Archive pour le 21 mai, 2013

The Holy Trinity

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FEDELTÀ ALLE PICCOLE COSE – DIVO BARSOTTI (5 febbraio 1956)

http://www.figlididio.it/meditazioni/index.htm

FEDELTÀ ALLE PICCOLE COSE

DIVO BARSOTTI

(5 febbraio 1956)

Se leggiamo il Vangelo non vediamo che Gesù obbedisca a un regolamento. Egli vive in una piena, in una pura libertà la sua vita divina. Anche per noi sarà così quando avremo raggiunto la perfezione. Per noi sarà così quando saremo in Paradiso, perché la perfezione non la si raggiunge che in Paradiso.
La nostra vita soprannaturale è imperfetta non soltanto per i peccati che commettiamo, per le abitudini contratte, per l’incapacità della nostra volontà a rimaner ferma, decisa, forte in tutte le situazioni in cui viene a trovarsi; anche se noi fossimo del tutto liberi dal peccato e dalle imperfezioni volontarie, non sarebbe sufficiente perché ci potessimo liberare senza danno da ogni regolamento, per poterci esimere dalla fedeltà a una certa regola di vita. Non sono soltanto le imperfezioni morali quelle da cui dobbiamo guardarci; nella nostra vita spirituale dobbiamo tener conto anche delle imperfezioni e delle debolezze della stessa natura umana.
L’uomo, così com’è, oggi di fatto non può essere sempre desto, non può, non è capace di vivere una vita di continua tensione che importi una piena e continua coscienza di quello che fa e una piena deliberazione nel suo agire. La massima parte dei nostri atti sono atti « remissi », come dice la teologia, cioè, in parole povere, fatti nel dormiveglia. Noi crediamo di non dormire mai, e praticamente, invece, non siamo mai svegli. In tutta la nostra giornata sono centinaia di migliaia gli atti che compiamo, sia interni che esterni: sentimenti che si susseguono, volizioni, velleità, volontà più o meno chiare ed esplicite, pensieri, impressioni… Ma quanti di questi atti sono pienamente volontari, pienamente coscienti? Quanti? Pochissimi, forse nessuno. Passano dei giorni in cui non abbiamo emesso nemmeno un atto pienamente libero e cosciente che impegni tutte le nostre potenze spirituali. Viviamo così…, un po’ per abitudine. Ci lasciamo un po’ condurre dalle cose, influenzare dall’ambiente, portare dagli avvenimenti. Siamo portati a rimorchio. Certo, se l’ambiente, se l’atmosfera in cui viviamo… urtassero troppo i nostri sentimenti cristiani o le nostre abitudini comuni, insorgerebbe allora immediatamente la coscienza e anche si imporrebbe un atto di volontà. Ma la nostra vita è talmente tranquilla! Sappiamo bene quello che dobbiamo fare ogni giorno: dobbiamo visitare gli stessi ambienti, avere a che fare con le stesse persone, compiere le stesse cose… Così non siamo mai urtati da avvenimenti esteriori in tal modo da essere richiamati violentemente e drammaticamente ad assumere il controllo pieno dei nostri atti. Si vive così… un po’ alla buona. E non è mica male: è una difesa del nostro organismo, della nostra vita, questo agire così fiaccamente, questo essere portati un poco dalle cose. Anche gli uomini dalla volontà più potente, più creativa, più originale, nella massima parte della loro giornata sono portati. Napoleone era un grandissimo uomo, ma forse doveva dipendere dal suo cameriere per quello che riguardava il mettersi il colletto o l’allacciarsi le scarpe.
È così. È inevitabile che sia così. Siamo degli esseri tanto delicati! L’uomo è anche più delicato dell’animale: l’equilibrio fra l’anima e lo spirito è talmente sottile che basterebbe una tensione troppo viva a consumarci in poco tempo. O si impazzisce o si muore. Abbiamo bisogno di una certa distensione. Ma se abbiamo bisogno di una certa distensione, e perciò di atti remissi, si impone che questi atti remissi siano precisamente secondo quell’impegno che noi abbiamo preso, che cioè la massima parte della nostra vita non contrasti, non venga in urto con l’impegno che ci siamo assunto: la nostra vita di abitudini, la nostra vita ordinata, regolata e dall’ambiente e dai rapporti e dal lavoro continuo e dalle abitudini contratte, deve essere tale da non ostacolare il nostro cammino a Dio, ma piuttosto di favorirlo.
