L’Apostolo Giovanni
http://www.patheos.com/blogs/yimcatholic/2012/12/for-all-the-saints-john-apostle-and-evangelist.html

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ATTI DEGLI APOSTOLI – 17, 16-21 – Paolo entra in Atene
(il discorso di Paolo ad Atene mi affascina!)
16Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. 17Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. 18Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: «Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere un annunziatore di divinità straniere»; poiché annunziava Gesù e la risurrezione. 19Presolo con sé, lo condussero sull’Areòpago e dissero: «Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? 20Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta».
21Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare.
Riflessione
La persecuzione, per un singolare disegno di Dio, spingeva i discepoli a recarsi verso altri luoghi per comunicare anche lì la buona novella del Regno. Il Signore trasformava in vantaggio per il Vangelo la durezza degli uomini che si opponevano a Lui.
Paolo giunse quindi ad Atene come un fuggitivo. Sebbene la città non fosse più cosi prospera come ai tempi di Platone, era tuttavia ancora una grande capitale. Nella narrazione di Luca, dopo Gerusalemme e prima di Roma, Paolo doveva predicare il Vangelo nella capitale della cultura del tempo. Arrivato in città si mescolò al traffico dell’agorà e del mercato per capire quale fosse la sensibilità degli ateniesi.
La sfida era delicatissima e Paolo lo sapeva. Voleva perciò comprendere dal di dentro, potremmo dire, la vita degli ateniesi. Il grande interrogativo era anche semplice: Gerusalemme avrebbe conquistato Atene? Il Vangelo avrebbe toccato il cuore dell’Areopago‘?
È la stessa domanda che noi oggi continuiamo a porci di fronte ai tanti areopaghi di questo mondo, di fronte alle tante culture che abitano il pianeta e che attraversano il cuore e le menti degli uomini. L’audacia di Paolo, che con coraggio si presenta davanti ai sapienti di Atene, ci mostra che nessun areopago è estraneo alla predicazione, nessuna cultura è estranea al Vangelo. Anzi gli areopaghi di oggi attendono discepoli che annunciano la salvezza.
È la grande sfida che tutti i cristiani hanno davanti a loro e che non possono eludere perché solo il Vangelo può rendere più umano il mondo nel quale viviamo.
ATTI DEGLI APOSTOLI – 17, 22-34 – Discorso all’Areopago
22Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areòpago, disse: «Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. 23Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. 24Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo 25né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che da a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perche abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo. 29Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana. 30Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, 31poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». 32Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un’altra volta». 33Così Paolo usci da quella riunione. 34Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.
Riflessione
Paolo avvia il suo discorso nell’importante piazza dell’Areopago di Atene prendendo spunto da un altare pagano dedicato al Dio Ignoto che aveva notato nella sua visita alla città. L’apostolo afferma di essere venuto ad annunciare il nome di quel Dio che non era quindi più ignoto.
L’attenzione dei sapienti ateniesi era alta e Paolo suscitava interesse tra quegli esigenti ascoltatori mentre, toccando sulle corde della loro cultura, cercava di metterle in dialogo con il Vangelo. Potremmo dire che l’apostolo era riuscito ad entrare nella sensibilità dei suoi ascoltatori, ma ovviamente era necessario a questo punto comunicare loro il cuore del Vangelo, ossia la vittoria di Gesù sul male e sulla morte.
Paolo doveva annunciare la risurrezione di Gesù dai morti. C’è sempre una discontinuità tra il piano della cultura e quello della fede, tra il Vangelo e la mentalità ordinaria. E la risurrezione è un dono straordinario e inaspettato che il Signore ha fatto all’umanità. Forse l’apostolo sperava che quei sapienti, che pure ritenevano l’anima immortale, avrebbero accolto anche il mistero della risurrezione della carne. E nel suo discorso li aveva come portati sulla soglia.
Gli ateniesi, invece, lo interruppero dicendo: su questo ti ascolteremo un’altra volta. Grande fu la delusione di Paolo, ma forse ricordò le parole di Gesù: ti ringrazio, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.
http://www.zenit.org/it/articles/perche-per-essere-cristiani-e-necessario-andare-a-messa
PERCHÉ, PER ESSERE CRISTIANI, È NECESSARIO ANDARE A MESSA?
