Archive pour le 19 août, 2013

San Bernardo di Chiaravalle

San Bernardo di Chiaravalle dans immagini sacre bernard

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BENEDETTO XVI: SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE (memoria 20 agosto)

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20091021_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

PIAZZA SAN PIETRO

MERCOLEDÌ, 21 OTTOBRE 2009

SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE (memoria 20 agosto)

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare su san Bernardo di Chiaravalle, chiamato “l’ultimo dei Padri” della Chiesa, perché nel XII secolo, ancora una volta, rinnovò e rese presente la grande teologia dei Padri. Non conosciamo in dettaglio gli anni della sua fanciullezza; sappiamo comunque che egli nacque nel 1090 a Fontaines in Francia, in una famiglia numerosa e discretamente agiata. Giovanetto, si prodigò nello studio delle cosiddette arti liberali – specialmente della grammatica, della retorica e della dialettica – presso la scuola dei Canonici della chiesa di Saint-Vorles, a Châtillon-sur-Seine e maturò lentamente la decisione di entrare nella vita religiosa. Intorno ai vent’anni entrò a Cîteaux, una fondazione monastica nuova, più agile rispetto agli antichi e venerabili monasteri di allora e, al tempo stesso, più rigorosa nella pratica dei consigli evangelici. Qualche anno più tardi, nel 1115, Bernardo venne inviato da santo Stefano Harding, terzo Abate di Cîteaux, a fondare il monastero di Chiaravalle (Clairvaux). Qui il giovane Abate, aveva solo venticinque anni, poté affinare la propria concezione della vita monastica, e impegnarsi nel tradurla in pratica. Guardando alla disciplina di altri monasteri, Bernardo richiamò con decisione la necessità di una vita sobria e misurata, nella mensa come negli indumenti e negli edifici monastici, raccomandando il sostentamento e la cura dei poveri. Intanto la comunità di Chiaravalle diventava sempre più numerosa, e moltiplicava le sue fondazioni.
In quegli stessi anni, prima del 1130, Bernardo avviò una vasta corrispondenza con molte persone, sia importanti che di modeste condizioni sociali. Alle tante Lettere di questo periodo bisogna aggiungere numerosi Sermoni, come anche Sentenze e Trattati. Sempre a questo tempo risale la grande amicizia di Bernardo con Guglielmo, Abate di Saint-Thierry, e con Guglielmo di Champeaux, figure tra le più importanti del XII secolo. Dal 1130 in poi, iniziò a occuparsi di non pochi e gravi questioni della Santa Sede e della Chiesa. Per tale motivo dovette sempre più spesso uscire dal suo monastero, e talvolta fuori dalla Francia. Fondò anche alcuni monasteri femminili, e fu protagonista di un vivace epistolario con Pietro il Venerabile, Abate di Cluny, sul quale ho parlato mercoledì scorso. Diresse soprattutto i suoi scritti polemici contro Abelardo, un grande pensatore che ha iniziato un nuovo modo di fare teologia, introducendo soprattutto il metodo dialettico-filosofico nella costruzione del pensiero teologico. Un altro fronte contro il quale Bernardo ha lottato è stata l’eresia dei Catari, che disprezzavano la materia e il corpo umano, disprezzando, di conseguenza, il Creatore. Egli, invece, si sentì in dovere di prendere le difese degli ebrei, condannando i sempre più diffusi rigurgiti di antisemitismo. Per quest’ultimo aspetto della sua azione apostolica, alcune decine di anni più tardi, Ephraim, rabbino di Bonn, indirizzò a Bernardo un vibrante omaggio. In quel medesimo periodo il santo Abate scrisse le sue opere più famose, come i celeberrimi Sermoni sul Cantico dei Cantici. Negli ultimi anni della sua vita – la sua morte sopravvenne nel 1153 – Bernardo dovette limitare i viaggi, senza peraltro interromperli del tutto. Ne approfittò per rivedere definitivamente il complesso delle Lettere, dei Sermoni e dei Trattati. Merita di essere menzionato un libro abbastanza particolare, che egli terminò proprio in questo periodo, nel 1145, quando un suo allievo, Bernardo Pignatelli, fu eletto Papa col nome di Eugenio III. In questa circostanza, Bernardo, in qualità di Padre spirituale, scrisse a questo suo figlio spirituale il testo De Consideratione, che contiene insegnamenti per poter essere un buon Papa. In questo libro, che rimane una lettura conveniente per i Papi di tutti i tempi, Bernardo non indica soltanto come fare bene il Papa, ma esprime anche una profonda visione del mistero della Chiesa e del mistero di Cristo, che si risolve, alla fine, nella contemplazione del mistero di Dio trino e uno: “Dovrebbe proseguire ancora la ricerca di questo Dio, che non è ancora abbastanza cercato”, scrive il santo Abate “ma forse si può cercare meglio e trovare più facilmente con la preghiera che con la discussione. Mettiamo allora qui termine al libro, ma non alla ricerca” (XIV, 32: PL 182, 808), all’essere in cammino verso Dio.
