di Maria.
Quando il bambino benedetto da Simeone fu diventato uomo, benedì altri bambini. Evidentemente la gente aveva l’impressione che questo Gesù di Nazaret fosse una persona benedetta. Così gli portavano i loro bambini, affinché imponesse loro le mani e li benedicesse (Mc 10,1316). Volevano che i loro bambini partecipassero della benedizione di quest’uomo Gesù. Sentivano che la presenza di Gesù faceva bene a loro e ai loro bambini, che da Gesù si sprigionavano benedizione, accoglienza, incoraggiamento, vita e amore. Gesù prende i bambini tra le braccia, impone loro le mani e li benedice. È un gesto affettuoso di benedizione. Nell’abbraccio Gesù dimostra loro che sono abbracciati e amati da Dio, che la presenza di guarigione e d’amore di Dio li circonda sempre. Attraverso l’abbraccio, la benedizione si fa concreta. I bambini si sentono amati, accettati. La benedizione ha in sé qualcosa di affettuoso.
Gesù impone loro le mani. Nell’imposizione delle mani non faccio soltanto l’esperienza dello Spirito Santo di Dio e della sua forza risanatrice, che si riversa in me, bensì anche della sua protezione. In tutto ciò che faccio so che Dio stesso tiene le sue mani protettrici sul mio capo. L’imposizione delle mani è il gesto di, benedizione più intenso. In esso l’amore di Dio può essere sperimentato fisicamente come contatto affettuoso e come un flusso che mi pervade. A questo intenso gesto di benedizione, l’imposizione delle mani, Gesù associa una parola buona, una parola di incoraggiamento. La sua parola crea relazione e comunione. Gesù offre ai bambini la sua amicizia personale. Ma attraverso la benedizione comunica loro anche che appartengono al regno di Dio, che si trovano alla presenza risanatrice e protettiva di Dio.
Molti genitori, la sera, prima di andare a dormire, hanno l’abitudine di benedire i loro figli. Quando un figlio è ancora piccolo, attraverso la benedizione si sente al sicuro e protetto. Una madre, ogni sera, posa in silenzio la mano sul capo del suo bambino che è già a letto e prega per lui. Ciò trasmette al bambino l’esperienza che Dio tiene le sue mani buone su di lui e che è bene detto e amato da Dio. Un padre, ogni volta che i figli stanno per andare via da casa per un periodo piuttosto lungo, fa loro un segno della croce sulla fronte. Una madre mi ha raccontato che i suoi figli le presentavano sempre la fronte per ricevere da lei la benedizione. Evidentemente anelavano al tenero affetto della benedizione. In essa facevano l’esperienza della promessa: «Sei benedetto da Dio. Non sono soltanto io a pensare a te, ma Dio tiene la sua mano affettuosa su di te». Quando i figli crebbero, la madre ebbe degli scrupoli a continuare a fare loro il segno della croce sulla fronte. Ma quando tralasciò di farlo, i figli ormai adulti lo reclamano. Per loro costituiva un bisogno sperimentare la benedizione della madre. A che cosa anelavano quei giovani uomini? Dato che non li conosco, posso soltanto fare delle supposizioni. Penso però che volessero sperimentare fisicamente che sono benedetti, che non sono soli, che non è soltanto la madre ad accompagnarli con il suo amore, bensì anche Dio, che è loro vicino, anche se, lontano da casa, si sentono soli. Desidero perciò incoraggiare padri e madri a benedire i loro figli.
Nel segno della croce, nell’imposizione delle mani o nella parola di benedizione metti il tuo amore, la tua benevolenza, le tue premure e la tua fiducia che tuo figlio è benedetto da Dio. La benedizione che dai a tuo figlio ti libera dalle preoccupazioni timorose per lui. Sai che è sotto la benedizione di Dio, che percorre la sua strada da persona benedetta e che la benedizione è come una mano protettrice che lo accompagna e circonda.
Se mi ricordo di come mio padre mi tracciava la croce sulla fronte quando ritornavo in collegio a Miinsterschwarzach, in quel gesto non c’era soltanto un senso di dedizione affettuosa. Con quel piccolo gesto mio padre esprimeva dei sentimenti che altrimenti non riusciva a mostrare con facilità. Era anche la certezza che la benedizione mi accompagnava e che in essa mi accompagnava anche l’affetto di mio padre, quando tornavo nell’atmosfera un po’ più dura del collegio.
Non dovrebbero essere soltanto padri e madri a benedire i loro figli. Possiamo anche benedirci a vicenda. Il ragazzo può tracciare la croce sulla fronte della sua ragazza e viceversa.
Con questo gesto amorevole esprimiamo verso l’altra persona che:
«Vai bene così come sei. Ogni aspetto contrapposto in te è toccato dall’amore di Dio. Appartieni a Dio. Non c’è un re o un imperatore sopra di te. Sei libero. Percorri la tua strada sotto lo sguardo amorevole di Dio, che ti dice: « Sei il benvenuto in questo mondo. Abbi fiducia nella vita. Io vengo con te »».