INTERVISTA A DON RICARDO REYES CASTILLO, AUTORE DI « LETTERE TRA CIELO E TERRA », MANUALE DI FACILE LETTURA PER RISCOPRIRE IL VALORE FONDAMENTALE DELL’ESPERIENZA EUCARISTICA DELLA MESSA
ROMA, 11 APRILE 2013 (ZENIT.ORG) SALVATORE CERNUZIO
A volte da una chiacchierata a cena tra amici può nascere un frutto benefico per tutta l’umanità. E’ bastata una semplice domanda di un cattolico non-praticante sull’importanza della Messa, perché don Ricardo Reyes Castillo, sacerdote di Grenoble, incardinato a Roma, desse il via ad un lungo epistolario in cui, grazie ai suoi studi al Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo di Roma, spiegasse perché, per essere cristiani, è fondamentale vivere l’Eucarestia. Il risultato è “Lettere tra Cielo e Terra”, volume suddiviso in dodici lettere, scritto in un linguaggio accessibile e rivolto a credenti e non per aiutarli a riscoprire il valore della Messa e la bellezza di Dio.
Il libro, già alla sua seconda edizione con Cantagalli, verrà presentato dal card. Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto divino, e da padre Giuseppe Midili, O. Carm., direttore dell’Ufficio Liturgico Vicariato di Roma, lunedì 15 aprile, alle 21, nella Parrocchia di San Roberto Bellarmino (la parrocchia di cui era titolare il cardinale Bergoglio). ZENIT ha intervistato l’autore.
Don Ricardo, raccontiamo innanzitutto come è nata l’idea di questo libro….
Un mio amico avvocato, un uomo molto istruito, di buona cultura, un giorno mi ha detto: “Ricardo, io ho studiato in istituti cattolici, conosco la Messa a memoria, ma ho una difficoltà di coerenza nell’andare a Messa, perché mi trovo a dire tante parole o fare tanti gesti di cui non so il vero significato. E per me le parole e i gesti hanno un peso; io non posso andare davanti a un Giudice e dire o fare qualcosa che non abbia una intenzione ben precisa”. Allora mi sono proposto di spiegargli ogni singola parola o gesto della Messa, in un primo momento attraverso brevi messaggi via e-mail, diventati poi vere e proprie lettere che hanno preso la forma di un libro.
Qual è il messaggio o, se vogliamo, la sfida che lancia questo libro?
Che il vero rinnovamento liturgico passa attraverso l’educazione liturgica. Secondo me, oggi non bisogna soffermarsi sui grandi concetti, considerando anche il fatto che la cultura in cui viviamo non è più una cultura cristiana o di fede. Bisogna ripartire dalle basi: cosa significa nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Cosa vuol dire ‘Che il Signore sia con voi’? Concretamente le formule recitate durante la Messa cosa hanno a che fare con la nostra vita? Nel libro ho cercato di rispondere a tali quesiti attraverso 12 lettere, in cui ho mantenuto tre punti: la parte della Liturgia in questione, un brano della Scrittura e la mia esperienza personale.
Qual è la sua esperienza personale?
Mi riferisco soprattutto a quello che ho vissuto nell’ultimo anno in cui ho scritto il libro. Esperienze di gioia e di dolore che appaiono continuamente nelle varie lettere: dalla morte di uno dei miei più cari amici, fino alla pastorale nella parrocchia di San Basilio, una zona molto difficile di Roma, dietro il carcere di Rebibbia, caratterizzata da problemi di droga e delinquenza, ma allo stesso tempo da una ricca di umanità. Convivere con questi disagi, mi ha fatto capire che c’è bisogno di tornare alle cose essenziali. Ho avuto la conferma vedendo tanta gente della Parrocchia, gente umile, che ha letto il libro e lo ha compreso, ha trovato delle risposte, è stata aiutata a vivere meglio la celebrazione. Questo mi ha consolato molto.
Sarà merito anche del linguaggio semplice utilizzato nel libro. Ha trovato difficoltà nel rendere fruibili temi così complessi per un pubblico non solo di studiosi e specialisti?
