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CARLO MARIA MARTINI
NON SPRECATE PAROLE
ESERCIZI SPIRITUALI CON IL PADRE NOSTRO
I MEDITAZIONE
I contesti evangelici del Padre Nostro
La prima meditazione che vi propongo sarà piuttosto breve, direi introduttiva e anche un po’ esegetica, formale, pur restando valido quanto abbiamo detto. La dividerò in tre parti.
Una prima parte di lectio, dove ci fermeremo sui versetti di Lc 11 e di Mt 6 riferiti al Padre Nostro.
Poi una seconda parte di meditatio, in cui proporrò qualche riflessione sintetica sui contesti del Padre Nostro, sull’occasione in cui viene insegnato. Per concludere con una contemplatio nella quale vorrei mettere a fuoco quali atteggiamenti ci sono suggeriti per questi giorni dai brani evangelici.
Sappiamo che i vangeli in cui il Padre Nostro è riportato sono due. E c’è da stupirsi, perché vorremmo che fossero tre, vorremmo che pure in Marco ci fosse il Padre Nostro. Gli esegeti discutono se non l’ha riferito perché non lo conosceva oppure perché non era preoccupato di tramandare tutte le parole di Gesù.
Il Padre Nostro nel vangelo di Luca
Leggiamo anzitutto Lc 11. Il contesto in cui il Padre Nostro viene insegnato si situa durante il viaggio di Gesù a Gerusalemme che inizia in 9,51, quindi già abbastanza avanti nella sua biografia. Ricordiamo che a Gerusalemme c’è una tradizione, testimoniata dalla basilica del Pater noster, secondo cui la preghiera sarebbe stata insegnata là, sul monte degli Ulivi, verso la fine della vita di Gesù. In ogni caso, per Luca l’insegnamento del Padre Nostro è tardivo.
- «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare» (11, 1a). Questo è avvenuto molte volte nella vita di Gesù: per esempio la notte precedente la scelta dei dodici apostoli (cf Lc 6, 12); la notte seguente la moltiplicazione dei pani, sempre presso il lago («Salì sul monte, solo, a pregare» – Mt 14,23); la mattina dell’inizio del suo ministero a Cafarnao, quando si alza presto e va in un luogo appartato a pregare («Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» – Mc 1,35); al Getsemani, sul Tabor e in altre circostanze ancora.
- E proprio in una di queste occasioni, «quando ebbe finito» – nessuno ha voluto interromperlo, vedendolo molto raccolto e concentrato – «uno dei discepoli gli disse: « Signore, insegnaci a pregare »» (11, 1b).
È interessante che la domanda sia posta da uno dei discepoli, non da tutti e non da un discepolo qualificato come Pietro o Giacomo o Giovanni. Egli esprime il desiderio comune, che gli altri non osavano manifestare.
- E continua: «Come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (11,1c). Noi non sappiamo nulla della preghiera insegnata dal Battista ai suoi discepoli, ma è probabile che egli, come avveniva nella comunità di Qumran, desse indicazioni in proposito. Qui comunque si suppone che il Battista insegnava a pregare.
Non è facile capire che cosa il discepolo chiedeva veramente. Potremmo rivolgerci a lui e domandargli: spiegaci che cosa volevi. Volevi che Gesù ti insegnasse con quale contenuto bisogna pregare? Lo si dedurrebbe dalla risposta; e tuttavia ci stupisce, perché di contenuti gli Ebrei ne avevano già tanti, basti pensare all’immensa ricchezza dei salmi. Oppure la tua domanda era sul modo di pregare, quel modo che Gesù indica in Mt 6, 6: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto»?
Era dunque sull’atteggiamento esteriore: in ginocchio, con gli occhi chiusi, in un luogo appartato?
Oppure era sull’atteggiamento interiore, che sviluppa distesamente Luca quando raccomanda la perseveranza dell’ orazione (11,5-8) e afferma: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete» (v. 9)?
Quale delle tre ipotesi interpreta la richiesta del discepolo? Probabilmente tutte e tre. In ogni caso Gesù prende la domanda come riferita al contenuto.
- «Ed egli disse loro: « Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, / venga il tuo Regno; / dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, / e perdonaci i nostri peccati, / perché anche noi perdoniamo ogni nostro debitore, / e non ci indurre in tentazione» (11,2-4).
L’istruzione viene poi prolungata nel riferimento all’ atteggiamento interiore con cui pregare, piuttosto ampio mentre la preghiera è di per sé brevissima – tre versetti, cinque domande espresse in modo lapidario.
