LE DONNE NEL VANGELO DI MARCO

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LE DONNE NEL VANGELO DI MARCO

Marco attribuisce un discreto spazio alle donne nel corso del suo Vangelo. Si può dire che quasi tutte costituiscano dei modelli positivi, se si escludono le figure di Erodiade e della figlia, nemiche mortali di Giovanni Battista e causa diretta della sua morte (6,17-29). Non si può dire invece che sia un personaggio del tutto negativo la serva del sommo sacerdote che riconosce e smaschera Pietro, mentre egli cerca di mimetizzarsi nel cortile durante il processo di Gesù nel sinedrio (14,66-69): con il suo spirito di osservazione e la sua insistente denuncia, costringe Pietro a prendere coscienza della sua debolezza umana e, arrivato all’estremo del rinnegamento, a pentirsi.
È significativo che la prima, esemplare, giornata di Gesù, che si svolge a Cafarnao, contempli, accanto all’esorcismo su un uomo ossesso incontrato in una sinagoga, la guarigione di una donna, la suocera di Simone, affetta da una febbre perniciosa e costretta a letto. Il racconto non si limita a descrivere il gesto potente di Gesù che le restituisce la vita, prendendola per mano e facendola alzare, ma presenta la donna guarita nell’atto di “servire” Gesù e i suoi primi discepoli (1,31): il termine non allude semplicemente ad un compito domestico, ma acquista una risonanza ben più profonda alla luce dell’insegnamento successivo di Gesù, il quale mostrerà che proprio il “servire” è lo scopo della sua missione e lo stile di comportamento adatto ai suoi seguaci (10,42-45).
Questa donna si comporta dunque da discepola ideale: liberata dal male, come tutti quelli che incontrano Gesù, si mette senza indugio e umilmente al suo servizio, adempiendo la volontà di Gesù, con la quale si trova, senza saperlo, subito in sintonia. In questo, la suocera di Pietro segna l’inizio di una sequela femminile che, come Marco dirà esplicitamente soltanto alla fine, incomincia appunto in Galilea per merito di un gruppo di donne che già a partire di là “lo seguivano e lo servivano” (15,41), anche se non si può pensare che lei abbia seguito Gesù nei suoi spostamenti.
Una delle caratteristiche delle figure femminili positive, quasi tutte anonime, presentate da Marco è soprattutto quella di essere esemplari nell’agire. In due casi Gesù approva espressamente il loro fare bene e ne trae motivo di insegnamento per altri. È il caso della vedova povera che, pur versando nella cassa del tempio appena due monetine, viene anteposta ai tanti ricchi che davano molto, ma traendolo dal loro superfluo, mentre lei, come dice Gesù ai discepoli, “aveva dato tutto quello che aveva, tutti i suoi mezzi di sussistenza” (12,44).
È il caso della donna di Betania che, durante un banchetto, entra misteriosamente e versa sul capo di Gesù un intero vasetto di profumo costosissimo: di fronte alle critiche di alcuni benpensanti presenti, scandalizzati dallo spreco e rammaricati del fatto che tutto quel denaro non fosse stato speso per i poveri, Gesù la difende con energia affermando che ella “aveva compiuto nei suoi confronti una buona azione”, “aveva fatto quanto poteva”, e preannuncia che, sempre e dovunque sia predicato il vangelo, “ciò che essa ha fatto sarà raccontato in memoria di lei” (14,3-9).
Anche queste donne si dimostrano simili a Gesù stesso: il “dare tutto quello che aveva” della vedova povera evoca il “dare la propria vita” di Gesù (10, 45) e quel “compiere una buona azione” della donna di Betania ricorda l’esclamazione della folla a commento della guarigione miracolosa del sordomuto: “ha fatto bene ogni cosa” (7,37).
Si potrebbe notare che le donne non sono in genere presentate intente a parlare, diversamente dai discepoli maschi. Ma non c’è, dietro a questo, il pregiudizio, pur così comune nel mondo antico, che impone alla donna virtuosa il silenzio e la riservatezza. Ci sono in effetti anche donne che parlano, e anche il loro parlare viene lodato.
La donna che soffriva da dodici anni di emorragie croniche e che furtivamente, toccando il mantello a Gesù, gli strappa il miracolo della guarigione, spinta dalla domanda di lui che vuole sapere chi lo abbia toccato, si fa avanti e risponde francamente. Il suo comportamento viene lodato da Gesù, perché essa è “consapevole” di ciò che le è capitato – cosa di cui non tutti i personaggi del Vangelo, neppure i discepoli, si dimostrano sempre capaci –, si getta ai piedi di lui in atto di adorazione e dice “tutta la verità” (5,33): cosa non da poco, se si pensa che nel Vangelo la “verità” è attribuita in genere soltanto a Gesù (12,14.32).
Soltanto una donna si caratterizza per una battuta riportata direttamente, e ne riceve un grande elogio: è la sirofenicia, una pagana, l’unica persona che riesce, appunto con le sue parole, a indurre Gesù a recedere dallo strano rifiuto di compiere un miracolo a favore della figlioletta. Gesù aveva detto: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”; lei pronta ribatte: “Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli”, provocando un ammirato consenso: “Per questa parola va’, il demonio è uscito da tua figlia” (7,27-29).
Può apparire ambiguo l’episodio finale relativo alle donne che, dopo essere state presenti, uniche rappresentanti dei discepoli, alla morte e alla sepoltura, vanno alla tomba per ungere con aromi il cadavere di Gesù, ma, dopo aver ascoltato l’angelo che annuncia la risurrezione e comanda di portare ai discepoli la promessa del ritorno di Gesù in Galilea alla loro guida, fuggono piene di paura, senza dire niente a nessuno (16,1-8). Sembrano venir meno al compito, così importante, loro affidato; eppure, è presupposto che il messaggio in qualche modo sia stato trasmesso. In questa forma sconcertante forse l’evangelista vuole soprattutto sottolineare una sorta di impotenza, propria di ogni essere umano, anche del migliore, a capire ed accettare il mistero della passione e risurrezione.

 Prof. Clementina Mazzucco

Publié dans : BIBBIA, Bibbia - Nuovo Testamento |le 9 juillet, 2013 |Pas de Commentaires »

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