Christ Pantocrator Icon 6th or 7th Century

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OMELIA PRIMA LETTURA SU GEREMIA (2007)
UOMO DI CONTRASTO
don Marco Pratesi
La prima lettura ci presenta un momento drammatico del difficile ministero di Geremia. Gerusalemme è assediata dalle truppe di Nabucodonosor, re di Babilonia. In città scarseggiano i beni di prima necessità, si tenta di resistere a oltranza, sperando magari in un intervento divino, come altre volte è avvenuto. In questa situazione Geremia, già detenuto a motivo dei suoi annunzi di rovina, continua a proclamare: « Dice il Signore: ‘Chi rimane in questa città morirà di spada, di fame e di peste, mentre chi passerà ai Caldei [i babilonesi] vivrà’ » (Ger 38,2).
È annunzio fondamentale nel ministero di Geremia, anche se non unico, sia prima che dopo la caduta di Gerusalemme: Babilonia è strumento dell’ira di Dio contro Israele; è quindi opportuno non resistere ad ogni costo, cosa che avrebbe il solo effetto di peggiorare la situazione.
Geremia è posto come profeta in Israele nel momento in cui i suoi nemici devono prevalere, per testimoniare che, anche in quel momento, la storia è condotta da Dio. Altrimenti, di fronte alla sconfitta, Israele avrebbe dovuto necessariamente concludere che Dio lo aveva abbandonato, oppure che egli era stato vinto dagli dèi di Babilonia. Geremia sta lì a mostrare che invece quanto accade è volontà di Dio.
Compito quanto mai ingrato, e l’episodio della cisterna ne è chiara illustrazione. I capi d’Israele che vanno dal re Sedecia a chiedere la morte del profeta sono ben convinti di conoscere quale sia « il benessere (shalom) del popolo ». Non si pongono nemmeno il problema di quale possa essere il piano di Dio, lo sanno già in partenza: resistere, continuare a lottare fino all’ultimo. Così, in nome delle proprie visuali acriticamente assunte, resistono al piano di Dio, causando ulteriore rovina a sé e al popolo. Per essi, fiduciosi nell’incrollabilità della dinastia davidica e del tempio, è facilissimo vedere nelle parole di Geremia un’offesa alla nazione e alla parola stessa di Dio. Così il profeta si trova posto al centro della lotta, tanto da potersi definire « uomo di contesa per tutto il paese », e aggiunge: « Non ho preso prestiti, non ho prestato a nessuno, eppure tutti mi maledicono » (Ger 15,10).
Assistiamo al paradosso che sarà anche di Gesù: la parola di Dio suscita contrasto. « Non sono venuto a portare la pace sulla terra, ma la divisione » (Vangelo). Tema scottante oggi, quando le religioni, e specialmente i monoteismi, sono accusati di fomentare divisioni e guerre. Si dovrebbe perciò accantonare le religioni, o almeno ridurle a elemento funzionale a pace e tolleranza universali, eliminando in esse tutto ciò che potrebbe indurre conflitti.
Per il cristiano questa strada non è percorribile. Se i profeti, compreso il più grande tra loro che è Gesù di Nazaret, hanno suscitato divisione, un cristiano che realizzi una « pace universale » è soltanto sale che ha perso sapore. Una tale impresa sarebbe possibile solo espellendo dalla storia la presenza attiva di Dio, e costruendo una religione funzionale alle varie ed effimere visuali del « benessere » umano. Tanti vogliono insegnarci qual è il vero bene dell’umanità: per non creare tensioni, dovremmo negare proprio a Dio la possibilità di dire una parola in merito.
Certo, il conflitto non deve significare guerra, violenza. L’umanità – credente o meno – deve imparare a vivere il conflitto evitando di risolverlo sia con la violenza (di ogni tipo), sia con la rimozione forzata del conflitto (che è di nuovo violenza: il conflitto non deve esistere). Gesù, come Geremia, subisce la violenza, non la fa: sua unica arma è la spada affilata della Parola.
I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano – EDB nel libro Stabile come il cielo.
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OMELIA (2001)
EREMO SAN BIAGIO
COMMENTO SU EB 12,1-2
Dalla Parola del giorno
Circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede.
Come vivere questa Parola?
L’autore della Lettera agli Ebrei qui veicola la verità del nostro impegno di credenti mediante un’immagine sportiva. Siamo allo stadio e i nostri giorni mortali sono la pista per il nostro correre in gara sotto lo sguardo dei « testimoni » (o spettatori) che sono le innumerevoli schiere di fratelli santi arrivati alla meta della felicità eterna. E veniamo invitati a correre, tenendo lo sguardo su Gesù che qui è definito da due termini estremamente significativi: « autore e perfezionatore della nostra fede ». Davvero è tutto! Perché si tratta di comprendere l’altezza, la larghezza, la profondità e l’ampiezza » di un Amore che si è dato in croce perché potessimo credere a Lui, fidandoci pienamente. « Pensate attentamente ? dice il testo della Lettera ? a Colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità [...] perché non vi stanchiate perdendovi d’animo ».
Pensiamo meditando nel cuore, mentre proprio gli occhi del cuore oggi, nella pausa contemplativa, cercheranno di tenersi più a lungo possibile fissi su Gesù ». Verbalizzerò:
Ti ringrazio perché sei tu « l’autore » della mia fede! Perfezionala ogni giorno un po’: rinvigoriscila, purificala, fa’ che diventi operante nella carità.
La voce di un Padre della Chiesa
Fissa gli occhi del cuore su Cristo. Egli è sceso nel tempo perché tu diventassi eterno. Si è fatto uomo, Lui: il Creatore dell’uomo. Ha succhiato al seno di una donna, Lui: il reggitore del firmamento. Ha voluto avere fame: Lui che è il Pane, e avere sete Lui che è la sorgente [...]: E’ venuto tra noi a morire, Lui che è la Vita.
