Paolo VI, Nella speranza e nella gioia la realtà del Mistero Pasquale (Udienza 1 aprile 1970)

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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 1° aprile 1970

Nella speranza e nella gioia la realtà del Mistero Pasquale

Quanti di noi sono oggi qui riuniti, tutti siamo ancora pervasi dal ricordo, dall’emozione e dalla grazia – Dio voglia – della celebrazione del mistero pasquale. Mistero pasquale: ecco una espressione teologica moderna e felice, di cui il Concilio si è valso spesso per riassumere in essa l’opera della redenzione, compiuta dal Signore mediante il suo sacrificio e la sua risurrezione, mediante la sua estensione dal Signore agli uomini, ossia l’opera della grazia, e mediante la sua applicazione alle singole anime per via sacramentale. La celebrazione liturgica ricorda e rinnova il prodigio di questa economia redentrice, specialmente nella santa Messa (Cfr. Sacrosanctum Concilium, 5). Mistero pasquale: è un’espressione assai densa di significato, che dovrà alimentare nelle nostre menti il concetto sintetico degli avvenimenti, degli insegnamenti, delle grazie e dei doveri, che si riferiscono alla storia della nostra salvezza ed alla permanente attualità, che essa conserva per ciascuno di noi.
Noi faremo bene a tributare la massima nostra considerazione a quanto si riferisce a Cristo nel mistero pasquale: è questo il tema centrale biblico, teologico, spirituale della nostra fede; esso è stato da noi meditato durante la Settimana Santa nella visione assorbente della figura divina ed umana di Gesù, come San Paolo, che non pensava di sapere altra cosa che Cristo, e questo crocifisso (Cfr. 1 Cor. 2, 2); o come S. Ignazio d’Antiochia: «È Lui che io cerco, che è morto per noi; è Lui, ch’io voglio, che è risuscitato per noi» (Rom. 6, 1), o come S. Francesco alla Verna; o come il popolo fedele nella Via Crucis, o nella Liturgia della notte santa e sempre in uno studio e in una devozione che fissano su di Lui, Gesù Cristo, tutta l’attenzione.

IL PIANO DELLA REDENZIONE
Ma il mistero pasquale esige da noi una considerazione più completa: noi non possiamo guardare al dramma personale di Gesù, quasi esso riguardasse soltanto Lui e fosse estraneo agli uomini, a noi stessi; perché il mistero pasquale non è un avvenimento isolato, ma è un avvenimento collegato col nostro destino, con la nostra salvezza. E questa ampiezza di visione, che riconosce nella vita, nella morte e nella risurrezione di Cristo l’opera della redenzione, ci obbliga a rintracciare subito l’economia, .cioè il disegno operante, della sua universalità, e specialmente della sua applicazione ad ogni singolo uomo. E questo pensiero offre la trama della nostra spiritualità dopo la celebrazione della festa di Pasqua; è essa festa di Cristo risorto, o è anche festa di noi mortali? È sua, o è anche nostra? E la riflessione si fa più intima nella comprensione del piano della redenzione, e più gioiosa se davvero la possiamo estendere non solo alla passione e alla morte del Signore, ma anche alla sua beata risurrezione. E che la risurrezione sia il complemento necessario del mistero pasquale ce lo dice San Paolo con tanti suoi insegnamenti, che una frase scultorea riassume: «Cristo è stato immolato per causa dei nostri falli ed è stato risuscitato in vista della nostra giustificazione» (Rom. 4, 25). Dice un rinomato commentatore: «La risurrezione di Gesù non è un lusso soprannaturale offerto all’ammirazione degli eletti, né una semplice ricompensa accordata ai suoi meriti, né soltanto un sostegno della nostra fede e un pegno della nostra speranza; è un complemento essenziale e una parte integrante della redenzione stessa» (PRAT, La théol. de St Paul, 11, 256).

