Archive pour le 20 août, 2013

The Jesus prayer

The Jesus prayer dans immagini sacre ikon_jesus

http://ancientprayer.blogspot.it/2011/09/prayer-rope.html

Publié dans:immagini sacre |on 20 août, 2013 |Pas de commentaires »

21 AGOSTO – SAN PIO X (GIUSEPPE SARTO) PAPA

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24100

SAN PIO X (GIUSEPPE SARTO) PAPA

21 AGOSTO

RIESE, TREVISO, 2 GIUGNO 1835 – ROMA, 21 AGOSTO 1914

(PAPA DAL 09/08/1903 AL 20/08/1914)

Giuseppe Sarto, vescovo di Mantova (1884) e patriarca di Venezia (1893), sale alla cattedra di Pietro con il nome di Pio X. È il primo Papa dell’età contemporanea a provenire dal ceto contadino e popolare, seguito 65 anni dopo da Papa Giovanni XXIII. È uno dei primi pontefici ad aver percorso tutte le tappe del ministero pastorale, da cappellano a Papa. È il pontefice che nel Motu proprio «tra le sollecitudini» (1903) afferma che la partecipazione ai santi misteri è la fonte prima e indispensabile alla vita cristiana. Difende l’integrità della dottrina della fede, promuove la comunione eucaristica anche dei fanciulli, avvia la riforma della legislazione ecclesiastica, si occupa della Questione romana e dell’Azione Cattolica, cura la formazione dei sacerdoti, fa elaborare un nuovo catechismo, favorisce il movimento biblico, promuove la riforma liturgica e il canto sacro. (Avvenire)

Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)

