LA GERUSALEMME CELESTE – AP 21,1-27 – COMMENTO SPIRITUALE.
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LA GERUSALEMME CELESTE – AP 21,1-27
COMMENTO SPIRITUALE.
“Vidi la città santa”. La suprema perfezione e felicità, che noi chiamiamo “Paradiso”, è ineffabile. Per evocarla, la Bibbia si serve di immagini derivate dalle esperienze più gratificanti: cielo (2 Re 2,11; Ef. 2,6), città di pietre preziose (Is. 54,12; Ap. 18,16), giardino (Ger. 31,12; Ez. 36,35), convito (Is. 25, 6-7; Mt. 22, 1-14), nozze (Mt. 25, 1-13; Ap. 19,9), festosa liturgia (Ap. 7, 10-12), canto (Is. 42,10; Ap. 14, 2- 3).
Incontro immediato con Dio uno e trino, totale comunione con gli altri, armoniosa integrazione con il mondo: ecco la meta, verso cui gli uomini sono incamminati. “Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita”. (Ap. 7, 15- 17).
“Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. (Ap. 21, 1-5)”.
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello… Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte… e regneranno nei secoli dei secoli “(Ap. 21,23; 22, 3-5).
Nella beatitudine celeste, come già nel cammino terreno, sarà sempre Gesù Cristo la porta di accesso al Padre. Il Signore crocifisso e risorto, comunicando in modo definitivo il suo Spirito, ci unirà perfettamente a sé e ci renderà pienamente figli di Dio, capaci di vedere il Padre “come egli è” (1 Gv. 3,2). La Chiesa sarà “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata”(Ef. 5,27). Gli uomini abiteranno nella celeste Gerusalemme in festosa convivialità e Dio abiterà con essi (Ap. 21, 2-3). Le esperienze attuali più riuscite di comunione tra amici, tra coniugi, tra genitori e figli prefigurano l’universale comunione dei santi in Dio, ma sono ben poca cosa al confronto di essa. Se è meravigliosa già adesso la compagnia delle persone buone e intelligenti, che cosa sarà la compagnia di tanti fratelli “portati alla perfezione” (Eb. 12,23)?
Non ha senso però situare il paradiso in qualche parte dell’universo piuttosto che in altre. Il cielo, nel linguaggio biblico, è un simbolo per indicare Dio e, secondo la fede cristiana, “la vita è essere con Cristo: dove è Cristo, lì è la vita, lì è il Regno”.
Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
Vivere in cielo è “essere con Cristo” (Gv. 14,3; Fil. 1,23; 1 Ts. 4,17). Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor. 2,9).
I santi formeranno una comunità di persone e non una massa collettiva senza volto. Ognuno sarà introdotto alla festa con un invito personalissimo: avrà “una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve” (Ap. 2,17). Anche la perfezione sarà diversa secondo i doni ricevuti nella vita terrena e la corrispondenza verso di essi (Mt. 16,27; 1 Cor. 3,8). Tutti però saranno beati secondo la loro capacità tutti si rallegreranno del bene degli altri come del proprio.
Armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stessi: nel gaudio eterno si quieterà il desiderio illimitato del cuore; sarà il riposo, la festa, il giorno del Signore senza tramonto.
“Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza… Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”.
La Gerusalemme celeste viene descritta come l’incontro di uomini di razze diverse, di nazioni, di cultura, di mentalità differenti. Da quando è venuto l’Agnello, cielo e terra si sono incontrati, il Tempio di Dio non c’è più, perché il Tempio è lo stesso Agnello. Ma questa Gerusalemme celeste non è solo un avvenimento futuro, ma ci appartiene già oggi.
Il “cielo” di Gesù, dunque, è l’incontro con quanti non camminano con Lui, con quanti sono diversi da noi e che sono lontani. Il cielo di Gesù è la partecipazione alla gioia del Padre che fa festa, perché è tornato un figlio lontano. Ogni volta che nelle nostre comunità si verifica una situazione di questo genere, il cielo si trasferisce sulla terra, cielo e terra si incontrano un’altra volta. Quando, invece, le nostre Chiese sono dure e sprezzanti verso chi ritorna dopo aver sbagliato, e quando non si accetta di fare festa al peccatore pentito, cielo e terra si allontanano di nuovo e crescono le divisioni tra gli uomini.
Il cielo di Gesù è un banchetto a cui sono invitati gli uomini della strada: storpi, ciechi, zoppi, i rifiutati dalla nostra mentalità; un banchetto in cui sono invitati i perseguitati e gli emarginati e di cui si è commensali a casa di ogni Zaccheo e di ogni Maddalena, che possiamo incontrare amichevolmente: questo è il cielo di Gesù Cristo.
Nel cielo di Gesù, l’ultimo è messo al posto d’onore e chi ha più autorità deve lavare i piedi a tutti. Il cielo di Gesù è la celebrazione della diversità:
“apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”.
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