Archive pour le 23 avril, 2013

Pentecost

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Publié dans:immagini sacre |on 23 avril, 2013 |Pas de commentaires »

UN DIO IN ASCOLTO DELL’UOMO

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UN DIO IN ASCOLTO DELL’UOMO

SINTESI DELLA RELAZIONE DI ARMIDO RIZZI
VERBANIA PALLANZA, 19 GENNAIO 2002

Nella prima parte viene proposto un itinerario fenomenologico sul senso dell’udito, di cui l’ascolto è una modalità, con una ripresa simbolica.
La seconda parte sarà interamente dedicata al tema biblico dell’ascolto nel duplice movimento dell’uomo che grida e di Dio che ascolta e poi di Dio che parla e dell’uomo che ascolta.
1. la fenomenologia del suono.
Faremo un’analisi dell’esperienza così come si dà, esplicitando l’intelligenza che è già dentro i sensi e che differenzia i nostri atti sensitivi da quelli animali. L’approccio fenomenologico non comporta visioni del mondo, giudizi di valore ultimativi (tipo: il corpo è il carcere dell’anima o il mondo è definitivamente la nostra abitazione), e non è neppure una lettura scientifica della realtà. Sono riflessioni che non servono a nulla, o, se si crede, servono solo a ringraziare Dio.
Anzitutto gli atti sensitivi hanno due finalità fondamentali: una finalità funzionale: la percezione di un rumore è un segnale che ci fa capire che sta succedendo qualcosa (lo squillo del telefono, il ticchettio che ci segnala che sta piovendo…) e una finalità fruitiva, una finalità fine a se stessa.
Ci sono poi esperienze sensitive che sono segnali che non mi rimandano ad un’altra cosa, ma evocano qualcosa spesso in chiave autobiografica, a volte in senso più generale (un particolare profumo che richiama un’esperienza, una certa persona…). Le due finalità, funzionali e fruitive, si accavallano.
il senso del suono
Il senso del suono ha caratteristiche che lo differenziano dagli altri sensi.
Il suono è essenzialmente legato alla temporalità, a differenza degli altri sensi che esprimono qualità che ineriscono all’oggetto e che quindi producono in noi il senso della durata. Il suono porta dentro di sé la temporalità, il senso dell’accadere. E anche quando il suono ha una sua durata (una melodia) è come se avesse il tempo dentro di sé (la melodia finisce).
Inoltre il suono, rispetto alle altre sensazioni, è più facilmente producibile e riproducibile. E’ molto più difficile riprodurre un profumo o un sapore sentito che un suono. Ecco perché il suono è il segnale privilegiato (tam-tam, campane, squillo del telefono…)
Ci sono poi suoni che hanno un valore altamente fruitivo. La musica è il linguaggio più autosignificante: il segno è lo stesso significato. Non ha senso chiedersi cosa significa quella certa musica…
La musica ha un alto potere evocativo sia di situazioni passate, che della poeticità del mondo.
Il suono inoltre può arrivare da ogni parte e per questo ci sorprende.
Infine il suono per eccellenza è la parola, originariamente orale. Dalla cavità orale si ricavano suoni e segni che riproducono tutto il mondo. Con variazioni minime di lettere (patto, gatto, ratto, fatto, tatto, batto, matto…) o anche con la semplice diversa intonazione della voce posso riprodurre un’infinità di cose.
2. la dimensione simbolica dell’ascolto
Nell’ascolto prevale l’uso simbolico, traslato.
Mentre lo sguardo tende a ridurre l’altro ad oggetto (sentirsi guardati), l’ascolto più facilmente percepisce l’altro come soggetto.
Mentre l’occhio più facilmente scorge l’esteriorità, l’orecchio, o il suono sedimentato per iscritto, coglie l’interiorità. La vista ha a che fare con quanto appare, mentre l’ascolto con ciò che appartiene all’io. Quando vien meno l’ascolto tende a prevalere la superficialità, l’esteriorità, la reificazione nei rapporti.
Non è un caso che tutte le religioni siano più facilmente acclimatabili con il simbolismo dell’ascolto. Mentre l’occhio della filosofia tende a definire, a mettere dei confini, e quello della scienza a cogliere il funzionamento, l’ascolto delle sapienze e delle religioni si apre a qualcosa di ulteriore, al senso profondo del mondo.
3. l’orecchio e la parola di Dio
Due sono i movimenti: il grido dell’uomo che sale all’orecchio di Dio e la parola di Dio che scende attraverso l’orecchio al cuore dell’uomo.
il grido dell’uomo che sale a Dio
La voce del sangue di Abele (Gen 4) grida a Dio dal suolo. E’ la voce della vittima che grida al vendicatore (goel). Ma Dio è uno strano vendicatore: pone un segno di protezione su Caino. Il Dio che è dalla parte di Abele protegge Caino dalla vendetta.