Cerchiamo di capire le parole di Gesù.
- Comincia da un esempio concreto: «Poi aggiunse: « Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti, e se quegli dall’ interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzèrà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza »» (vv. 5-8). È un esempio concreto più lungo del Padre Nostro.
Gesù passa quindi all’esortazione diretta, triplice: «Ebbene, io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (vv. 9-10).
E ancora un esempio molto incisivo: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?» (vv. 11-12).
Infine la conclusione: «Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono!» (v. 13). È interessante che non sia ripresa nessuna delle domande del Padre Nostro, ma si parla dello Spirito santo. Forse per questo una variante di manoscritti molto antichi aggiunge, dopo la richiesta del pane quotidiano: «Il tuo Spirito santo venga su di noi e ci purifichi».
Gesù inizia da un contesto concreto, dalla sua preghiera, e risponde a una domanda, prima con un contenuto, poi esplicando a lungo gli atteggiamenti di perseveranza instancabile nell’ orazione. Atteggiamenti di perseveranza che saranno ripresi anche altrove nel vangelo secondo Luca, come nella parabola del giudice iniquo e della vedova importuna: «Disse loro una parabola stilla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: « C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi. E il Signore soggiunse: Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? »» (18,1-8). È questo l’atteggiamento di cui Gesù sottolinea l’importanza.
Il Padre Nostro nel vangelo di Matteo
Il contesto matteano del Padre Nostro si colloca nel quadro del Discorso della montagna, che comprende i capitoli da 5 a 7 del vangelo.
Dopo le antitesi del c. 5, Gesù passa, nel c. 6, a descrivere tre atti di culto, di religione: elemosina, preghiera e digiuno. Di ciascuno insiste che non vanno compiuti per essere visti dagli uomini. In tale contesto, a proposito del secondo atto di culto, è inserito il Padre Nostro.
- Anche in questo caso la descrizione è assai ampia. Dapprima Gesù stigmatizza la preghiera per così dire dei religiosi ipocriti del suo popolo: «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini». Segue il giudizio negativo: «In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa» (6,5); a dire: ciò che hanno fatto non serve a niente.
In un secondo momento sottolinea l’atteggiamento positivo: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (v. 6).
È un’istruzione anzitutto sull’atteggiamento esteriore, e successivamente interiore, della preghiera: nel silenzio, nel raccoglimento, nel nascondimento.
- Riprende quindi l’esortazione riferendosi ai pagani: «Pregando, poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole» (v. 7). Accenna probabilmente alle monotone invocazioni nei templi che venivano recitate all’infinito. Ricordo di aver visto in qualche rappresentazione o in qualche film, e anche visitando monasteri o templi orientali, la ruota della preghiera che viene girata ininterrottamente, così che l’invocazione sia sempre ripetuta davanti a Dio.
«Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (v. 8). Viene perciò criticata la preghiera che pretende di far conoscere a Dio ciò di cui abbiamo bisogno. Notiamo che c’è una certa tensione rispetto al passo di Luca che affermava: insistete nella preghiera. Gesù ammonisce: non pensate che la vostra insistenza sia magica.
- Proprio in tale contesto insegna il Padre Nostra «Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli / sia santificato il tuo nome; / venga il tuo Regno; / sia fatta la tua volontà, / come in cielo così in terra. / Dacci oggi il nostro pane quotidiano, / e rimetti a noi i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori, / e non ci indurre in tentazione, / ma liberaci dal male» (vv. 9-13). Preghiera più lunga di quella di Luca che comprende due domande più tre; in Matteo sono tre più tre e addirittura, secondo alcuni, se si calcola l’ultima sdoppiandola, sono tre più quattro cioè sette.
Gesù continua parafrasando la penultima richiesta: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (vv. 14-15).
Qualche osservazione esegetica
Passando al momento della meditatio, possiamo domandarci: quale dei due contesti è il più originario? Quale delle due formule la più antica?
- Gli esegeti ritengono – penso con buone ragioni- che il contesto lucano è il più antico: non siamo all’inizio dell’attività pubblica, in un primo discorso programmatico, ma forse già un po’ avanti nel ministero. E si tratta di un’occasione concreta, la preghiera di Gesù, immersa nell’ esperienza vissuta. In Matteo invece l’insegnamento sembra inserito all’interno di un discorso: «Non sprecate parole… ma dite così» (cf 6,7-9).
