Archive pour le 24 mai, 2013

Holy Trinity by Luca Rossetti da Orta, Fresco, 1738-9, St. Gaudenzio Church at Ivrea, Torino

Holy Trinity by Luca Rossetti da Orta, Fresco, 1738-9, St. Gaudenzio Church at Ivrea, Torino dans immagini sacre luca_rossetti_trinita_chiesa_san_gaudenzio_ivrea

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DOMENICA: SS. TRINITÀ – LECTIO DIVINA: GV 16,12-15

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26 MAGGIO 2013  | 8A DOMENICA: SS. TRINITÀ – T. ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA: GV 16,12-15

Dopo aver celebrato i misteri centrali della nostra fede, torniamo al tempo ordinario, durante il quale accompagneremo Gesù, come fecero i suoi discepoli un giorno per le terre della Galilea, ascoltando dalla sua bocca la predicazione del regno e assistendo ai miracoli che operano le sue mani. Si presenta così a noi una nuova opportunità per imparare pian piano da Gesù e per lasciarci guarire dalle nostre infermità, mentre sappiamo di camminare nella vita al suo fianco e seguendo le sue orme. Ma prima di iniziare questo cammino, la Chiesa oggi ci invita a concentrare la nostra attenzione – e speriamo anche i nostri cuori! – solo in Dio, e contemplare il suo mistero più intimo, il suo essere un unico Dio in tre persone distinte.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
12 « Molte cose ho ancora da dire a voi, ma non siete capaci di portarne il peso, ora.
13 Quando però verrà lo Spirito di verità, vi guiderà alla verità tutta intera. Perché quello che vi dirà non sarà suo: ma parlerà di quello che avrà udito e vi annunzierà le cose a venire.
14 Egli mi glorificherà, perché riceverà da me ciò che vi comunicherà.
15 Tutto ciò che il Padre possiede è mio. Per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà ».

 1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il testo, parte molto breve di un lungo discorso d’addio (Gv 13-17), annuncia la venuta dello Spirito e la missione che compie con il suo arrivo: parlare, comunicare, guidare verso la verità. Gesù annuncia la sua partenza: li lascerà soli e senza capire tutto, ma si impegna a inviare loro il suo Spirito, il Paraclito, che sarà per loro maestro e guida. Allo Spirito è assegnato il compito della rivelazione. C’è stato un tempo – il tempo in cui hanno convissuto con Gesù – che non è stato sufficiente per assumere tutta la conoscenza di Dio; Gesù stesso lo ammette. Ci sarà un tempo, il tempo dello Spirito, nel quale, comunicando ciò che deve ancora venire, guiderà fino alla verità; è la promessa di Gesù. Gesù, pur avendo parlato di tutto quello che aveva udito dal Padre (Gv 15,15), avrebbe voluto dare di più di quello che ha rivelato: lo Spirito supplirà a questa mancanza (Gv 16,12).
Lo Spirito non compete, allora, con Gesù, completa la sua opera; inaugurando il tempo della perfetta conoscenza delle parole di Gesù, guiderà la comunità verso la verità piena. Parlare, ascoltare e annunciare sono i tre verbi che specificano l’azione dello Spirito; la sua azione è, quindi, analoga a quella del Figlio: parlerà di quanto ha ascoltato e annuncerà ciò che deve venire.
L’arrivo dello Spirito non annunzia la fine della storia, si tratta di un nuovo stadio, che viene delimitato dalla partenza di Gesù fino al suo ritorno definitivo. Nel frattempo, la comunità avrà nello Spirito la migliore garanzia di una corretta lettura della propria storia, che si dovrà lasciar giudicare alla luce della predicazione di Gesù continuata dal Paraclito. Né l’uno né l’altro sono origine della rivelazione che entrambi, in tempi e modi diversi, comunicano. Non si tratta solo di parole, o di semplice conoscenza, ma della vita e di ciò che possiede perché tutto ciò che egli possedeva è proprietà del Padre e tutto ciò che comunica lo Spirito è proprietà del Figlio; di questa comunità è ricettore lo Spirito e conoscitrice, e quindi garante, la comunità (Gv 16,15).
La rivelazione, del Figlio e dello Spirito, implica Dio personalmente e ‘spiega’ il suo triplice rapporto personale. Il Padre è all’origine, è colui che ha tutto ciò che si riferisce al Figlio. Quanto manifesta lo Spirito lo ha ascoltato e lo ha preso dal Figlio; né più, né meno. La gloria del Figlio è nel comunicare ciò che lo Spirito ha imparato da lui. La salvezza è vista qui come una rivelazione del Figlio; e il Dio Uno e Trino, totalmente immerso e differenziato in questo caso: nella manifestazione di Cristo è coinvolto il Padre, il Figlio e lo Spirito.

