OMELIA XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C: UMILTÀ: VIRTÙ ALLEGRA

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 LE OMELIE DI DON GIUSEPPE CAVALLI   (29 agosto 2010)

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

Sir 3, 17-20.28-29 Sal 67 Eb 12, 18-19.22-24a Lc 14, 1.7-14

UMILTÀ: VIRTÙ ALLEGRA

Uno dei grandi predicatori dei primi tempi, Gregorio Magno, scrive un lungo libro intitolato La regola, una specie di elenco di norme per la vita dei seguaci di Gesù. Era una novità che il Papa scrivesse una cosa riguardante non i particolari, ma tutto il modo di portare avanti la vita cristiana di tutti coloro che credevano. Questo libro è poi diventato un po’ un trattato di morale sul quale confrontarsi per fare l’esame di coscienza e il suo uso, quasi quotidiano, da parte dei buoni cristiani è durato circa mille anni.
La regola n. 9 riguarda l’umiltà e Gregorio Magno dice: ci sono persone che, messi gli occhi su di un posto importante nel mondo, fanno la faccia da umili, si fanno piccole, si mettono d’accordo con tutti, abbassano la testa, sembrano addirittura diminuire la loro statura per apparire come persone delle quali ci si può fidare. Questi tali, però, quando poi riescono a raggiungere il posto ambito, diventano degli autentici prepotenti. Sono arrivati e allora, altro che umiltà! Altro che tranquillità! C’è da temerli, prima di tutto perché sono dei prepotenti, ma poi perché sono falsi. Hanno voluto raggiungere quel posto e, una volta ottenutolo, fanno quello che vogliono: gli altri non contano niente.
Va poi avanti e dice: ma tu, non sei per caso una di queste persone? Ma tu, anche se non lo fai per raggiungere dei grandi posti, non è forse vero che qualche volta, mentre preghi, ti fai piccolo piccolo, per poi farti grande una volta che sei riuscito ad ottenere, o dal Signore o da qualche amico, quello che tu prima chiedevi e che, invece, senza fartene accorgere troppo, pretendevi?
Siate piccoli, siate umili, siate capaci di occupare bene il posto che il Signore vi ha affidato. Se il tuo è un posto importante nel mondo, fa’ attenzione, perché devi essere umile più di quelli che non hanno posti importanti. Se non è un posto importante, sta’ tranquillo e fa’ quello che devi: quando il Signore ti giudicherà, giudicherà come hai occupato il posto che lui ti ha affidato. Quando il Signore sceglie qualcuno perché diventi la prima persona nel mondo cristiano, va a cercare proprio quella ragazzina che forse aveva sedici anni e non si aspettava niente. Le chiede tutto quello che doveva chiedere per poter entrare nel mondo. La conosciamo tutti la storia di Maria: non contava niente, ma il Signore aveva bisogno di lei. E allora ci pensa lui a farla grande, a darle la grande grazia di fare la madre, a farla addirittura guida del Salvatore che doveva crescere per imparare a vivere nel mondo.
Un autore inglese, Clive Staples Lewis, un cristiano anglicano, scrive un libro che sembra da ridere, una favola per bambini e che, invece, è un libro per tutti, per gli adulti. Si intitola Le lettere di Berlicche. Berlicche è un demonietto un po’ inesperto al quale è stato affidato un personaggio. Ogni tanto, deve riferire quello che è riuscito a fare con il personaggio che deve tentare, scrivendo una lettera ad un grande demonio nell’Inferno. Sono, ovviamente, lettere inventate, ma tanto attraenti.
Una persona riesce ad essere umile e il povero Berlicche non sa come fare a tentarla, è una persona che veramente si è fatta piccola. « Tu non ti spaventare: dalle ragione, dille che ha fatto bene a diventare umile, dille che ha fatto bene a sembrare piccola, a non contare niente. Mostrale quello che ha fatto come in uno specchio, in modo che si possa rallegrare di essere umile, che se ne possa vantare. Quando dirà: «Io sono veramente umile, oh come sono brava, oh come sono riuscita, oh come ho fatto veramente la volontà di Dio!», allora avrai vinto! Allora sarai un autentico tentatore ».
Il vantarsi, il sentirsi soddisfatto, il credere di aver raggiunto con i propri meriti un bel posto di virtù e di santità, vuol proprio dire non essere umili, dare importanza a sé e non a quello che si deve fare.