Martirologio Romano: Memoria di san Pio X, papa, che fu dapprima sacerdote in parrocchia e poi vescovo di Mantova e patriarca di Venezia. Eletto, infine, Pontefice di Roma, si propose come programma di governo di ricapitolare tutto in Cristo e lo realizzò in semplicità di animo, povertà e fortezza, promuovendo tra i fedeli la vita cristiana con la partecipazione all’Eucaristia, la dignità della sacra liturgia e l’integrità della dottrina.
(20 agosto: A Roma, anniversario della morte di san Pio X, papa, la cui memoria si celebra domani).
Fu il primo papa dell’età contemporanea a provenire dal ceto contadino e popolare, seguito 65 anni dopo da papa Giovanni XXIII anch’egli di origini contadine, ma fu senz’altro uno dei primi pontefici ad aver percorso tutte le tappe del ministero pastorale, da cappellano a papa.
Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese (Treviso), oggi Riese Pio X, il 2 giugno 1835, secondo dei 10 figli di Giovanni Battista Sarto e Margherita Sanson; il padre era messo comunale e nel tempo libero coltivava un piccolo appezzamento di terreno.
Sin da ragazzo dimostrò forza di carattere e tenace volontà; serenamente sopportava i sacrifici imposti dalla condizione povera della famiglia, percorse per anni ogni giorno a piedi, spesso scalzo, la strada che conduce da Riese a Castelfranco per poter frequentare la scuola.
Dotato di predisposizione allo studio, fu aiutato da alcuni sacerdoti e poi dal patriarca di Venezia, anch’egli originario di Riese, che gli offrì un posto gratuito nel Seminario di Padova, a quell’epoca uno dei migliori d’Italia e anche qui ben presto si notò la ricchezza della sua indole, dotata di notevole equilibrio.
Quando aveva 17 anni, nel 1852, morì il padre e gli amministratori del piccolo Municipio di Riese, per aiutare la numerosa famiglia, offrirono al giovane Giuseppe l’impiego occupato dal padre.
Ma l’eroica madre Margherita, rifiutò l’offerta, perché il ‘Bepi’ doveva seguire la sua vocazione sacerdotale; avrebbe pensato lei con il suo lavoro di sarta, a portare avanti la famiglia, lavorando notte e giorno.
Fu ordinato sacerdote a 23 anni (settembre 1858) e subito nominato cappellano a Tombolo (Padova) piccola parrocchia di campagna, dove giunse il 29 novembre 1858, qui profuse le giovani forze nell’apostolato e nel ministero sacerdotale per ben nove anni.
Essendo risultato primo al concorso, fu nominato nel 1867 parroco a Salzano, grosso borgo della provincia veneziana, dove rimase per circa nove anni.
Dotato di una salute di ferro, di un’energia che non conosceva debolezza e di una sorprendente capacità di rapportarsi con gli altri, egli si diede anima e corpo all’attività parrocchiale, suscitando l’ammirazione dei parrocchiani e dei confratelli sacerdoti.
Nel novembre 1875 il vescovo di Treviso lo chiamò presso di sé nominandolo Canonico della Cattedrale, Cancelliere della Curia Vescovile, Direttore spirituale del Seminario; incarichi di prestigio per il giovane sacerdote Giuseppe Sarto (aveva 40 anni), il quale trascorreva la mattina al vescovado e il pomeriggio in Seminario.
Adempiva ai suoi compiti con dedizione e competenza, la sua sollecitudine gli faceva portare a casa le pratiche non ancora evase che sbrigava anche nelle ore notturne, la sua buona salute gli consentiva di recuperare le forze con appena 4-5 ore di sonno.
Il suo modo di agire, pieno di comprensione verso gli altri e il suo amore particolare per i poveri, gli guadagnarono l’affetto e la stima di tutti, cosicché nessuno si meravigliò quando nel settembre 1884, papa Leone XIII lo nominò vescovo di Mantova.
La diocesi mantovana attraversava un periodo particolarmente difficile, sia al suo interno, sia con il potere civile, ma il modesto prete Giuseppe Sarto, conosciuto per la fama di oratore brillante e per la sua grande carità, si rivelò un capo, con uno spirito realistico, pronto a cogliere il nodo dei problemi e a trovarne le soluzioni pratiche, con una bonarietà sorridente ma che all’occorrenza sapeva accompagnarla con una fermezza innata.
Seppe pacificare gli animi e avviò un profondo rinnovamento della vita cristiana in tutta la diocesi; incoraggiò l’affermarsi delle cooperative operaie; formatosi sotto papa Pio IX e nel clima reazionario della monarchia asburgica, alla quale il Veneto fino al 1866 era soggetto, mons. Sarto era considerato un “intransigente”, che condannava il liberalismo e lo spirito di apertura alla mentalità moderna.
Erano problemi che agitavano la Chiesa del post Stato Pontificio e la ventata di modernismo proveniente da tanti settori della società, vedeva nelle diocesi italiane il contrapporsi di ideologie, con vescovi permissivi e altri intransigenti alle aperture.
Papa Leone XIII apprezzando il suo operato, lo elevò alla dignità cardinalizia il 12 giugno 1893 con il titolo di San Bernardo alle Terme e il 15 giugno lo destinava alla sede patriarcale di Venezia, anch’essa in una situazione particolarmente difficile.