 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!
Prima di lasciare i suoi, Gesù promette loro di inviare il suo Spirito. Dietro le sue parole c’è il presentimento dell’esperienza del discepolo che soffre per l’assenza fisica del suo Signore, un’esperienza che caratterizza la sua esistenza attuale. Ma nel discorso si afferma anche la convinzione di non essere rimasto del tutto senza protezione: lo Spirito che verrà continuerà l’opera e l’insegnamento di Gesù. Egli deve continuare a parlare, dove Gesù ha scelto di rimanere in silenzio, farà conoscere ciò che hanno solo intravisto; renderà sopportabili le richieste di Gesù e la sua assenza; aprendoli alla sua verità, li guiderà verso di essa. Lo Spirito continua l’opera di Gesù: Egli è il viatico e la guida, compagno di viaggio e capo della Chiesa fino a quando il Signore ritornerà. Chi soffre, in qualsiasi forma, per qualsiasi motivo, la lontananza di Cristo, può dedicarsi a vivere sotto la protezione dello Spirito di Dio. Non è parca la promessa.
Di fronte al mistero, ogni mistero, all’uomo non resta che l’accettazione o il rifiuto. Mistero è, per definizione, qualcosa che può essere affermato o negato, ma che in nessun caso ci svelerà il suo segreto; non si capta l’esistenza del mistero quando lo si capisce, poiché comprenderlo sarebbe come negarlo; c’è un altro modo onesto di stare davanti al mistero che rispettarlo e ammirarlo; stupirsi e rimanere sopraffatto è l’unico modo, legittimamente umano, di reagire dinanzi ad esso. A chi lo contempla, il mistero lo attira, se si presume che racchiuda qualche beneficio, o lo terrorizza, quando avverte che minaccia la propria esistenza. Ebbene, il credente non ha maggiore mistero da contemplare che il proprio Dio: per quanto sicuro sia di Lui, non potrà mai svelarlo; anche se non ha dubbi circa la sua realtà, non riuscirà mai a chiarire come sia, in realtà, il suo Dio; senza diventare un enigma irrisolvibile, per il credente Dio è sempre una domanda senza risposta, una provocazione sempre aperta. Da quello che Gesù ci ha lasciato detto, ci sono cose che non sono sopportabili …, senza lo Spirito. Per l’orfano dello Spirito, il vangelo diventa insopportabile. Che cosa posso dire di me? Trovo cose in Gesù che non riesco a portare? Sarebbe un’occasione per accettare che ci sono cose di Gesù che ancora ho adattato e riconoscerlo potrebbe essere un modo di camminare con lo Spirito.
Senza rivelare il mistero intimo di Dio, Gesù ha rivelato come lui ha voluto essere Dio per noi. La sua parola e la sua vita ci hanno parlato di un Dio che ci ha amato tanto, in tre modi diversi: come Padre, pensando a noi quando non esisteva nulla e dandoci un posto nel suo cuore, prima di farci opera delle sue mani; come Figlio, facendosi a nostra immagine, vivendo come uno di noi e morendo per noi tutti; come Spirito, scendendo su di noi come soffio divino e rimanendo con noi, mentre, a tentoni e, a volte smarriti, camminiamo verso Dio. Parlando di questo Dio, Trinità per il triplice amore che ci ha mostrato, Gesù non ci ha chiarito il mistero di Dio; lo ha fatto, se possibile, tre volte più misterioso; ma con esso ha scoperto la sua più intima natura, qualcosa che non avremmo neanche sospettato: Dio non è un mistero, ma tre, Dio non è una persona, ma una comunità, una famiglia. Così, almeno, ha voluto essere per noi.
