Archive pour le 27 mars, 2013

St-Takla.org Image: Modern Coptic icon showing the Crucifixion of Jesus

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IL CROCIFISSO (Chiesa Ortodossa in Italia)

http://www.chiesaortodossaitaliana.it/meditazione_sul_crocifisso.html

IL CROCIFISSO

(Chiesa Ortodossa in Italia)

E’ il libro per eccellenza, unico al mondo, sul quale si legge il poema dell’ Amore di Dio verso l’ uomo creato ad immagine e somiglianza divina. In esso si può leggere ogni proprietà divina riferita all’ umano. Come non essere stupiti, come non esultare di gioia infinita per tanta delicata attenzione del Creatore verso la creatura? Il Crocifisso è l’ infinita ricchezza dell’ uomo, è la salvezza, è la fonte dalla quale scaturisce l’ inesauribile acqua che disseta, che rinfresca ogni anima assetata di bello, di vero, di santo, di eterno. Un cristiano convinto penso che non possa e non debba vivere senza la visione continua del Crocifisso. E’ un libro che parla tanto, che racconta la storia della nostra salvezza e che eloquentemente ci dice che il Signore ha voluto e vuole sempre divinizzare l’ uomo che si è allontanato dal divino, che si è in qualche modo scisso. Per colmare l’ abisso che il peccato ha prodotto nell’ uomo, il Signore con suo sangue ha ricucito la ferita, ha sanato tutto, restituendo la primitiva bellezza che purtroppo si può perdere. Egli dall’alto della Croce, a braccia aperte, sollecita il nostro ritorno a Lui, ci dice quanto è grande l’ Amore verso di noi, ci sollecita a voler ritornare, nonostante la nostra sordità, nonostante la nostra miopia. Egli è sempre lì e noi ingrati ed indifferenti non sappiamo rispondere a tanta bontà. Ciascun cristiano dovrebbe stringere a sé un crocifisso e portarlo con sé: è la storia di ciascuno di noi, è l’ Amore di Dio diffuso nei nostri cuori, nelle nostre menti, è luce del nostro cammino, è ristoro alla nostra vita stanca ed affaticata. Sia sempre il nostro emblema, gloriamoci di Lui che è sempre con noi. O viandante di questo mondo, stanco, disorientato: fermati, leggi, osserva, rifletti sul Dio Uomo Crocifisso, poi sepolto, ma gloriosamente risuscitato, che ama nella sua Divina Umanità, che a braccia aperte ti attende e ti custodisce, ti assiste e ti consola. O figlio benedetto e amato, apri il tuo cuore e la tua mente a Lui e vivi con Lui, in Lui e per Lui.


+ Mons. Basilio (Grillo Miceli)
Arcivescovo

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KARL RAHNER – VENERDI SANTO: LE SETTE PAROLE

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/rahner_ratzinger_s_santa2.htm

