L’ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO – INCAMMINIAMOCI SU QUESTA STRADA CON IL VANGELO A NOSTRA GUIDA
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L’ATTUALITÀ DELLA REGOLA DI S. BENEDETTO
INCAMMINIAMOCI SU QUESTA STRADA CON IL VANGELO A NOSTRA GUIDA
Estratto dal libro « Alla ricerca di Dio – La strada di S. Benedetto » di Esther de Waal, edito a cura della Comunità monastica benedettina di S. Giovanni Evangelista – Lecce
Il mondo in cui San Benedetto nacque era turbato, lacerato, diviso, insicuro e la Chiesa era travagliata così come le istituzioni civili. Era un mondo senza punti di riferimento. Aveva questo in comune con il ventesimo secolo. La vita era una pressante lotta per rendersi conto di quello che accadeva. La caduta di Roma nel 410 d.C., settant’anni prima della nascita di San Benedetto, era stata uno shock traumatico per l’intero mondo civile, e da allora le invasioni di successive orde barbariche avevano cominciato a smembrare l’impero. A metà secolo gli Unni stavano devastando l’Italia settentrionale e Roma era stata saccheggiata una seconda volta. Anche la Chiesa era lacerata al suo interno, non solo afflitta da guerre e disordini politici, ma divisa teologicamente, specialmente sulla questione della grazia, che era la questione maggiore del quinto secolo. I cristiani avranno dovuto certamente guardare indietro con nostalgia all’epoca dei Padri e si saranno chiesti se mai di nuovo la Chiesa avrebbe prodotto un Sant’ Agostino ed una Città di Dio per mantenere la promessa di pace, di ordine e di luce in un contesto che invece sembrava precipitare rapidamente nel caos. Proprio in questa situazione apparve l’uomo che costruì un’arca che sarebbe sopravvissuta al temporale che s’annunciava, un’arca non fatta da mani d’uomo nella quale sarebbero potuti entrare a due a due i valori umani ed eterni, da conservare finché le acque non si fossero placate, un’arca inoltre che avrebbe superato non solo quel secolo inquieto, ma i successivi quindici secoli e che ha ancora oggi la capacità di portare molti in porto, incolumi. Il costruttore di quell’arca è essenzialmente conosciuto da noi attraverso il suo manoscritto, la Regola.
San Benedetto si rivolge ai suoi ascoltatori dapprima come a reclute per l’armata, poi, come a lavoratori nell’officina di Dio,quindi, come a pellegrini sulla strada, ed infine, come a discepoli nella scuola. Ognuno di noi deve ascoltare la chiamata in modi diversi; una cosa avremo in comune: il messaggio deve essere ascoltato ora; ci dobbiamo risvegliare, ci dobbiamo scuotere dalla nostra apatia.
La Regola indaga sulle scelte che viviamo e considera alcune delle questioni più basilari, che noi tutti dobbiamo affrontare. Come crescere e realizzare noi stessi? Dove possiamo trovare la guarigione per maturare in pienezza? Come stabilire relazioni con quelli che sono intorno a noi? Con il mondo naturale? Con Dio? Se pensiamo a tutte le alienazioni che dobbiamo risolvere ed eliminare, a quelle alienazioni che troviamo nel racconto della caduta nella Genesi: alienazioni l’uno dall’altro, dalla natura, da Dio stesso, scopriamo che tutte hanno il loro punto di partenza in noi stessi. Così le parole familiari al mondo occidentale come radici, appartenenza, comunità, realizzazione, condivisione, spazio, ascolto, silenzio, che ascoltiamo spesso in conferenze, incontri, sermoni, discussioni, sono anche le parole-chiave della Regola. Per amare ed essere amati, per realizzarci come uomini, abbiamo bisogno di ritrovare il senso, il significato delle cose; abbiamo bisogno di un luogo cui appartenere, e non semplicemente in senso geografico; abbiamo bisogno della libertà, ma anche dell’autorità. La Regola conosce molto bene il paradosso secondo cui tutti abbiamo bisogno di stare sia nella piazza dei mercato che nel deserto; ci uniamo in un’adorazione comune, ma vogliamo anche poter pregare da soli; sentiamo vitale l’impegno della stabilità, ma anche l’apertura al cambiamento. Qui non c’è evasione dalla complessità della vita; e, ancora, il paradosso con cui termina il Prologo è che il cammino verso Dio sembra qualcosa di modesto, di agevole, mentre nello stesso tempo richiede un impegno totale. Sono esigenze, queste, di estrema semplicità, che però costano molto.
Ognuno di noi ha bisogno di aiuto, se deve affrontare la realtà, se deve scegliere la strada di Dio come creatura completa ed integra. Non c’è niente di inconsueto in quella chiamata del Prologo, niente di nuovo. E’ saggezza antica, ma è anche contemporanea. E’ un richiamo al barlume divino di ciascuno, mai estinto del tutto, ma bisognoso di riaccensione. In un’epoca di estrema complessità, uomini e donne cercano ancora più disperatamente una luce, poiché senza di essa non c’è speranza. Ecco perché la Regola di San Benedetto parla ad ognuno di noi, risponde ad un bisogno profondo.
I significati di restrizione, di misura, di controllo, persino di burocrazia, che ha oggi la parola regola, non incoraggiano, comunque, la maggior parte di noi a guardare con entusiasmo a una guida, a una simile via. Neanche la modesta valutazione di San Benedetto, secondo il quale essa non è nulla di più che una « piccola regola per principianti » ci rassicura. L’ordinamento di San Benedetto non è né un libro di decreti, né un codice. Non impone, ma indica una via. E’ un testo creativo, che armonizza l’affermazione dell’essenziale con l’elasticità delle sue forme di applicazione pratica. Nei quindici secoli passati, uomini e donne che vivevano fuori della vita monastica benedettina ritornavano ad essa, come fosse una primavera, considerandola come la causa dei loro rinnovamento personale e della loro riforma comunitaria, trovandola ancora rilevante, appropriata, ispiratrice. Così anche coloro che tra noi vivono fuori del monastero, se, nelle diverse situazioni della vita, la lasceranno parlare, scopriranno che essa risponde ai loro bisogni con la sua saggezza immediata, pratica e viva.
Mai San Benedetto dice di essere interessato ad incoraggiare persone singolari a compiere imprese eccezionali. I suoi monaci sono gente comune ed egli li condurrà per strade che sono accessibili a persone normali. Ripetutamente la Regola tiene in debito conto la debolezza umana. Infatti l’importanza di ciò che è ordinario è uno dei grandi principí-guida della Regola, uno dei principi che « rende possibile a gente comune vivere una vita dal valore assolutamente straordinario », come si esprime il cardinale Basil Hume.
Ripetutamente la Regola riconosce la debolezza umana: « Nell’istituire questi precetti, speriamo di non stabilire niente di duro, niente di penoso » (RB Prol 46). L’essenza dell’insegnamento benedettino è condensata in una piccola frase di Thomas Merton, scritta nel 1945, proprio all’inizio della sua vita monastica, nell’abbazia cistercense del Gethsemani nel Kentucky, quando sostenne che «l’impegno nel fare tutto ciò che è ordinario con calma e nel modo più perfetto per la gloria di Dio è il bello dell’autentica vita benedettina ».
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