Archive pour le 9 août, 2013

San Lorenzo, Quirinale, Roma

San Lorenzo, Quirinale, Roma dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=21350&pic=21350AL.JPG&dispsize=Original&start=0

Publié dans:immagini sacre |on 9 août, 2013 |Pas de commentaires »

10 AGOSTO: SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=127844

10 AGOSTO: SAN LORENZO, DIACONO E MARTIRE

Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati.

          “Il persecutore chiede a Lorenzo le ricchezze della Chiesa. Il diacono gli risponde mostrandogli l’immensa folla dei cristiani nella povertà”. Vi sono stati nella storia della Chiesa parole ed attitudini di grandezza e di bellezza, custoditi con pietà dalla Tradizione cristiana e citati nel corso dei secoli come particolarmente caratteristici della linea autentica del Vangelo e della Testimonianza Cristiana.
          La risposta di San Lorenzo al suo persecutore avido d’impossessarsi dei beni della Chiesa gestiti dal santo diacono Lorenzo (morto nel 258), è uno di questi gesti. Egli si limita “a mostrare la folla imponente dei cristiani poveri”. Lorenzo era nato in Spagna nel 230. Egli è il diacono che sfidò il giudice pagano e morì martire tre giorni dopo il suo papa, Sisto II. La leggenda vuole che sia stato sottoposto al terribile supplizio della graticola. Con lui trovarono la morte anche sei dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Lorenzo era arrivato dalla Spagna a Roma ed il Papa gli aveva affidato l’assistenza di tutti i poveri della comunità cristiana. Dopo il martirio del Papa, intuendo ciò che stava per accadere contro di lui, aveva distribuito ai poveri tutti gli averi della Chiesa che l’imperatore Valeriano esigeva come tributi. L’imperatore pensava che la Chiesa fosse molto ricca perché vedeva che i cristiani in tempi di crisi alimentare non soffrivano; in realtà questo avveniva semplicemente perché tra i primi cristiani che avevano preso sul serio la loro fede e non erano tiepidi esisteva piena condivisione e reciproca assistenza.
          Lorenzo era il tesoriere della comunità, per questo le guardie imperiali si infuriarono quando,  irrompendo nel cimitero di San Callisto per arrestare e uccidere Sisto II e i suoi sette diaconi non trovarono l’arcidiacono Lorenzo. Quando anche Lorenzo venne catturato, il prefetto Cornelio intima a Lorenzo di consegnargli il “ tesoro” della Chiesa. Lorenzo rispose domandando al prefetto di concedergli qualche giorno per fare l’inventario e consegnargli tutto. Poco tempo dopo, Lorenzo si presentò al prefetto accompagnato da una schiera di mendicanti che indicò come i veri “tesori” della Chiesa, ai quali erano finiti i denari. Consegnato ai suoi aguzzini nella notte tra il nove ed il dieci agosto venne bruciato vivo!
          Occorre confessare che il dialogo tra il mondo e la Chiesa, tra il pagano di vita ed il vero cristiano rassomiglia spesso al colloquio che opponeva Lorenzo al suo giudice Cornelio.
   “Noi non parliamo la stessa lingua”, diceva recentemente un uomo importante rappresentante d’un   neo-paganesimo moderno ad uno dei suoi colleghi invece fedele al pensiero del Vangelo.
          È vero. La povertà è una situazione da cui si allontana spesso e come più  può l’uomo senza fede. La povertà è oggetto di disprezzo per il mondano orgoglioso ed assetato di piacere e di tutti i beni di questo mondo. La povertà è una fonte di privazione di cui il cristiano può e deve far virtù. Orientati i suoi sforzi verso altri beni superiori che possono anche fargli rinunciare ad una vita  più facile. Senza dubbio, se egli è impegnato nel sostegno d’una famiglia, è un diritto ed un dovere per lui di assicurarle un piano di vita economico convenevole. L’ascensione sociale, la promozione economica non sono opposte allo spirito del Vangelo. Quello che il Vangelo richiede è che il danaro sia sempre considerato come un servitore dell’uomo e non come il suo padrone, è che i più perfetti, anche nella ricchezza materiale custodiscono al fondo di se stessi “un’anima da povero”, capace di misurare al loro giusto e reale valore i beni di questo mondo e le ricchezze eterne imperiture.
          Queste riflessioni sono ispirate  naturalmente da questo   santo diacono Lorenzo. Egli aveva capito l’insegnamento di Betlemme, del laboratorio di Nazareth, della vita apostolica e povera di Cristo in Giudea ed in Galilea.
     Senza dubbio, la povertà  è dovuta a molte cause, alcune molto onorevoli, altre meno, di cui certe possono essere talvolta collegate a dei vizi o a delle colpe disastrose. Non sempre è così, occorre ben dirlo!
          La verità, è che il fatto brutale della povertà pone una rassomiglianza grande tra l’uomo e Cristo, che la tradizione cristiana ha sempre amato e servito i poveri e che il disprezzo o l’oblio del povero sono un’offesa a Cristo  mentre  l’esaltazione della povertà, la sua designazione di San Lorenzo come una delle ricchezze spirituali della Chiesa è una testimonianza della fedeltà cristiana al  Salvatore.
          Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
          Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa. Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
          Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: « Ecco, i tesori della Chiesa sono questi ».
          Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: « Bruciato sopra una graticola »: un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