Benedetti attraverso Gesù Cristo
La lettera agli Efesini vede l’operato di redenzione e riscatto di Dio in Gesù Cristo come benedizione. Con l’immagine della benedizione l’autore esprime ciò che Dio ha fatto per noi in Gesù Cristo. La lettera inizia con un rendimento di lode:
«Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,3s.).
La benedizione con cui Dio ci ha benedetti consiste nel fatto che ci ha scelti in Gesù Cristo. In Gesù Dio ha diretto lo sguardo su ciascuno di noi, ricolmandoci di tutto l’amore che ha donato a suo figlio. In Gesù, però, ci ha anche chiamati a essere santi e immacolati al suo cospetto. L’8 dicembre, nella solennità di Maria immacolata, la liturgia riferisce questa frase a Maria, la Madre di Dio. Allo stesso tempo, però, questa frase vale anche per noi. In Gesù Cristo siamo già santi e immacolati. Là dove Gesù è in noi, c’è in noi qualcosa di sincero e di puro. Lì il peccato non ha alcun potere su di noi. In Cristo Dio ci ha benedetti, dicendoci:
«Tu sei buono. Ti ho creato buono. E ai miei occhi sei buono, santo e immacolato. Il mondo non ha potere su di te. In te non c’è nessuna macchia. Quando sei in comunione con il mio figlio è tutto buono in te».
Paolo sviluppa questa grande benedizione che abbiamo ricevuto in Gesù Cristo. Consiste nel fatto che in Gesù ci è stata donata la redenzione, «la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Redenzione significa in realtà liberazione, riscatto. In Gesù non siamo più in balia di forze demoniache che vorrebbero nuocerci. In Cristo persino il peccato non ha potere su di noi. Siamo sottratti alla sua orbita. Non abbiamo più bisogno di condannarci. In Gesù, infatti, Dio ei ha rimesso i peccati. Non ei gravano più addosso per paralizzarci con i sensi di colpa. Là dove siamo benedetti in Cristo il peccato non conta più. Non dobbiamo scontarlo. Possiamo semplicemente lasciarlo andare. La benedizione è più forte della maledizione che spesso ci infliggiamo da soli quando ci dilaniamo con i sensi di colpa, indebolendo così la nostra energia vitale.
Il terzo effetto che la lettera agli Efesini attribuisce alla grande benedizione in Gesù Cristo è «l’iniziazione al mistero» (Heinrich Schlier, 39 [trad. it. cit., 20s.]). Viene sviluppata in Ef 1,8-10:
«Egli l’ha [la grazia] abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero [mysterion] della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno, cioè, di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra».
In Gesù Dio ei ha resi partecipi della sua sapienza. Abbiamo conquistato la gnosis, a cui le persone dell’epoca tanto anelavano. Gnosis significa: conoscenza, illuminazione, vero sapere. In Gesù siamo diventati sapienti. In lui comprendiamo i veri motivi delle cose. In lui riconosciamo la nostra vera natura. E questa vera natura consiste nel fatto che Cristo è in noi e unisce tutti quei nostri ambiti che non di rado viviamo come separati: tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra, la parte terrena e quella celeste, quella oscura e quella luminosa, quella debole e quella forte, la nostra caducità e l’immortalità di Dio. Il mistero della sua volontà è: «Cristo in noi». Così è stato descritto dalla lettera ai Colossesi:
«Dio volle far conoscere [loro] la gloriosa ricchezza di questo mistero [mysterium] in mezzo ai pagani, cioè Cristo in mezzo a voi, speranza della gloria» (Col 1,27).
Si può tradurre anche come «Cristo in voi, speranza della gloria». In ciò consiste la benedizione più profonda che Dio ei ha donato in Cristo. Cristo stesso è in noi. È in noi come colui che unisce dentro di noi ciò che è separato e scisso. Ed è in noi come speranza della gloria. È come la caparra che cresceremo nella forma (d6xa) che Dio ci ha assegnato, che la gloria di Dio risplenda pura e chiara in noi.
Medita tra te e te l’inizio della lettera agli Efesini e lascia cadere nel profondo del tuo cuore le parole: «Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,3s.). Durante la meditazione non devi tanto riflettere sulle parole quanto accogliere le parole nel tuo cuore) nella fede che «questa è la verità. Questa è la realtà autentica. lo sono benedetto. Sono scelto da Dio, eletto, amato incondizionatamente. Là, dove la benedizione di Dio si posa su me, sono santo e immacolato».