Dalle labbra del fanciullo Ismaele nel deserto (Gen 21,8-21) sale un pianto e un grido che viene ascoltato da Dio.
Gli ebrei in Egitto diventano stranieri, senza identità, un non popolo, e diventano schiavi, costretti a fare lavori in cui non possono riconoscersi. Allora « alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza… se ne prese pensiero » (Es 2,23-25).
Gli ebrei in Egitto non hanno gridato a Dio, perché avevano perso il ricordo del Dio di Abramo e non potevano riconoscersi negli dei degli egiziani, che erano dei egiziani. Gli ebrei possono solo gemere, piangere, gridare. E’ il grido dell’esistenza ferita. E’ Dio che si ricorda dell’alleanza.
Dio non ascolta gli ebrei perché lo hanno invocato, ma il grido degli ebrei diventa preghiera e invocazione perché Dio lo ha ascoltato, accolto. Dio trasvaluta il grido in preghiera.
la fondazione biblica dei diritti umani come diritti del povero
Il grido è l’espressione del bisogno, del bisogno per sopravvivere e del bisogno per vivere, del bisogno di cibo e di salute e del bisogno di affetto. Con un’unica espressione si può parlare di bisogno di casa, nella duplice accezione di house (l’edificio in cui ripararsi e trovar da mangiare) e di home (lo spazio esistenziale e affettivo).
Il bisogno è una specie di muta o anche pronunciata invocazione a qualcuno perché ascolti.
Ora dire che Dio tende l’orecchio al grido del povero, dell’orfano, della vedova, dello straniero, vuol dire che quel bisogno di sopravvivere e di vivere viene trasformato in diritto, nel diritto ad essere ascoltato e accolto, nel diritto di trovare qualcuno che si prenda cura di quel bisogno.
« Tu devi essere colui che accoglie il bisogno dell’altro, il grido formulato o muto dell’altro, perché quel grido, in quanto accolto da me, è diventato il suo diritto ». I diritti umani nella bibbia sono sempre i diritti del povero.
Ora ognuno in quanto è un essere di bisogno è soggetto di diritti sotto lo sguardo di Dio, e ognuno, in quanto è soggetto attivo e dotato, è sotto il segno della responsabilità. Rispondo a Dio rendendogli conto di ciò che faccio all’altro, in negativo delle disattenzioni e delle ferite che infliggo, in positivo del mio rispettare, promuovere, prendermi cura.
la parola di Dio e l’ascolto dell’uomo
Deuteronomio 6, 4 ss.:
« Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. »
E’ il testo della fondazione di Israele. Prima esiste un gruppo che Dio educa con fatica a vivere dentro a situazioni invivibili, a vivere nel deserto, aggrappato solo alla parola Dio: « non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio ». La parola che esce dalla bocca di Dio non è una specie di pane spirituale da mangiare con la meditazione, ma è quella promessa credendo alla quale si avrà ogni giorno da Dio il pane. Il pane parola di Dio è il pane che promette l’altro pane, che promette di rendere vivibile il deserto giorno dopo giorno, in modo che il futuro Israele, l’educando a essere Israele, dovrà giorno dopo giorno rinnovare la propria fiducia in questa strana parola.
C’è la dimensione di assolutezza: « Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore… » ed insieme la dimensione di concretezza dei comandamenti, traduzioni operative dell’amore. L’obbedienza radicale possiamo darla solo a Dio, la cui parola accende il cuore dell’uomo.
La felicità può scaturire solo dall’agire responsabile e l’agire responsabile non può non fiorire in felicità.
La forma originaria della parola di Dio è la voce, messa per iscritto poi nella tavole di pietra (Deut 4,10-14) e che parla al cuore dell’uomo. E’ una parola che risuona nell’oggi e il cui contenuto è la relazione con l’altro: « Così come io ho amato te quando eri nessuno in Egitto, adesso tu ama lo straniero, l’orfano, la vedova ».
L’oggi della parola di Dio percuote il di dentro, il cuore, e invia fuori, verso l’insieme delle relazioni sociali. Le due tavole della legge sono solo il momento istituzionale delle relazioni, sono solo l’obiettivazione di quello che deve essere il cuore giusto. Solo dal cuore, percosso dalla parola di Dio, possono scaturire veramente la giustizia e il suo frutto lo shalom, cioè la pace come pienezza armonica delle relazioni.
Questa voce, sempre attuale, si fissa in forma di libro. Allora ascoltare questa parola è fare memoria, perché la voce torni a risuonare.
Leggere la bibbia è ritrovare un senso già dato in passato perché risuoni oggi, liberandolo dai rivestimenti storici-culturali (lettura storico-critica). Questa voce, così fatta risuonare, si rivolge a me, al mio cuore, per risvegliare la mia responsabilità verso gli altri, la pratica della giustizia.