La santità non consiste nelle abitudini, nella regola, nel vivere in un certo ambiente. Mica io sono santo perché vivo chiuso in una cella, in un eremo; mica son santo perché non vedo nessuno, perché mi alzo alle tre di notte e vado in cappella per quattro ore del giorno e poi mangio soltanto l’erba e non tocco mai carne. Mica son santo per questo! Ma, indubbiamente, queste cose che a un certo punto della mia vita non pesano più perché diventano abitudine, così come diventa pesante per il certosino trovarsi in mezzo alla gente, ebbene, tutte queste cose favoriscono il mio impegno religioso. Se io non vivo un impegno religioso, indubbiamente non sono queste pratiche che mi fanno santo; ma se io vivo un impegno e non rimango fedele a una regola di vita, e non vivo in una certa atmosfera che lo favorisca, praticamente il mio impegno è un fuoco di paglia. Lì per lì ci sembra di toccare il cielo con un dito, crediamo di raggiungere in pochi giorni la santità, e dopo tre settimane ci accorgiamo che siamo gli stessi, tali e quali, con le stesse reazioni e con gli stessi attaccamenti di prima a noi stessi, al mondo, alle nostre imperfezioni, ai nostri peccati.
Bisogna che noi siamo fedeli a certe pratiche; bisogna riconoscere l’importanza che esse hanno. La fedeltà alle piccole pratiche serve a creare delle abitudini che, se non favoriscono, almeno non ostacolano la vita religiosa, non creano una mentalità che contrasti con l’impegno religioso assunto. Rendiamocene conto: noi possiamo essere dei bravissimi cristiani. Se si legge il giornale tutti i giorni, senza rendercene conto acquistiamo la mentalità di chi lo scrive; se andiamo nei salotti, magari a far dell’apostolato, praticamente si diventa dei pettegoli anche noi. In un primo tempo non ce ne accorgiamo; cerchiamo di non mancare alla carità, anzi, facciamo dei discorsi buoni; ma piano piano subiamo l’influenza dell’ambiente, siamo portati alla deriva e diventiamo anche noi come gli altri.
Certe rinunzie non hanno soltanto il valore di una mortificazione, hanno il valore invece di creare delle possibilità all’anima, o piuttosto di togliere all’anima gli ostacoli che impediscono l’adempimento del suo impegno. Nostro Signore poteva andare anche nei salotti, e ci andava, ma Gesù non fu mai passivo di fronte alle cose; noi, invece, siamo sempre più o meno passivi anche di fronte alle cose, e ne subiamo l’influenza. Subiamo l’influenza del sacerdote che ci parla, ma anche del cameriere che ci serve, dei libri che leggiamo, dei discorsi che ascoltiamo, dell’ambiente che frequentiamo. Sentiamo l’influenza di tutte le cose e non ce ne rendiamo conto.
La fedeltà a certe pratiche ha grande importanza: prima di tutto, ci immunizza di fronte ad altre abitudini che potremmo contrarre e che ostacolerebbero la nostra vita religiosa. Se non siamo fedeli a un regolamento, si contraggono ugualmente delle abitudini e, perché abitudini, non si contraggono in forza di un impegno religioso, ma in forza di un consenso ai nostri istinti, magari alla nostra pigrizia.
La fedeltà al regolamento ci sostiene, bisogna mantenerci fedeli. Ci ordina. Non soltanto un regolamento riguardo all’orario, ma anche riguardo ai luoghi, alle occupazioni, ecc. Io debbo proibirmi di andare in certi luoghi; la mia cella deve essere il luogo del mio lavoro; i miei rapporti debbono essere con le tali persone. Certo, tutto questo non deve escludere la mia libertà; ma andare contro il regolamento deve importare per me la coscienza che questo fatto direttamente favorisce il mio impegno religioso, cioè una libertà da quell’automatismo cui sono dovuti in massima parte i miei atti. Ogni infrazione al regolamento suppone l’esercizio di una volontà che deliberatamente si determina ad altro per un cosciente rifiuto alla grazia o per una docilità maggiore a quanto essa chiede.