S. Agostino
18 AGOSTO 2013 | 20A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C | PROPOSTA DI LECTIO DIVINA
LECTIO DIVINA SU: LC 12,49-57
Potrebbe sembrarci che il testo evangelico, sorprendente per la sua radicalità, ci presenti un Gesù sconosciuto, insolito. Non è un Gesù inoffensivo al quale siamo molto abituati; non coincide col Gesù che ci piace tanto ricordare, mite ed umile di cuore. Ma è un Gesù a cui non conviene abituarci, del quale sarebbe meglio dimenticarsi. Perché la durezza con la quale Gesù si esprime oggi nel vangelo riflette molto bene la sua persona ed il suo pensiero, la ragione della sua vita e le esigenze che imponeva a coloro che lo seguivano.
Questo Gesù che vuole incendiare la terra e dividere famiglie può risultare esagerato addirittura scomodo, ma non è falso; non è quello che certamente noi c’inventeremmo, ma è quello che è in realtà. Chi ha detto che convivere con lui era un semplice camminare insieme?
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
49 « Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo da ricevere e sono ansioso finché non sii compia. 51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, ma la lotta. 52 Perché d’ora in poi saranno divisi i cinque membri di una famiglia, tre contro due e due contro tre. 53 Il padre contro il figlio e il figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre, la nuora contro la suocera e la suocera contro la nuora ».
54 Disse alla gente:
« Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: « Sta arrivando la pioggia », e così accade. 55 Quando sentite il vento del sud che soffia, dite, ‘Sta arrivando il caldo « , e succede. 56Ipocriti, se sapete come giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come è che non sapete discernere questo tempo? 57 Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto »?
1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il testo evangelico ha due parti, tanto diverse per contenuto e destinatari; in realtà, due brevi discorsi. Nel primo, (Lc 12,49-53), Gesù confida ai suoi discepoli la sua propria intimità, svela loro la coscienza che ha di sé stesso e la sua missione. Nel secondo, (Lc 12,54 -57), parla al popolo e lo esorta a discernere quanto sta succedendo e trarre le proprie conclusioni.
A quanti lo seguono, Gesù svela la passione interna che lo divora, mentre cammina verso la sua passione. Ricorre all’immagine del fuoco, per alludere alla rapida ed irresistibile forza propagatrice che desidererebbe avesse la sua missione personale: è venuto ad incendiare la terra e desidererebbe avere già finito il compito. Sorprende, per la sua durezza, la confessione di Gesù ai suoi discepoli: ha come missione personale di incendiare la terra; ed è il suo desiderio più fervente che arda quanto prima.
Il fuoco, elemento di rapida propagazione e di fatidica potenza, è un’immagine abile della passione che lo divora per compiere il compito ricevuto. Ugualmente, il battesimo, per immersione, è figura di una morte che gli sopravviene. Mentre la similitudine del fuoco allude alla missione ricevuta, la prova del battesimo indica il prezzo personale che pagherà. Ammette che è molto alto, un battesimo di sangue. Saperlo lo riempie di angoscia, della quale si libererà solo quando si realizzerà. E’ noto a quanti lo seguono, che non usciranno illesi: seguire un « appassionato » crea passione e divisione, perfino in seno alle migliori famiglie. Probabilmente questo tragico annuncio riflette la situazione dei primi cristiani la cui fedeltà a Cristo ha imposto loro rotture profonde con i parenti. A quanti l’osservano, lavoratori di campo, abili nel prevenire quello che deve venire, Gesù invita ad usare quella capacità per decifrare quanto sta succedendo intorno ad essi. Sanno interpretare quello che succede nel cielo, « leggendo » le nuvole ed i venti; e si preparano così per il domani. Ma non captano il senso nascosto, profondo, di quello che stanno vivendo giorno per giorno: il passaggio di Dio tra loro. A cosa gli serve giudicare se non lo identificano al giusto?
2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!
Salendo a Gerusalemme, Gesù prevede la sua tragica fine e si lascia dominare dal presentimento di una morte violenta, il suo battesimo di sangue, una conclusione che impressionerà quanti l’accompagnano. Predice la sua morte, ed annuncia a quanti lo seguono che non ne usciranno indenni. Sa che è venuto affinché il giudizio di Dio, il fuoco e la divisione, si realizzino ed anela che si realizzi quanto prima, benché non nasconda che egli dovrà pagare un alto prezzo. Com’è inevitabile l’intervento divino, così lo è la anche la reazione dell’uomo.
E dato che si sta predicendo questo, c’è tempo per preparla. L’angoscia che l’invade non diminuisce le conseguenze della decisione che sarà presa, sottolinea la gravità del momento e rende più drammatiche le implicazioni personali.
Le stesse relazioni umane più profonde saranno segnate dalla decisione di fronte alla sua persona: tra i più amati nasceranno divisione e rottura. Chi non è stato neutrale con noi, non deve scusare neutralità alcuna rispetto a lui. Solidarizzarsi con lui impone l’assunzione del suo destino.
Non si sa se bisogna meravigliarsi più per la chiaroveggenza con cui Gesù predice la sua fine o per la determinazione e la fretta di affrontarla. Gesù diventa amico dei suoi discepoli svelando loro la missione che guida la sua vita e il desiderio che aveva di compierla. Coloro che gli stanno più vicino, conoscono meglio il suo segreto, la passione che l’incoraggia.
Se ai suoi seguaci Gesù confida loro le sue convinzioni più intime, è per incoraggiarli a mantenersi fedele nella sequela; se è ricompensa la vicinanza alle sue confidenze, se concede maggiore familiarità a chi meglio lo segue, vale la pena, nonostante la sofferenza, essergli vicino. Arrivano a conoscere la passione per Dio di Gesù che hanno come compagno abituale ed occupazione giornaliera.