Publié dans:biblica |on 23 avril, 2013 |Pas de commentaires »

L’AMORE DI DIO È IN MEZZO A NOI – CAPITOLO PRIMO

http://www.murialdomilano.it/LPcap01.htm

L’AMORE DI DIO È IN MEZZO A NOI – CAPITOLO PRIMO  

La prima tappa
del percorso pastorale
(2006-2007)

FAMIGLIA ASCOLTA
LA PAROLA DI DIO

Capitolo Primo

La parola di Dio dimora in voi
Le comunità e le famiglie in ascolto

18.    La prima tappa del Percorso pastorale, come emerge dal titolo Famiglia ascolta la parola di Dio, punta sull’ascolto. Si tratta di ascoltare, anzitutto, la parola di Dio perché è questa a svelare in tutta la sua bellezza il disegno divino sulla realtà dell’amore, del matrimonio e della famiglia, in corrispondenza con i desideri più vivi e le esigenze più profonde che abitano il cuore dell’uomo e della donna.
In tal senso la parola di Dio ha la sua eco nelle parole delle famiglie, ossia nell’esperienza vissuta degli sposi, dei genitori e dei figli, delle famiglie: un’eco che prolunga la parola di Dio e insieme racchiude un’attesa più o meno cosciente, anzi una ricerca della parola colta alla sua stessa origine, dentro il mistero di Dio amore (cfr 1Giovanni 4,16).
Di fronte a questa “Parola” e a queste “parole” vogliamo metterci in ascolto.
 Ascoltare non è una strategia, ma una condizione umana e teologica fondamentale. Parlare e ascoltare non sono nell’uomo solo una capacità fra le altre: sono la facoltà che fa dell’uomo un uomo. Da solo l’uomo non esiste. Esiste solo nella relazione. E nel suo corpo c’è un organo che è sempre in esercizio, che funziona sempre: è l’orecchio. Gli antichi saggi di Israele facevano notare che l’uomo ha due orecchie e una bocca: il tempo dedicato all’ascolto dovrà essere almeno doppio di quello dedicato a parlare.
Il Dio della Bibbia è un Dio che parla (cfr Deuteronomio 4,32ss). Ma un Dio che parla richiede ascolto. In questo sta la differenza tra la preghiera pagana e quella biblica: non un parlare a Dio, ma un ascoltare Dio. «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore Dio tuo…» (Deuteronomio 6,4-5). Il punto di partenza è l’ascolto, il punto di arrivo è la carità. La regola di san Benedetto, prima regola monastica d’occidente, inizia così: «Ascolta, figlio gli insegnamenti del tuo maestro, apri docile il tuo cuore» (Prologo, 1).
 Se vogliamo allora metterci in ascolto, ci troviamo immediatamente provocati da tante domande: che cosa dice la parola di Dio e come ci raggiunge? Quali risposte possono venire dalle parole delle famiglie a riguardo dei loro problemi e delle loro attese? Quali significati ha la parola di Dio per la nostra vita? Che cosa comporta questo ascolto? Quali disposizioni esige e quali sono i suoi frutti?
Queste e altre domande possono trovare il giusto ascolto e le risposte più persuasive in un ambito ben preciso: quello di comunità e di famiglie capaci di accoglienza.