Così noi cristiani abbiamo a nostra disposizione non solo un Dio buono, ma – mi si perdoni l’espressione – tutto un trio di dei; per non mancarci, Dio si è moltiplicato; per dimostrare meglio il suo amore, Dio ci si è mostrato Padre, Figlio e Spirito. Perderemmo il tempo, e Dio, se ci impegniamo a capire le ragioni che Dio ha avuto di amarci tanto; ma se ci lasciamo amare da questo Dio Trino, apprezzeremo la fantasia e le risorse che Dio ha sperperato per amarci in modo tanto personale come diverso, tanto reale come divino; conosceremo meglio il nostro Dio, quanto più ci riconosciamo amati da Lui: chi sa che la sua indole è l’Amore, chi si sente profondamente amato da Dio, penetra in profondità l’essere di Dio; vive il suo mistero, senza la necessità di comprenderlo: si sa amato dal suo Dio, senza doverlo capire, compreso da Lui, ma libero di capirlo. Non abbiamo il diritto di lamentarci di Dio, non abbiamo motivo alcuno di pensare che non si interessa a noi, se per curarsi meglio di noi si è ‘moltiplicato per tre’.
Gesù stesso ce lo assicura nel Vangelo di oggi. Prima di lasciare i suoi nel mondo, ha promesso loro il suo Spirito; poteva farlo, perché tutto quello che aveva, lo aveva ricevuto dal Padre: ci ha dato quello che aveva da Dio Padre. Il suo Spirito lo avrebbe supplito, come lui aveva supplito Dio, mentre era con loro. Tutto ciò che non aveva potuto dire loro, quando parlava con loro, lo avrebbe detto ora lo Spirito. Anche se assente, Gesù non ha abbandonato i suoi: donandoci il suo Spirito ci ha dato un insegnante migliore di lui, che sarà sempre con noi, ovunque siamo, ogni volta che ci rendiamo conto che vive dentro di noi; dove andiamo ci precederà come nostra guida, se ci lasciamo condurre da lui; ci farà ricordare Gesù, quando ogni cosa intorno a noi si sforza di dimenticarlo, e ci renderà più sopportabili le sue esigenze, perché ci infonderà la forza necessaria per viverle.
Lo spirito che animò Gesù in vita, quel respiro che aveva ricevuto dal Padre, ce lo ha lasciato a quanti sentiamo la sua mancanza e ci manteniamo fedeli alla sua volontà. Gesù, volendo rimanere con noi quando doveva tornare al Padre, ci ha lasciato il meglio di se stesso, quello che aveva ricevuto da Dio, il suo stesso Spirito. Il discepolo di Gesù che oggi è discepolo del Suo Spirito impara a conoscere non solo la volontà di Dio, ma soprattutto quanto Dio lo ha amato. Vivere dello Spirito di Gesù è vivere il triplice amore che Dio ha per noi e che ci mantiene in lui; avere un tale Dio e portare la sua impronta sul nostro cuore è alla nostra portata; basterebbe vivere dello Spirito che Gesù ci ha lasciato.
Perché Gesù non solo ci ha parlato di un Dio personale che ci ama per tre volte, in tre modi diversi; Gesù ha messo a nostra disposizione la prova di questo Amore di Dio: il suo Spirito è tutto ciò che Dio ci ha lasciato, in modo che, lasciandoci guidare da lui, ci conduca a Dio. Ci servirebbe ben poco confessare oggi che Dio è uno e trino, se non giungessimo a sentirci amati da Lui; non può interessarci sapere che in Dio vi sono tre persone distinte, se non riusciamo a saperle interessate a noi, tutte e tre, e in tre modi diversi. Non vale a niente credere in Dio, Padre, Figlio e Spirito, se non ci crediamo figli, fratelli e templi di questo Dio Trino.
Dobbiamo quindi prendere sul serio la trinità di Dio, che noi celebriamo oggi: sorprendiamoci di avere un Dio che, per esserci vicino, è riuscito a essere tre persone diverse nel suo agire, ma uniche nel loro amore. Credere oggi nella Trinità di Dio significa sapersi amati da Dio tre volte: questa è la ragione della nostra celebrazione di oggi; potremmo farla diventare un motivo di perenne rendimento di grazie a Dio. Chi può dire di avere un Dio così? Chi, se non noi, può vantarsi di un Dio che ama tanto? Allora cerchiamo di vivere accettando il mistero di Dio e godendo del suo amore. Sicuramente ci guadagneremo. Manifestare Cristo è compito di Dio Trino. Riceverlo in noi è il modo di ricevere Dio. Accettare Cristo nella nostra vita vuol dire relazionarci con un Dio che è, Padre, Figlio e Spirito. Possiamo sperare di più?