Nonostante si preferisca dimenticarlo, questo non rende meno reale il pericolo. Certo è che se cercassimo di comprenderlo, questo suo radicalismo tanto estremo non ci sembrerebbe tanto strano; rimarremmo, più che attirati, prigionieri di una personalità tanto forte. Ricordarci quando sono state pronunciate quelle inaudite parole ci aiuta a comprenderle.
Gesù stava intraprendendo un viaggio a Gerusalemme che presentiva gli sarebbe costato la vita; la probabile fine tragica non riduce il suo valore, l’accresce; non si preoccupa che possano togliergli la vita, è desideroso di consegnarla. È venuto con una missione ed è ansioso di realizzarla. Non è che non veda il pericolo né misuri le sue conseguenze; confessa la sua angoscia fino a che tutto si realizzi; soffre perché soffrirà e soffre fino a quando arriva il momento.
Né il temuto finale né la sua logica ansietà lo separano dal suo compito. Prevedendo la sua fine e cosciente delle sue paure, fa quello che Dio si aspetta di lui: andare verso Gerusalemme a trovarsi col suo destino.
Superata l’ammirazione che può produrci nel contemplare un Gesù tanto umano e risoluto, faremmo bene a cercare la ragione di un simile atteggiamento. Se troviamo il suo segreto, chi ci negherà la possibilità di seguire il suo esempio? È facile indovinarlo: solo un appassionato parla tanto radicalmente e disinteressatamente.
Ed è quello che Gesù fu nella sua vita, uomo di una sola passione; generato da Dio, visse per Dio. Non ricevette altro compito nella sua vita che quella di fare conoscere Dio ed avvicinarlo a tutti quelli che avessero bisogno di lui, incominciando dai più lontani o indifesi.
Tanto urgente era la missione che non tollerava dilazioni né scuse; tanto importante che non si permise condividerla con nessun altro; tanto necessaria che a lei si dedicò interamente. Niente di strano, dunque, per coloro per cui solo Dio e il suo regno erano un buono compito al quale consacrare la propria vita, senza altri sogni né faccende diverse. É illogico che chi arde di passione, desideri conquistare il mondo?
Se ci paragonassimo con quel Cristo, tanto poco pacato, tanto estremista, i cristiani oggi dovremmo sentirci tanto ragionevoli, quanto mediocri; in realtà, non sappiamo che cosa fare con lui. Ci siamo convinti, a base di piccoli ma continui tradimenti alla nostra coscienza, che per essere buoni cristiani basta non essere cattivi del tutto o che è sufficiente aspirare ad essere migliore.
Benché desideriamo da Dio sempre più di quanto ci concede, e per quel motivo la nostra relazione con Lui non riesce a calmarci né ci soddisfa del tutto, sempre mercanteggiamo quanto gli offriamo e qualunque cosa che ci chiede ci sembra irrinunciabile. Non siamo fatti per vivere con una sola passione; e vivendo senza passione per Dio, non sopravviviamo alle passioni. Gesù è esempio compiuto che si può essere felice facendo il volere di Dio e soffrire quando l’ora tarda a venire.
Converrebbe, dunque, che ci domandassimo, in sua presenza, se realmente merita la pena seguire così un Gesù che contraddice la nostra forma di vivere e le nostre convinzioni. Perché non c’è dubbio che chi lo segue non uscirà indenne dal suo zelo: la passione del suo Signore finirà per toccare la sua vita.
Lo stesso Gesù l’annunciò a quanti partivano con lui per Gerusalemme. Chi non è neutrale con Dio, non permette imparzialità al suo fianco. Dopo avere manifestato la sua decisione incondizionata per Dio ed il suo regno, è logico che non sopporti indifferenza o dilazioni in quanti lo vogliono avere come compagno di tutta la vita. Non può avere pace fino a quando vive appassionato e vede che non si condivide la sua passione.
Vivere vicino al fuoco, brucia. E Gesù vuole essere fuoco che incendia, passione che si estende. Facendolo sapere ai suoi compagni, Gesù li ha avvertiti: se accetta che non sentano ancora il suo stesso zelo per Dio, non vuole che lo seguano senza sentirsi obbligati ad averlo; se sopporta mediocri al suo fianco, è perché confida che la loro convivenza li cambierà e spera che si accenda in essi il fuoco della sua passione per Dio.
La radicalità delle sue condizioni si percepisce meglio nel suo progetto annunciato. É inevitabile la disunione nelle famiglie dei suoi; più ancora, è venuto precisamente a seminarla. La cosa inaudita della sua missione è manifestare la discordia nel seno delle proprie famiglie. La passione per Dio può – nel progetto di Gesù deve – creare gelosia e separazioni nella casa, tra le persone più care.
Chi non condivide la passione per Dio non è degno dei suoi sentimenti. Non c’è casa per Gesù, né devono trovarla coloro che lo seguono, dove non ci sia zelo per Dio. Per quanto ci suonino dure oggi tali pretese, non lo saranno più di quanto lo furono per chi le ha sentite per la prima volta.
La famiglia ai tempi di Gesù era il nucleo sociale più importante, quando non praticamente l’unico, dove l’individuo riceveva tutto quanto per vivere; separarsi da lei supponeva, oltre all’emarginazione sociale, un’esistenza sommamente precaria e alquanto sospetta. Gesù non è troppo preoccupato dal fatto che i suoi perdano le loro famiglie, se trovano Dio. Gesù non sembra misurare le conseguenze, quando si tenta di difendere il suo amore a Dio.
Più ancora che miscredente ed infedele l’esigenza non è altro che una dimostrazione di quanto si deve fare. Si può mettere a rischio l’amore ai figli, l’amore ai mariti o l’amore ai fratelli purché non rischi l’amore a Dio, niente è nella terra tanto sacro che sia preferibile a Dio.