Vorrei ora soffermarmi solo su due aspetti centrali della ricca dottrina di Bernardo: essi riguardano Gesù Cristo e Maria santissima, sua Madre. La sua sollecitudine per l’intima e vitale partecipazione del cristiano all’amore di Dio in Gesù Cristo non porta orientamenti nuovi nello statuto scientifico della teologia. Ma, in maniera più che mai decisa, l’Abate di Clairvaux configura il teologo al contemplativo e al mistico. Solo Gesù – insiste Bernardo dinanzi ai complessi ragionamenti dialettici del suo tempo – solo Gesù è “miele alla bocca, cantico all’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilum)”. Viene proprio da qui il titolo, a lui attribuito dalla tradizione, di Doctor mellifluus: la sua lode di Gesù Cristo, infatti, “scorre come il miele”. Nelle estenuanti battaglie tra nominalisti e realisti – due correnti filosofiche dell’epoca – l’Abate di Chiaravalle non si stanca di ripetere che uno solo è il nome che conta, quello di Gesù Nazareno. “Arido è ogni cibo dell’anima”, confessa, “se non è irrorato con questo olio; insipido, se non è condito con questo sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avrò letto Gesù”. E conclude: “Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù” (Sermones in Cantica Canticorum XV, 6: PL 183,847). Per Bernardo, infatti, la vera conoscenza di Dio consiste nell’esperienza personale, profonda di Gesù Cristo e del suo amore. E questo, cari fratelli e sorelle, vale per ogni cristiano: la fede è anzitutto incontro personale, intimo con Gesù, è fare esperienza della sua vicinanza, della sua amicizia, del suo amore, e solo così si impara a conoscerlo sempre di più, ad amarlo e seguirlo sempre più. Che questo possa avvenire per ciascuno di noi!
In un altro celebre Sermone nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione, il santo Abate descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria al sacrificio redentore del Figlio. “O santa Madre, – egli esclama – veramente una spada ha trapassato la tua anima!… A tal punto la violenza del dolore ha trapassato la tua anima, che a ragione noi ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di molto nell’intensità le sofferenze fisiche del martirio” (14: PL 183,437-438). Bernardo non ha dubbi: “per Mariam ad Iesum”, attraverso Maria siamo condotti a Gesù. Egli attesta con chiarezza la subordinazione di Maria a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale. Ma il corpo del Sermone documenta anche il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della particolarissima partecipazione della Madre (compassio) al sacrificio del Figlio. Non per nulla, un secolo e mezzo dopo la morte di Bernardo, Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, metterà sulle labbra del “Dottore mellifluo” la sublime preghiera a Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/umile ed alta più che creatura,/termine fisso d’eterno consiglio, …” (Paradiso 33, vv. 1ss.).
Queste riflessioni, caratteristiche di un innamorato di Gesù e di Maria come san Bernardo, provocano ancor oggi in maniera salutare non solo i teologi, ma tutti i credenti. A volte si pretende di risolvere le questioni fondamentali su Dio, sull’uomo e sul mondo con le sole forze della ragione. San Bernardo, invece, solidamente fondato sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa, ci ricorda che senza una profonda fede in Dio, alimentata dalla preghiera e dalla contemplazione, da un intimo rapporto con il Signore, le nostre riflessioni sui misteri divini rischiano di diventare un vano esercizio intellettuale, e perdono la loro credibilità. La teologia rinvia alla “scienza dei santi”, alla loro intuizione dei misteri del Dio vivente, alla loro sapienza, dono dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero teologico. Insieme a Bernardo di Chiaravalle, anche noi dobbiamo riconoscere che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro.
Vorrei concludere queste riflessioni su san Bernardo con le invocazioni a Maria, che leggiamo in una sua bella omelia. “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, – egli dice – pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l’esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta…” (Hom. II super «Missus est», 17: PL 183, 70-71).