Ma il suo ingresso poté avvenire solo il 24 novembre 1894, perché mancava il beneplacito del Governo Italiano; il re d’Italia Umberto I°, sosteneva di avere il diritto di scelta del patriarca per un antico privilegio della Repubblica Veneta, ma alla fine dopo 17 mesi si addivenne ad un compromesso.
Pur avendo conservato un certo attaccamento sentimentale per Francesco Giuseppe, il sovrano austriaco dei suoi primi trent’anni, al contrario dell’ambiente di curia, il patriarca Sarto manifestò verso la Casa Savoia e il giovane Regno d’Italia un atteggiamento più conciliante, ormai convinto che indietro non si sarebbe più ritornati.
Riteneva necessario preparare un progressivo riavvicinamento tra la nuova Italia e la Santa Sede, risolvendo la ‘Questione Romana’ e salvaguardando tutto ciò che vi era di essenziale sotto l’aspetto spirituale, ma abbandonando ciò che era transitorio nelle posizioni prese da papa Pio IX, dopo l’occupazione dello Stato Pontificio e perseguite anche da papa Leone XIII.
Incurante delle critiche e dello stupore di alcuni, non esitò ad indurre i cattolici veneziani ad allearsi con i liberali moderati, per far cadere l’amministrazione comunale massonica, che aveva soppresso il catechismo nelle scuole e fatto togliere il crocifisso negli ospedali.
Mobilitò i parroci e i gruppi di Azione Cattolica, moltiplicò le riunioni dei comitati, governò la stampa cattolica; il suo avvicinamento all’Italia ufficiale, era dettato da un realismo pastorale e non per simpatia all’ideologia liberale e modernista che personalmente rifiutò sempre.
A Venezia ci fu una fioritura della vita religiosa, gli adulti venivano istruiti nella fede e organizzati in Associazioni religiose; i bambini venivano preparati alla Prima Comunione e Cresima con particolare impegno, le celebrazioni liturgiche presero nuovo decoro con la solennità dei canti sacri.
In questo periodo conobbe il giovane Lorenzo Perosi, ne ammirò il talento musicale, lo aiutò e incoraggiò a diventare sacerdote, gli affidò la riforma del canto liturgico prima a Venezia e poi a Roma.
Amò i poveri, ai quali donava tutto quello che possedeva, giunto a Venezia non volle una porpora cardinalizia nuova, ma fece riadattare dalle sue sorelle che l’avevano seguito, quella vecchia del suo predecessore, donando ai poveri la somma equivalente per una nuova.
Pur essendo ostile al socialismo e al liberalismo, non mancò, come a Mantova, di preoccuparsi di tutto quanto potesse migliorare le condizioni di vita degli operai, incoraggiò le Casse Operaie parrocchiali, le Società di Mutuo Soccorso, gli uffici di collocamento popolare e per indirizzare il clero in questa direzione, istituì nel 1895 una cattedra di scienze economiche e sociali nel Seminario.
A Venezia amò tutti ed era amato da tutti; il 15 ottobre 1893 il cardinale era al capezzale dell’anziana madre morente, la quale aveva espresso il desiderio prima di morire di vedere il figlio vestito dei suoi abiti cardinalizi e lui volle accontentarla, si presentò all’improvviso quel mattino e la madre vedendolo esclamò con stupore: “Ah Bepi, sè tutto rosso!…” e lui: “E vu mare, sè tutta bianca!”.
Il 20 luglio 1903 ad oltre 93 anni, morì papa Leone XIII, che aveva governato la Chiesa oltre 25 anni e il patriarca di Venezia card. Sarto partì alla volta di Roma, alla stazione ferroviaria una gran folla lo circondò per salutarlo ed egli commosso rassicurò loro “Vivo o morto ritornerò”, del resto il biglietto per il treno che gli era stato offerto, era di andata e ritorno.
Quelle parole furono profetiche, perché il patriarca Sarto non tornò più a Venezia perché eletto papa; ma un suo successore, papa Giovanni XXIII, anch’egli patriarca della città lagunare, autorizzò il ritorno dell’urna con il corpo dell’ormai santo Pio X, che avvenne trionfalmente il 12 aprile 1959; l’urna esposta nella Basilica di San Marco, rimase a Venezia per un mese fino al 10 maggio, a ricevere il saluto e la venerazione dei suoi veneziani.
Il Conclave che seguì fu uno dei più drammatici, perché fu l’ultimo in cui venne esercitata “l’esclusiva” di un governo cattolico nei confronti di un papabile sgradito.
Il candidato più autorevole a succedere a Leone XIII era il suo Segretario di Stato card. Mariano Rampolla del Tindaro, ritenuto dal governo asburgico un continuatore della politica di sostegno dei cristiano-sociali in Austria e Ungheria e favorevole alle aspirazioni indipendentiste degli Slavi nei Balcani; il cardinale di Cracovia si fece portatore del veto imperiale contro Rampolla, fra le proteste del Decano del Sacro Collegio Cardinalizio e di altri cardinali, per l’ingerenza del potere civile.
Ad ogni modo il conclave durato quattro giorni designò il 3 agosto 1903, il patriarca di Venezia nuovo pontefice, nonostante le sue implorazioni a non votarlo, il quale alla fine accettò prendendo il nome di Pio X.