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LA BENEDIZIONE DEL SOLE. IL MIRACOLO DELLA CREAZIONE

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LA BENEDIZIONE DEL SOLE. IL MIRACOLO DELLA CREAZIONE

Una preghiera per il sole? Può sembrare un rito pagano ma si tratta di uno dei più rari riti ebraici . Il Talmud (Berakhot 59a) ci dice che ogni 28 anni il sole si trova nella stessa posizione, nella stessa ora del giorno e nello stesso giorno in cui si trovava quando fu creato a Gerusalemme esattamente alle 6 del pomeriggio. Un calcolo piuttosto complicato, quello elaborato dai nostri Maestri, che sottolineano tale evento con la prescrizione della recita di una benedizione “Benedetto tu o Signore, Dio nostro Re del mondo, che fa l’opera della creazione”, seguita da alcuni salmi che allo stesso modo esaltano l’opera della creazione.
Questo della Birkhat ha Chammah è forse il rito più raro della ritualistica ebraica e non scevro da numerose discussioni fra i Maestri che temevano si potesse fraintendere il senso di questa celebrazione. Ciò che si celebra è infatti l’opera della creazione del sole da parte dell’Onnipotente e non il sole in quanto tale.
Fra qualche giorno, esattamente l’otto aprile, vigilia di Pesach, nelle prime ore del mattino, i fedeli usciranno dalle sinagoghe e davanti al sole (speriamo che ci sia) reciteranno questa speciale preghiera. La Comunità Ebraica di Torino quest’anno oltre ad eseguire il rito della Birkhat ha Chammah, celebrerà la pubblicazione di un testo di questa preghiera, che il rav Alberto Somekh ha rintracciato nell’Archivio ebraico Terracini di Torino: un manoscritto proveniente da quella che una volta era la Comunità ebraica di Mondovì.
Rav Somekh ci racconti la storia di questo ritrovamento.
L’archivio Terracini, nato nel 1973 grazie a un notevole lascito di libri e documenti appartenuti ai fratelli Benvenuto e Alessandro Terracini, dispone anche di una biblioteca nella quale sono pervenuti volumi da tutte le comunità ebraiche del Piemonte. Nel fondo della Comunità di Mondovì alcuni anni fa abbiamo trovato un antico manoscritto dell’800 che attesta una Birkhat ha Chammah, e si è deciso di stamparlo nell’ambito di una ricerca che si sta conducendo sul patrimonio storico ebraico di quella città. Ho curato la pubblicazione del testo ebraico con traduzione, introduzione e note esplicative in ebraico e in italiano.
Quali sono gli aspetti liturgici della preghiera?
Vi è un contenuto in versetti e salmi in cui le creature ringraziano l’Onnipotente per l’opera della creazione. Qui a Torino vi sarà una cerimonia che si svolgerà subito dopo la tefillà di shachrit. Saliremo sulle cupole della sinagoga e reciteremo la benedizione.
Quest’anno poi, la celebrazione coincide con la vigilia di Pesach, com’era già avvenuto nel 1925, e questo rende ancora più impegnativa una giornata che già lo è perché alla tefillà ordinaria si aggiunge il digiuno dei primogeniti e la Birkhat ha Chammah.
Questa preghiera non viene un po’ meno al principio di non amare altri dei…
Assolutamente no, e non bisogna cadere in quest’errore. Noi non ci rivolgiamo direttamente al sole, ma al Creatore e lo ringraziamo per l’opera della creazione del sole, per la sua bellezza, per il suo calore, per la sua luce. Non c’è alcuna possibilità di fraintendere. Anzi, questa berachà ribadisce la concezione ebraica del rapporto con il creato.