1. Chiesa e famiglie, comunità accoglienti
    e in ascolto sulla misura del cuore di Cristo
 19.    Ogni parrocchia e realtà di Chiesa e, in esse, le famiglie sono chiamate ad essere comunità di accoglienza, così che chiunque vi si avvicina si senta desiderato, amato, ben accolto e aiutato a stabilire relazioni significative con le persone. Tutti devono contribuire a creare un clima di rapporti cordiali e rispettosi. E il primo passo, la prima espressione dell’accoglienza è l’ascolto.
Come traspare da ogni pagina del vangelo, erano questi l’atteggiamento e lo stile di Gesù. Egli sta in mezzo alla gente, la incontra quotidianamente, la ascolta nelle sue richieste, la previene nelle sue esigenze. E tutto questo ha valore anche in rapporto alla famiglia nei suoi diversi componenti: genitori, figli, fratelli e sorelle, bambini e adulti, sani e malati, ecc. Mentre incontra le persone Gesù ascolta le loro domande, suscita il pentimento e diffonde il perdono, mostra i miracoli della fede e invita a servire con umiltà, guarisce dalle malattie e insegna la riconoscenza (cfr Luca 17,1-19).
È lo stesso atteggiamento e stile che la comunità cristiana e le famiglie sono chiamate a imitare e a rivivere: ogni giorno, nei riguardi di tutti.
 Gesù cammina per le strade di villaggi e città, ascolta, parla, saluta, si ferma.  Nella città di Nain, incontrando l’esperienza del lutto e del dolore, incoraggia una donna vedova che piange per la morte di suo figlio. Porta alla vita questo ragazzo e infonde la pace nel cuore di sua madre (cfr Luca 7,11-17). Anche Giairo, capo della sinagoga, ha bisogno di Gesù e lo prega di recarsi a casa sua: Gesù lo ascolta, lo segue, lo libera dalla paura, lo invita alla fede. Di fronte a due genitori che piangono, prende per mano la loro figlia e la risveglia alla vita (cfr Luca 8,50-56).
          Gesù è attento alle vicende familiari e le persone sanno che possono contare su di lui. Marta e Maria, quando il fratello Lazzaro si ammala, mandano ad avvertire Gesù che il suo amico è malato. Gesù, mai indifferente ai vissuti dolorosi di una vita familiare, ascolta e interviene. Vuole, infatti, molto bene a queste persone e per coloro che ama cambia i suoi programmi. Gesù è così capace di costruire rapporti personali autentici e profondi che va a incontrare i suoi amici nelle loro case ed è atteso: Marta gli va incontro con premura e lo accoglie con gioiosa ospitalità, Maria si siede ai suoi piedi desiderosa di ascoltare la sua parola, Lazzaro offre la sua amicizia. Ora, morto da quattro giorni, Lazzaro riceve da Gesù la pienezza della vita (cfr Giovanni 11,1-44).
          Il Signore si reca dappertutto, ma spesso sceglie la casa come luogo per annunciare il Vangelo e donare la salvezza. Nella casa di Simone, il fariseo, Gesù guarda anzitutto al sovrappiù dell’amore (cfr Luca 7,36-50); di fronte a una donna che ha peccato coglie immediatamente la tenerezza e il pentimento e non esita a dischiudere per lei il torrente della misericordia divina: « Egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; và in pace!”» (Luca 7,50).
          Gesù scruta nei cuori e prevede da lontano i desideri della gente. Crea le occasioni per stabilire incontri e colloqui: ascolta e si fa ascoltare, pone domande impegnative e difficili e offre molto di più di quanto ci si potrebbe aspettare. Gesù disse a Zaccheo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Luca 19,9). Gesù entra con grande libertà in rapporto con la gente e non si preoccupa di un eventuale giudizio, vuole soltanto il bene delle persone e le conduce a incredibili conversioni, come è stato per Zaccheo. Ma tutto questo vale anche oggi quando una comunità e una famiglia sono capaci di trasformare le occasioni quotidiane di incontro e di ascolto in autentici miracoli della grazia. Gesù mostra in questo modo che è possibile andare incontro a tutti e che la relazione umana può essere carica di salvezza per ogni persona e per ogni famiglia. Coloro che credono nel Figlio dell’uomo possono veramente andare a cercare e salvare ciò che è perduto (cfr Luca 19,1-10).
          Gesù sta a tavola con tutti, anche con i pubblicani e i peccatori. A lui presentano tante questioni dibattute, riguardanti anche taluni problemi familiari, come la questione del divorzio (cfr Matteo 19,3-12) o quella dell’’eredità (cfr Luca 12,13). Egli, sfidando senza paura i pregiudizi sociali e le correnti religiose o culturali del proprio tempo, è particolarmente attento ai bambini, alle donne, ai poveri, agli emarginati, ai lebbrosi, agli indemoniati.
          Gesù è l’accoglienza fatta carne. Lo afferma lui stesso quando dice: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Matteo 10,40). Con queste parole egli ci introduce a cogliere la meravigliosa ricchezza dell’accoglienza; soprattutto ci fa in qualche modo penetrare nel segreto e nel mistero divino dell’accoglienza. Il Figlio vive con il Padre dall’eternità il dono della reciproca accoglienza. Per questo Gesù, parola di Dio fatta carne, diviene in mezzo all’umanità il segno luminoso dell’accoglienza che il Padre riserva a tutti e a ciascuno di noi.
          E poiché l’accoglienza si esprime nell’ascolto della parola, il Figlio è colui che in una intensità unica e del tutto singolare sta in ascolto della parola del Padre ed è obbediente alla sua volontà, come ci testimonia il vangelo quando ci riferisce del silenzio e della preghiera di Gesù lungo la notte sul monte, quando lo presenta nell’atteggiamento di chi invoca il Padre prima di compiere i miracoli della guarigione del corpo e dell’anima.  E Gesù si sente perfettamente accolto e ascoltato dal Padre: per questo lo ringrazia, come avviene prima della risurrezione dell’amico Lazzaro: «Padre, ti ringrazio perché mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Giovanni 11.41-42).
          In questa reciproca accoglienza il Figlio e il Padre si pone l’ascolto obbediente delle parole che sono rivolte a Gesù perché questi le faccia risuonare nel cuore degli uomini. In questo senso Gesù, prima, anzi per ascoltare meglio le parole degli uomini – il loro vissuto con tutto il peso delle sofferenze e tragedie della vita –, ascolta le parole del Padre, come lui stesso ama sottolineare nella sua missione di salvezza: «Io dico al mondo le cose che ho udito da lui (dal Padre)» (Giovanni 8,26); e ancora: «Ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre, l’ho fatto conoscere a voi» (Giovanni 15,15).
          E così questo mistero di Gesù diventa la sorgente stessa della sua missione di salvezza: egli ascolta le parole della gente, perché ascolta le parole del Padre, e queste ultime, che vengono dall’amore di Dio, sono le parole di vita eterna che egli dona al mondo bisognoso di salvezza.
 20.    Se da quanto precede emerge chiara l’esigenza dell’ascolto come espressione dell’accoglienza, ora l’atteggiamento di Gesù ci fa cogliere la densità straordinaria di cui è segnato il contenuto dell’ascolto: è l’ascolto di parole umane, talvolta solo sussurrate oppure gridate, parole di timida invocazione e di disperazione senza limiti, comunque parole che rimandano ai problemi, alle fatiche, alle sofferenze, alle tragedie delle persone e delle famiglie. E insieme rimandano all’esigenza di una parola diversa, più alta, più capace di dare ragioni di speranza. Così l’ascolto si fa vera e propria partecipazione profonda delle sofferenze e delle speranze umane, come testimonia la “compassione” del cuore di Gesù più volte ricordata dal vangelo (cfr Matteo 9,36; 14.14; 15,32; Marco 1,14; Luca 7,13; 10,33).
L’ascolto – pur così importante per ridare fiducia alla vita – non è fine a se stesso, ma costituisce un primo dono che si apre a qualcosa di più grande e di più necessario per l’uomo. Gesù dopo aver accolto nel proprio cuore le “parole” degli uomini prosegue il suo incontro personale scendendo nell’intimo segreto dei cuori umani. E così annuncia la “parola di Dio”, la “buona notizia”, il disegno dell’amore di Dio che libera e salva, che consola e dà forza. Ricordiamo qui – per semplice accenno – il suo appello alla fede in Dio e al suo amore, cui abbandonarsi pienamente, prima di compiere il miracolo della guarigione e della salvezza. Infatti, dopo aver accolto le parole di Marta e il suo grande dolore per la morte del fratello, Gesù pronuncia la parola assolutamente nuova che proclama la risurrezione e la vita eterna: «Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell’ultimo giorno”. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? ”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”» (Giovanni 11,24-27).
 Accoglienza, dunque, è anzitutto ascolto delle parole e della Parola. Proprio su questo duplice oggetto dell’ascolto vogliamo ora sostare.