LA DONNA VALORIZZATA NELL’OPERA DI S. LUCA PER MERITO DI GESÙ IL SIGNORE SOTTO L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO

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 LA DONNA VALORIZZATA NELL’OPERA DI S. LUCA PER MERITO DI GESÙ IL SIGNORE SOTTO L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO

MARIA LUISA RIGATO

Introduzione

L’evento della Pentecoste cristiana è uno dei temi più commentati e dipinti della cristianità. Essendo considerato l’evento originario della chiesa (At 11,15: «in principio»), è comunque sempre pieno di suggestione e oggetto di rinnovata interpretazione. Anziché definire le comunità cristiane delle origini come post-pasquali, in riferimento alla risurrezione del Signore Gesù, sarebbe più preciso definirle post-pentecostali, includendovi anche l’azione dello Spirito Santo, ossia dell’Inviato-dell’Apostolo da parte del Risorto che afferma[1]: «Io invio la Promessa del Padre mio su di voi» (Lc 24,49). Si noti l’enfatico «Io», grammaticalmente superfluo.
All’inizio del terzo millennio dalla venuta del Signore Gesù è forse (?) giunto il tempo di chiudere la fase della rivendicazione femminile[2], tipica dell’ultimo quarto del ventesimo secolo e frutto saporoso del concilio Vaticano II, per leggere e comprendere titoli e/o appellativi ministeriali presenti negli scritti del Nuovo Testamento – riferiti per secoli solamente agli uomini – finalmente e semplicemente in maniera inclusiva, ossia riferiti a discepoli donne e uomini, anche se grammaticalmente al maschile. Possa davvero adempiersi l’augurio-manifesto verosimilmente già pre-paolino: «né donna separatamente da uomo né uomo separatamente da donna, nel Signore» (1Cor 11,11), in un contesto non matrimoniale, ma liturgico. La prevaricazione dell’uno sull’altra e viceversa non è evangelica.
Le pagine seguenti sono una rilettura di alcuni dettagli della narrazione pentecostale lucana, per ri-scoprire una volta di più l’aspetto inclusivo – in questo caso nell’opera lucana (Vangelo secondo Luca e Atti degli Apostoli) –, ossia la graduale comprensione tra i discepoli del «Signore Gesù»[3] circa la pari dignità tra uomini e donne, capaci queste di pari responsabilità nella chiesa, anche a livello dei carismi di profezia, di invio (= apostolato), di testimonianza, di evangelizzazione (attiva), in seguito al battesimo in Spirito Santo e fuoco (Lc 3,16 = Mt 3,11; senza «fuoco»: Mc 1,8; Gv 1,33; At 1,5).
Procedo pertanto dalla precomprensione, fondata sullo studio dei testi, che nella chiesa delle origini, e già in embrione nella sequela di Gesù, si possa o si debba parlare di inclusività;detto diversamente, i titoli al maschile riguardano uomini e donne. Pensiamo ad esempio al ben noto passo di Rm 16,1, dove Paolo in prima istanza raccomanda «Febe, la nostra sorella, che è anche diacono della chiesa in Cencre» (il porto orientale di Corinto). «Diacono» – come il nostro «ministro» – è dunque un titolo maschile adoperato da Paolo qui per una donna, ossia in maniera inclusiva.
Tra i discepoli del Signore Gesù si possono distinguere «i Dodici», poi la cerchia larga dei discepoli-fratelli, donne e uomini, poi – per effetto speciale della Pentecoste – un gruppo più ristretto di discepoli-apostoli, donne e uomini. Quanto a «i Dodici», – in cima alla piramide o alla base della medesima – anch’essi discepoli-apostoli[4], ma solo uomini, rappresentano nella chiesa i capostipiti, ovviamente maschi, delle dodici tribù d’Israele. Essi «nel regno» di Gesù «siederanno su troni giudicando le dodici tribù d’Israele» (Lc 22,30).
È vero, oggi si tratta spesso di cercare puntigliosamente, tra le righe, affermazioni, indicazioni, indizi, che alla fine si trovano come delle perle preziose nascoste a conferma e supporto di una interpretazione inclusiva! Ritengo comunque che qui si tratti di un nostro problema, non di un problema per i primi lettori degli scritti del Nuovo Testamento. Per essi l’inclusività era presumibilmente ovvia, per cui quando si leggeva nel testo «discepoli» questo appellativo includeva donne e uomini. Prima della riforma liturgica del Vaticano II la proclamazione del Vangelo durante la Messa iniziava spesso con la frase: «Il Signore disse ai suoi discepoli». Nella comprensione dei cristiani e nelle prediche questa espressione era l’esatto equivalente di: «Il Signore disse ai suoi apostoli, cioè ai Dodici»! È difficile superare tanti secoli di lettura ideologica al maschile!
Le analisi lessicali del testo greco ed ebraico sono giustificate dal presupposto che il vocabolario e la forma letteraria del testo sono già il contenuto del testo stesso.