Or ha Chamma
A cura del rav Alberto Moshè Somekh
Zamorani Editore, pagg. 88, 14 euro

Lucilla Efrati

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San Lorenzo, Quirinale, Roma

San Lorenzo, Quirinale, Roma dans immagini sacre

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10 AGOSTO: SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

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10 AGOSTO: SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati.

          “Il persecutore chiede a Lorenzo le ricchezze della Chiesa. Il diacono gli risponde mostrandogli l’immensa folla dei cristiani nella povertà”. Vi sono stati nella storia della Chiesa parole ed attitudini di grandezza e di bellezza, custoditi con pietà dalla Tradizione cristiana e citati nel corso dei secoli come particolarmente caratteristici della linea autentica del Vangelo e della Testimonianza Cristiana.
          La risposta di San Lorenzo al suo persecutore avido d’impossessarsi dei beni della Chiesa gestiti dal santo diacono Lorenzo (morto nel 258), è uno di questi gesti. Egli si limita “a mostrare la folla imponente dei cristiani poveri”. Lorenzo era nato in Spagna nel 230. Egli è il diacono che sfidò il giudice pagano e morì martire tre giorni dopo il suo papa, Sisto II. La leggenda vuole che sia stato sottoposto al terribile supplizio della graticola. Con lui trovarono la morte anche sei dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Lorenzo era arrivato dalla Spagna a Roma ed il Papa gli aveva affidato l’assistenza di tutti i poveri della comunità cristiana. Dopo il martirio del Papa, intuendo ciò che stava per accadere contro di lui, aveva distribuito ai poveri tutti gli averi della Chiesa che l’imperatore Valeriano esigeva come tributi. L’imperatore pensava che la Chiesa fosse molto ricca perché vedeva che i cristiani in tempi di crisi alimentare non soffrivano; in realtà questo avveniva semplicemente perché tra i primi cristiani che avevano preso sul serio la loro fede e non erano tiepidi esisteva piena condivisione e reciproca assistenza.
          Lorenzo era il tesoriere della comunità, per questo le guardie imperiali si infuriarono quando,  irrompendo nel cimitero di San Callisto per arrestare e uccidere Sisto II e i suoi sette diaconi non trovarono l’arcidiacono Lorenzo. Quando anche Lorenzo venne catturato, il prefetto Cornelio intima a Lorenzo di consegnargli il “ tesoro” della Chiesa. Lorenzo rispose domandando al prefetto di concedergli qualche giorno per fare l’inventario e consegnargli tutto. Poco tempo dopo, Lorenzo si presentò al prefetto accompagnato da una schiera di mendicanti che indicò come i veri “tesori” della Chiesa, ai quali erano finiti i denari. Consegnato ai suoi aguzzini nella notte tra il nove ed il dieci agosto venne bruciato vivo!
          Occorre confessare che il dialogo tra il mondo e la Chiesa, tra il pagano di vita ed il vero cristiano rassomiglia spesso al colloquio che opponeva Lorenzo al suo giudice Cornelio.
   “Noi non parliamo la stessa lingua”, diceva recentemente un uomo importante rappresentante d’un   neo-paganesimo moderno ad uno dei suoi colleghi invece fedele al pensiero del Vangelo.
          È vero. La povertà è una situazione da cui si allontana spesso e come più  può l’uomo senza fede. La povertà è oggetto di disprezzo per il mondano orgoglioso ed assetato di piacere e di tutti i beni di questo mondo. La povertà è una fonte di privazione di cui il cristiano può e deve far virtù. Orientati i suoi sforzi verso altri beni superiori che possono anche fargli rinunciare ad una vita  più facile. Senza dubbio, se egli è impegnato nel sostegno d’una famiglia, è un diritto ed un dovere per lui di assicurarle un piano di vita economico convenevole. L’ascensione sociale, la promozione economica non sono opposte allo spirito del Vangelo. Quello che il Vangelo richiede è che il danaro sia sempre considerato come un servitore dell’uomo e non come il suo padrone, è che i più perfetti, anche nella ricchezza materiale custodiscono al fondo di se stessi “un’anima da povero”, capace di misurare al loro giusto e reale valore i beni di questo mondo e le ricchezze eterne imperiture.
          Queste riflessioni sono ispirate  naturalmente da questo   santo diacono Lorenzo. Egli aveva capito l’insegnamento di Betlemme, del laboratorio di Nazareth, della vita apostolica e povera di Cristo in Giudea ed in Galilea.
     Senza dubbio, la povertà  è dovuta a molte cause, alcune molto onorevoli, altre meno, di cui certe possono essere talvolta collegate a dei vizi o a delle colpe disastrose. Non sempre è così, occorre ben dirlo!
          La verità, è che il fatto brutale della povertà pone una rassomiglianza grande tra l’uomo e Cristo, che la tradizione cristiana ha sempre amato e servito i poveri e che il disprezzo o l’oblio del povero sono un’offesa a Cristo  mentre  l’esaltazione della povertà, la sua designazione di San Lorenzo come una delle ricchezze spirituali della Chiesa è una testimonianza della fedeltà cristiana al  Salvatore.
          Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
          Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa. Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
          Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: « Ecco, i tesori della Chiesa sono questi ».
          Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: « Bruciato sopra una graticola »: un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