Vedete, l’umiltà è una virtù che ha questa caratteristica: se riusciamo a possederla, siamo sempre gioiosi. Perché diremo sempre: io sono al mio posto, riesco a fare quello che il Signore vuole, che io non conti niente. Allora saremo sempre degli ottimisti. Guai a noi se cominciamo a vedere che sbagliamo sempre tutto, guai a noi se cominciamo a dire che non contiamo niente, guai a noi se diciamo che non abbiamo trovato il nostro posto… Perché allora non facciamo più la volontà del Signore, ma pensiamo a noi stessi. Dovremmo imparare a chiedere al Signore: « Cosa devo fare? Qual è il mio posto? Quello che ho fatto l’ho fatto male? Signore, perdonami, ma aiutami a guardare avanti, aiutami a raggiungere veramente quello che tu vuoi! ». Virtù di umiltà vuol dire allegria.
Torniamo alla pagina del Vangelo: Gesù è invitato a pranzo. La gente lo guarda e Lui guarda intorno, alla gente. Gesù, in questo momento, sta facendo un discorso importante, in parte con le parole, ma in parte con i fatti.
Prima di tutto mi pare che ci sia uno sguardo di fede. Gesù guarda la gente che è lì seduta e dice: qualcuno crede nella mia presenza, qualcuno crede nella presenza del Padre, nel suo valore. Vede che c’è anche gente che cerca soprattutto di guadagnarsi i primi posti. Saranno stati i posto vicini agli sposi, i posti più in evidenza, i posti vicino alle persone importanti per avvicinarle. Allora c’è un bel discorso: quando sei invitato a nozze, non cercare i primi posti…
Poi c’è un altro sguardo che mi pare importante: lo sguardo della carità. Fa’ in modo di decidere tu di dare dei pranzi, di fare dei bei gruppi di persone e pensa – dice Gesù – ad invitare o ad avvicinare i più poveri, non i ricchi perché poi ti invitino loro. Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi…
Ieri sera, con un gruppetto di persone che frequentano non soltanto la chiesa ma anche la sacrestia, siamo andati in un posto non lontano da qui dove ci sono poveri che chiedono l’elemosina, dove ci sono delle persone che hanno un mestiere, ma poi hanno perduto il lavoro e non sanno che cosa fare, dove ci sono persone che non sanno dove andare a dormire, che non sanno dove andare a mangiare. (Anche noi li aiutiamo con qualche forte sussidio, prendendo i soldi da quelli che offrite voi, ma adesso non vi sto dicendo queste cose per chiedervi soldi). Siamo andati là perché, andando là, si conoscono queste persone. Sapeste come erano bravi! C’era qualcuno che diceva « Io so fare delle pizze … »; un altro diceva: « Io ho imparato a fare il cameriere e adesso lo faccio bene! ». Gente che si metteva a servire, che ci salutava, che si sentiva che voleva bene a noi che andavamo lì per fare un po’ di festa tra noi, ma anche per essere un pochino in loro compagnia. Mi pareva che fosse, anche se non proprio alla lettera, quello che dice il Signore. Lui dice: « Invitali », noi invece ci siamo fatti invitare, siamo andati là e abbiamo pagato la nostra quota. Qualcuno forse direbbe: ma vai a far festa in un ristorante, vai nella casa di qualcuno …! Noi, invece, siamo andati a far festa là. Mi pareva che fosse veramente un modo di vivere, di realizzare, di crescere così come ci dice il Signore.
Dopo lo sguardo di fede, dopo l’esercizio della carità, c’è anche qualche cosa che riguarda l’avvenire: la speranza. Così riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti. Che bello! Il Signore non guarderà se sappiamo bene tutto, non ci premierà se abbiamo dei bei vestiti, se abbiamo fatto grandi riverenze a delle persone importanti. Ci premierà se avremo saputo incontrare quelli che lui ha considerato i primi beati del suo Regno. Beati i poveri… Loro avranno il regno. Facciamoci poveri anche noi e farci poveri vuol dire anche farci umili, saper occupare bene il nostro posto.
Il Vangelo è un libro profetico, non è un libro di raccontini. Ci sono le parabole, ce n’è una per pagina, però non sono raccontate perché sappiamo a nostra volta raccontarle, ma perché riusciamo a viverle. Entriamoci dentro alle pagine del Vangelo! Il Signore parlava a gente che viveva duemila anni fa, gente che faceva parte di un altro popolo e che aveva un altro tipo di cultura: gli Ebrei di quel tempo, pescatori, pastori, agricoltori. Ma parla a me, con altre parole che io devo capire e sentire perché il Signore, un giorno, possa dare anche a me uno sguardo che mi invita a vivere di fede; perché possa dire anche a me: bene, hai avuto una buona attività di carità nella tua vita; perché anche a me dica: un giorno avrai una ricompensa.
Che il Signore ci aiuti a sentirlo, non soltanto con l’udito ma con il cuore e, sentendolo, possiamo poi vivere ciò che ci suggerisce.

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