Per Gesù, come per qualunque ebreo del suo tempo, la vita familiare era la cosa più sacra delle realtà non sacre, il meno rinunciabile tra gli irrinunciabili. Prendendolo come esempio unico, fa capire che niente nella vita, per buono che sia, è degno di separarci da Dio; nessun amore, nessuna persona, da amare o dalla quale ci sentiamo amati, merita l’attenzione che prestiamo a Dio. Se perfino la vita familiare cede davanti a Dio, non c’è niente nella vita che resista alla passione per Dio.
E ciò non significa che chi opta per Dio si allontani dai suoi, come succede a Gesù; implica, soprattutto, che la passione per Dio non sarà condivisa con altre passioni, per legittime che siano. Quando Dio entra nella vita di qualcuno, lascia come non importante la separazione ed il distacco dalla famiglia: chi è innamorato del suo Dio, non ha tempo né voglia per coltivare altri amori.
Più che ammirare questa passione di Gesù, dovremmo temerla. Perché la esige da coloro che lo seguono. E perché l’impone a quelli che camminano con lui. Prima di andare a Gerusalemme avvisò i suoi; oggi ripete per noi la sua avvertenza: se non vogliamo perderlo, se non ci vogliamo perdere, condividiamo con lui il suo amore per Dio poiché condividiamo strada e mete.
Se c’importasse di Dio come a lui importa di noi, non è vero che molte cose sarebbero per noi meno importanti? Seguire qualcuno appassionatamente come Gesù non può portare niente ‘buono’: chi ha più che una causa, semina divisione nel suo ambiente. Il discepolo deve sapere che chi opta per Gesù deve separarsi, e non raramente con violenza, dei suoi esseri cari.
Chi ha rinunciato alla sua famiglia per predicare il regno di Dio non si fa accompagnare da chi vive carico di legami familiari. Non solo. Gesù annuncia ai suoi discepoli qualcosa di molto peggio. Optare per lui porta con sé la disintegrazione nelle famiglie, separazioni traumatiche, irriconciliabili rotture per la sua causa. Chi lascia la famiglia per seguire Gesù non la lascia in pace.
Non è molto, né buono, quello che promette Gesù a coloro che lo seguono; chi è venuto a portare fuoco, non sta per impiantare la pace. La passione di Gesù per Dio ed il suo regno non permette mediocrità né compromessi. Non deve risultare comodo, né pacifico, convivere con un piromane che va per il mondo, senza rimanere ferito per quella passione.
Ma, non sarà meglio vivere attratti da un Gesù appassionato che camminare in ricerca di passatempi e divertimenti che ingrandiscono il nostro vuoto interno?
Stando così le cose, fa bene Gesù a far notare alla gente che l’ascolta che conviene loro osservare bene quanto sta succedendo e discernere meglio. A ben poco servirebbe sapere predire la pioggia che viene o l’imminente caldo, se dopo non si riesce ad intuire quello che Dio sta producendo nel nostro interno o intorno a noi.
A che cosa serve mettersi ad indagare su quello che succederà, se non riusciamo a riconoscere quello che sta succedendo? Non serve a nulla prevenire il futuro se non si illumina il presente. Finché Gesù è impegnato a « bruciare la terra », non ci si può dedicare a predire che tempo farà domani. È probabile che, come i contemporanei di Gesù, noi stiamo perdendo la cosa migliore, Dio ed il suo regno, solo per preoccuparci delle cose future, come le nuvole ed il sole.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb,
PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII ALLA VERGINE ASSUNTA IN CIELO*
O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini.
1. — Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi;
e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.
2. — Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima vostra nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza;
e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinchè apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.
3. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio;
e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.
4. — Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli ;
e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra Patria.
5. — Noi crediamo infine che nella gloria, ove voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, voi siete; dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi;
e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 – 1° marzo 1951, pp. 281 – 282
Tipografia Poliglotta Vaticana
A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 15, pp. 781 – 782.
http://www.stpauls.it/madre03/0308md/0308md11.htm
PENSIERI MARIANI DI FERRAGOSTO
di BRUNO SIMONETTO
MARIA, « PROFEZIA VIVENTE »
La festa ferragostana dell’Assunta aiuta a colmare la ‘giara vuota’ della carenza di profezia. – La Vergine glorificata « in anima e corpo » provoca al futuro l’uomo moderno, indicandogli l’orizzonte escatologico.
Nel numero della rivista dello scorso mese di Luglio ricordavamo, tra le sei « giare vuote » del mondo d’oggi immaginate da Michele Giulio Masciarelli, anche quella della « carenza di profezia ».
Riportando il pensiero di P. Prini, Masciarelli osserva come nello spazio della post-modernità si sono ristrette le strade dell’umanesimo plenario e paiono chiuse quelle che portano alla trascendenza e all’escatologia: « Queste strade si aprono e si chiudono insieme, benché le prime vadano verso l’alto e le seconde rechino verso l’orizzonte ultimo: ‘la dialettica del finito, nel suo farsi religiosa, si pone kierkegaardianamente come il salto nella trascendenza: la dialettica della ‘distanza infinita’ tra l’uomo e Dio, tra la ‘miseria’ del presente umano e ‘l’assolutamente nuovo’ del regnum venturum’ » (cfr. « Cristianesimo e ideologia », Fossano (CN), 1974, p. 57), cit. in « La maestra – Lezioni mariane a Cana, LEV, 2002, pag. 63).
Più avanti il Masciarelli osserva che « anche in territorio cristiano si nota un vistoso sintomo di crisi, ed è lo smarrimento pratico-esistenziale della dimensione escatologica »; concludendo giustamente con Salvatore Natoli che se non siamo escatologici, siamo i ‘nuovi pagani’, poiché « ora, proprio nella fine della cristianità, mentre il Cristianesimo si riformula per gli uomini come problema, il paganesimo riaffiora di nuovo come un possibile modello: una vita lunga, non una vita eterna »(cfr. « I nuovi pagani », Milano 1955, pp. 15-16, cit. in ibid., pag. 64).