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11 AGOSTO 2013 | 19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C : LECTIO DIVINA SU: LC 12,32-48

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/19-Domenica-2013_C/19-Domenica-2013_C-JB.html

11 AGOSTO 2013  | 19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA SU: LC 12,32-48

Rivolgendosi ai suoi discepoli. Gesù continua l’esortazione che aveva iniziato, rivolgendosi alla gente. Quando uno sconosciuto venne a chiedergli il suo aiuto perché suo fratello gli desse la sua parte dell’eredità che gli spettava, Gesù rifiutò di mediare nella disputa; però approfittò dell’occasione per avvertire sulla minaccia di lasciarsi possedere dai beni che si posseggono o di non poter vivere perché non si hanno i beni che si vorrebbero. Tanto esigente sembrò essere la sua posizione che Gesù si vide obbligato a continuare il suo insegnamento: nell’intento di spiegarsi meglio, restrinse il suo uditorio, ma non sminuì la gravità dell’avvertenza e neppure il livello delle esigenze. Il Gesù che ci ricorda il Vangelo di oggi, può risultarci tanto radicale come poco pratico. Però non dobbiamo dimenticare che le sue parole sono ‘pensate’ per quelli che lo seguono. Chi non è sordo, si fa suo discepolo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
« Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Vendete quello che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, e un tesoro sicuro nei cieli, dove i ladri non si avvicinano né tignola mangia. Perché dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore. Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lampade accese. Faste come coloro che sono in attesa del padrone quando torna dalle nozze, per aprire appena arriva e chiama.
Beati quei servi che il padrone al suo arrivo troverà ancora svegli, vi assicuro che si cingerà le sue vesti, li farà sedere a tavola e li servirà. E, se arriva la sera tardi o la mattina presto e li troverà così, beati loro. Capite che se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Lo stesso è per voi, siate pronti, perché nell’ora che non pensate il Figlio dell’uomo verrà ».
Pietro chiese: « Signore, tu hai detto questa parabola per noi o anche per tutti? »
Il Signore rispose: « Chi è quell’amministratore fedele e premuroso che il padrone ha messo a capo della sua servitù, per distribuire loro la razione dovuta? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo posto. Vi assicuro che lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se il servo pensa, ‘Il mio padrone tarda a venire « e comincia a battere gli altri servi, a mangiare a bere e ubriacarsi, venuto il padrone di quel servo, nel giorno e nell’ora che meno se lo aspetti lo solleverà dal suo incarico e lo condannerà alla pena di coloro che non sono fedeli.
Il servo che, conoscendo ciò che il suo padrone vuole e non è disposto a metterlo in pratica riceverà molte percosse ma chi non conosce ciò che vuole il suo padrone, e fa qualcosa degno di percosse, ne riceverà poche.
A chi molto è dato, molto sarà chiesto, a chi molto è stato affidato, sarà richiesto molto di più ».