 JUAN JOSE BARTOLOME

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OMELIA PER LA SOLENNITÀ DELLA SS. TRINITÀ

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/28878.html

OMELIA (26-05-2013)

MONS. VINCENZO PAGLIA

COMMENTO SU PROVERBI 8,22-31; SALMO 8; ROMANI 5,1-5; GIOVANNI 16,12-15

INTRODUZIONE

Il giorno di Pentecoste Gesù comunica se stesso ai discepoli per mezzo dell’effusione dello Spirito Santo. La piena rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo si ha nel mistero della Pasqua, quando Gesù dona la vita per amore dei suoi discepoli. Bisognava che questi sperimentassero innanzitutto il supremo dono dell’amore compiuto da Gesù per comprendere la realtà di Dio Amore che dona tutto se stesso. Egli, oltre a perdonare i peccati e a riconciliare l’uomo con sé, lo chiama ad una comunione piena di vita (« In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi »: Gv 14,20); gli rivela la ricchezza dei suoi doni e della speranza della gloria futura (Ef 1,17-20); li chiama ad una vita di santità e di donazione nell’amore al prossimo (« Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati »: Gv 15,12). Anch’essi sull’esempio del loro maestro sono chiamati a dare la vita per i fratelli (« Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici »: Gv 15,13). Per ora essi sono incapaci di accogliere e accettare tali realtà. Lo Spirito Santo farà entrare nel cuore degli apostoli l’amore di Cristo crocifisso e risuscitato per loro, li consacrerà a lui in una vita di santità e d’amore, li voterà alla salvezza delle anime. Non saranno più essi a vivere, ma Gesù in loro (cf. Gal 2,20). Ogni cristiano nel corso del suo cammino è chiamato ad arrendersi all’amore e allo Spirito di Cristo crocifisso e risorto. Oggi è il giorno della decisione.

Omelia
Nel Vangelo, tratto dai discorsi di addio di Gesù, si profilano sullo sfondo tre misteriosi soggetti, inestricabilmente uniti tra loro. « Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi condurrà alla verità tutta intera…Tutto quello che il Padre possiede è mio [del Figlio!]« . Riflettendo su questi e altri testi dello stesso tenore, la Chiesa è giunta alla sua fede nel Dio uno e trino.
Molti dicono: ma cos’è questo rebus di tre che sono uno e di uno che sono tre? Non sarebbe più semplice credere in un Dio unico, punto e basta, come fanno gli ebrei e i musulmani? La risposta è semplice. La Chiesa crede nella Trinità, non perché prenda gusto a complicare le cose, ma perché questa verità le è stata rivelata da Cristo. La difficoltà di comprendere il mistero della Trinità è un argomento a favore, non contro la sua verità. Nessun uomo, lasciato a se stesso, avrebbe mai escogitato un tale mistero.
Dopo che il mistero ci è stato rivelato, intuiamo che, se Dio esiste, non può che essere così: uno e trino allo stesso tempo. Non può esserci amore se non tra due o più persone; se dunque « Dio è amore », ci deve essere in lui uno che ama, uno che è amato e l’amore che li unisce. I cristiani sono anch’essi monoteisti; credono in un Dio che è unico, ma non solitario. Chi amerebbe Dio se fosse assolutamente solo? Forse se stesso? Ma allora il suo non sarebbe amore, ma egoismo, o narcisismo.
Vorrei cogliere il grande e formidabile insegnamento di vita che ci viene dalla Trinità. Questo mistero è l’affermazione massima che si può essere uguali e diversi: uguali per dignità e diversi per caratteristiche. E non è, questa, la cosa che abbiamo più urgente bisogno di imparare, per vivere bene in questo mondo? Che si può essere, cioè, diversi per colore della pelle, cultura, sesso, razza e religione, eppure godere di pari dignità, come persone umane?
Questo insegnamento trova il suo primo e più naturale campo di applicazione nella famiglia. La famiglia dovrebbe essere un riflesso terreno della Trinità. Essa è fatta da persone diverse per sesso (uomo e donna) e per età (genitori e figli), con tutte le conseguenze che derivano da queste diversità: diversi sentimenti, diverse attitudini e gusti. Il successo di un matrimonio e di una famiglia dipende dalla misura con cui questa diversità saprà tendere a una superiore unità: unità di amore, di intenti, di collaborazione.
Non è vero che un uomo e una donna debbano essere per forza affini per temperamento e doti; che, per andare d’accordo, debbano essere o tutti e due allegri, vivaci, estroversi e istintivi, o tutti e due introversi, quieti, riflessivi. Sappiamo anzi quali conseguenze negative possono derivare, già sul piano fisico, da matrimoni fatti tra parenti, all’interno di una cerchia ristretta. Marito e moglie non devono essere uno « la dolce metà » dell’altro, nel senso di due metà perfettamente uguali, come una mela tagliata in due, ma nel senso che ognuno è la metà mancante dell’altro e il complemento dell’altro. Questo intendeva Dio quando disse: « Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto simile a lui » (Gn 2,18). Tutto questo suppone lo sforzo per accettare la diversità dell’altro, che è per noi la cosa più difficile e in cui solo i più maturi riescono.
Vediamo anche da questo come sia errato considerare la Trinità un mistero remoto dalla vita, da lasciare alla speculazione dei teologi. Al contrario, esso è un mistero vicinissimo. Il motivo è molto semplice: noi siamo stati creati a immagine del Dio uno e trino, ne portiamo l’impronta e siamo chiamati a realizzare la stessa sublime sintesi di unità e diversità.

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