Di fronte a questo problema, sentito come domanda del « principio di speranza » cristiana, Michele Giulio Masciarelli afferma che il Cristianesimo non si limita solo a parlare di futuro ultimo, ma lo costruisce anche: evangelizzando, celebrando l’Eucaristia (« pegno della gloria futura ») e testimoniando la carità, animata dai dinamismi escatologici posti in essa dall’evento eucaristico, celebrato particolarmente ogni domenica, « giorno del Signore ».
A questo punto la riflessione cade sulla Vergine, « profezia vivente dell’orizzonte escatologico » in quanto « Maria si pone nell’onda del mistero escatologico dell’Eucaristia con la sua condizione di glorificata, di creatura che già gode del frutto della profezia eucaristica, ossia della gloria irradiata dal Dio trinitario […]. Maria glorificata provoca al futuro l’uomo senza radici e senza promesse. L’uomo contemporaneo consuma la sua esistenza nel quotidiano; egli pone ormai le sue scelte nella breve terra dell’oggi, senza pretendere che esse debbano venire da lontano (= assenza della tradizione) o debbano portare lontano (= assenza dell’escatologia). All’uomo dei nostri giorni sembra bastare quanto entra nelle strette stive di una ‘nave’ che solca un mare senza orizzonti lunghi » (cfr. ibid., pp. 66-67).
Come si vede, Masciarelli preferisce – nella sua trattazione delle ‘lezioni mariane’ dell’evento di Cana – limitarsi ad uno specifico accenno ‘eucaristico’ a Maria glorificata, senza sviluppare il tema dell’Assunta in Cielo, « profezia vivente dell’orizzonte escatologico » e icona di speranza cristiana.
Spigolature sull’Assunta
Noi ripartiamo da qui, accostandoci ancora una volta alla più caratteristica festa mariana dell’estate, senza la pretesa di riproporre analisi mariologiche del dogma dell’Assunta ma per fare una lettura popolare e devozionistica di questa ricorrenza tanto cara e suggestiva, raccogliendo comunque l’invito della Chiesa a guardare a Maria Assunta che « come in Cielo, glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza » (cfr. Lumen gentium, n. 68). Così sulla Vergine Assunta in Cielo spigoliamo pensieri sparsi.
1. – « Credere nell’Assunzione di Maria – ricorda Guy Gilbert – è una conclusione logica di ciò che il Vangelo ci insegna sulla Madre di Gesù. E anche di ciò che ci promette. Se Gesù ci chiama tutti e tutte alla vita eterna, come avrebbe potuto sua Madre non beneficiare per prima di questo favore? ».
Segue un’osservazione scontata per ogni devoto della Vergine: « Maria non è inattiva lassù, scende spesso da noi, ancora dopo duemila anni, perché lei rimane ‘serva’ come ai tempi in cui era sulla terra ». E qui il discorso cade sui tanti Santuari mariani sparsi per il mondo, luoghi privilegiati dalle apparizioni della Madonna: « Chi non è mai stato colto dall’indicibile clima di elevazione che trasuda dai Santuari mariani? Un soffio misterioso avvolge questi luoghi visitati nel mondo intero; e qui si avverte che Maria, Regina dell’universo, rimane ‘serva’ del Signore e dei poveri di Jawhè… ».
2. – L’Autore dell’opuscolo Il Rosario degli ultimi, don Giovanni Valassina, commenta il quarto Mistero glorioso con alcune stupende ‘enunciazioni’:
Tutti rincorrono un sogno: l’eterno femminino;
Come per Maria, c’è una divina promessa: ‘Nostro corpo, cattedrale dell’Amore’ (p. David Turoldo);
Una preghiera letteraria trasfigurata: ‘Mamma, dammi il sole!’;
Il desiderio di ognuno: essere immortale: ‘Quando andrò in Cielo, allora sarò veramente uomo’ (Sant’Ignazio di Antiochia);
La scelta annuale estiva: festa dell’Assunta o ferragosto?;
Maria è la donna del futuro: « Il Magnificat conclude il Miserere e il De profundis nel Te Deum ascende » (Clemente Rebora);
Con l’Assunta, nello splendore, tutta la femminilità: Ecco la Donna!
Enunciazioni che sono spazio di meditazione o, come suggerisce don Giovanni, « una preghiera povera per i poveri, per gli anonimi, per i povericristi del nostro tempo; per gli ‘ultimi’ che non sanno parole di preghiera devota: che salmeggiano la vita con silenzi, pianti, urla ».
3. – Riferendosi al senso dell’Anno Mariano indetto da Papa Giovanni Paolo II dalla Pentecoste del 1987 alla festa dell’Assunta del 1988, il Card. Ratzinger commentava: « L’Anno Mariano si conclude con la festa dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo e orienta così al grande segno della speranza, all’umanità già salvata in Maria, in cui diventa contemporaneamente visibile il luogo della salvezza, di ogni salvezza » (cfr. Ibid., pag. 50).
Maria Assunta in Cielo, in altri termini, è sì « immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura »; ma è anche la Madre dell’umanità che « sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza » (cfr. Lumen gentium, n. 68). È la devozione del popolo fedele a sentire la Vergine Assunta non lontana, « nell’alto dei Cieli », ma vicina, compagna di viaggio, qui sulla terra.
4. – L’Assunta rimane « donna dei nostri giorni », per dirla con Tonino Bello, che specifica: donna feriale, donna del pane, donna coraggiosa, donna in cammino, donna del silenzio, donna di servizio, donna vera, donna del popolo…
Ogni attributo – litanico o no che sia – ci fa sentire la Vergine assunta in Cielo come una di noi, ancora presente qui sulla terra.
Donna dei nostri giorni. « Maria – scriveva il santo Vescovo di Molfetta – la vogliamo sentire così. Di casa. Mentre parla il nostro dialetto…Vogliamo vederla così. Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre… Donna di ogni età: a cui tutte le figlie di Eva, quale che sia la stagione della loro vita, possano sentirsi vicine ».