Il racconto di Pentecoste
Ecco una traduzione la più letterale possibile di At 2,1-4:
1E nel compiersi il giorno della Pentecoste, erano tutti insieme nello stesso posto. 2Improvvisamente ci fu un suono come di soffio irruento violento e riempì l’intera casa dove erano seduti. 3E apparvero ad essi lingue divise come di fuoco e sedette/stette sopra ciascuno di essi 4e tutti furono ricolmi di Spirito Santo e cominciarono a parlare con altre lingue così come lo Spirito dava ad essi di esprimersi.
Chi sono i «tutti» presenti all’effusione dello Spirito Santo? La prima domanda che esige una risposta è proprio questa: chi sono i «tutti» di At 2,1.4, beneficiari dell’effusione dello Spirito Santo? Nei commentari si trovano tre diverse posizioni:
-     sono soltanto i Dodici apostoli;
-     sono gli Undici assieme al gruppo di donne e dei fratelli di Gesù elencati in At 1,13, ma non i centoventi di At 1,15;
-     sono la totalità dei presenti dichiarata per ultima, e cioè i centoventi di At 1,15, inclusi i nominati in At 1,13:«Pietro, Giovanni, Giacomo, Andrea, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Matteo, Giacomo di Alfeo, Simone lo zelota, Giuda di Giacomo, insieme a[lle] donne e a Maria la Madre di Gesù e ai fratelli [consanguinei] di Lui».
Per motivi di spazio bisogna qui rinunciare ad un’analisi minuziosa[5] dei passi significativi per l’argomento in esame in cui troviamo in Luca il termine «tutti». Riassumo pertanto sinteticamente.
Siccome letterariamente e canonicamente gli Atti degli Apostoli sono la continuazione ideale del Vangelo secondo Luca, non possiamo prescindere da esso. Dunque le persone presenti nella duplice narrazione lucana dell’ascensione del Signore Gesù e nel contesto narrativo immediato sono le medesime, sia nel Vangelo (Lc 24,33-53) sia negli Atti (At 1,1-14). In Lc 24,33 si tratta dei «due» ritornati da Emmaus, tra cui Cleofa, e «gli Undici e quelli con essi»; chi sono «quelli con essi»? Sono le stesse persone, narrativamente parlando, nominate da Luca all’inizio del capitolo 24: le donne Maria Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo e le rimanenti con esse (Lc 24,10). Queste, avendo vissuta l’esperienza sconvolgente presso il sepolcro di uomini-angeli (Lc 24,4-23) che danno loro l’annuncio della risurrezione di Gesù, «annunziarono tutte queste cose agli Undici e a tutti i rimanenti» (Lc 24,9). Questa proposizione è letterariamente parallela con: «dicevano/ripetevano queste cose agli apostoli» (Lc 24,10), nel senso che anche «i rimanenti» sono apostoli accanto agli Undici. Anche in At 2,37 ricorre una formula analoga: «Pietro e i rimanenti apostoli» più ampia di «Pietro con gli Undici» (At 2,14). Nel capitolo 24 del Vangelo, Luca non nomina né la Madre di Gesù, né i parenti di lui: lo farà in At 1,14.