Noi siamo impegnati a fare qualche particolare esercizio di pietà. Sapete che sostegno può essere la fedeltà a questo esercizio? Non parlo delle preghiere obbligatorie, ma di quelle cui siamo impegnati per conto nostro. La nostra vita religiosa, per un certo movimento automatico, si lega e si ravviva attraverso certi atti che sono divenuti comuni, e quasi necessari, alla nostra vita. Insomma, c’è un automatismo nelle nostre azioni e reazioni, nella nostra volontà e intelligenza, che ha la sua importanza e bisogna rendersene conto. Noi siamo figli delle nostre abitudini piuttosto che delle nostre decisioni.
Non ci rendiamo conto dell’importanza che può avere per la nostra mentalità, per la nostra devozione mariana, il Rosario. Non potete rendervi conto dell’importanza che può avere, fondamentale, grandissima, la lettura della sacra Scrittura. Manteniamoci fedeli, leggiamola! La Sacra Scrittura ci forma. Se il giornale ti forma, tanto più la Parola di Dio!
Bisogna mantenerci fedeli alle piccole pratiche. Ma quali sono? Voi non lo sapete, ma avete qualche cosa a cui rimanete fedeli, nonostante tutto, che dà un certo carattere di originalità alla vostra vita. Anche un certo lavoro potrebbe sciupare una vita religiosa, se abitua al gusto delle cose inutili, a veder tutto in una certa luce di bellezza. I soprammobili, le cose per benino, la casa borghese… Ci sono alcune anime più o meno refrattarie alle influenze, ma nessuno può mai dirsi del tutto immune dal subirle. Può essere anche che l’ambiente, il lavoro ecc., provochi invece una reazione, e contribuisca in senso positivo.
Non ci rendiamo mai conto di chi siano figli i nostri atti, di come ci siamo formati; ma indubbiamente tutto ci forma e, attraverso la fedeltà alle piccole cose, dobbiamo immunizzarci da tutto quello che potrebbe deformarci (il giornale, il cinema, i romanzi, le conversazioni ecc.) e abbandonarci piuttosto all’azione segreta di tutto quello che può plasmarci – anche se non ce ne rendiamo conto – secondo quell’ideale di perfezione a cui Dio ci ha chiamati.
Siamo quello che siamo: figlioli della nostra epoca, delle nostre abitudini, del nostro ambiente, del nostro lavoro, delle nostre azioni. Ora, per liberarci da tutte queste influenze, per essere a servizio di una vocazione religiosa che abbiamo ricevuta da Dio, per essere sempre più disponibili alla grazia, per poter rispondere all’impegno di perfezione a cui siamo chiamati, che cosa fare? Dobbiamo riacquistare una libertà di fronte a tutte queste influenze che subiamo, che subiamo involontariamente, inconsciamente. Per questo si impone un distacco. Il distacco di per sé non è santo, ma ci libera da influenze che, se non sono colpevoli, ci rendono indisponibili alla grazia. Il distacco ci sottrae al nostro ambiente, e allora l’anima si rende più facilmente disponibile di fronte a una grazia che non è legata a noi, anche se si vale di tutto.
Il santo non è mai pienamente libero di fronte alla sua epoca, all’influenza che subisce da parte della sua epoca, del suo popolo, dell’ambiente in cui vive. Tutto questo è vero. Ma è anche vero che il santo subisce meno queste influenze di quanto non le subiscano gli altri. Il santo non le subisce più passivamente, ma una volta che si è veramente immunizzato di fronte ad una influenza inconsapevole, allora fa consapevolmente servire tutto questo al suo impegno religioso: l’ambiente, il lavoro che fa, la funzione che esercita.
Ora, perché noi ci possiamo sottrarre un poco al nostro ambiente, all’atmosfera che respiriamo, al lavoro, alla famiglia, si impone una rottura; rottura che per noi non può avvenire col lasciare la famiglia, la patria, la lingua, col lasciare tutti i beni di una civiltà che è la nostra; la vocazione non ci chiede questo, perché dobbiamo rimanere nel mondo, e anche se non viviamo insieme rimaniamo però in Italia, e anche se non rimanessimo in Italia oggi è difficilissimo escludere i beni di una civiltà che sono diventati universali. Ma noi ci immunizzeremo attraverso un certo regolamento, attraverso delle pratiche particolari volute da noi, che sono scelte da noi e che possono in qualche modo darci una certa libertà.