2. Alla luce del Vangelo
    e dell’esperienza umana
 21.    Un’espressione particolarmente felice e ricca della Costituzione conciliare Gaudium et spes indica il metodo secondo cui affrontare e risolvere i numerosi, gravi e spesso inediti problemi che travagliano la Chiesa e il mondo di oggi: si tratta di valutare ogni cosa sub luce Evangelii et humanae experientiae.
«Dopo aver esposto – così leggiamo nel testo conciliare – di quale dignità è insignita la persona dell’uomo e quale compito, individuale e sociale, egli è chiamato ad adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana, attira ora l’attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti che toccano in modo specialissimo il genere umano» (n. 46). E tra questi problemi, il primo affrontato dal Vaticano II riguarda proprio la realtà della famiglia.
Ora il Vangelo, di cui ci parla la costituzione Gaudium et spes, sono sì i quattro vangeli, ma in senso più ampio è il lieto annuncio della parola di Dio che troviamo nelle Sacre Scritture, come ad esempio si esprime il salmista: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmo 118,105). Ma in un senso più radicale, vivo e personale, il Vangelo è la parola di Dio fatta carne in Gesù. E, dunque, la vera lampada per il cammino della vita è Gesù stesso, che a tutti proclama: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8,12). Lui, la Parola eterna di Dio, come ha preso dimora nel grembo di Maria (cfr Giovanni 1,14), così chiede di poter abitare nel cuore di ogni uomo, secondo quanto scrive l’evangelista Giovanni ai giovani: «La parola di Dio dimora in voi» (1 Giovanni 2,14).
Quanto poi all’esperienza umana, di cui parla il Concilio, essa è riconducibile alle parole degli uomini, al loro vissuto concreto, con tutto ciò che racchiude e sprigiona.
Non ci deve sfuggire il fatto che il Concilio sollecita una lettura e una valutazione dei problemi alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana come di due realtà profondamente collegate tra loro. È in questione un legame di singolare reciprocità, perché, da un lato, le parole umane contengono una promessa cui dà pieno esaudimento la parola di Dio e perché, dall’altro lato, il dono di Dio si comunica e si trasmette attraverso i linguaggi umani. In realtà, la parola di Dio assume, purifica, esalta la ragione umana e trascende l’esperienza. È quanto dice questo splendido testo del Concilio: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes, 22).
Esiste, dunque, una feconda circolarità tra il Vangelo di Gesù e l’esperienza umana che esige che ascolto della parola di Dio e ascolto delle parole delle famiglie siano come due cammini da percorrere in modo convergente e completo, dall’uno all’altro sino in fondo. Ci chiediamo pertanto quale cammino sia preferibile: partire dal Vangelo per leggere il vissuto delle famiglie o da questo vissuto per rileggere il Vangelo?

Dalle parole alla Parola
 22.    Iniziamo dall’ascolto delle parole delle famiglie: è il passo più immediato, più semplice, più comprensibile e condivisibile da tutti, praticanti o non, credenti o non. Dobbiamo avere fiducia perché queste parole rimandano, non raramente, al vissuto propriamente cristiano delle famiglie, a un vissuto di fede, di sequela, di comunione d’amore con Cristo.
Ma analoga fiducia dobbiamo avere quando ci troviamo di fronte al vissuto umano delle famiglie. In realtà le loro parole hanno dentro di sé la luce della ragione umana, che è dono grande di Dio; rimandano alla coscienza morale, che «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (Gaudium et spes, 16). In esse ci sono il desiderio – più o meno intenso – di cercare il vero e il bene, come pure l’impegno di essere coerenti anche nelle situazioni difficili per dare concretezza alla propria maturità morale e spirituale. Vivere così significa essere in cammino e venir introdotti in una luce superiore, secondo la parola stessa di Gesù: «Chi opera la verità viene alla luce» (Giovanni 3,21).
Infine, non dimentichiamo che anche queste parole umane sono raggiunte dalla parola di Dio, che è Creatore e Padre di tutti, di Dio che penetra in tutti i cuori, anche a insaputa della persona, persino là dove apparisse qualche forma di rifiuto di Dio stesso.

Dalla Parola alle parole
 23.    La Parola è Dio stesso che parla. Parla in Gesù, il Verbo fatto carne. E così il Figlio eterno di Dio, facendosi pienamente uomo, condivide le nostre esperienze. Egli infatti «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Gaudium et spes, 22).
Ha fatto anche l’esperienza umana della famiglia, raggiunto dall’amore materno di Maria e dall’amore di Giuseppe, suo padre secondo la legge. Ha vissuto a Nazaret le vicende familiari, come la “sottomissione” in casa, il lavoro, la lettura e l’ascolto delle sacre Scritture, la pratica religiosa familiare, e ha conosciuto la povertà e l’emarginazione nella sua nascita a Betlemme. Sin da piccolo è stato ricercato a morte e ha sofferto l’esilio. Ha coltivato l’amicizia sincera e tenera con alcune famiglie.
Questa parola di Dio è un singolarissimo dono, che sprigiona per noi luce e forza: luce che ci fa vedere e valutare la realtà e il vissuto, e forza per accogliere e vivere ogni parola che viene dal Signore e ogni sapienza umana autentica. E così la Parola ci si presenta come Vangelo, grazia e promessa, dinamismo e beatitudine. E ci infonde fiducia, speranza, coraggio, gioia.
Straordinaria e consolante l’annotazione dell’evangelista: solo Gesù «sa quello che c’è in ogni uomo» (Giovanni 2,25).