Nel prologo degli Atti, in prima battuta Gesù risorto dà disposizioni «agli apostoli [...] che si era scelto» (At 1,2). Siccome Luca fa un preciso riferimento al suo «primo libro» (At 1,1), e siccome in Lc 6,13 ricorre lo stesso termine riferito a Gesù che «di tra i discepoli si scelse dodici e li denominò anche apostoli», viene spontanea l’identificazione degli apostoli di At 1,2 con «i Dodici», rispettivamente «gli Undici» perché nel frattempo Giuda era morto. In At 1,3 «gli Undici» non sono più soli, anche se narrativamente Luca ce lo fa sapere soltanto in At 1,14 dove gli Undici sono «con donne e parenti stretti», e in occasione dell’elezione di Mattia (At 1,21-26). Nel primo caso si tratta di un numero relativamente ristretto di persone, comunque individuate e individuabili. L’aver ricordato esplicitamente la presenza di «donne», tra cui Maria la Madre di Gesù», è, a mio avviso, estremamente importante.
In At 1,24 Luca allarga l’idea di «tutti». È vero che il Signore è conoscitore del cuore di tutti in senso assoluto, ma qui si tratta del gruppo che a lui si rivolge in preghiera, ossia i «circa centoventi fratelli» (At 1,15). Per rimpiazzare Giuda, deve trattarsi di uno presente alle vicende «del Signore Gesù, incominciando dal battesimo di Giovanni fino» a quando «fu assunto di tra voi/noi» e vengono proposti due. Viene eletto tramite la sorte il dodicesimo. Deve comunque trattarsi di uno degli uomini (un essere maschile) del gruppo, «testimone della Sua risurrezione con noi uno di questi».
Mattia[6] viene annoverato «insieme agli Undici apostoli» dopo una preghiera rivolta al Signore di scegliere  tra i due (At 1,11.22.24).
In At 2,1 i «tutti» riuniti per l’evento della Pentecoste sono dunque in primo luogo il gruppo di At 1,14. In secondo luogo anche i circa centoventi fratelli (At 1,15), tenendo presente che «circa» non esprime un numero preciso, ma un gruppo ragguardevole multiplo dei Dodici. Se così non fosse, bisognerebbe escludere sia la Madre di Gesù sia il neoeletto Mattia! Questi «tutti» (At 2,4.11) furono ricolmi di Spirito Santo e incominciarono a parlare un linguaggio ispirato: «con altre lingue». Oggetto del parlare ispirato di tutti, non solo dei Dodici, sono «le grandi opere di Dio».
In At 2,7 «tutti questi che parlano» sono definiti «Galilei». Tra essi possiamo pensare ad una parte di «tutti i noti/conoscenti» a/di Gesù presenti alla crocifissione, uomini e donne, ma da lontano (Lc 23,49) e soprattutto «donne alla sequela (che seguono con) di lui dalla Galilea vedenti queste cose».
Non sarebbe giusto glissare sull’evidente enfasi lucana a proposito dei due participi al femminile «quelle che seguono con» e «quelle che hanno visto». Non soltanto queste donne vengono definite «seguaci» di Gesù, ma anche testimoni «oculari». Luca ritorna ancora sull’argomento con altri due participi al femminile e un verbo di visione al momento della sepoltura di Gesù. Rimane sempre la difficoltà di tradurre dal greco queste forme verbali: «Le donne seguaci però, le quali erano venute con lui dalla Galilea osservarono il sepolcro e come fu deposto il suo corpo» (Lc 23,55). Di queste donne i «due» sulla via verso Emmaus riferiranno a Gesù risorto – come se non lo sapesse! – «che esse vanno dicendo anche di aver visto una visone di angeli» (Lc 24,23). Difficile non pensare ad un richiamo a Lc 1,2: «come hanno trasmesso a noi coloro che fin dal principio hanno visto con i propri occhi e divennero ministri della parola».