Vorrei dirvi l’importanza che hanno le piccole cose nella vita spirituale. Non grandi discorsi, non grandi idee che possono illuderci invece di educarci, fintanto che non sappiamo realizzare queste grandi idee in una vita totalmente di Dio; fintanto che siamo legati alle cose umane, al mondo. I grandi discorsi possono entusiasmarci, ma poi ci lasciano più poveri ancora, perché meno consapevoli della nostra miseria, illusi di aver realizzato quello che invece è ancora molto lontano da noi. Certo, la vita spirituale non consiste nelle piccole cose. Sarebbe errato dire che la vita spirituale consiste nel dire il Rosario, l’Ufficio, nel non fare spese che non siano necessarie, nell’essere fedeli a un regolamento. Ma tutto questo ha anche la sua importanza.
Siamo uomini, e come tali nelle nostre azioni siamo guidati da una volontà non sempre vigile e consapevole di quello che compie. Siamo in gran parte sorretti e portati da un certo automatismo morale. Abbiamo già visto che gli atti pienamente coscienti, pienamente umani, nella nostra giornata sono pochi, e più spesso interiori. Per questo dobbiamo acquistare delle abitudini, purché siamo fedeli a quegli impegni ai quali siamo legati. Le piccole fedeltà danno un tono speciale alla nostra vita.
Se qualcuno sente il dovere di non perdere il tempo in discorsi inutili e sfugge le persone che glielo fanno perdere, forse potremmo anche criticarlo, perché la santità dovrebbe importare una interiore libertà a certe formule e a certi mezzi; ma la libertà è un grande peso per l’anima. Nella comunità non ci sono proibizioni, ma ciascuno di noi ha già tuttavia una sua linea di condotta, un modo di agire al quale deve rimanere fedele.
Si può dire: ma essere legati alle regole non toglie freschezza al nostro amore? Il pericolo c’è, sì, ma è minore dell’altro pericolo, che cioè il non sentirsi legati a nulla tolga all’anima il sostegno più efficace alla sua vita religiosa. Troppi sono gli atti che compiamo per abitudine, per mimetismo, ed è inevitabile. L’uomo assai difficilmente potrebbe durare in una vigilanza continua e in una continua tensione di spirito.
Considerate le comunità religiose: non si potrà mai capire l’importanza della fedeltà alle piccole pratiche, ai piccoli doveri, finché non abbiamo vissuto la vita conventuale. È anche vero che queste anime abituate ad una regola, a un ritmo costante di vita, facilmente si sbandano se portate fuori. Ma come è più frequente e grave la dissipazione delle anime che non hanno il sostegno naturale di una regola, di un abituale ritmo di vita!
Dobbiamo impostare la nostra vita in modo da rendere più facile l’adempimento della nostra volontà a vivere l’impegno religioso assunto. Si deve vedere un poco come organizzare la nostra giornata, la nostra settimana, la nostra vita di famiglia, la nostra vita a scuola, all’ufficio, col prossimo. C’è un pericolo, certo, in questa organizzazione di una vita che dovrebbe essere invece libertà pura, continua novità di amore. Ma il pericolo, per anime che vivono nel mondo, è meno grave di quello che importerebbe lo sganciarsi dalla fedeltà a un regolamento per affidarsi, istante per istante, agli impulsi. Già troppa è la nostra libertà; un minimo di regola nel nostro vivere è necessario. Si è obbligati a vivere una vita che faciliti l’impegno che ci si è presi col Signore. Tutta la tua vita dovrà in qualche modo sentire la necessità di mettersi sotto un certo legame, in modo che alcune cose devono essere eliminate, altre corrette, altre guidate.
Dobbiamo vedere che cosa facciamo per realizzare tutto quello che il Signore ci ispira interiormente. Che cosa offriamo alla grazia perché ci faccia raggiungere quello che ci ha fatto desiderare. Dobbiamo curare quello che ci conduce a questa vita: le conversazioni, il lavoro, il dormire, il mangiare. Sono obbligato a seguire, debbo mantenermi fedele a tutto quello che favorisce la risposta alla mia vocazione. Ascoltare una meditazione vuol dire essere sollecitati da Dio a un impegno; ma siamo soggetti a severa condanna se non cercheremo poi di realizzare quello che la meditazione ci ha interiormente ispirato.
Ognuno di noi riceve una grazia e ognuno di noi, secondo la grazia ricevuta, deve giudicare che cosa gli è chiesto: che si elimini qualche cosa, che si dia più tempo alla preghiera, che ci si dia di più alla carità. Il Signore può chiedermi di essere più fedele ad alzarmi al mattino, più fedele a certe letture, alla meditazione, più fedele alla preghiera. E io devo cercare di salvare il mio impegno religioso nell’umile fedeltà a queste piccole cose.
La vita spirituale è anche una progressiva liberazione da ogni legge: lo dice San Paolo. E San Giacomo dice che la legge del cristiano è la legge della libertà. Siamo impegnati ad essere liberi. Che cosa magnifica! Ma anche come difficile! L’uomo quaggiù non raggiungerà mai una liberazione perfetta. Certo, la vita spirituale è tanto più luminosa e vigorosa quanto più è semplice e libera. L’anima non si sente legata a nulla. Il santo non è più legato a nulla.
In certe Costituzioni di istituti religiosi si invita a procedere altre ogni Regola se mossi dallo Spirito di Dio. Così nella Regola di San Benedetto, così anche San Francesco, che scrive a frate Leone di fare la sua volontà. Uno dei nuovi istituti religiosi, Les petits frères de Jésus, vuole che si vada anche contro la legge per seguire un impegno di carità.
Tuttavia la massima parte della vita dell’uomo obbedisce ad un certo automatismo psichico. Pochissimi sono gli atti originali nell’uomo. Noi dipendiamo dall’ambiente, da certe abitudini contratte. Certo, quando compiamo degli atti anche influenzati dall’ambiente e dall’abitudine, non manca una certa volontà; ma l’abitudine ci inclina in un senso e quasi determina già il nostro cammino.