Riteniamo perciò più probabile il contesto di Luca, pur se la questione non disturba molto l’esegesi.
Anche sull’ antichità della formula si è discusso: è più antica la formula breve o la formula lunga?
Oggi ci si accorda su una specie di compromesso: è più antica la formula breve di Luca, ma è più originaria la formula matteana; Matteo ha parole più arcaiche, Luca ha il contenuto più antico.
Noi useremo dell’una e dell’altra delle formule; mi è sembrato tuttavia utile introdurvi alla complessità della ricerca.
- Gli esegeti fanno inoltre notare che la preghiera in Luca è la terza di tre pericopi successive: la parabola del samaritano – la carità – (10, 29-37); il dialogo con Marta e Maria – l’ascolto della Parola – (10,38-42); la preghiera del Padre Nostro (11,1-4). Quasi a mettere in luce che carità, ascolto della Parola e preghiera sono inscindibili.
- Nel Padre Nostro di Matteo c’è poi una peculiarità interessante. Un’ analisi attenta mostra infatti che il Padre Nostro sta esattamente al centro del Discorso della montagna.
È un insegnamento per noi, perché siamo ammoniti che il Discorso della montagna non lo vive se non chi prega.
Indicazioni per la preghiera
In conclusione, vi suggerisco qualche applicazione per la preghiera personale.
Tutti noi, come il discepolo inno minato, abbiamo detto tante volte: «Signore, insegnaci a pregare!». Che cosa chiedevamo?
- Penso che molta gente, quando pone tale domanda, non di rado desidera anzitutto raggiungere quell’unità interiore, quel raccoglimento, quel possesso di sé, quella gioia di tenersi bene in mano che è caratteristica di una preghiera profonda. Si tratta di atteggiamenti positivi e utili, ma siamo ancora nell’ambito di una preghiera psicologica, tesa a ottenere alcuni benefici: imparare a essere calmo, tranquillo, raccolto, pacificato, coordinato, senza una sarabanda di pensieri che mi frulla per la testa . Di fatto coloro che si dedicano alle pratiche yoga o zen imparano simili cose: il raccoglimento, il dimenticare tutto, l’astrarsi dal mondo esteriore, il concentrarsi su un unico punto, magari sul nulla, l’eliminare ogni pensiero per vivere nella calma più assoluta.
Forse noi pure abbiamo bisogno di tali atteggiamenti per pregare bene. Ci vuole un minimo di concentrazione e unità, proprio perché la preghiera è anche salute psicologica.
- Noi vogliamo tuttavia chiedere a Gesù di insegnarci a pregare nello Spirito, soprattutto di insegnarci la disposizione interiore e quali siano le richieste da presentare.
Spesso quando iniziò la preghiera apro il testo della lettera ai Romani, là dove si dice che nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare (cf 8,26a) e dico: Signore, vedi che non so pregare. Però tu hai promesso lo Spirito in aiuto alla mia debolezza e lo Spirito intercede per me «con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (8, 26b-27).
Quindi per me, per noi imparare a pregare vuol dire imparare ad affidarci allo Spirito che ci muove a recitare il Padre Nostro, fino a raggiungere quel bellissimo stato d’animo su cui ho meditato molte volte, in tanti momenti della mia vita: «Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,19-20).
- Oltre a questa disposizione fondamentale di abbandono allo Spirito, per il cammino degli esercizi, vorrei suggerirne qualche altra che Gesù ha messo in luce.
Abbiamo visto che ne ha evidenziate soprattutto quattro: il nascondimento, la sobrietà delle parole, la perseveranza e la fiducia filiale.
Pregando davanti a Dio, ognuno può scegliere quale di questi atteggiamenti gli è più necessario.
Certamente è necessaria la fiducia filiale: il Padre non mi lascerà mancare il pane quotidiano quando glielo chiedo.
Altrettanto necessaria è la perseveranza: in questi giorni proveremo fatica, caldo, sonno, nervosismo, aridità. Donaci, Signore, di perseverare!
E naturalmente abbiamo bisogno del nascondimento, perché gli esercizi sono la preghiera nascosta per eccellenza, sconosciuta al mondo e conosciuta solo da Dio.
Abbiamo inoltre bisogno di una certa sobrietà, che consiste non tanto nel pregare poco, bensì nell’imparare una preghiera distesa, non nervosa, che non cerca di forzare Dio, ma si affida amabilmente a Lui.