Quanto ai «galilei» di At 2,7 – limitatamente ai sudditi della tetrarchia di Erode Antipa (Lc 3,1) – possiamo almeno pensare, quanto alle donne, a Maria di Magdala, a Giovanna moglie di Cusa amministratore di Erode, a Susanna (Lc 8,2-3; per le prime due anche Lc 24,10) e alle «molte altre le quali[7] li servivano con i loro beni» (Lc 8,3). La struttura grammaticale di Lc 8,1.3 è particolarmente intrigante e permette la lettura seguente: Gesù proclama ed evangelizza il regno di Dio ««ed i Dodici con lui e alcune donne, che erano state guarite [...] e molte altre». Le «alcune donne» non sono le «molte altre». Così come tra i discepoli vi era un gruppo ristretto di dodici «con Gesù», analogamente tra le donne vi era un gruppetto ristretto di tre[8] (un quarto di dodici) «con Gesù», quasi a rappresentare le madri d’Israele – Sara (Rm 4,19; Rm 9,9; Eb 11,11; 1Pt 3,6), Rebecca (Rm 9,10), Rachele (Mt 2,18) –. L’imperativo «ricordatevi» (Lc 24,6c) riguarda le donne «galilee» in maniera del tutto particolare. I due messaggeri [angeli] ingiungono alle donne di ricordarsi la profezia di Gesù sulla sua morte-risurrezione che egli aveva fatto proprio a loro, nella Galilea. I riscontri letterari conducono alle predizioni fatte ai Dodici in particolare, e ai discepoli in generale (Lc 18,31-34; Lc 9,22). Per Luca dunque le donne erano presenti in entrambi i gruppi.
Altre seguaci galilee sono probabilmente la suocera di Simon Pietro che «li serviva» (Lc 4,39); Maria di (= moglie di) Giacomo [il piccolo cf. Mc 15,40] e «le rimanenti con esse» (Lc 24,10), definite dai «due di tra essi» (Lc 24,13) «alcune donne di tra noi» (Lc 24,22). Nella redazione lucana il villaggio di Marta e Maria è anonimo (Lc 10,38). Vuole Luca forse annoverare tra le donne «galilee» anche le due sorelle discepole?
Quanto ai fratelli-parenti possiamo pensare a Giacomo[9] consanguineo di Gesù (Mt 13,55; Mc 6,3; Gal 1,19), a Maria di (= moglie di) Joses (Mc 15,47), a Cleofa (Lc 24,18), verosimilmente il Clopa giovanneo (Gv 19,25) e ad altri della famiglia di Maria e/o di Giuseppe, non nomini esplicitamente da Luca.
Tra i non-Galilei possiamo annoverare i padroni di casa: «l’intera casa» (At 2,2) ed altri. Tra gli apostoli pentecostali – come mi piace chiamarli – vanno certamente annoverati Barnaba, Giovanni evangelista (distinto dal figlio di Zebedeo), che ho definito «ultimo dei prestigiosi Presbiteri di Gerusalemme, discepolo del Signore Gesù»[10], l’ex-cieco nato giovanneo (Gv 9,7.38), Maria di Magdala; Andronico e Giunia, e infine lo stesso Saulo-Paolo. Egli sembra voler fornire un identikit degli apostoli della prima generazione in due contesti diversi di autodifesa del suo essere apostolo: essere liberi (non schiavi), aver veduto Gesù il Signore risorto, essere ingaggiati da Lui e pere Lui, essere Ebrei (ossia di lingua ebraica), di stirpe israelitica, discendenti di Abramo (1Cor 9,1-2; 2Cor 11,22-23).
Quanto ad essere «testimoni» della risurrezione di Gesù e alla «missione» post-pentecostale, per motivi di spazio rimando al mio studio indicato nella Bibliografia.