 3. L’ascolto come discernimento
 24.    Che significa ascoltare? Può sembrare domanda inutile, tanto dovrebbe essere ovvio il significato dell’ascolto. Del resto le pagine precedenti l’hanno in qualche modo già indicato. Ma è proprio l’importanza centrale dell’ascolto come tratto qualificante la prima tappa del Percorso pastorale che ci spinge a leggere più in profondità la realtà e il dinamismo di questo atteggiamento del cuore e della mente.
Ci pare che il termine biblico e teologico che coglie gli aspetti più originali e pregnanti dell’ascolto sia quello del discernimento: l’ascolto, cioè, raggiunge la sua verità piena quando si configura come esercizio di discernimento.
Ancora una volta ci è di aiuto il Concilio, quando seguendo l’intuizione di papa Giovanni XXIII parla dei “segni dei tempi”: «È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto…» (Gaudium et spes, 4). E ancora: «Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio…» (Gaudium et spes, 11).
Il discernimento comporta un duplice e inscindibile elemento: il giudizio e la scelta. È un criterio di giudizio, ossia di lettura, di interpretazione, di valutazione della realtà, degli uomini e delle cose, dei grandi avvenimenti e delle vicende quotidiane, dei valori morali e spirituali e dei problemi materiali, ecc. E tutti noi possiamo e dobbiamo coltivare simile criterio di giudizio, appellandoci alla ragione umana illuminata dalla fede, e dunque dall’esperienza umana e dal Vangelo, per riprendere di nuovo le parole del Concilio.
In particolare il cristiano, nella luce e con la forza dello Spirito, riceve il dono di prendere parte al “pensiero di Cristo”, come testimonia umile e fiero l’apostolo Paolo, lui che ha trattato con singolare profondità la questione della sapienza divina e umana: «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1 Corinzi 2,16). È ancora Paolo ad ammonirci, come un giorno i cristiani di Efeso: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente… Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi» (Efesini 5,8-11. 15; cfr 1 Tessalonicesi 5,4-8).
Queste parole dell’apostolo ci introducono al secondo elemento del discernimento: il criterio di scelta. Si tratta, in forza di un giudizio credente e con l’energia della «legge dello Spirito che dà la vita in Cristo Gesù» (Romani 8,2) di scegliere e di decidersi a utilizzare responsabilmente la propria libertà, a renderla cioè operativa mediante precisi atteggiamenti, comportamenti, opere e gesti. Ed è quanto avviene là dove c’è coerenza, corrispondenza armoniosa, quasi un’inscindibile alleanza tra il giudizio e la scelta, tra il “pensiero” di Cristo e l’“agire” di Cristo, che il discepolo è chiamato a imitare e rivivere nella sua esistenza con la luce e la forza dello Spirito.
          Non ci soffermiamo ora nel rilevare quanto sia importante affrontare i più diversi problemi della vita – non ultimi quelli riguardanti l’amore, il matrimonio e la famiglia – con il discernimento razionale ed evangelico. Tutto ciò è ancora più necessario oggi considerato il nostro contesto sociale e culturale: «Siamo di fronte a una mentalità che coinvolge, spesso in modo profondo, vasto e capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani, la cui fede viene svigorita e perde la propria originalità di nuovo criterio interpretativo e operativo per l’esistenza personale, familiare e sociale. In realtà, i criteri di giudizio e di scelta assunti dagli stessi credenti si presentano spesso, nel contesto di una cultura ampiamente scristianizzata, estranei o persino contrapposti a quelli del Vangelo» (Giovanni Paolo II, enciclica Veritatis splendor, 88).
          La Chiesa e, in essa, le famiglie cristiane sono allora chiamate a implorare la grazia del Signore e del suo Spirito, che non solo dona la fede e la carità – i due nuovi criteri di giudizio e di scelta per il cristiano – ma anche “purifica” la ragione umana e “fortifica” la volontà, e dunque l’autentica libertà, orientandola con soavità ed energia al vero e al bene, al compimento della «volontà di Dio», di «ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Romani 12,2).
          Così, identificando l’ascolto con il discernimento, lo stesso ascolto manifesta tutta la sua pregnanza di contenuto, tutta la sua concretezza operativa, tutta la sua bellezza e serietà spirituale: ascoltare le parole delle famiglie – abbiamo detto – è accoglienza, interessamento, partecipazione, aiuto al loro vissuto; così come ascoltare il Vangelo, il Vangelo vivente e personale che è Cristo Signore, è credere in Gesù, ascoltare le sue parole, seguirlo, entrare in comunione di vita, di amore e di destino con lui, camminare nel suo Spirito. Sul versante cristiano c’è dunque un intimo legame tra l’ascolto e la sequela di Cristo: l’ascolto è elemento necessario del discepolato cristiano.
          Proprio in questa direzione si muovono i due successivi capitoli del Percorso pastorale di quest’anno: il primo sul “Vangelo della famiglia”, un Vangelo da accogliere per valutare secondo il pensiero di Cristo, e il secondo sulla “missione della famiglia”, per vivere, annunciare e testimoniare agli altri questo stesso Vangelo secondo lo stile operativo di Cristo.