KARL RAHNER

VENERDI SANTO

LE SETTE PAROLE

Preghiera di preparazione

Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore, io m’inginocchio davanti alla tua croce benedetta. Voglio aprire il mio spirito e il mio cuore alla meditazione della tua santa Passione. Voglio piantare la tua croce di fronte alla mia povera anima, perché capisca meglio e mi prenda a cuore quel che tu hai fatto e patito e per chi l’hai patito.
Mi assista la tua grazia, cosi che io possa scuotere l’ottusità e la indifferenza del mio cuore, dimentichi, almeno per mezz’ora, la mediocrità delle mie giornate, affinché il mio amore, il mio pentimento, la mia gratitudine rimangano presso di te. O Re dei cuori, il tuo amore crocifisso ab. bracci il mio cuore povero, debole, stanco ed afflitto: che questo si senta interiormente attratto verso di te. Suscita in me quanto mi manta:
compassione ed amore per te, fedeltà ed impegno, così da perseverare nella contemplazione della tua santa Passione e morte.
Intendo meditare le tue ultime sette parole sulla croce, le tue ultime parole, prima che tu, Parola di Dio che risuoni di eternità in eternità, su questa terra tacessi nel silenzio della morte. Tu le hai pronunciate con le tue labbra assetate, traendole dal tuo cuore rigonfio di dolore, queste supreme parole .del cuore. Tu le hai rivolte a tutti. Le hai dette anche per me. Falle penetrare nel mio cuore. Nel più profondo, nel più intimo del cuore. Che le comprenda. Che non le dimentichi mai più, ma vivano e prendano forza nel mio cuore senza vita. Pronunciale allora tu stesso per me, così che io percepisca il suono della tua voce.
Verrà un giorno in cui tu mi parlerai, nell’ora della mia morte e’ dopo la mia morte, e queste parole significheranno un inizio eterno oppure una fine senza fine. Signore, fa’, che alla mia morte io possa udire le parole della tua misericordia e del tuo amore; fa’ che io non manchi di ascoltarle. Concedimi dunque, adesso, di accogliere con cuore docile le tue ultime parole sulla croce. Amen.

PRIMA PAROLA
Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno
(Luca 23,34)

Tu pendi dalla croce. Ti ci hanno inchiodato. Non puoi più staccarti da questo palo ritto tra terra e cielo. Le ferite bruciano nel tuo corpo. La corona di spine tormenta il tuo capo. I tuoi occhi sono iniettati di sangue. Le tue mani e i tuoi piedi feriti san come trapassati da un ferro rovente. E la tua anima è un mare di dolore, di desolazione, di disperazione.
I responsabili di tutto questo san qui, ai piedi della tua croce. Neppure si allontanano, per lasciarti almeno morire solo. Anzi, rimangono, ridono; convinti di aver ragione. Lo stato in cui ti trovi ne è la dimostrazione più evidente: la prova che quanto hanno fatto non è che l’adempimento della più santa giustizia, un omaggio dato a Dio, di cui dovrebbero andare orgogliosi. Per questo ridono, insultano, bestemmiano. Intanto su di te si abbatte, più spaventosa di tutti i dolori del corpo, la disperazione verso una tale malvagità. Ci sono davvero degli uomini capaci di tali bassezze? C’è ancora, tra te e loro, un pur minimo punto in comune? Può un uomo torturarne un altro, cosi, fino alla morte? straziarlo fino ad ucciderlo, col potere che deriva dalla menzogna, dall’abiezione, dal tradimento; dall’ipocrisia, dalla perfidia, e mantenere ancora le apparenze del diritto; l’aspetto dell’innocente, la posa del giudice imparziale? E Dio permette questo nella sua creazione? E la risata e lo scherno dei nemici possono risuonare, chiari e trionfanti, nel mondo di Dio? O Signore, il nostro cuore si sarebbe già spezzato in una forsennata disperazione. Noi avremmo maledetto i nostri nemici, e Dio con loro. Noi avremmo urlato e cercato di strappare, come pazzi, i chiodi per riuscire a stringere ancora una volta il pugno.
Tu invece dici: – Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno. Sei incomprensibile, Gesù. C’è ancora, nella tua anima martoriata e terremotata dal dolore, una zolla sulla quale possa fiorire questa parola? Sei proprio incomprensibile. Tu ami i tuoi nemici e li raccomandi al Padre tuo. Tu preghi per loro. Signore! se non fosse bestemmia direi che tu li discolpi con la più inverosimile delle scuse: «non lo sanno». Sì, invece, che lo sanno: sanno tutto! Ma hanno voluto ignorare tutto. Non c’è cosa che si conosca meglio di quella che si vuole ignorare, nascondendola nel sotterraneo più segreto del cuore. Ma nel tempo stesso la si odia, e perciò le si rifiuta l’accesso alla chiara coscienza. E tu dici che essi non conoscono quello che fanno. Una cosa soltanto certamente non conoscono: il tuo amore per loro, perché quello lo può conoscere solo chi ti ama. Solo l’amore, infatti, permette di comprendere il dono d’amore.
Pronuncia anche sui miei peccati, nel tuo incomprensibile amore, la parola del perdono. Di’ anche per me al Padre: – Perdonalo, perché egli non sa quello che ha fatto. Invece lo sapevo. Tutto sapevo. Ma non sapevo ancora il tuo amore.
Fammi pensare ancora alla tua prima parola sulla croce quando, recitando distrattamente il Padre Nostro, ritengo di perdonare ai miei debitori. O mio Dio inchiodato alla croce dell’amore: io non so se qualcuno mi è realmente debitore, così che io gli possa perdonare. Ma, anche in questo caso, mi è necessaria la tua forza onde perdonare, perdonare di cuore, a quelli che il mio orgoglio e il mio egoismo considerano come nemici.