5. – Commentando il quarto Mistero della gloria, Hans Urs von Balthasar nel suo aureo libro « Il Rosario – La salvezza del mondo nella preghiera mariana » (Ed. Jaca Book, 19912, pp. 77-80) scrive fra l’altro:
« Maria, grazie all’opera del Figlio suo si trasforma nella Chiesa, che egli crea da sé come sua sposa immacolata (cfr. Ef 5, 27), ma essa non scompare come individuo, bensì entra, nello stesso tempo, in questa Chiesa come membro. È la parte ed è il tutto che viene delineato secondo il suo modello e in virtù della sua santità. È la singola donna ed è anche il manto sotto cui i Cristiani si riuniscono per formare la Chiesa. È la singola santa in Cielo ed è, nel medesimo tempo, la Gerusalemme celeste che sta già lassù, « pronta come una sposa adorna per il suo sposo » (Ap 21, 2), per permettere a coloro che giungono in Cielo di entrarvi. Come Maria è stata redenta preventivamente perché il Verbo potesse diventare carne, così d’ora innanzi – poiché con la morte e la risurrezione di Cristo il Cielo è divenuto accessibile agli uomini – la santa Città, la Chatolica, la Communio sanctorum è già perfetta lassù, in modo che i santi possono esservi incorporati […].
Con Cristo e con Maria il mondo creato è già incamminato verso la trasformazione e la glorificazione; l’ultimo giorno è già iniziato… ».
Ecco alcune riflessioni sulla festa dell’Assunta, pensieri di Cielo qui sulla terra, dove talvolta ci sorprendiamo a guardare con nostalgia la ‘giara vuota’ della carenza di profezia. E la Vergine Maria, « profezia vivente dell’orizzonte escatologico », ci aiuta a colmare questo vuoto.
Preghiera alla Vergine Assunta
Sentire, vedere, immaginare Maria così. E pregarla come insegnava Tonino Bello: « Santa Maria, donna dei nostri giorni, vieni ad abitare in mezzo a noi. Tu hai predetto che tutte le generazioni ti avrebbero chiamata beata. Ebbene, tra queste generazioni c’è anche la nostra, che vuole cantarti la sua lode non solo per le cose grandi che il Signore ha fatto in te nel passato, ma anche per le meraviglie che egli continua a operare in te nel presente. Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi… ».
Ma forse, collegando l’immagine della Vergine Assunta in Cielo al nostro insopprimibile bisogno di sentirla qui vicino a noi, l’attributo più proprio con il quale invocare Maria è: ‘Compagna di viaggio’, nel senso che a tale attribuzione dava Tonino Bello: « Santa Maria, madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle strade della vita, ogni volta che contempliamo le cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te, proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino… ».
Sì, o Maria Assunta in Cielo, ripeti ancora oggi il canto del Magnificat, e annuncia straripamenti di giustizia a tutti gli oppressi della terra. Non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure. Anzi, se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi e ci sussurrerai che anche tu, Vergine dell’Attesa, con noi stai aspettando la luce, le sorgenti del nostro pianto si dissecheranno sul nostro volto. E sveglieremo insieme l’aurora che non conosce tramonto negli spazi infiniti del Cielo dove ci hai preceduto e « brilli ora innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza » (cfr. Lumen gentium, n. 68).
Bruno Simonetto
SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Parrocchia di San Tommaso da Villanova, Castel Gandolfo
Sabato, 15 agosto 2009
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle
L’odierna solennità corona il ciclo delle grandi celebrazioni liturgiche nelle quali siamo chiamati a contemplare il ruolo della Beata Vergine Maria nella Storia della salvezza. Infatti, l’Immacolata Concezione, l’Annunciazione, la Divina Maternità e l’Assunzione sono tappe fondamentali, intimamente connesse tra loro, con cui la Chiesa esalta e canta il glorioso destino della Madre di Dio, ma nelle quali possiamo leggere anche la nostra storia. Il mistero della concezione di Maria richiama la prima pagina della vicenda umana, indicandoci che, nel disegno divino della creazione, l’uomo avrebbe dovuto avere la purezza e la bellezza dell’Immacolata. Quel disegno compromesso, ma non distrutto dal peccato, attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio, annunciata e realizzata in Maria, è stato ricomposto e restituito alla libera accettazione dell’uomo nella fede. Nell’Assunzione di Maria, contempliamo, infine, ciò che siamo chiamati a raggiungere nella sequela di Cristo Signore e nell’obbedienza alla sua Parola, al termine del nostro cammino sulla terra.
La tappa ultima del pellegrinaggio terreno della Madre di Dio ci invita a guardare al modo in cui Ella ha percorso il suo cammino verso la meta dell’eternità gloriosa.
Nel brano del Vangelo appena proclamato, san Luca racconta che Maria, dopo l’annuncio dell’Angelo, “si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa” per fare visita ad Elisabetta (Lc 1, 39). L’evangelista, dicendo questo, vuole sottolineare che per Maria seguire la propria vocazione, nella docilità allo Spirito di Dio, che ha operato in Lei l’incarnazione del Verbo, significa percorrere una nuova strada ed intraprendere subito un cammino fuori della propria casa, lasciandosi condurre solamente da Dio. Sant’Ambrogio, commentando la “fretta” di Maria, afferma: “la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze” (Expos. Evang. sec. Lucam, II, 19: PL 15,1560). La vita della Madonna è condotta da un Altro – “Ecco la serva del Signore: avvenga in me secondo la tua parola” (Lc 1,38) – è modellata dallo Spirito Santo, è segnata da eventi ed incontri, come quello con Elisabetta, ma soprattutto dalla particolarissima relazione con il suo figlio Gesù. E’ un cammino nel quale Maria, serbando e meditando nel cuore gli avvenimenti della propria esistenza, scorge in essi in modo sempre più profondo il misterioso disegno di Dio Padre, per la salvezza del mondo.