Un atto originale cosciente è quello della conversione. Ma questo atto si compie poche volte, mentre gli atti che compiamo durante la giornata sono migliaia. Che immensa attività noi compiamo ogni giorno! Attività interiore ben più ricca dell’attività esterna. E quali sono gli atti in cui siamo pienamente originali, in cui non obbediamo a un certo automatismo? Sono pochissimi. Anche il santo acquista il dominio delle proprie potenze assai lentamente. Il cammino della perfezione tende alla libertà, ma per giungervi l’anima deve liberarsi da un automatismo creato da influenze che non sono state volontarie e che non ordinano la vita al Signore. Può essere benissimo che l’anima preghi meglio in camera, in giardino, in soffitta piuttosto che in chiesa, ma non sempre quando è in giardino è raccolta, mentre la chiesa favorisce più facilmente la vita di raccoglimento. Le pratiche a cui l’anima deve essere fedele la inclinano ad un automatismo che la dispone al raccoglimento e alla preghiera.
La santità non consiste nelle pratiche e nella fedeltà alle pratiche che potrebbero invece fossilizzare l’anima. Quante anime pie che fanno tutte le cose per bene sono aride, vuote, meschine! La santità non consiste nella fedeltà alle pratiche, ma piuttosto è generata da atti originari. La fedeltà alle pratiche però può liberarci dalla schiavitù di un automatismo che di fatto ci rende meno disponibili alla preghiera. Siccome l’uomo obbedisce a un continuo automatismo, è meglio che questo automatismo sia favorevole alla vita di raccoglimento e di preghiera piuttosto che a una vita di dissipazione.
La fedeltà alle pratiche ha questo senso e questo valore: non un valore per sé, ma è un aiuto e un mezzo. Non dobbiamo sentirci più santi perché non andiamo al cinema, perché ci alziamo alle sei e andiamo alla Messa… Ci possono essere anime che non fanno questo e sono più sante di noi.
Tutte queste pratiche possono creare un’abitudine che scuote l’amore. Però è anche vero che se uno ascolta la Messa tutti i giorni e fa la Comunione e la meditazione, molto probabilmente vive in un’atmosfera che può sollecitare maggiormente la grazia, la quale può così trovare meno impedimenti nell’anima e sollevarla e portarla più in alto.
Che cosa fa di meno una Suora qualunque di quello che ha fatto Santa Teresa del Bambin Gesù? È più povera di amore.
Un certo automatismo è facile acquistarlo. I direttori degli istituti religiosi dicono che è facile abituare i novizi a una certa vita di pietà. Siccome la nostra vita risponde ad un automatismo, bisogna che questo sia la servizio di una grazia che per sé è ordinata a rompere ogni abitudine per donarci sempre nuova freschezza e più pura libertà.
Ci sono le Regole, dice San Benedetto, e tu devi obbedire; ma c’è sempre la possibilità di superare ogni regola nell’amore. Tuttavia, finché non c’è questo amore obbedisci alla Regola.
Se tu obbedisci ad un automatismo che ti distrae da Dio, troppo potente deve essere la grazia per scuoterti. E ti scuoterà. Ma quanto più facilmente la grazia ti darà la forza di superare questi tuoi modi, se questi tuoi modi sono tali da ordinarti già al Signore.
Quante volte nel dire il Rosario ci annoiamo! Quante volte la Sacra Scrittura ci stanca! Ma non ci rendiamo conto dell’importanza che deve avere nella nostra vita la fedeltà a un impegno che può non dirci nulla, ma ci libera tuttavia dalla schiavitù ad un automatismo che ci disperde, che ci distrae.
Mantenetevi fedeli: è un impegno di umiltà. È un impegno d’amore.
Mantenetevi fedeli alle piccole cose, alle piccole pratiche. Sono poche, ma sufficienti a mantenervi in un certo automatismo che vi ordina al Signore. Sarà un mezzo molto efficace anche di rinnovamento interiore, non in quanto la fedeltà crei la novità, ma in quanto vi rende più sensibili alla grazia.
Dobbiamo renderci indisponibili alla curiosità, alla dispersione, alle sollecitazioni della nostra intelligenza, della nostra sensibilità. E ci sentiamo meno disponibili con questi impegni per mezzo dei quali l’anima si pone a servizio della grazia e dell’amore.
La fedeltà alle piccole pratiche mantiene in una certa attenzione al Signore, onde l’anima possa vivere in una disponibilità al dono totale.
Vorrei che consideraste anche come la fedeltà a certe pratiche è anche impegno di umiltà, un impegno concreto: cose semplici e umili, che hanno molto peso nella vita religiosa. Molto spesso ci si compiace dei nostri desideri e ci illudiamo di aver realizzato quello che abbiamo soltanto intravisto: non possiamo realizzarlo se non con la fedeltà alle piccole cose.
Immenso è l’ideale che Dio vi fa talora intravedere nell’orazione, ma non crediamo di poter realizzare subito quello che l’anima ha intravisto. La vita spirituale ha delle leggi che sembrano ripetere le leggi della vita naturale. Molto spesso Dio ci fa intravedere fin dall’inizio la meta cui Egli ci chiama, ma questo ideale non possiamo raggiungerlo che attraverso un cammino lento e faticoso. E questo cammino che ci porta alla meta è precisamente la fedeltà alle piccole cose, a questi piccoli impegni, a queste piccole esigenze, alle quali soltanto oggi possiamo rispondere.
Se risponderemo oggi a quello che il Signore ci chiede oggi, acquisteremo la forza per rispondere a quello che ci dirà domani, per arrivare a quella libertà che risponde soltanto a una legge d’amore. Essere fedeli alla libertà vuol dire non essere più schiavi di nessuno, ma essere schiavi soltanto di Dio.