Publié dans:Santi, santi martiri |on 9 août, 2013 |Pas de commentaires »

11 AGOSTO 2013 | 19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C : LECTIO DIVINA SU: LC 12,32-48

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/19-Domenica-2013_C/19-Domenica-2013_C-JB.html

11 AGOSTO 2013  | 19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA SU: LC 12,32-48

Rivolgendosi ai suoi discepoli. Gesù continua l’esortazione che aveva iniziato, rivolgendosi alla gente. Quando uno sconosciuto venne a chiedergli il suo aiuto perché suo fratello gli desse la sua parte dell’eredità che gli spettava, Gesù rifiutò di mediare nella disputa; però approfittò dell’occasione per avvertire sulla minaccia di lasciarsi possedere dai beni che si posseggono o di non poter vivere perché non si hanno i beni che si vorrebbero. Tanto esigente sembrò essere la sua posizione che Gesù si vide obbligato a continuare il suo insegnamento: nell’intento di spiegarsi meglio, restrinse il suo uditorio, ma non sminuì la gravità dell’avvertenza e neppure il livello delle esigenze. Il Gesù che ci ricorda il Vangelo di oggi, può risultarci tanto radicale come poco pratico. Però non dobbiamo dimenticare che le sue parole sono ‘pensate’ per quelli che lo seguono. Chi non è sordo, si fa suo discepolo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
« Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Vendete quello che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, e un tesoro sicuro nei cieli, dove i ladri non si avvicinano né tignola mangia. Perché dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore. Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lampade accese. Faste come coloro che sono in attesa del padrone quando torna dalle nozze, per aprire appena arriva e chiama.
Beati quei servi che il padrone al suo arrivo troverà ancora svegli, vi assicuro che si cingerà le sue vesti, li farà sedere a tavola e li servirà. E, se arriva la sera tardi o la mattina presto e li troverà così, beati loro. Capite che se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Lo stesso è per voi, siate pronti, perché nell’ora che non pensate il Figlio dell’uomo verrà ».
Pietro chiese: « Signore, tu hai detto questa parabola per noi o anche per tutti? »
Il Signore rispose: « Chi è quell’amministratore fedele e premuroso che il padrone ha messo a capo della sua servitù, per distribuire loro la razione dovuta? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo posto. Vi assicuro che lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se il servo pensa, ‘Il mio padrone tarda a venire « e comincia a battere gli altri servi, a mangiare a bere e ubriacarsi, venuto il padrone di quel servo, nel giorno e nell’ora che meno se lo aspetti lo solleverà dal suo incarico e lo condannerà alla pena di coloro che non sono fedeli.
Il servo che, conoscendo ciò che il suo padrone vuole e non è disposto a metterlo in pratica riceverà molte percosse ma chi non conosce ciò che vuole il suo padrone, e fa qualcosa degno di percosse, ne riceverà poche.
A chi molto è dato, molto sarà chiesto, a chi molto è stato affidato, sarà richiesto molto di più ».

 1. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FACENDO ATTENZIONE A COME LO DICE
Il discorso che fa ai discepoli come uditori esclusivi, non è un’unità tematica. Riunisce due motivi un poco diversi: inizia completando l’insegnamento di Gesù sopra l’attitudine di completo affidamento a Dio che deve caratterizzare i suoi discepoli in questo mondo e, in concreto, la sua relazione con i beni della terra, per passare direttamente ad esortarli a vivere nello stato di permanente vigilanza ed avvertirli contro il desiderio di possedere beni effimeri. Gesù passa ora ad esortare a vivere aspettando il Signore che sta per arrivare. Così il disinteresse verso i beni non è semplice disaffezione o disprezzo, ma prova di speranza e volontà di servizio al Signore che sta per arrivare.
Nella prima parte del discorso, Gesù anima solamente i discepoli a vivere liberati dei beni. E lo fa con un doppio argomento: non bisogna temere di perdere quello che si possiede, perché Dio ha concesso più di quanto si possa desiderare; il regno promesso rende insignificante quanto si conseguito o quanto si potrebbe conseguire; l’esortazione termina con un criterio; quello che realmente importa è quello che riempie il nostro cuore: o il regno o i beni. Il secondo argomento ha la formula di una parabola, due delle tre nel nostro testo, che introduce il motivo dell’attesa del Signore; se atteso e ben accolto, il Signore che arriva nel cuore della notte si porrà a servire immediatamente i suoi servi! Afferma Gesù con sorprendente logica nella prima. Però, come afferma nella seconda, la sua venuta deve essere sempre attesa, perché non si può prevedere quando arriverà. Come appunto il ladro!
La seconda parte del discorso è la risposta alla domanda di Pietro. Gesù spiega il ‘senso’ della parabola narrando l’altra. Bisogna considerare che, in questa non si parla di ‘servi’ in generale, ma di uno solo, l’amministratore; la responsabilità davanti al Signore che deve arrivare non ricade sopra la comunità dei ‘servi’, ma sopra il loro leader. La fedeltà e sapienza del buon servo sta nel suo lavoro costante e sulla sua costante disponibilità nel rendere conto della sua amministrazione; e sarebbe meglio non contare su possibili ritardi del suo Signore…, sarebbe la sua perdizione.