 4. La pratica dell’ascolto
 25.   Concludiamo questo primo capitolo con alcune indicazioni operative, che richiamano brevemente i contenuti e i tempi, le persone coinvolte e le modalità o condizioni spirituali dell’ascolto.
 I contenuti o luoghi dell’ascolto:
le parole delle famiglie e la parola di Dio
 L’esercizio dell’ascolto dovrà essere sviluppato e approfondito in rapporto a due contenuti o luoghi vitali dell’esistenza delle famiglie: l’esperienza umana (le parole) e la vita di fede (la parola di Dio).
 Il primo contenuto o luogo è la considerazione dell’esperienza concreta della vita e della realtà umana dell’amore nella vita familiare, così come si presenta nel contesto sociale e culturale del nostro tempo. Ascoltare significa raccogliere i vissuti concreti delle nostre comunità, dove le persone hanno un volto, una storia, una loro collocazione vitale. È importante in questa fase dell’ascolto cogliere le abitudini, le tendenze, i comportamenti delle persone che si incontrano ogni giorno e che vivono con noi. Significa interpretare attentamente tutto quello che si pensa, si discute, si propone – a torto o a ragione – nella società d’oggi a proposito del matrimonio e della famiglia. Così l’esperienza umana dell’amore, con tutte le sue possibilità e i suoi drammi, si incontra e si intreccia quotidianamente con la cura pastorale della Chiesa, delle nostre comunità cristiane.
          Il secondo contenuto o luogo è, invece, la considerazione di quanto affermano la parola di Dio e la sapienza cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, così come ci viene consegnata dalla tradizione vivente della Chiesa ed è vissuta nella comunità dei credenti. L’amore umano tra l’uomo e la donna, pensato fin dal principio nel progetto originario di Dio, trova nel sacramento del matrimonio il luogo della sua pienezza. La Chiesa ha sempre accompagnato con la sua sapienza e con la sua esperienza la realtà dell’amore e della famiglia e fornisce anche oggi ai credenti quegli aiuti necessari perché il matrimonio e la famiglia raggiungano la loro pienezza e la loro fecondità.
          Per affrontare questi due contenuti della realtà umana e cristiana dell’amore, del matrimonio e della famiglia si potranno opportunamente sfruttare le non poche occasioni pastorali che vedono una certa circolarità di esperienze e di attività tra le famiglie, la comunità ecclesiale e la società civile. Innanzitutto, è buona cosa valorizzare le opportunità che nascono dalla pastorale ordinaria, vivendo questi momenti con autentica attenzione e partecipazione, condividendo comunitariamente ciò che da questi incontri emerge, predisponendo iniziative ed interventi tra loro coordinati e da attuare eventualmente anche nelle prossime tappe del Percorso pastorale.
I momenti dell’ascolto: i due tempi dell’anno
 26.   L’esercizio dell’ascolto può essere declinato in due momenti durante questo anno pastorale.
Il primo momento, dall’inizio dell’anno pastorale fino all’inizio della Quaresima, deve essere inteso come tempo di ascolto per raccogliere una vivace e ricca recensione dei racconti delle persone, in rapporto alle diverse esperienze: la relazione di coppia, l’educazione dei figli, il lavoro, il cammino affettivo dei ragazzi e dei giovani, il matrimonio e la vita familiare nel contesto ecclesiale e sociale di oggi. Il racconto e l’esperienza di molte persone faranno trasparire anche quello che viene recepito dalla parola di Dio e dalla dottrina della Chiesa a proposito del matrimonio, della realtà familiare e dei compiti della famiglia nella vita ecclesiale e sociale.
Il secondo momento si colloca nella parte successiva dell’anno pastorale, dall’inizio della Quaresima fino all’estate. In questo secondo momento – dopo che comunità e famiglia hanno cercato di accostarsi al “Vangelo del matrimonio e della famiglia” – l’ascolto deve essere inteso come una raccolta comune di prospettive e di proposte, adatte alla propria comunità e al proprio territorio, che facciano ripartire una pastorale familiare più dinamica, organica e completa, in conformità alle richieste del Vangelo e aderente alle situazioni e alle esigenze attuali.