U.S.F.P.V.

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CONFERENZA SUL TEMA « MARIA FIGLIA DI SION – INTERVENTO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

 http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/card-bertone/2008/documents/rc_seg-st_20080615_monte-varallo_it.html

CONFERENZA SUL TEMA « MARIA FIGLIA DI SION:
DALLA GERUSALEMME TERRENA ALLA GERUSALEMME CELESTE »

INTERVENTO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO

Sacro Monte di Varallo
Domenica, 15 giugno 2008

Eccellenza,
Signor Sindaco,
cari organizzatori del festival Imago veritatis,
cari amici,

1. IMAGO VERITATIS
   Volentieri ho accolto l’invito che mi è stato gentilmente rivolto a partecipare, quasi a concludere, questa interessante iniziativa da voi promossa. Il titolo Imago veritatis dice già che si tratta di qualcosa di bello capace di aiutarci a percepire la verità che comunica ogni rappresentazione artistica di valore. Il linguaggio artistico, quando riflette l’armonia creatrice dell’animo umano, l’arte sacra in modo speciale, costituisce una via di comunicazione privilegiata tra l’uomo e il Creatore e riesce a far percepire di Dio la sovrumana bellezza che incanta il cuore umano. Si pensi ai capolavori d’arte, di letteratura, di pittura, ecc… che hanno come autori credenti di fede provata: in queste opere essi trasmettono la profondità della loro fede, potremmo quasi dire che il volto di Dio si materializza grazie alla creatività umana. Basti ricordare le Confessioni di Sant’Agostino, ove si entra in rapporto con un uomo che ha un continuo colloquio con Dio, che a Lui parla e Lui ascolta, ripercorrendo le tappe della sua esistenza e lodando il Signore per quanto ha vissuto e vive. Si pensi a una scultura di Michelangelo o ad una sinfonia di Beethoven: sono frammenti di una storia umana, nei nostri casi letteraria, artistica, musicale, la cui conoscenza fa oltrepassare la pochezza di ciascuno e fa condividere verità e grandezze, aiuta ad essere con loro, a partecipare al loro mondo.
La vostra iniziativa, a cui rinnovo il mio più sincero plauso, vuole essere un impegno a far rivivere lo spettacolo dell’arte come un’esperienza spirituale, quale del resto è sempre stata nella tradizione cristiana prima dell’avvento, piuttosto recente, del fenomeno della secolarizzazione, che ha investito un po’ tutta la cultura occidentale. L’intenzione di sottolineare l’arte come via spirituale é già nel titolo che avete scelto: avete così intrapreso un percorso che, sono certo, potrà proseguire nei prossimi anni. Mi complimento pertanto con chi ha avuto l’idea di promuovere questa manifestazione, con chi concretamente l’ha organizzata e sostenuta finanziariamente e con quanti in diverse maniere hanno offerto il loro contributo.
Perché una simile iniziativa proprio sul Sacro Monte di Varallo? Varallo risulta essere un luogo dove è possibile proporre, come gli stessi organizzatori dell’esposizione sottolineano, la lettura spirituale delle opere d’arte sacra di cui oggi si va perdendo la memoria e che un tempo costituivano un patrimonio di fede e di arte. Proprio per questo Varallo è un’oasi di cultura di altissimo pregio.

2. “Nuova Gerusalemme”
Così il francescano P. Bernardino Caimi chiamò l’opera che qui volle realizzare: attraverso un percorso segnato da cappelle dedicate alla passione e alla morte di Cristo, voleva qui riprodurre i luoghi sacri della Palestina accanto al convento della Madonna delle Grazie. Siamo nella metà del secolo XV. La situazione politica, dopo la caduta di Costantinopoli sotto l’impero Ottomano (1453) e l’avanzata dei mussulmani, rendeva sempre più difficile per i cristiani la possibilità compiere pellegrinaggi in Terra Santa, come invece avveniva in precedenza. Si volle così costruire per i pellegrini una “Nuova Gerusalemme” con la cappella del Santo Sepolcro perfettamente identica a quella di Gerusalemme ed altre che con il tempo arricchitesi di opere pittoriche di grande valore, grazie, tra gli altri, al genio di Gaudenzio Ferrari e Tanzio da Varallo. Nella “Nuova Gerusalemme” la figura di Maria, Assunta in Cielo occupa un posto privilegiato: all’interno della Basilica 142 statue rappresentanti angeli, profeti e patriarchi sono rivolte verso di Lei. Tutta la vita del Sacro Monte è polarizzata attorno al simulacro della Vergine dormiente, conservato con cura e devozione fin dai primi tempi, da quando si trovava nella chiesa vecchia. Vuole la tradizione che esso in precedenza fosse venerato nella Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, prima del 1453: Maria dunque, figura della Nuova Gerusalemme, è ponte fra l’Oriente e l’Occidente, è stella che sulla terra ci indica il Cielo, dove Lei, la Tutta Santa, ci ha preceduto nella gloria di Dio. Maria, potremmo dire, è Colei che aiuta i fedeli anche qui, sul Sacro Monte, a entrare in comunione profonda con Cristo.

3. Maria, serva e madre
“Maria, figlia di Sion: dalla Gerusalemme terrena alla Gerusalemme celeste”: siamo così giunti al tema di questa mia esposizione. Non è mia intenzione trattare ampiamente questo tema biblico- mariano, bensì proporre qualche riflessione sulla Prescelta da Dio tra le figlie del popolo d’Israele per essere la Madre del Redentore. Resa gloriosa dall’Onnipotente, brilla come segno di sicura speranza per la Chiesa pellegrina nel mondo verso la Patria celeste. Maria é la punta di diamante dell’umanità che Cristo é venuto a salvare. In Lei Iddio ha realizzato il suo progetto salvifico in pienezza: l’ha preservata dal peccato originale, l’ha resa “piena di grazia” e a così grande dono la Vergine ha corrisposto pienamente, fedelmente, umilmente. Mi è capitata tra le mani una bella preghiera di san Giovanni Damasceno, tratta da una sua omelia  e ben adatta al contesto biblico e spirituale del Sacro Monte. Egli scrive: “Rallegrati, Madre predestinata di Dio. Rallegrati, tu che sei stata scelta prima dei tempi nel piano di Dio, germoglio divinissimo della terra, ricettacolo del fuoco divino, sorgente d’acqua viva, giardino dell’albero della vita, fiume pieno dei profumi dello Spirito, campo della divina spiga, rosa veste regale, agnello che partoristi l’Agnello di Dio che cancella il peccato del mondo, officina della nostra salvezza, più elevata delle potenze angeliche, serva e Madre” (Omelia sulla dormizione, 5).  In tutta la tradizione cristiana, in Occidente come in Oriente, Maria occupa un posto di altissimo rilievo accanto a Cristo, suo Figlio. Commenta Germano di Costantinopoli: “quando la Madre è glorificata, il Figlio che ama la Madre se ne rallegra”.