Seguendo poi Gesù da Betlemme all’esilio in Egitto, nella vita nascosta e in quella pubblica, fino ai piedi della Croce, Maria vive la sua costante ascesa verso Dio nello spirito del Magnificat, aderendo pienamente, anche nel momento dell’oscurità e della sofferenza, al progetto d’amore di Dio e alimentando nel cuore l’abbandono totale nelle mani del Signore, così da essere paradigma per la fede della Chiesa (cfr Lumen gentium, 64-65)
Tutta la vita è un’ascensione, tutta la vita è meditazione, obbedienza, fiducia e speranza, anche nelle oscurità; e tutta la vita è questa “sacra fretta”, che sa che Dio è sempre la priorità e nient’altro deve creare fretta nella nostra esistenza.
E, finalmente, l’Assunzione ci ricorda che la vita di Maria, come quella di ogni cristiano, è un cammino alla sequela, la sequela di Gesù, un cammino che ha una meta ben precisa, un futuro già tracciato: la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte e la comunione piena con Dio, perché – come dice Paolo nella Lettera agli Efesini – il Padre “ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli in Cristo Gesù” (Ef 2,6). Ciò vuol dire che con il Battesimo siamo fondamentalmente già risuscitati e sediamo nei cieli in Cristo Gesù, ma dobbiamo corporalmente raggiungere quanto già cominciato e realizzato nel Battesimo. In noi l’unione con Cristo, la risurrezione, è incompiuta, ma per la Vergine Maria essa è compiuta, nonostante il cammino che anche la Madonna ha dovuto fare. Ella è entrata nella pienezza dell’unione con Dio, con il suo Figlio, e ci attira e ci accompagna nel nostro cammino.
In Maria assunta in cielo contempliamo, allora, Colei che, per singolare privilegio, è resa partecipe con l’anima e con il corpo della definitiva vittoria di Cristo sulla morte. “Compiuto il corso della vita terrena – dice il Concilio Vaticano II – fu assunta alla gloria celeste in corpo e anima, ed esaltata dal Signore come Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, Signore dei signori (cfr Ap 19,16) e vincitore del peccato e della morte” (Lumen gentium, 59). Nella Vergine Assunta in cielo contempliamo il coronamento della sua fede, di quel cammino di fede che Ella indica alla Chiesa e a ciascuno di noi: Colei che in ogni momento ha accolto la Parola di Dio, è assunta in cielo, cioè è accolta Lei stessa dal Figlio, in quella “dimora” che ci ha preparato con la sua morte e risurrezione (cfr Gv 14,2-3).
La vita dell’uomo sulla terra – come ci ha ricordato la prima lettura – è un cammino che si svolge, costantemente, nella tensione della lotta tra il drago e la donna, tra il bene e il male, E’ questa la situazione della storia umana: è come un viaggio in un mare spesso burrascoso; Maria è la stella, che ci guida verso il Figlio suo Gesù, sole sorto sopra le tenebre della storia” (cfr Spe salvi, 49) e ci dona la speranza di cui abbiamo bisogno: la speranza che possiamo vincere, che Dio ha vinto e che, con il Battesimo, siamo entrati in questa vittoria. Non soccombiamo definitivamente: Dio ci aiuta, ci guida. Questa è la speranza: questa presenza del Signore in noi, che diventa visibile in Maria assunta in cielo. “In Lei (…) – leggeremo tra poco nel Prefazio di questa Solennità – hai fatto risplendere per il tuo popolo pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza”.
Con San Bernardo, mistico cantore della Vergine Santa, così la invochiamo: “Ti preghiamo, o benedetta, per la grazia che tu trovasti, per quelle prerogative che tu meritasti, per la Misericordia che tu partoristi, fa’ che colui che per te s’è degnato di farsi partecipe della nostra miseria ed infermità, grazie alla tua preghiera, ci faccia partecipi delle sue grazie, della sua beatitudine ed eterna gloria, Gesù Cristo, Figlio tuo, Signore nostro, il quale è sopra tutte le cose, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen” (Sermo 2 de Adventu, 5: PL 183, 43).
http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/studi/08-09/10-Assunzione-di-Maria.html
STUDI MARIANI: MARIA E I PADRI DELLA CHIESA -
GIOVANNI DAMASCENO E L’ASSUNZIONE DI MARIA
Una delle più importanti feste della Madonna è la sua Assunzione in Cielo. I lettori più anziani ricorderanno ancora il 1º novembre 1950: durante l’Anno Santo, circondato da centinaia di Vescovi, tra la gioia di tutti i cattolici del mondo, l’augusta figura del Papa Pio XII proclamò ufficialmente che l’Assunzione della Madonna in cielo, con la sua anima e il suo corpo, è un dogma, una verità che appartiene alla Rivelazione cristiana.
Nella costituzione apostolica Munificentissimus Deus, Papa Pacelli chiariva che questo articolo della nostra fede, implicitamente contenuto nella Bibbia, era progressivamente emerso alla coscienza della Chiesa, soprattutto grazie alle spiegazioni date da alcuni illustri Padri della Chiesa.
Firme false contro Giovanni
Tra essi eccelleva Giovanni di Damasco, nato verso il 650 in questa città, capitale della Siria, dove i Musulmani, oramai padroni pressoché di tutto il Medio Oriente, permettavano ancora ai cristiani di professare quasi del tutto liberamente la loro fede. Per comprendere la grandissima devozione di questo santo alla Madonna, occorre ricordare un episodio. Egli, per l’intelligenza di cui era dotato e i meriti acquisiti da suo padre, era stato nominato ministro dal califfo musulmano.
Purtroppo, l’Imperatore cristiano di Costantinopoli, per gettare discredito su Giovanni di Damasco, che si opponeva alla sua politica di distruggere le immagine sacre, falsificò un documento, in cui, imitando la grafia e la firma del santo, lo faceva apparire come un traditore del califfo.
