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CHI È L’AUTORE DEL VANGELO DI GIOVANNI?
Leggendo il libro del Santo Padre «Gesù di Nazaret», il capitolo su Giovanni l’Evangelista mi ha confuso… ho sempre creduto che l’autore del quarto Vangelo fosse Giovanni, il discepolo tanto amato… perchè tanti interrogativi?
Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura
Il Vangelo di Giovanni, ultimo fra i quattro Vangeli, ha sempre attratto l’attenzione dei suoi lettori come il Vangelo spirituale, il Vangelo teologico. La data della sua composizione (intorno agli anni ’90, nella città di Efeso) e la stessa struttura ne fanno un elemento unico nel panorama del Nuovo Testamento.
Almeno fino a qualche generazione fa, esso era ritenuto pacificamente un Vangelo scritto da un testimone diretto, un discepolo, a differenza degli scritti di Marco e di Luca, che non erano stati discepoli di Gesù. Le differenze con i Sinottici erano spiegate con l’intenzione dell’evangelista di completare le narrazioni di questi ultimi, omettendo quelle parti su cui essi si erano già dilungati.
Di conseguenza non fu sempre rispettato il carattere peculiare del Quarto Vangelo, ad esempio fino a negarne totalmente la storicità. Fu affermato che Giovanni si sarebbe servito dei Sinottici, ma ricostruendo alla sua maniera le loro narrazioni, o viceversa che avrebbe usato delle fonti totalmente non storiche.
Il suo autore presunto, «Giovanni, il figlio di Zebedeo», già secondo la tradizione della Chiesa antica (Papia di Gerapoli, Ireneo di Lione, ecc.) è stato ritenuto così vicino alla persona di Gesù da potersi fregiare del titolo di «prediletto» e così rendere una testimonianza unica sui gesti compiuti da Gesù.
È noto, infatti, che nel Quarto Vangelo spicca la figura misteriosa di un discepolo, definito il «discepolo prediletto». Nell’ultima cena questi siede accanto a Gesù, cui chiede il nome del traditore (13,23-25). Il «discepolo prediletto» è accanto alla madre di Gesù nell’ora della croce (19,26-27). Il «discepolo prediletto» corre con Simon Pietro al sepolcro (20,1-8) e partecipa alla pesca sul mare di Tiberiade, quando riconosce il Signore (21,6-7). Il «discepolo prediletto», infine, segue Gesù e Simon Pietro, quando riceve il mandato pastorale: di lui Gesù afferma a Pietro che egli rimarrà in vita fino alla sua venuta (21,20-23).
Per la verità, un altro «discepolo», anonimo, compare nella scena della vocazione dei discepoli di Giovanni (1,35-38.40). E, ancora, nel momento della passione, Simon Pietro segue Gesù con un «altro discepolo», di nuovo anonimo, che lo introduce al sommo sacerdote (18,15-16), con il cui ambiente sembra avere dimestichezza. Ma non pare si tratti del «discepolo prediletto», da cui lo dividono non pochi dettagli. Per di più si afferma che questo «discepolo prediletto» ha «scritto» lo stesso Vangelo: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (21,24).
Non ci si è fermati a pensare al solo Giovanni di Zebedeo nello sforzo di dare un volto a questa misteriosa figura, di cui non c’è traccia nella tradizione evangelica extra-giovannea: alcuni hanno pensato ad altri personaggi del Nuovo Testamento: Lazzaro, o Giovanni Marco (ovvero Marco, autore del Vangelo omonimo), per esempio. Altri hanno sostenuto che il «discepolo prediletto» non sia una persona in carne ed ossa ma un simbolo ed un modello del discepolo perfetto. Si può tuttavia osservare come la stessa Madre di Gesù, senza essere chiamata per nome, è presente in alcune scene che si trovano solo in questo Vangelo (l’episodio di Cana e la scena della crocifissione: 2,3-12; 19,25-27), ma a nessuno verrebbe in mente di negarne l’esistenza reale.
Altri, infine, hanno concepito una teoria più complessa: il «discepolo prediletto», che durante il ministero di Gesù si trovava in secondo piano tra tutti gli altri, tanto che i Sinottici lo ignorano, avrebbe assunto un ruolo molto importante nella «comunità giovannea» (= il gruppo da cui ha avuto origine il Vangelo), di cui è probabilmente all’origine, tanto da poter competere con lo stesso Pietro nell’essere discepolo (cap. 21).
Non tutti concordano con questa interpretazione, anche se suggestiva. Personalmente ritengo che la tradizione antica, che pensa al «discepolo prediletto» come Giovanni di Zebedeo, anche se non senza problemi, sia da considerarsi la più probabile. Questo non significa che le due figure del «discepolo prediletto» e dell’«evangelista» (= colui che materialmente ha scritto il Vangelo) coincidano.
Se, infatti, il Quarto Vangelo dice con chiarezza che il «prediletto» è «il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti» (21,24), è pur vero che nella «prima finale» del Vangelo (20,30-31) si parla dello scrivere in maniera più generica, come pure nella scena della crocifissione si accenna in maniera diversa alla stessa testimonianza: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (19,35).
Chi scrive il Vangelo ha un legame profondo con il «discepolo prediletto», senza essere stato un testimone oculare; è forse un suo discepolo, ed appartiene alla «comunità giovannea». Costui ha profondi legami con la geografia, anche minuta della Palestina, e delle istituzioni del giudaismo. All’interno della comunità giovannea egli vive tutto il travaglio del progressivo distacco dal mondo giudaico, mentre si va affinando la comprensione della figura di Gesù, accentuandone la dimensione divina.
Dobbiamo, in ultimo, pensare ad una composizione finale – o persino ad un diverso altro autore – che completa il Vangelo, senza alterare nulla, e vi aggiunge il capitolo 21, dopo la morte del «discepolo prediletto». Secondo altri studiosi, sarebbe stato proprio l’«evangelista» a far trovare un posto nel Quarto Vangelo al «discepolo prediletto», oscurando la figura di Giovanni di Zebedeo, per sostituirla con la figura misteriosa che si incontra nelle sue pagine. Se così fosse, la successiva identificazione tradizionale del «prediletto» con il figlio di Zebedeo avrebbe un’ulteriore giustificazione. Infatti, «con un’ironia degna del vangelo stesso» – come ha scritto uno studioso -, alla fine del II secolo Giovanni di Zebedeo avrebbe assunto di nuovo il ruolo dal quale era stato estromesso.