Il suo pontificato durò 11 anni, rompendo la sua personale cadenza negli incarichi ricevuti che furono stranamente sempre di nove anni; 9 anni in Seminario, 9 come cappellano a Tombolo, 9 anni come parroco a Salzano, 9 come canonico e direttore del Seminario a Treviso, 9 come vescovo di Mantova e 9 come patriarca di Venezia.
Aveva 68 anni quando salì al Soglio Pontificio instaurando una linea di condotta per certi versi di continuità con i due lunghissimi pontificati di Pio IX e Leone XIII che l’avevano preceduto, specie in campo politico, ma anche di rottura con certi schemi ormai consolidati, ad esempio, sebbene di umili origini egli rifiutò sempre di elargire benefici alla famiglia, come critica verso certi nepotismi e favoritismi più o meno evidenti, fino allora praticati.
Suo Segretario di Stato fu il card. Merry del Val, con il quale si dedicò ad una riaffermazione ben chiara dei diritti della Chiesa e ad una strategia ad ampio raggio per ristabilire l’ordine sociale secondo il volere di Dio.
Davanti ai grandi progressi di un liberalismo prevalentemente antireligioso, di un socialismo prevalentemente materialista e di uno scientismo presuntuoso, Pio X avvertì la necessità di erigere il papato contro la modernità, spezzando ogni tentativo di avviare un compromesso efficace tra i cattolici e la nuova cultura.
Con l’enciclica “Pascendi” del 1907 condannò il ‘modernismo’; in campo politico riprese la linea intransigente di Pio IX, egli considerava la separazione della Chiesa dallo Stato come un sacrilegio, gravemente ingiuriosa nei confronti di Dio al quale bisogna rendere non solo un culto privato ma anche uno pubblico.
La riaffermazione del potere papale, dopo le vicissitudini della caduta dello Stato Pontificio, portarono con il pensiero di Pio X ad identificare l’istituzione papale con la Chiesa intera, la Santa Sede con il popolo di Dio.
Non si può qui fare una completa panoramica del suo pontificato, vissuto alla vigilia della Prima Guerra Mondiale e del sorgere della Rivoluzione Russa, e in pieno affermarsi dei nuovi movimenti di pensiero come il modernismo, il liberalismo, infiltrati di materialismo e spirito antireligioso, con una Massoneria dilagante.
Centinaia di libri sono stati scritti su quel vivace periodo, ne citiamo uno: “Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia” di Pietro Scoppola, Bologna, 1961.
Il 20 gennaio 1904 papa Pio X reduce dal drammatico conclave che l’aveva eletto, stabilì che nessun potere laico esterno, potesse opporre un veto nell’elezione del pontefice e fulminò con scomunica quei cardinali che si prestassero a fare da portavoce, anche del semplice desiderio o indicazione di uno Stato.
Pio X che amava presentarsi come un “buon parroco di campagna” aveva in realtà notevoli doti e non era affatto sprovvisto di cultura, leggeva numerose opere, parlava e leggeva il francese, possedeva un gusto artistico e protesse i tesori d’arte della Chiesa; cultore della musica, amò il canto liturgico.
Uomo di grandezza morale, viveva in Dio e di Dio, esercitava le virtù cristiane fino all’eroismo, con una umiltà diventata la sua seconda natura senza la minima ostentazione; una effettiva povertà e un atteggiamento di distacco di fronte a se stesso che non abbandonava mai; una fede e una fiducia nella Provvidenza origine di quella serenità interiore che si poteva ammirare in lui; inoltre una carità che destava la meraviglia dei dignitari del Vaticano.
“Instaurare omnia in Christo” era il motto di papa Pio X e con la forza e la costanza che gli erano proprie, cercò di attuare in tutti campi questa restaurazione della società cristiana a partire dalla Chiesa; riformò profondamente la Curia Romana e le varie Congregazioni, fece redigere un nuovo Codice di Diritto Canonico; applicò le norme per la Comunione frequente e per i bambini; riformò la Liturgia togliendo dal Messale molte cose inutili, riportò al ciclo delle domeniche, il posto che era stato usurpato dal ciclo dei Santi; sollecitò il canto e la musica nelle funzioni sacre; istituì l’obbligo del catechismo a piccoli e grandi e che da lui si chiamò “Catechismo di Pio X”.
Verso la fine del suo pontificato, sull’Europa si addensavano nubi minacciose di guerra, che coinvolgevano molti Stati cattolici in contrasto fra loro.
Dopo l’attentato di Sarajevo all’arciduca ereditario Francesco Ferdinando, seguì il 28 luglio 1914 l’attacco dell’Austria alla Serbia e man mano il conflitto si estese a tutta l’Europa; per papa Pio X, già da tempo sofferente di gotta e quasi ottantenne, fu l’inizio della fine, il suo stato di salute e il deperimento fisico si accentuò e dopo una bronchite trasformatosi bruscamente in polmonite acuta, il pontefice morì nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1914; fu sepolto nelle Grotte Vaticane.
In vita era indicato come un “Papa Santo”, perché correva voce di guarigioni avvenute toccando i suoi abiti, ma lui sorridendo correggeva: “Mi chiamo Sarto non Santo”. Fu beatificato il 3 giugno 1951 da papa Pio XII e proclamato santo dallo stesso pontefice il 29 maggio 1954; la sua urna si venera nella Basilica di S. Pietro.