4. Figlia di Sion.
Nell’Antico come nel Nuovo Testamento si parla spesso della “Figlia di Sion”, espressione equivalente a “Figlia di Gerusalemme”. Nella “Figlia di Sion” viene simbolicamente personificato il popolo con cui Dio stringe alleanza, che vive, soffre ed agisce nell’attesa che sorga al suo interno il Messia, del quale sarà, al compimento delle promesse messianiche, il corpo mistico. Moltissimi esegeti vedono identificata nella “Figlia di Sion” Maria. Alla luce di vari testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, essi affermano anzi che la “Figlia di Sion” in Maria cessa di essere un simbolo e diventa persona. L’evangelista Luca, nel narrare l’annuncio dell’Angelo o nel riportare il “Magnificat”, pare proprio vedere nella Vergine la “Figlia di Sion” di cui parla l’Antico Testamento. Il saluto dell’Angelo, “rallegrati” (chaire), richiama le profezie antiche e specialmente quella di Sofonia (3,14-18) che preannunciava questa gioia alla “Figlia di Sion”.
Nel capitolo 12mo dell’Apocalisse, quando Giovanni parla della “Donna vestita di sole” che dà alla luce il Cristo e le sue mistiche membra, è facile vedervi un chiaro richiamo alla “Figlia di Sion” di cui parlano i profeti Michea (4, 8.10) e Geremia (31,21-22).
L’apocalisse tardo-giudaica (il nome deriva da «rivelazione» in quanto scioglimento, e da «manifestazione» in quanto avvicinamento dell’occulto e quindi del futuro), considera solo il trionfo del popolo eletto, la sua vittoria, e la sconfitta dell’odiato paganesimo. All’opposto di essa sta la profezia, sempre rivolta alla salvezza perfino nella minaccia della condanna. Il giudizio trova la clemenza. Per questo la parola dei profeti è compenetrata dalla possibilità della conversione. Essa cerca l’uomo, che nella libertà si apre alla guida della grazia, come il «tu» di Dio. A differenza dell’apocalisse, essa considera la salvezza come mèta della storia. Principio essenziale è per essa l’universalismo della salvezza.
In questa luce l’apocalisse neotestamentaria di Giovanni, che sottolinea l’assolutezza della sovrana potenza storica di Dio ed accentua il tema della conversione e della penitenza, ci appare come il superamento delle attese apocalittiche del tardo giudaismo e come sua redenzione. Basta pensare alle sette lettere dirette alle rispettive comunità, e ancora all’universalismo della misteriosa rivelazione che contempla un mondo nuovo, la nuova Gerusalemme le cui porte sono aperte a tutti ed in cui tutto diviene perfetto. Apocalisse e profezia si trovano qui riconciliate (cfr Julius Tyciak, Profili dei profeti, Città Nuova 1971).
Maria dunque è come un centro che si riallaccia all’antico popolo dell’Alleanza e prolunga la sua presenza nel popolo della Nuova Alleanza, cioè nella Chiesa. E’ “luogo d’incontro”: in Lei si realizzano, quale Madre di Cristo, tutte le aspirazioni di perfezione  spirituale espresse nei vaticini dei profeti, dei salmi e degli inni biblici; è archetipo della Chiesa riassumendo in se stessa la grazia di tutta la Chiesa e prefigurandone la sublime vocazione. Vergine Madre  di Cristo e Madre della Chiesa. Il ruolo materno che Maria svolge nella storia della salvezza viene ampiamente sottolineato nell’insegnamento dei Padri della Chiesa e, come sopra si diceva, in tutta la tradizione cristiana.

5. “Dalla Gerusalemme terrena alla Gerusalemme celeste”.
Qui, sul Sacro Monte, la devozione mariana è fortemente vissuta e la presenza spirituale di Maria fu ben avvertita sin dall’inizio. Il complesso monumentale, accresciutosi lungo il tempo, lascia trasparire chiaramente il ruolo della madre di Cristo nella vita dei cristiani, nella vita della Chiesa. Le statue, le figure di angeli, profeti e santi che popolano la Basilica centrale convergono verso Colei che, assunta in Cielo, splende della luce di Dio. La “Vergine dormiente”, la Vergine Assunta in Cielo indica a quanti salgono su questo monte quale sia la meta finale del nostro pellegrinaggio dalla Gerusalemme terrena a quella celeste. Sulla scena del mondo si svolge una lotta tremenda tra Dio e il suo avversario che tenta di trascinare gli uomini alla perdizione. Intravediamo questa battaglia già nel libro della Genesi, dove sta scritto: “ Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,15); ritroviamo questa battaglia escatologica nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, che narra la celebre visione della donna e del drago. Segno e garanzia di vittoria è Maria totalmente solidale con il Bene nello scontro contro il Male. La sua è un’esistenza di assoluta pienezza positiva. Ciò non toglie che anche Lei abbia dovuto affrontare l’avventura umana, abbia dovuto conoscere il dolore e le prove. Sotto la Croce, sul Calvario resta in piedi accanto al suo Figlio crocifisso. Proprio perché solidale con l’umanità che avanza verso il compimento dei disegni divini, Maria, totalmente abbandonata nelle mani dell’Altissimo, è sostegno e modello per ogni essere umano. Anche la sua vita é stata “una peregrinazione della fede” come il Servo di Dio Giovanni Paolo II scrive nella “ Redemptoris Mater” riecheggiando a tale riguardo il pensiero del Concilio Vaticano Secondo (LG 58).