Conclusione
Possiamo vedere un’analogia nella presentazione lucana di due eventi originari: l’inizio apostolico-profetico di Gesù e l’inizio apostolico-profetico della chiesa. Detto diversamente, «Gesù di Nazaret, come Dio lo unse di Spirito Santo e potenza» (At 10,37-38; At 4,27; Lc 4,18) e l’essere battezzati in Spirito Santo e fuoco dei discepoli (Lc 3,16) per essere apostoli-profeti-testimoni del Risorto. Per il primo evento Luca cita esplicitamente Isaia (Lc 4,18 = Is 61,1-2). Per il secondo Luca cita esplicitamente Gioele: «profeteranno i vostri figli e le vostre figlie [...] i miei servi e le mie serve» (At 2,17-18 = Gl 3,1-2). Non si può inoltre negare la vicinanza impressionante di Is 6,5-8 ad At 2,3-4. Alla luce di questi passi profetici e ad un’attenta rilettura del racconto lucano sulla Pentecoste emerge l’inclusività di tre titoli carismatico-ministeriali, nel senso che ne furono investiti uomini e donne presenti, i «tutti» di At 1,15, intimamente legati al Maestro e rappresentativi di tutta la chiesa di allora e di adesso. Nella comunità pentecostale non viene sminuito il ruolo dei Dodici ma si allarga la cerchia degli apostoli e dei testimoni, con caratteristiche ben precise. I presenti, donne e uomini, ricevono dallo Spirito una lingua purificata dal fuoco divino per essere inviati a rendere testimonianza al/del Signore Gesù; sono cioè costituiti apostoli-profeti-testimoni pentecostali della sua risurrezione.
Aver rappresentato per secoli pittoricamente l’evento della Pentecoste come se riguardasse soltanto «gli Undici»/«i Dodici» e Maria la Madre di Gesù, con lo Spirito Santo discendente come una colomba, è dunque un duplice falso esegetico e teologico, perché secondo la narrazione lucana le persone presenti erano in numero maggiore e di «colomba» non c’è l’ombra. Se c’era Maria, c’erano anche gli altri «tutti»!
Possiamo allora chiederci come mai attraverso i secoli i carismi ministeriali ri-divennero sempre più esclusivi, riservati cioè al genere maschile. Mentre l’inclusività del titolo di «profeta» non ha creato problema perché si trova al femminile sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento, l’inclusività dei titoli ministeriali di apostoli e testimoni ha rappresentato un tabù nella chiesa dei secoli successivi a quello delle origini, forse per un fenomeno di normalizzazione restaurata. La comunità originaria, nonostante i condizionamenti culturali di diversa natura, fece uno sforzo enorme sotto l’azione dello Spirito Santo, assecondando una precisa volontà del Signore risorto.
Insieme a Luca, anche Giovanni, alla sua maniera, narra della promessa e dell’effusione dello Spirito Santo. Parafrasando Gv 14,26 con Gv 16,13 e Gv 20,22: il Consolatore, lo Spirito Santo, ripresentò alla memoria dei discepoli quanto il Signore aveva detto. Egli, «lo Spirito della Verità» ossia lo Spirito di Gesù rivelatore introdusse i discepoli ad una ulteriore verità che prima non erano neppure in grado di sopportare, dopo che il Signore risorto «alitò e disse loro ricevete Spirito Santo». Nel «discorso del congedo», quando Gesù prega non soltanto per «questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in» lui (Gv 17,20), chiede al Padre «che tutti siano una cosa sola come Noi» (Gv 17,11.21.22.23). In questa preghiera del Gesù giovanneo possiamo tranquillamente collocare anche, e forse prima di tutto, l’istanza dell’unità tra discepole e discepoli.