Autore: Antonio Borrelli

Publié dans:Papi, Santi |on 20 août, 2013 |Pas de commentaires »

DA « IL CAMMINO CRISTIANO »: COSE DA BUTTARE

http://camcris.altervista.org/dabuttare.html

DA « IL CAMMINO CRISTIANO »

COSE DA BUTTARE

Buttiamo via i mormorii
Cosa c’è di peggio in una Chiesa che dei credenti che mormorano? Si lamentano di tutto e di tutti, non gli va bene assolutamente niente. Loro stessi non fanno nulla ma giudicano severamente l’operato di chi s’impegna per l’opera di Dio. La Scrittura ci fa un identikit dei mormoratori: « Sono dei mormoratori, degli scontenti; camminano secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce cose incredibilmente gonfie, e circondano d’ammirazione le persone per interesse » (Giuda 1:16).
Dio c’invita a buttare via dal nostro cuore i mormorii: « Non mormorate, come alcuni di loro mormorarono, e perirono colpiti dal distruttore » (1 Corinzi 10:10).
Ogni credente desideroso di fare la volontà di Dio, deve fare ogni cosa senza mormorii: « Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute » (Filippesi 2:14).

Buttiamo via le nostre giustificazioni
Se abbiamo la tendenza a giustificare le nostre debolezze e l’amore per le cose del mondo, smettiamola! Il Seme, cioè la Parola di Dio che è caduto fra le spine, rappresenta coloro che hanno udito, ma se ne vanno e restano soffocati dalle cure e dalle ricchezze e dai piaceri della vita e non arrivano a maturità: « Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità » (Luca 8:14).
Quante scuse a volte troviamo, per giustificare le nostre debolezze: « Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: « Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi ».Un altro disse: « Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi ». Un altro disse: « Ho preso moglie, e perciò non posso venire » (Luca 14:18-20).
Buttiamo via le nostre giustificazioni e l’amore per le cose del mondo: « Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno » (1 Giovanni 2:15-17).

Buttiamo via tutte quelle abitudini che non ci permettono di leggere e meditare la Parola di Dio
Talvolta ci sono abitudini che ci tolgono il tempo per la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ricordiamoci che senza cibo e senza acqua, l’uomo muore. Allo stesso modo, senza la Parola di Dio, l’uomo è destinato alla morte spirituale. Colui che trascura la Parola di Dio, vede il suo cuore indurirsi giorno dopo giorno: « Perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono divenuti duri d’orecchi, e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi, non comprendano con il cuore, non si convertano, e io non li guarisca » (Atti 28:27). Non è forse vero che mentre l’uomo parla a Dio attraverso la preghiera, Dio parla all’uomo attraverso la Sua Parola? Dio vuole comunicare la Sua volontà: « Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai » (Giosuè 1:8). È Dio che dette questo consiglio a Giosuè che resta valido per ogni generazione. Deve essere presente in ogni sincero credente questo desiderio: « Mi alzo prima dell’alba e grido; io spero nella tua parola. Gli occhi miei prevengono le veglie della notte, per meditare la tua parola » (Salmo 119:147,148).
Quanto tempo dedichiamo alla TV? Quanto tempo perdiamo in cose futili ed inutili? Torniamo alla Parola di Dio se vogliamo vedere l’aurora: « Alla legge! Alla testimonianza! » Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora! » (Isaia 8:20).