 1. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FACENDO ATTENZIONE A COME LO DICE
Il discorso che fa ai discepoli come uditori esclusivi, non è un’unità tematica. Riunisce due motivi un poco diversi: inizia completando l’insegnamento di Gesù sopra l’attitudine di completo affidamento a Dio che deve caratterizzare i suoi discepoli in questo mondo e, in concreto, la sua relazione con i beni della terra, per passare direttamente ad esortarli a vivere nello stato di permanente vigilanza ed avvertirli contro il desiderio di possedere beni effimeri. Gesù passa ora ad esortare a vivere aspettando il Signore che sta per arrivare. Così il disinteresse verso i beni non è semplice disaffezione o disprezzo, ma prova di speranza e volontà di servizio al Signore che sta per arrivare.
Nella prima parte del discorso, Gesù anima solamente i discepoli a vivere liberati dei beni. E lo fa con un doppio argomento: non bisogna temere di perdere quello che si possiede, perché Dio ha concesso più di quanto si possa desiderare; il regno promesso rende insignificante quanto si conseguito o quanto si potrebbe conseguire; l’esortazione termina con un criterio; quello che realmente importa è quello che riempie il nostro cuore: o il regno o i beni. Il secondo argomento ha la formula di una parabola, due delle tre nel nostro testo, che introduce il motivo dell’attesa del Signore; se atteso e ben accolto, il Signore che arriva nel cuore della notte si porrà a servire immediatamente i suoi servi! Afferma Gesù con sorprendente logica nella prima. Però, come afferma nella seconda, la sua venuta deve essere sempre attesa, perché non si può prevedere quando arriverà. Come appunto il ladro!
La seconda parte del discorso è la risposta alla domanda di Pietro. Gesù spiega il ‘senso’ della parabola narrando l’altra. Bisogna considerare che, in questa non si parla di ‘servi’ in generale, ma di uno solo, l’amministratore; la responsabilità davanti al Signore che deve arrivare non ricade sopra la comunità dei ‘servi’, ma sopra il loro leader. La fedeltà e sapienza del buon servo sta nel suo lavoro costante e sulla sua costante disponibilità nel rendere conto della sua amministrazione; e sarebbe meglio non contare su possibili ritardi del suo Signore…, sarebbe la sua perdizione.

 2. MEDITARE: APPLICARE ALLA VITA QUELLO CHE DICE IL TESTO!
I discepoli di Gesù, per insignificanti che siano o che siano considerati così dagli altri, non devono temere nulla dal mondo: hanno il futuro di Dio nelle loro mani. Tale è la promessa di Gesù. Il saperlo li libera dall’affanno di accumulare beni che non hanno futuro per essere tutti del loro Signore, il loro unico Bene. Aspettarlo renderà sopportabile il vivere nella carenza dei beni o senza accumularli. Così ci chiede Gesù: liberi dalle cose e liberi dai timori, perché il Padre ha tenuto bene darci il massimo, il suo regno; prima di chiedere rinunce Dio ha concesso il suo proprio patrimonio, e lo ha fatto ‘con piacere’, godendo della sua generosità, per alimentare la nostra. Solamente meritano di essere posseduti i beni che non appaiono, né possono essere sottratti. Il nostro cuore merita solamente Dio, l’unico tesoro per il quale si può perdere tutto il resto.
L’attesa non ha limiti, non perché il Signore non arriva, ma perché non si sa quando arriva. La vigilia deve essere paziente, durerà tanto come l’assenza del Signore. Quando ritorna il Signore che sta per arrivare, premierà non il servo che possiede più cose ma chi è più attento nell’attesa. Vegliare è la forma di servire il Signore assente. E per mantenersi svegli è, imprescindibile, mantenersi liberi di quanto si possiede. La povertà, di risorse o di qualità, alimenta maggiormente l’attesa del Signore, un Signore che quando arriva, si metterà a servire quanti non si saranno stancati di attenderlo. Non è quello che si ha, ma quanto si aspetta, la cosa che ci farà degni del nostro Signore. L’unico bene che non possiamo perdere, è l’unico che oggi dobbiamo proteggere, è quello che non è ancora arrivato, l’atteso Signore. Attendendolo, può il servo, assicura Gesù, trasformare il suo Signore nel suo attento servo: mettere Dio al nostro servizio è la ricompensa del servo speranzoso, che sostiene le sue necessità e i tempi di assenza senza perdere la speranza di incontrarsi un giorno col suo generoso Signore.
Gesù non svela quando pensa di arrivare, come un ladro, arriverà il Signore senza che si possa prevedere la sua irruzione e poter prevenire l’assalto. Fino a che non arriva dura il tempo del servizio. Il servo è veramente servo se aspetta il suo Signore. Attendere Cristo è il modo di servirlo!
Di Pietro, tra tutti quelli che è stato messo a capo dei suoi servi, il Signore chiede fedeltà a lui e sollecitudine con gli altri. Al domestico, buon amministratore, se lo trova servendo gli altri e distribuendo i pasti al tempo opportuno, darà i beni del suo Signore. Il Signore non tiene i beni per sé e il suo amministratore gli è fedele, quando li divide. Tutto quello che teniamo, lo abbiamo in amministrazione per servire coloro che non hanno nulla; la fedeltà al Signore che ancora non possediamo non si può quantificare nel mantenere quello che ha messo nelle nostre mani, ma nel metterlo a disposizione di coloro che hanno meno. E non dobbiamo sentirci padroni dei beni, solamente perché li possediamo, mentre il vero Signore non è ancora giunto. Anche se non è ancora tra noi ci ha lasciato la sua volontà il suo incarico: rispettare quello che vuole è l’unica forma degna di venerare il Signore che sta per arrivare. La sua volontà lo rappresenta: il servo che sa quello che il suo padrone chiede e non lo fa, sarà castigato: non è un Signore assente, è un Signore esigente; bisogna temere il Signore al quale non si ubbidisce.
L’ultima affermazione di Gesù, proverbiale, è logica nella sua prima parte: a chi molto ha dato, molto esigerà; non tanto nella seconda: a chi molto ha affidato, esigerà di più. Più prezioso tra i beni ricevuti è la fiducia che il Signore ha posto in noi dandoceli. Di fatto, i beni dati non sono che la prova della fiducia che ci ha dimostrato. Dei doni risponderemo con parità secondo quello che abbiamo ricevuto; la fiducia che ci chiederà è più di quella che ha messo in noi: la fiducia che Dio deposita nei suoi, deve accrescere la fiducia dei suoi in Lui.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

