ISAIA 49,13-17: UN AMORE MATERNO (TAIZÉ)
http://www.taize.fr/it_article172.html?date=2008-07-01
TAIZÉ COMMENTI BIBLICI ALLE LETTURE
ISAIA 49,13-17: UN AMORE MATERNO
Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri. Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me. I tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te. (Isaia 49,13-17)
Sembra che Dio abbia dimenticato il suo popolo. In questo momento sono in esilio a Babilonia, abbattuti, nostalgici, depressi. Sion, la loro città natale è così lontana, essa è disertata e in rovina.
Questa esperienza storica, fatta dal popolo di Dio in un dato momento, può gettare una luce su delle esperienze simili che ogni gruppo o ogni individuo può conoscere; la preghiera, se ancora sussiste, diventa un lamento: «Dio mi ha dimenticato».
Per bocca del profeta, Dio risponde a questo lamento con grande forza e infinita dolcezza. Supporre che Dio ci dimentica, è ingannarci pesantemente. Dio si paragona a una madre (le immagini bibliche di Dio non sono unicamente maschili) la cui preoccupazione per il suo bambino non viene mai meno: le attenzioni di Dio sono ancora più fedeli. In un’altra immagine, Dio ha inciso il nome del suo popolo non su qualche monumento esterno, ma sul palmo della sua mano, da cui non può separarsi. Lo stato delle mura della città, in rovina, non significa che Dio sia assente o che non si occupi di essa: no, il popolo gli è sempre presente, sarà ricostruito e ritornerà alla vita.
L’annuncio che il profeta fa dell’amore proveniente da Dio trasforma già la situazione, ancor prima del ritorno concreto dall’esilio; è una buona novella, la cui gioia deborda già dai contorni del popolo di Dio, sulla montagne, sulla terra, in tutto l’universo.
Quali esperienze ho conosciuto, come individuo o in gruppo, del sentimento d’essere dimenticato da Dio?
In queste situazioni, che fare per dire a Dio che vorrei accogliere il suo amore, anche se non posso ancora percepirlo?
Che cosa fare per aiutare coloro che si sentono alienati o «in esilio» a cogliere questo amore che trasforma?

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