Di certo, non è stato un lavoro facile. Oltre alla richiesta del mio amico, il libro nasce anche dalla ‘sfida’ che il card. Cañizares mi ha lanciato dopo la discussione della tesi di Dottorato in Sacra Liturgia al Sant’Anselmo. Il cardinale mi ha detto: “Bravo, ora però devi ‘tradurre’ tutto quello che hai scritto nella tesi e portarlo agli uomini e le donne di oggi”. In questo lavoro, mi sono stati d’aiuto i miei studi, ma anche opere di autori come Luis e Tolkien che nei loro libri hanno tradotto grandissimi concetti della nostra fede in un linguaggio attraente per la gente comune. Credo che sia molto importante, soprattutto oggi, introdurre il cristiano a certe nozioni che sono alla base della sua fede. Io ho cercato di farlo, evitando però un linguaggio ‘infantile’, ma seguendo piuttosto lo stile di un manuale, un manuale ‘semplice’ che si può leggere tutto d’un fiato e che, al contempo, è uno strumento di approfondimento.
Uno stile che ricorda quello delle omelie e dei discorsi di Papa Francesco: essenziali, brevi, efficaci, ricchi di contenuti. Cosa pensa lei di questo Papa?
Sono molto grato a Dio per il Papa. È una ventata di speranza che mi ha dato personalmente un desiderio di ripartire, di ricominciare. Mi incoraggia anche la gioia che grazie a Lui vedo nella gente, nei miei parrocchiani, la quantità di persone che vengono a confessarsi perché “il Papa ha detto che Dio è misericordioso”. Penso, però, che dobbiamo aspettare ancora un po’ di tempo per conoscerlo meglio e capire qual è il suo vero “stile”. Anche dal punto di vista liturgico…
Il suo precedente volume trattava il tema de “L’unità nel pensiero liturgico di Joseph Ratzinger”. Vede aspetti di continuità tra i due Pontefici, in particolare dal punto di vista liturgico?
Quello che ci ha lasciato la Liturgia di Ratzinger, non è la modalità, ma l’equilibrio. Benedetto XVI ha aperto una finestra verso alcuni aspetti, come ad esempio la dimensione escatologica dell’Eucarestia, questo “cielo che si apre”, o il concetto dell’orientamento, cioè quanto sia importante pregare verso Oriente. Ma anche il crocifisso sull’altare, il latino e via dicendo. La grandezza di Ratzinger, però, è stata nell’illuminare l’importanza di questi aspetti, senza pretendere di dover tornare ad essi, ma solo di riscoprirne il valore per utilizzarli nelle modalità attuali. Papa Francesco ora sta portando tutto quello che il suo predecessore aveva introdotto ad una dimensione di semplicità. Ma una cosa non nega l’altra: bisogna uscire da quella visione dualistica della liturgia: o riformista o tradizionalista. La liturgia è ampia, è questa la sua bellezza, e noi dovremmo essere in grado di leggere la bellezza della semplicità liturgica che ci sta dando papa Bergoglio, senza pensare che sia forzatamente opposta alla bellezza offerta da Ratzinger. Anzi, credo proprio che il grande insegnamento di Benedetto XVI, nonostante fosse considerato tradizionalista, ci abbia preparato ad accogliere la genuinità di papa Francesco.
Lei, nel libro, parla molto della sofferenza, affermando che è evidente quanto l’uomo di oggi soffra, “basta salire su una metro in una qualsiasi città europea”, colpa anche di una dilagante scristianizzazione e crisi di fede. Che risposta dà il volume a questo?
La risposta è che bisogna tornare all’Eucarestia, che è il cuore della nostra fede, la fonte e il fine del nostro essere cristiani. In fondo, noi siamo chiamati ad essere Eucarestia vivente, ad essere uomini e donne capaci di spezzarsi per gli altri. Quindi, dobbiamo ritornare a scoprire questo nutrimento spirituale. È nel vivere l’Eucarestia che noi viviamo. Non è una cosa in più che potrebbe aiutare, è l’esigenza primaria del cristiano di oggi, oltre che uno dei doni che il Signore ci ha lasciato e che dobbiamo vivere fino in fondo, altrimenti non viviamo il nostro Battesimo, ma viviamo‘spaccati dentro’.