Edith Stein

Edith Stein dans immagini sacre
http://www.richardcannuli.org/iconedithstein.htm

Publié dans:immagini sacre |on 8 août, 2013 |Pas de commentaires »

NOVENA A SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

http://www.preghiereperlafamiglia.it/edith-stein-santa-teresa-benedetta-della-croce.htm

NOVENA A SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

(Preghiera per ottenere grazie attraverso l’intercessione di Santa Teresa Benedetta della Croce)

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre, Credo.

- O Santa Teresa Benedetta della Croce, che facesti della tua sete di verità una preghiera continua, che coltivasti fin dalla giovinezza, intuendo che chi cerca la verità cerca Dio, ottienici di essere dei ricercatori di questa verità in mezzo a tante falsità che ci circondano, di saperla scoprire ed abbracciare come l’abbracciasti tu.
 - Comprendesti che il cammino della fede ti avrebbe portato più lontano di quello della conoscenza filosofica, ti avrebbe portato a Colui che è tutto amore e misericordia, ottienici di abbandonarci anche noi a questa certezza che nessuna conoscenza naturale può dare.
 - Succhiando il latte della fede del Popolo Eletto, restasti insoddisfatta per la sua incompletezza e navigando nel sapere filosofico riuscisti a non farti incantare da false dottrine, continuasti a cercare e ti incontrasti con la Croce di Cristo che fece in te crollare l’incredulità e riuscì a far impallidire anche l’ebraismo nel quale eri nata, ottienici di pazientare anche noi nei dubbi e nelle perplessità senza smarrirci e fa’ che siamo illuminati anche noi dalla luce di Cristo che si sprigiona dal mistero della Croce.
 -Il Signore ti donò di rimanere folgorata dalla vita di Santa Teresa, che leggesti con avidità, scoprendo attraverso questo suo scritto la verità che cercavi, ottienici di servirci anche noi di quei mezzi che possono riflettere la Luce per poi immergerci in essa come facesti tu.
 - Cercasti un angolo tranquillo in cui quotidianamente ti saresti potuta incontrare con Dio e lo trovasti nella vita del Carmelo, aiutaci a mettere Dio nella nostra vita al primo posto, come se davvero non esistesse nient’altro, per considerare le forze con cui dobbiamo lavorare per il Signore lasciando che lui stesso se ne serva in noi.
 - La scienza della Croce ti fece comprendere il valore dell’espiazione della Croce di Cristo e non fu una conoscenza di carattere intellettuale, ma, come San Giovanni della Croce, accettasti il suo marchio autentico che si impresse nella tua vita, facci comprendere l’orrenda gravità del peccato attraverso la passione e morte di Cristo e ottienici la gioia di poter anche noi collaborare all’espiazione di essi abbracciando volentieri con Cristo e con te la croce che il Signore si degnerà di donarci.
 - Finalizzasti la tua immolazione offrendoti vittima di espiazione per la vera pace,
ottienici di nutrire in noi sentimenti sempre più forti di pace e di saperci offrire per essa con generosità.
 - Rimanesti attaccata al tuo popolo e con esso e per esso partisti spedita verso il campo di sterminio, insegnaci a condividere le sofferenze altrui e di saperci immolare per il bene dei fratelli vicini e lontani, desiderando per essi soprattutto la salvezza eterna.