Quest’ultimo, venuto in possesso di questa lettera, persuaso dell’inaffidabilità di Giovanni di Damasco, gli fece tagliare la mano destra, secondo la legge coranica. La notte stessa, però, per intervento miracoloso della Madonna, la mano fu riattaccata. Nonostante la riconciliazione con il califfo, Giovanni di Damasco preferì partire e ritirarsi in un monastero nei pressi di Gerusalemme, ove ancora oggi il suo corpo è venerato dai monaci che vi abitano.
Il principio della convenienza
Qui Giovanni scrisse delle opere di teologia tuttora ammirate e studiate. In esse espone il motivo per cui occorre credere che la Beata Vergine Maria, a differenza di tutte le altre creature, non deve attendere il giudizio finale, al ritorno glorioso di Gesù sulla terra, perché il suo corpo risorga, in quanto esso, che non ha conosciuto alcuna corruzione, è stato già assunto e glorificato in cielo.
L’argomento è legato ad una legge che in teologia è molto importante: il principio della convenienza. In altre parole, nelle cose che riguardano Dio e la sua azione, c’è una sorta di intrinseca esigenza che collega cause ed effetti.
Era conveniente – notava Giovanni di Damasco – che la Madonna, voluta da Dio sempre vergine nel corpo, non conoscesse la dissoluzione di quel corpo santo ed immacolato. Come si dirà in seguito: assumpta quia immaculata.
Era conveniente che la Madonna, in tutto associata a suo Figlio, lo fosse anche nel suo trionfo sulla morte. Ed ecco questo privilegio mariano: la glorificazione del suo corpo.
I teologi successivi, soprattutto negli ultimi anni, hanno definito questo evento della vita della Madonna un’anticipazione. Di che cosa? Del futuro che attende tutti gli uomini perché Dio ha predisposto per ognuno di noi di vivere in eterno in Paradiso con la nostra anima e con il nostro corpo. Per questo motivo, l’Assunzione della Madonna è motivo di speranza e di consolazione per tutti noi, soprattutto quando la mestizia per la morte di qualcuno dei nostri cari ci affligge.
Una strana convergenza
L’arte, che è una sorella della teologia, ha raffigurato spesso, in icone e affreschi, questo evento, dipingendo lo stupore degli apostoli, che ritrovano vuota la tomba, nella quale avevano deposto il corpo della Madonna, quando Ella si era addormentata ed essi l’avevano ritenuta morta.
Alcuni mistici, nelle loro visioni, hanno comunicato altri dettagli, nei quali la Chiesa non ci chiede di credere ma permette che essi siano diffusi per il nostro profitto spirituale.
Caterina Emmerich, per esempio, una suora agostiniana tedesca, pur senza essersi mai allontanata dal suo convento, riferì che il luogo dell’Assunzione era stato Efeso e non Gerusalemme, come si credeva. Qualche anno dopo, gli archeologi hanno scoperto, proprio nel posto indicato dalle visioni di Caterina Emmerich, i resti di un’abitazione e di una chiesa dedicata alla Madonna, perfettamente corrispondente ai particolari dati da lei! Teologia, arte, mistica: tutto converge nel glorificare Maria Santissima.
La mediazione di Maria
Il nostro Giovanni Damasceno, inoltre, asserì un’altra verità incontestabile: la Madonna esercita una mediazione efficacissima a favore di tutti. Con un’affermazione che non lascia spazio ad alcun dubbio, questo insigne Dottore della Chiesa afferma: “Essa è diventata per noi mediatrice di tutti i beni”. La paragona alla scala su cui il patriarca Giacobbe, secondo il racconto della Genesi, vide gli angeli salire e scendere tra cielo e terra:
“Allo stesso modo tu sei diventata mediatrice e scala per la quale Dio discende verso di noi, allorché assume la fragilità della nostra sostanza, abbracciandola e unendola intimamente a sé”.
Del resto, tutti i fedeli, sia quelli che vanno sempre in chiesa sia quelli che non ci vanno mai, si rivolgono sempre alla Madre di Dio per ottenere grazie e favori. Persino i non cristiani, come i missionari raccontano pieni di meraviglia, volentieri pregano la Madonna.
Il poeta Dante ha scritto: “Qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar senz’ali”. Cioè, com’è impossibile volare senza ali, così è impossibile ottenere una grazia senza affidarsi alla mediazione della Madonna.
I teologi latini, sempre bravi a sintetizzare in poche parole lunghi ragionamenti teologici, hanno sentenziato: “Quod Deus natura, tu gratia potes”.
Dio è onnipotente per natura, la Madonna lo è per grazia, cioè per volere di Dio stesso che l’ha scelta come Madre.
I protestanti si preoccupano che, in questo modo, l’unica mediazione di Cristo, asserita nel Nuovo Testamento (Uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, leggiamo nella Prima Lettera di san Paolo a Timoteo), verrebbe oscurata. Al contrario! Dalla grazia sovrabbondante di Gesù sgorga questa fontana purissima che riversa con liberale e sovrana bontà grazie su grazie, attingendo alla inesauribile sorgente, che è suo Figlio. È un vero peccato che il Concilio Vaticano II (1962-1965), nonostante la richiesta di moltissimi vescovi che vi presero parte, non abbia proclamato come dogma la mediazione universale di Maria Santissima.
Questa verità di fede, oltre ad essere patrimonio comune tra i teologi, è scolpita nel cuore di tutti i fedeli, i quali, con le parole di Giovanni di Damasco, provano tanta gioia e pace nel dire alla Madonna: “O sovrana, Madre di Dio e vergine.
Leghiamo le nostre anime alla tua speranza come ad un’ancora saldissima e del tutto intangibile, consacrandoti mente, anima, corpo e tutto il nostro essere e onorandoti, per quando ci è possibile, con salmi, inni e cantici spirituali”.
Roberto SPATARO sdb