6. Abramo e Maria
In questo luogo sacro, come in tutti i santuari mariani, è più facile entrare nel mistero di Maria. Nel suo cuore di Madre avvertiamo il respiro di una preghiera costante, di una contemplazione che la immerge in Dio per realizzarne pienamente la volontà. Anche da questo punto di vista Maria è per noi sostegno e modello: modello e sostegno della nostra preghiera, della preghiera che si fa vita e della vita che deve tradursi in preghiera; modello e sostegno della nostra vocazione cristiana che è ascolto e compimento della volontà divina letta attraverso gli eventi quotidiani.
Soffermiamoci, cari amici, a considerare il “mistero mariano”; fermiamo gli sguardi della mente e del cuore sulla sua pietà che mostra la ricchezza della sua fede, della sua speranza, del suo amore. Nell’Antico Testamento, proprio agli inizi della storia della salvezza, incontriamo Abramo chiamato a percorrere un itinerario umanamente impossibile: si fida di Dio oltre ogni logica umana e diviene nostro padre nella fede, come nota san Paolo nella Lettera ai Romani (cfr 4,16-18). Anche Maria ha ricevuto una missione umanamente inconcepibile, anche lei si fida senza esitare e senza riserve del Signore. Anzi, con una fede persino superiore a quella di Abramo, e così contribuisce a portare a compimento il progetto salvifico che Iddio aveva avviato con Abramo dopo la caduta di Adamo ed Eva. Con Maria iniziano dunque i tempi nuovi, i tempi della Chiesa, “la nuova Gerusalemme in cui quali pietre viventi, veniamo a formare su questa terra, un tempio spirituale“ (LG, 6). Abramo e Maria sono i capostipiti di due popoli di cui il secondo è l’inveramento del primo. E l’episodio di Abramo pronto ad immolare sul monte Moria il suo unico figlio Isacco, l’erede promesso di tutta la sua posterità, non è che una pallida figura del sacrificio di Cristo sulla Croce a cui Maria ha assistito trapassata nel cuore dalla lancia del dolore. E come fu ampiamente ricompensata la fede di Abramo, ancor più Maria ha partecipato alla gioia della risurrezione del suo Figlio crocifisso. Ai piedi della Croce, associata misticamente all’immolazione del suo Figlio unigenito, Maria è diventata vera Madre di ogni discepolo di Cristo, Madre della Chiesa.

7. Volgiamo lo sguardo verso Maria
Il Sacro Monte di Varallo nel suo insieme è un invito a considerare la vita cristiana come un pellegrinaggio dalla Gerusalemme terrena alla Gerusalemme celeste: un pellegrinaggio che presenta un duplice aspetto, da una parte la conversione personale che è un incessante andare incontro a Cristo, dall’altra parte un itinerario comunitario, il cammino della Chiesa che attraverso i secoli avanza verso il ritorno glorioso del Redentore alla fine dei tempi. La Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, Lumen gentium  dedica l’ultimo suo capitolo proprio al ruolo di Maria nella Chiesa: viene presentata come segno di certa speranza e di consolazione per il pellegrinante popolo di Dio. Maria è segno del popolo di Dio, immagine e primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura: dalla Gerusalemme terrena alla Gerusalemme celeste. Maria è per la Chiesa e per l’umanità segno di certa speranza e di consolazione grazie alla sua presenza materna che si palesa in tanti modi, come viene testimoniato anche qui, sul Sacro Monte di Varallo. Maria è madre, madre di Cristo e madre nostra
Nella luce meravigliosa della sua maternità spirituale, la sentiamo vicina mentre ci conduce ai porti della gioia e della vita in modo amorevole, instancabile e prodigioso. Ma la sua mediazione materna, sottolinea il Concilio Vaticano II, “in nessun modo oscura o diminuisce l’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia”. Infatti, “ogni salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini non nasce da regale necessità, ma dal beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da esso assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia” (n. 60).
Su questo Sacro Monte hanno sostato in preghiera tanti santi ed illustri personaggi. E’ vero, il richiamo di Maria è sempre molto forte! Ma qui, la Vergine Assunta in cielo rivolge un invito particolare ai pellegrini e visitatori. Nella solennità dell’Assunta del 2005 il Santo Padre Benedetto XVI ebbe a dire che Maria assunta in cielo in corpo e anima ci ricorda che anche per il corpo c’è posto in Dio. “Il cielo – ha egli affermato – non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una Madre. E’ la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto: “Ecco tua Madre”. Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore”.
  Cari amici, la Madonna mantenga sempre vivo in noi il desiderio del Cielo affinché tutto ciò che compiamo sulla terra sia in vista della Gerusalemme celeste dove “non vi sarà più notte e i servi dell’Agnello non avranno più bisogno di luce di lampade, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,4-5). Grazie per il vostro ascolto!

Publié dans:Cardinali, Maria Vergine |on 21 mai, 2013 |Pas de commentaires »

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