 - Prendesti come modello la preghiera del Cristo durante la sua vita di uomo, la facesti tua e, come Gesù si preparò a salire sul Golgota con la preghiera sul monte degli Ulivi, ti preparasti con la tua vita di preghiera al Carmelo a salire il tuo Calvario, ottienici di imparare a pregare sempre e soprattutto nei momenti più difficili della nostra vita.
 -Al Cuore divino del Salvatore facesti voto di approfittare di tutte le occasioni per fargli piacere. Partisti contenta di tutto, nonostante l’interruzione brusca della tua vita ordinaria e nell’attesa dell’estremo sacrificio ti prodigasti con dolcezza e premura nel campo della morte infondendo conforto e coraggio, ottienici di saper anche noi approfittare di tutte le occasioni per far contento il Signore nella carità verso il prossimo.
 - Convinta che quanto possiamo fare è sempre poco in confronto a quanto ci viene dato, offristi quel poco che ti preparò a dare di più, assecondando la grazia senza resistere, quando ti fu indicata la via che scegliesti perché piaceva al Signore, ottienici di saper far tesoro delle piccole occasioni per esser pronti a sacrificarci di più se sarà volontà di Dio.
 - La Parola di Dio t’illuminò e scopristi la tua vocazione paragonandoti alla regina Ester che era stata scelta tra il suo popolo proprio per intercedere davanti al re. Ti sentisti una Ester assai povera e impotente, ma confidasti nel Re infinitamente grande e misericordioso, che ti aveva eletta, e con coraggio affrontasti la morte, fa’ che questo tuo esempio ci spinga a considerare la nostra missione in mezzo agli altri come una missione di salvezza voluta e sorretta da Colui che ci darà la forza necessaria.
 - Seguisti Cristo sul cammino pasquale della morte e risurrezione che Lui stesso ha scelto per te, ottienici di apprezzare il dono della vita, dell’amore e della croce come tesori affidati a noi da Lui, per uscire dall’ombra e dallo smarrimento della morte.
 - Nella gravissima ora della tua vita, prima di entrare nella camera a gas, ripetesti quello che Gesù chiese al Padre e che ci è stato trasmesso in alcune brevi parole del Vangelo: « Se non può passare questo calice senza che io lo beva, sia fatta la tua Volontà ». Serena affrontasti l’ora della tua agonia guidata da questa Volontà, ottienici di sapere anche noi far tesoro di quest’esempio sublime e, insieme a te, di poter chinare il capo negli ultimi momenti della nostra vita che, fin da adesso, vogliamo anche noi offrire al Padre insieme a quella di Gesù.
 - Accettasti con gioia la morte che Dio ti aveva destinato, in perfetta sottomissione alla sua volontà, insegnaci a fare la volontà di Dio per imparare a conoscere lo spirito di Dio, la vita di Dio, l’amore di Dio.
 - Nascesti nel giorno dell’espiazione (Kippùr) e moristi con Cristo in espiazione per il tuo popolo (convinta che la misericordia di Dio non si ferma ai confini della Chiesa visibile) e per il mondo intero, che oggi esulta contemplando il tuo sepolcro vuoto come quello di Cristo, perché in Cristo già risorta a una vita di gloria, ottienici di incontrarti quando Dio vorrà nella sua e tua gloria.

Publié dans:preghiere, Santi |on 8 août, 2013 |Pas de commentaires »
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