 2. MEDITARE: APPLICARE ALLA VITA QUELLO CHE DICE IL TESTO!
I discepoli di Gesù, per insignificanti che siano o che siano considerati così dagli altri, non devono temere nulla dal mondo: hanno il futuro di Dio nelle loro mani. Tale è la promessa di Gesù. Il saperlo li libera dall’affanno di accumulare beni che non hanno futuro per essere tutti del loro Signore, il loro unico Bene. Aspettarlo renderà sopportabile il vivere nella carenza dei beni o senza accumularli. Così ci chiede Gesù: liberi dalle cose e liberi dai timori, perché il Padre ha tenuto bene darci il massimo, il suo regno; prima di chiedere rinunce Dio ha concesso il suo proprio patrimonio, e lo ha fatto ‘con piacere’, godendo della sua generosità, per alimentare la nostra. Solamente meritano di essere posseduti i beni che non appaiono, né possono essere sottratti. Il nostro cuore merita solamente Dio, l’unico tesoro per il quale si può perdere tutto il resto.
L’attesa non ha limiti, non perché il Signore non arriva, ma perché non si sa quando arriva. La vigilia deve essere paziente, durerà tanto come l’assenza del Signore. Quando ritorna il Signore che sta per arrivare, premierà non il servo che possiede più cose ma chi è più attento nell’attesa. Vegliare è la forma di servire il Signore assente. E per mantenersi svegli è, imprescindibile, mantenersi liberi di quanto si possiede. La povertà, di risorse o di qualità, alimenta maggiormente l’attesa del Signore, un Signore che quando arriva, si metterà a servire quanti non si saranno stancati di attenderlo. Non è quello che si ha, ma quanto si aspetta, la cosa che ci farà degni del nostro Signore. L’unico bene che non possiamo perdere, è l’unico che oggi dobbiamo proteggere, è quello che non è ancora arrivato, l’atteso Signore. Attendendolo, può il servo, assicura Gesù, trasformare il suo Signore nel suo attento servo: mettere Dio al nostro servizio è la ricompensa del servo speranzoso, che sostiene le sue necessità e i tempi di assenza senza perdere la speranza di incontrarsi un giorno col suo generoso Signore.
Gesù non svela quando pensa di arrivare, come un ladro, arriverà il Signore senza che si possa prevedere la sua irruzione e poter prevenire l’assalto. Fino a che non arriva dura il tempo del servizio. Il servo è veramente servo se aspetta il suo Signore. Attendere Cristo è il modo di servirlo!
Di Pietro, tra tutti quelli che è stato messo a capo dei suoi servi, il Signore chiede fedeltà a lui e sollecitudine con gli altri. Al domestico, buon amministratore, se lo trova servendo gli altri e distribuendo i pasti al tempo opportuno, darà i beni del suo Signore. Il Signore non tiene i beni per sé e il suo amministratore gli è fedele, quando li divide. Tutto quello che teniamo, lo abbiamo in amministrazione per servire coloro che non hanno nulla; la fedeltà al Signore che ancora non possediamo non si può quantificare nel mantenere quello che ha messo nelle nostre mani, ma nel metterlo a disposizione di coloro che hanno meno. E non dobbiamo sentirci padroni dei beni, solamente perché li possediamo, mentre il vero Signore non è ancora giunto. Anche se non è ancora tra noi ci ha lasciato la sua volontà il suo incarico: rispettare quello che vuole è l’unica forma degna di venerare il Signore che sta per arrivare. La sua volontà lo rappresenta: il servo che sa quello che il suo padrone chiede e non lo fa, sarà castigato: non è un Signore assente, è un Signore esigente; bisogna temere il Signore al quale non si ubbidisce.
L’ultima affermazione di Gesù, proverbiale, è logica nella sua prima parte: a chi molto ha dato, molto esigerà; non tanto nella seconda: a chi molto ha affidato, esigerà di più. Più prezioso tra i beni ricevuti è la fiducia che il Signore ha posto in noi dandoceli. Di fatto, i beni dati non sono che la prova della fiducia che ci ha dimostrato. Dei doni risponderemo con parità secondo quello che abbiamo ricevuto; la fiducia che ci chiederà è più di quella che ha messo in noi: la fiducia che Dio deposita nei suoi, deve accrescere la fiducia dei suoi in Lui.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31