COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA: ATTI 5,12-16

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COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA

ATTI 5,12-16

12 Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; 13 degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
14 Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore 15 fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo al sua ombra coprisse qualcuno di loro.
16 Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.

COMMENTO
Atti 5,12-16
Comunità e mondo esterno
Nella prima parte degli Atti (At 1,15 – 8,4) Luca narra la propagazione del cristianesimo a Gerusalemme. In questo contesto egli introduce due “sommari” riguardanti la comunità di questa città (2,42-48; 4,32-35). A essi aggiunge, subito dopo l’episodio di Anania e Saffira, il presente testo riguardante i rapporti della comunità con l’ambiente esterno.

Nel brano si notano un certo disordine e alcune contraddizioni dalle quali si può dedurre che esso è una composizione fatta da Luca sulla base del materiale già utilizzato precedentemente. L’autore inizia affermando che molti «segni e prodigi» (sêmeia kai terata: cfr 2,19.22.43) erano operati dagli apostoli in mezzo al popolo (v. 12a): questa frase riprende quasi letteralmente il primo sommario sulla vita della comunità (cfr. 2,43b).

Luca riprende poi il tema della comunione dicendo che i credenti in Cristo erano «unanimi» (omothymadon) (cfr. 2,46; 4,32); secondo 2,46 essi manifestavano questa unanimità nel tempio; qui si precisa che si ritrovavano nel portico di Salomone. Luca osserva che essi formavano un gruppo abbastanza chiuso, in quanto «nessuno osava associarsi a loro»; ma aggiunge, come in 2,47; 4,33 che il popolo era loro favorevole (emegalynen autous, li esaltava) (v. 13). Questa constatazione gli permette di aggiungere che aumentava il numero non solo di uomini, ma anche di donne che credevano nel Signore (v. 14; cfr. 2,48).

Il v. 15 spiega gli effetti dei prodigi compiuti dagli apostoli sulla gente; esso inizia con la particella hôste (al punto che), che si collega non alla frase precedente, con la quale non ha un rapporto di causa-effetto, ma con il v. 12a, dove appunto era stato introdotto il tema dei prodigi compiuti dagli apostoli. La descrizione è chiaramente iperbolica: si portavano gli ammalati nelle piazze, si ponevano su lettucci e giacigli, nella speranza che, al giungere di Pietro, la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Poi Luca aggiunge che non solo da Gerusalemme, ma anche dalle città circonvicine accorreva la folla, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi, e tutti erano guariti (v. 16). Questa descrizione richiama da un lato l’attività di Gesù (Lc 6,17-19) e dall’altra quella di Paolo a Efeso (At 19,11.12). Come il loro maestro, anche gli apostoli annunziano la venuta del regno di Dio più con i segni che con le parole, noncuranti dei fenomeni di superstizione che accompagnavano la loro opera taumaturgica.

Linee interpretative

L’isolamento dei discepoli e al tempo stesso l’impatto che hanno sulla popolazione sembrano a prima vista due fenomeni contraddittori, ma esprimono bene il pensiero dell’autore: da un lato essi manifestano una forte identità, che li porta in qualche misura a separarsi dagli altri e a formare un gruppo chiaramente distinto e fortemente compatto al suo interno; dall’altro però però essi non si chiudono in se stessi, ma intervengono positivamente nella vita della gente ordinaria, aiutandola a risolvere i problemi assillanti legati alla salute dei propri cari. Solo a questo prezzo essi ottengono non solo il favore della gente, ma vedono aumentare il numero di coloro che aderiscono al loro gruppo. Il giusto equilibrio tra dialettica interna e apertura al mondo esterno sono essenziali per la vita di qualsiasi comunità, se non vuole dissolversi o diventare una setta chiusa nel proprio ghetto.

Da questo sommario appare come l’annunzio del regno vada di pari passo con i segni della sua venuta, i quali hanno addirittura la precedenza sulla proclamazione verbale della salvezza. Questa presentazione della missione mette in crisi un’attività il cui scopo primario è la crescita numerica dei convertiti. Il discepolo deve anzitutto operare con tutti i mezzi, specialmente quelli legati alle proprie risorse, personali e comunitarie, e in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, perché la logica del regno di Dio cominci ad apparire in questo mondo mediante i segni della solidarietà e della fraternità. L’aggregazione di nuovi discepoli alla comunità è un evento successivo, non programmabile, ma spontaneo e immediato, che si accoglie con gioia non in funzione del proprio potere di gruppo, ma perché dà un’ulteriore possibilità di moltiplicare i segni del regno di Dio.

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