Buttiamo via gli aspetti negativi del nostro carattere
Un’espressione che l’apostolo Paolo usa al riguardo è: « Gettare via »: « Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! » (Efesini 4:31).
Il nostro temperamento deve essere controllato dallo Spirito Santo. Nel momento in cui ciò non avviene, ecco manifestarsi i frutti della carne: « Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutez-za, dolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni,
sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio » (Galati 5:19-21). Un temperamento controllato dallo Spirito Santo, produrrà invece il frutto dello Spirito: « Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito » (Galati 5:22-25).
Non giustifichiamoci dietro la famosa frase: « Questo è il mio carattere », perché dicendo questo, affermiamo che Dio non può fare più nulla per noi. Dio ci ama così come siamo ma ci ama così tanto da non lasciarci come siamo: « Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato » (1 Corinzi 9:26,27).

Buttiamo via la nostra ansia
Quanta apprensione si nasconde talvolta nella nostra vita, che facilmente si trasforma in ansia. Domandiamoci: « Siamo o no figli di Dio? Dio è nostro Padre? » Se soltanto rispondiamo di si a queste domande, non dobbiamo temere di nulla: « Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: « Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo? » Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno » (Matteo 6:25-34).
Notiamo in questi versetti l’invito del Signore: « Non siate in ansia ». Gettiamo via da noi ogni sollecitudine ansiosa, perché Dio si prende cura di noi: « Io, il Signore, il tuo Dio, fortifico la tua mano destra e ti dico: Non temere, io ti aiuto! Non temere, Giacobbe, vermiciattolo, e Israele, povera larva. Io ti aiuto », dice il Signore. « Il tuo salvatore è il Santo d’Israele » (Isaia 41:13,14).

Buttiamo via la nostra pigrizia
A volte capita d’incontrare cristiani particolarmente pigri: hanno voglia di non fare nulla. La pigrizia è un pericolo da non trascurare. Il grande re Davide cadde in un vortice di peccati a causa della pigrizia: « L’anno seguente, nella stagione in cui i re cominciano le guerre, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme. Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del
palazzo reale; dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima » (2 Samuele 11:1,2).
Se la pigrizia trovò posto nel cuore di Davide, può trovarla anche nel nostro e in quel caso grande sarà la nostra rovina: « Fino a quando, o pigro, te ne starai coricato? Quando ti sveglierai dal tuo sonno? Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare. La tua povertà verrà come un ladro, la tua miseria, come un uomo armato » (Proverbi 6:9-11).
La via del pigro conduce velocemente alla povertà come dimostrano i seguenti versetti:
- Proverbi 13:4 « Il pigro desidera, e non ha nulla, ma l’operoso sarà pienamente soddisfatto.
- Proverbi 15:19 « La via del pigro è come una siepe di spine, ma il sentiero degli uomini retti è piano ».
- Proverbi 19:15,24 « La pigrizia fa cadere nel torpore, e la persona indolente patirà la fame ». Il pigro tuffa la mano nel piatto e non fa neppure tanto da portarla alla bocca ».
- Proverbi 20:4 « Il pigro non ara a causa del freddo; alla raccolta verrà a cercare, ma non ci sarà nulla ».
- Proverbi 21:25 « I desideri del pigro lo uccidono, perché le sue mani rifiutano di lavorare ».
- Proverbi 26:15 « Il pigro tuffa la mano nel piatto; e gli sembra fatica riportarla alla bocca ».
- Ecclesiaste 10:18 « Per la pigrizia sprofonda il soffitto; per la rilassatezza delle mani piove in casa ».
Buttiamo via da noi la pigrizia: « Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore » (Romani 12:11).
Rimbocchiamoci le maniche perché le campagne sono bianche da mietere e gli operai sono pochi: « E diceva loro: « La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse » (Luca 10:2).