LA NOSTRA VITA CRISTIANA
Ricostruito così nella sua integrità il mistero pasquale del Signore, un grande principio teologico s’innesta a questo punto nel quadro della nostra fede, principio a cui dovremo dedicare la valutazione più attenta e più ammirata, ed è quello della comunione, quello della solidarietà, quello della estensione, quello che costituisce propriamente la redenzione, e cioè il principio che riconosce la rappresentanza, la ricapitolazione di tutta l’umanità in Cristo, in modo che ciò che s’è compiuto in Lui può essere a noi partecipato. La sua sorte può divenire la nostra. La sua passione, la nostra. La sua risurrezione, la nostra.
Tutto sta, in questo piano di salvezza del genere umano, nella relazione vitale che noi possiamo stabilire fra Lui e noi. Avviene da sé questa relazione? Avviene in massa o singolarmente? Dio può dare alla sua misericordia ampiezze tali che trascendono il disegno di salvezza da Lui stesso stabilito; ma per noi questo disegno ci indica che la relazione salvatrice con Cristo esige una nostra, se pur minima al confronto, iniziativa personale, cioè esige la risposta della nostra libertà, della nostra fede, del nostro amore, esige alcune condizioni che rendono possibile il flusso della causalità salvatrice di Cristo. Questo aspetto del mistero pasquale ci mostra che la nostra salvezza avviene in alcune fasi successive, le quali formano la storia della nostra redenzione personale; formano la nostra vita cristiana.
Essa, come sappiamo, s’inaugura col battesimo, il sacramento della iniziazione, della rinascita; il sacramento che riproduce misticamente in ogni credente (la fede personale, ovvero la fede della Chiesa, che presenta il neofita, precede il battesimo) la morte e la risurrezione del Signore. «Ignorate, scrive ancora S. Paolo, che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella morte di Lui? Siamo stati dunque sepolti con Lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita» (Rom. 4, 3, 4 ss.; Col. 2, 12).

PENSARE E SENTIRE CON CRISTO
Ed ecco la seconda fase della nostra rigenerazione cristiana, alla quale è impegnato il tempo della nostra esistenza nel mondo: la vita nuova, la vita in Cristo, la vita nella grazia, ossia nello Spirito Santo effuso da Cristo in noi (Cfr. Io. 14, 26; 15, 26; 16, 7), la buona, la santa vita cristiana. Possiamo dire: la nostra? Viviamo noi, come diciamo nel canone della Messa: Per Ipsum, et cum Ipso, et in Ipso, cioè per Lui, e con Lui, e in Lui? Avvertiamo la novità, l’originalità, la serietà della vita cristiana? L’esigenza della sua mistica e morale autenticità? Ci rendiamo conto davvero che il «fare la Pasqua», l’avere cioè partecipato al mistero pasquale, domanda a noi una fedeltà, una coerenza, un perfezionamento nel nostro modo di pensare, di sentire e di vivere? Viviamo il nostro battesimo? Viviamo la comunione di Cristo, che abbiamo ricevuto nell’Eucaristia pasquale? Viviamo e vivremo la nostra Pasqua? Noi abbiamo spesso tanto diluito e svuotato il nostro specifico appellativo cristiano da svigorirlo del suo impegno e del suo splendore.
Mentre questa effettiva adesione al mistero pasquale, in fondo, è il problema più serio e più comprensivo della nostra presente esistenza; e si fa coestensivo con le vicende, i problemi, le esperienze della nostra naturale esistenza, e vi infonde, dopo la Pasqua, un sentimento di speranza e di gaudio.
Sentimento ch’è dono, è carisma, di cui il cristiano non dovrebbe mai essere privo (Cfr. Rom. 8, 24; 2 Cor. 7, 4); è il preludio dell’ultima fase del mistero pasquale, cioè della piena nostra salvezza, l’immersione completa della nostra umile vita in quella infinita di Dio, nell’al di là.
Non è sogno, non è mito, non è idealismo spirituale. È la verità, è la realtà del mistero pasquale. Ricordatelo: con la Nostra Apostolica Benedizione.

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