TESTO E COMMENTO A ISAIA 66,18-21

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TESTO E COMMENTO A ISAIA 66,18-21

TESTO

Così dice il Signore: 18 « Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19 Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni.
20 Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l’offerta su vasi puri nel tempio del Signore. 21 Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti ».

COMMENTO A ISAIA 66,18-21

Una salvezza per tutti
Il testo liturgico è ricavato dalla terza parte del libro di Isaia, chiamato Terzo Isaia (Is 56-66), che consiste in una raccolta di oracoli composti dopo il ritorno dei giudei dall’esilio babilonese. Esso si trova al termine della quarta e ultima raccolta del libro (Is 63-66). Questa si apre con un brano apocalittico (63,1-6), cui fa seguito una lunga meditazione sulla storia di Israele (63,7 – 64,11); dopo una polemica nei confronti dell’idolatria di Israele (65,1-7) e un testo in cui si contrappone la salvezza dei giusti alla rovina dei malvagi (65,8-16), è affrontato il tema apocalittico della nuova creazione (65,17 – 66,24). Nel contesto di quest’ultima parte del libro, il testo liturgico porta un contributo notevole in quanto annunzia la riunione di tutti i popoli intorno al monte di Sion, divenuto centro universale e segno di salvezza per tutta l’umanità.
Il brano inizia con un oracolo in cui Dio stesso dice che cosa sta per fare: «Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech e Ros, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni» (vv. 18-19). Richiamandosi all’annunzio della venuta di JHWH per giudicare il mondo (cfr. v. 15), il testo sottolinea che la condanna dei popoli non costituisce l’unico scopo dell’intervento divino. Il Signore viene anzitutto per radunare tutti i popoli e tutte le lingue e promette anche a loro che vedranno la sua gloria, cioè avranno anche loro accesso alla salvezza. Il «segno» posto fra i popoli è probabilmente la presenza in mezzo ad essi dei giudei.
La lista dei popoli, ricavata da Ez 27,10-13; 38,2, contiene nomi che risvegliano l’immaginazione di terre lontane e lingue diverse. Essa serve a situare la promessa in un grandioso scenario geografico che rievoca l’universalità delle genti. Vengono nominate Tarsis, che si trova in Sardegna o nella Spagna meridionale, Put che è situata in Egitto, Lud in Asia Minore, Mesech, Ros e Tubal vicino al mar Nero e infine la Grecia e in particolare le colonie ionie sulla costa occidentale dell’Asia Minore e delle isole. Queste nazioni non hanno sentito parlare di JHWH e non sono ancora venute a contatto con lui. Perciò la presenza fra loro della diaspora giudaica è interpretata come uno strumento per portare nel mondo la conoscenza di JHWH. Questa affermazione è certamente in favore del proselitismo giudaico la cui attività si faceva sentire in tutto il mondo allora conosciuto.
L’autore spiega poi quale sarà la conseguenza dell’intervento divino: «Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l’offerta su vasi puri nel tempio del Signore» (v. 20). In questo versetto si riprende l’immagine del pellegrinaggio escatologico delle nazioni a Gerusalemme e al tempio. È questa una delle idee centrali del Terzo Isaia (cfr. Is 60,1-22; 62,1-9), che preannunzia la venuta a Gerusalemme delle nazioni straniere che portano i loro doni all’unico vero Dio. Qui invece le nazioni non portano doni materiali, ma riconducono alla loro terra tutti i giudei che erano ancora dispersi in tutte le parti del mondo.
Infine Dio indica in prima persona quello che intende fare: «Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il Signore» (v. 21). Questa conclusione è molto rivoluzionaria in quanto indica il superamento di un sacerdozio che appartiene unicamente al popolo di Israele ed è appannaggio della casta sacerdotale. Ormai tutti potranno essere ammessi al servizio del tempio, anche se appartengono a popolazioni straniere che per diritto non potevano entrare neppure nei cortili più interni del tempio.

Linee interpretative
Questo testo del Terzo Isaia, composto con ogni probabilità in un periodo che precede le guerre maccabaiche, dimostra una grande apertura universalistica. JHWH è il Dio di tutte le nazioni e si serve dei giudei sparsi in mezzo alle nazioni per farsi conoscere anche da loro. Di fronte alla rivelazione di JHWH le nazioni si mostrano anche più zelanti dei giudei stessi, in quanto sono proprio loro che prendono l’iniziativa di recarsi a Gerusalemme e portano con se i giudei ancora esitanti a mettersi in cammino.
Il pellegrinaggio delle nazioni al tempio di Gerusalemme resta il simbolo più significativo dell’universalismo giudaico, secondo il quale il popolo eletto è sempre al centro del progetto di Dio. Ma il fatto che anche dalle nazioni straniere vengono presi sacerdoti e leviti significa che la barriera etnica è ormai superata e le nazioni entrano a pieno titolo nel popolo di Dio degli ultimi tempi. Resta pur sempre però una visione in cui la salvezza si realizza mediante la conversione di tutte le nazioni a un’unica forma religiosa, quella di Israele. L’idea di una sinfonia di nazioni, religioni e culture che collaborano alla realizzazione di un mondo migliore senza perdere la propria identità non appare ancora all’orizzonte.

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