 Le persone: i soggetti dell’ascolto
 27.  L’esercizio dell’ascolto, vissuto durante l’anno pastorale nei due momenti indicati e condotto con la guida sapiente del Consiglio pastorale, potrà utilmente avvalersi dell’apporto di idee e di esperienza di due categorie di persone.
Innanzitutto la prospettiva missionaria che caratterizza il Percorso pastorale ci indirizza verso persone o gruppi che, pur vivendo la fede, non sperimentano una particolare frequentazione della comunità cristiana. Sono persone da ricercare tra i giovani, i fidanzati, i conviventi, le famiglie, i divorziati, tra coloro che abbiano competenze relative alla famiglia, all’educazione, alla politica sociale. In questo modo, diamo la possibilità a molte persone, che comunemente non hanno l’occasione o la possibilità di intervenire, di portare alla comunità l’apporto della propria esperienza diretta di vita e di fede. Con delicatezza e coraggio sarebbe opportuno e significativo coinvolgere in questo ascolto della famiglia anche coloro che sono in ricerca o in crisi di fede o in situazioni affettive e familiari difficili e sofferte.
In secondo luogo è indispensabile ascoltare e coinvolgere in questo racconto di esperienza della vita familiare e di adesione alla Parola tutti coloro che sono in grado di osservare la realtà familiare dal punto di vista della cura pastorale della comunità, come i sacerdoti, i diaconi, le persone consacrate, il consiglio pastorale, gli operatori pastorali dei diversi settori, i catechisti, i responsabili di gruppi familiari e tutti coloro che già vivono qualche servizio nella comunità. La responsabilità e il servizio che ciascuno già esercita trova in questo cordiale e sincero confronto un luogo vero e intenso di comunione reciproca tra tutte le componenti della comunità. Comunione e missione si saldano insieme e si rafforzano reciprocamente.
 Le modalità: le condizioni spirituali dell’ascolto
 28.  Per attuare una valida pratica dell’ascolto sono necessari alcuni atteggiamenti virtuosi che aprono a un’autentica sensibilità evangelica, sia individuale sia comunitaria, con cui affrontare i vissuti della vita familiare e le indicazioni della proposta ecclesiale: quasi una spiritualità dell’ascolto.
Grazie a tali modalità interiori ed esteriori ci si rapporta e si interagisce con le altre persone: singoli o coppie di sposi, uomini o donne, giovani o adulti, persone di condizione e appartenenza sociale e culturale diverse, persone conosciute o non conosciute, presenti in modo assiduo alla comunità o solo saltuariamente…
Tra le modalità più significative per aprirci all’ascolto indichiamo la custodia del silenzio, la gioia della gratitudine, il cuore misericordioso e lo spirito di preghiera.
 In tutte le occasioni in cui quest’anno, attraverso uno scambio reciproco, ci troveremo ad ascoltare la vita delle persone, le situazioni delle famiglie e le indicazioni della parola di Dio, dobbiamo amare e custodire il silenzio. Forse potrà sembrare paradossale, ma per ascoltare gli altri occorre anzitutto ascoltare sé stessi. E ci si ascolta nel silenzio, ossia rendendoci davvero presenti a noi stessi e a ciò che facciamo, imparando a conoscerci e a dare un nome a ciò che ci abita, senza scandalizzarci del male che possiamo trovare. Abbiamo bisogno di solitudine interiore per aprirci agli altri: «Nella solitudine, tu ti vedi; e non vedi ciò che ti è esteriore. Finché guarderai altrove, non ti vedrai mai», diceva Isacco il Siro (Lettera a un fratello sull’amore della solitudine).
È necessario custodire il silenzio perché il silenzio custodisca la nostra interiorità. Scava nel profondo del nostro “io” uno spazio per farvi abitare il “tu” dell’Altro e per ascoltare la sua Parola. Un mistico siro-orientale del VII secolo, Giovanni di Dalyatha, diceva: «Fa’ tacere la tua lingua affinché il tuo cuore sia calmo, e fa’ tacere il tuo cuore affinché lo Spirito parli in lui» (Omelie sui doni dello Spirito). Nello steso tempo il silenzio scava nel profondo per farvi abitare il “tu” degli altri e ci dispone a un ascolto attento, intelligente, cordiale e saggio.
 Nell’incontro, nell’accoglienza e nell’ascolto degli altri siamo chiamati a possedere un animo riconoscente, a coltivare la gioia della gratitudine. Molto spesso la maturità di una persona o di una comunità si esprime attraverso il suo spirito di gratitudine di fronte a tanta ricchezza di grazia e di amore che il Signore non si stanca di riversare nei cuori umani e nelle vicende della storia. Siamo dunque chiamati a ringraziare Dio, il datore di ogni bene, ma anche i fratelli per il bene che compiono e per la ricchezza spirituale che in tal modo offrono agli altri. È un dono dello Spirito il renderci conto di tutto quanto abbiamo ricevuto e riceviamo: le grazie del Signore sono sempre più numerose e preziose dei limiti e delle colpe nostre e dell’umanità.
La vera gratitudine è capace di criticità, di coraggio, di innovazione, di profezia. E sa intraprendere tutto questo con intelligenza e determinazione, con perseveranza e serenità. Le nostre comunità siano comunità in cui, nonostante i veloci cambiamenti e le fatiche quotidiane, ci si rende conto del sacrificio e del dono che molti fratelli e sorelle – in ogni vocazione e stato di vita – offrono ogni giorno al Signore come culto spirituale (cfr Romani 12,1-2) nella prospettiva di edificare il Regno di Dio nella storia, di cooperare alla diffusione del Vangelo (cfr Filippesi, 1,3-8).
 Per praticare l’ascolto e per entrare in sintonia con il vissuto degli altri è necessario un cuore misericordioso, senza asprezza, senza giudizio, senza condanna, senza intolleranza. Il cuore misericordioso ama e proclama la verità, ma lo fa con amore e per amore, specie quando la verità è particolarmente esigente. Il cuore misericordioso è innanzitutto cosciente del fatto che ciascuno di noi attraversa le sue difficoltà, conosce le sue povertà, sente il peso dei propri peccati. Per questo lascia a Dio solo il giudizio insindacabile sull’agire umano (cfr 1 Corinzi 4, 3-4).
Riascoltiamo le parole di Paolo VI rivolte ai sacerdoti nel loro ministero verso gli sposi e le famiglie: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare (cfr Giovanni 3,17), egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone» (enciclica Humanae vitae, 29).
Un cuore misericordioso sa riconoscere le diversità che ci sono nella storia e nella vita delle persone e delle famiglie, sa correggere e perdonare, incoraggia sempre e valorizza anche la più piccola briciola di bene.
Un cuore misericordioso fa crescere la comunità e aiuta i suoi fratelli a vivere l’autentica carità (cfr 1 Corinzi 13,1-13), ciascuno nella propria vocazione, con umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportando a vicenda con amore e conservando l’unità per mezzo del vincolo della pace (cfr Efesini 4,1-3).
 Infine, è possibile veramente ascoltare soltanto se si coltiva un profondo spirito di preghiera. Il cammino che intraprendiamo insieme quest’anno dovrà essere accompagnato da un’abbondante preghiera personale e comunitaria.È, infatti, nel rapporto superlativamente personale e amicale con Gesù e nella preghiera comune della Chiesa che ci sarà dato di riscoprire e di apprezzare la verità e la bellezza della vita e dell’amore, di individuare i passi da compiere, di ricevere dallo Spirito la forza per superare le nostre difficoltà e per affidarci a lui, che viene in aiuto alla nostra debolezza e sostiene la nostra perseveranza (cfr Romani 8, 24-27).
La preghiera ci introduce nel cuore di Dio e crea uno stile di ascolto reciproco: a Dio noi rivolgiamo la nostra parola e lui dona a noi la sua parola. E ciò è decisivo per l’ascolto delle parole degli uomini. Infatti, solo se e nella misura in cui nella preghiera rimaniamo in ascolto della parola del Signore, potremo ricevere la grazia di ascoltare a nostra volta – e con il cuore stesso di Dio – le parole delle persone e delle famiglie.

Publié dans:biblica, pastorale |on 23 avril, 2013 |Pas de commentaires »

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