Maria-Luisa Rigato

Sommario
È giunto il tempo di comprendere finalmente e semplicemente tutti gli appellativi ministeriali del Nuovo Testamento in maniera inclusiva, ossia donne e uomini inclusi. Senza nulla togliere all’importanza dei «Dodici» apostoli, da tutta la narrazione lucana sulla Pentecoste (At 2,1-13, ­ messa anche a confronto con Is 6,5-8) ­ emerge che «gli altri» non costituiscono una cornice decorativa per i «Dodici», ma «tutti» i presenti, donne e uomini, ricevono dallo Spirito Santo una lingua purificata dal fuoco divino per essere inviati a rendere testimonianza per Gesù il Signore: tutti diventanoapostoli-profeti-testimonidella sua risurrezione.

NOTA BIBLIOGRAFICA
Cf. M.-L. Rigato, Il valore inclusivo di Pantes nella narrazione dell’evento di Pentecoste in Luca (At 2,3-4). Apostoli-Testimoni pentecostali, in «Rivista Biblica» 48 (2000), pp. 129-150, con molte note e ampia bibliografia. Collegato al precedente: Id., L’evento della Pentecoste secondo At 2,3-4 alla luce di Is 6,5-8, in «Rivista Biblica» 48 (2000), fasc. 4 [in fase di stampa]; Id., Maria di Nazaret di stirpe levitica sacerdotale, in «Theotokos. Ricerche interdisciplinari di Mariologia», 8 (2000), pp. 275-304.
[1] Altri appellativi dello Spirito Santo nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli: «Potenza da(ll’) alto» (Lc 24,49); «il Dono di Dio» (At 8,20); «il Dono dello Spirito Santo» (At 10,45); «Dio ha dato il Dono» (At 11,17); «il Consolatore» che Gesù «manderà» (Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,7).
[2] Vorrei sintetizzare la fase della rivendicazione con le parole che nel suo delizioso volumetto L. Padovese, Piccoli dialoghi fra santi di marmo, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1999, mette sulle labbra di Tecla: «Proprio guardando a Gesù, al discepolo prediletto, e al mio grande maestro Paolo io dico che noi donne dobbiamo rivendicare il passato cristiano come passato appartenente anche a noi, non soltanto come un passato maschile cui le donne partecipavano solo ai margini, oppure non facevano nulla. Cristo ci ha liberati dalla situazione di emarginazione e di inferiorità in cui la cultura mediterranea, patricentrica e maschilista, ci vorrebbe lasciare. L’intensità del nostro amare ha fatto di noi donne libere, vere discepole del Maestro!» (p. 48).
[3] È questa la professione di fede più concentrata. Nei Vangeli troviamo generalmente il titolo «Signore» senza il nome di Gesù, fatta eccezione per Mc 16,19 «il Signore Gesù» e Lc 24,3 «il corpo del Signore Gesù». Negli Atti degli Apostoli è uno dei titoli preferiti: «il Signore Gesù» (At 1,21; At 4,33; At 6,59; At 8,16; At 9,17; At 11,20; At 15,11; At 16,31; At 19,5.13.17; At 20,21 + «nostro» At 24.35; At 21,13), tre volte accompagnato da «Cristo» (At 11,17; At 15,26 + «nostro»; At 28,31). È presente in tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento.
[4] Lc 6,13: «Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e avendo scelto da essi Dodici li denominò anche apostoli». Questa traduzione del testo greco («e» con «anche») dal punto di vista grammaticale è del tutto plausibile e s’impone per via del versetto successivo: «Simone il quale denominò anche Pietro» (Lc 6,14). Se questo è vero, Luca fin dalla prima ricorrenza di «apostoli» nel suo vangelo farebbe intuire che «i Dodici» erano, sì, apostoli, ma non i soli apostoli., come emerge anche da altri passi del Nuovo Testamento.
[5] Rimando per questo al nostro articolo: Il valore inclusivo di Pantes nella narrazione dell’evento di Pentecoste in Luca (At 2,3-4). Apostoli-Testimoni pentecostali, in «Rivista Biblica» 48 (2000), pp. 129-150 (qui: pp. 134-141).
[6] Secondo 1Cor 15,5: «Cristo [...] apparve a Cefa indi ai Dodici». La tradizione ha incluso fin dal principio Mattia tra i Dodici.
[7] Grammaticalmente è possibile riferire «li servivano con i loro beni» soltanto alle «molte altre», senza includere il gruppo delle donne citate per nome.
[8] Gli evangelisti menzionano per nome al massimo tre donne alla volta (Mt 27,56; Mc 15,40; Mc 16,1; Lc 8,3; Lc 24,10).
[9] Per Giacomo rimandiamo al nostro articolo: Maria di Nazaret di stirpe levitica sacerdotale, in «Theotokos. Ricerche interdisciplinari di Mariologia», 8 (2000), pp. 275-304.
[10] Per Giovanni rimandiamo al nostro articolo: Maria di Nazaret di stirpe…, cit., excursus finale.

Publié dans:BIBBIA, biblica, Santi Evangelisti |on 19 août, 2013 |Pas de commentaires »

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