Buttiamo via i giudizi
Gesù dice – e la nostra esperienza lo ha più volte dimostrato – che è più facile vedere la pagliuzza che è nell’occhio del fratello, che la trave che è nel nostro occhio, è più facile che ingoiamo il cammello, mentre filtriamo il moscerino. I difetti degli altri sono come gli anabbaglianti della macchina: sono sempre quelli degli altri che ci danno fastidio: « Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. Perché guardi la
pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: « Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza », mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello » (Matteo 7:1-5). È facile giudicare gli altri, più difficile giudicare noi stessi: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità » (Matteo 23:27,28).
L’ipocrita era una maschera teatrale, dietro la quale si nascondeva l’attore. Buttiamo via da noi questa maschera, mostriamo il nostro vero volto, perché solo così saremo meno severi con gli altri. Talvolta capita che proprio quando viviamo una vita non conforme alla volontà di Dio, che diventiamo troppo severi con gli altri, come accadde a Davide: « Davide si adirò moltissimo contro quell’uomo e disse a Natan: « Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita la morte e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà ». Allora Natan disse a Davide: « Tu sei quell’uomo! » (2 Samuele 12:5-7).
Impara ad essere tollerante verso gli sbagli degli altri come lo sei con te stesso e soprattutto guarda gli altri non dimenticando che Gesù è morto anche per loro.

Buttiamo via la gelosia e l’invidia
Secondo un’enciclopedia, la gelosia è: « Invidia, rivalità », mentre l’invidia è: « Sentimento di rancore e d’astio per la felicità o le qualità degli altri ».
La gelosia che porta alla contesa è prova di carnalità nella chiesa: « Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate come qualsiasi uomo »? (1 Corinzi 3:1-3). Invidia e gelosia verso dei fratelli sono dunque sentimenti negativi presenti in coloro che non gioiscono del bene e delle qualità altrui, ma se ne irritano perché le vorrebbero per sé. È mancanza di amore e di sottomissione a Dio nello accettare la « misura della fede » che Lui ci ha assegnata. Gelosia per un dono di predicazione che può farci ombra, per una famiglia ordinata e sottomessa a Dio, per un’intesa profonda fra coniugi, per l’apprezzamento che altri fratelli ottengono.
Invidia e gelosia, finché non generano contese e altri guai, possono non trasparire all’esterno, ma rodono il nostro rapporto col fratello e rovinano la nostra vita spirituale.
Un esame interessante sarebbe accertare quando proviamo nel nostro cuore (spesso senza rendercene chiaramente conto) il compiacimento per le disgrazie degli altri. Se riusciamo ad essere sinceri fino in fondo, credo che dovremmo vergognarci e gridare al Signore. Tendenziosità, sospetto, cattiva intenzione presunta negli altri, modo negativo di considerare il fratello, compiacimento per gli errori altrui: tutti sentimenti purtroppo diffusi che restano dentro, ma che avvelenano sovente i rapporti e preparano a guasti più clamorosi.

Buttiamo via l’ira e la collera
Quest’impeto dell’animo improvviso e violento che si rivolge contro qualcuno o qualcosa, quest’infiammarsi, accendersi, avvampare, ardere d’ira, non deve essere presente nella vita del credente: « Sia ogni uomo lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non mette in opera la giustizia di Dio » (Giacomo 1:19).
L’ira dell’uomo è sempre vista negativamente. Nella parabola del figlio prodigo, il fratello maggiore si adira e non vuole entrare nel banchetto d’amore: « Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: « Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato » (Luca 15:28-30).
L’ira è sempre condannata da Gesù: « Chiunque s’adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale » (Matteo 5:22).
Ira e collera sono fra le cose da deporre: « Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene » (Colossesi 3:8).
Le parole di Efesini 4:26: « Adiratevi e non peccate, il sole non tramonti sopra la vostra collera », non esortano all’ira, significano piuttosto: « Mostrate sdegno, però, attenti a non peccare » (TILC) e non rimanete in quest’atteggiamento. « Sia tolta via ogni ira » (v. 31).
Fruga negli angoli più remoti della tua vita, forse si è ammucchiata tanta spazzatura: non risparmiarla, buttala via.

Publié dans:meditazioni |on 20 août, 2013 |Pas de commentaires »

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31