SECONDA PAROLA
In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso
(Luca 23,43)

Tu sei in agonia, e tuttavia nel tuo cuore traboccante di dolore c’è ancora posto per la sofferenza altrui. Stai per morire, e ti preoccupi di un criminale il quale, pure nei tormenti, deve riconoscere che il suo martirio infernale non è una pena immeritata nei confronti della sua vita malvagia. Vedi tua Madre, e ti rivolgi anzitutto al figlio prodigo. L’abbandono di Dio ti stringe la gola, e tu parli di Paradiso. I tuoi occhi si ottenebrano nella notte di morte, e ravvisano ancora l’eterna luce. Morendo ci si preoccupa solo. di se stessi, poiché gli altri ci lasciano soli e abbandonati, e tu invece ti dai pensiero delle anime che devono entrare con te nel tuo Regno. Cuore d’infinita misericordia! Cuore forte ed eroico!
Un miserabile delinquente ti prega di un ricordo, e tu gli prometti il Paradiso. Tutto si rinnoverà quando tu sarai morto? Una vita di peccati e di vizi può trasformarsi così rapidamente, solo che tu te ne avvicini? Se tu pronunci sopra una esistenza le parole della assoluzione, vengono graziati e trasformati persino i peccati e le bassezze ripugnanti di una vita criminale, a tal punto che nulla più ne impedisce l’ingresso nella santità di Dio. Ecco, noi avremmo ammesso, volendo spingere le cose fino all’estremo, un briciolo di buona volontà anche in un bruto e malfattore di tal sorte. Ma le abitudini perverse, gli istinti viziosi, la brutalità e il fango, la bassezza… tutto ciò non scompare con un briciolo di buona volontà e con un fugace pentimento sul patibolo! Uno di tal fatta non può andare in Paradiso così in fretta come i penitenti e le anime lungamente purificate, o come i santi, i quali non fecero altro che affinare il corpo e l’anima e renderli degni del Dio tre volte santo! Tu invece pronunci la parola onnipotente della tua grazia, ed essa penetra nel cuore del ladrone, trasformando i fuochi d’inferno della sua agonia nella fiamma purificatrice del divino amore. Tutto ciò che rimaneva ancora in lui come opera del Padre tuo, questa fiamma lo illumina in un istante; e tutto ciò che, per colpa della creatura ribelle era sbarrato a Dio, viene distrutto dall’amore. Così il ladrone entra con te nel Paradiso di tuo Padre.
Darai anche a me la grazia di non perdere mai il coraggio di esigere tutto, temerariamente, dalla tua bontà e di tutto aspettarmi? Il coraggio di dire, fossi anche il più rinnegato dei criminali: – Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo Regno?
Signore, fa’ che la tua croce s’innalzi davanti al mio letto di morte. Che la tua bocca ripeta anche a me: – In verità, ti dico, oggi stesso tu sarai con me in Paradiso. Questa tua parola mi renda degno di entrare nel Regno del Padre tuo, completamente assolto e santificato dalla potenza purificante della morte subita con te e in te.

TERZA PAROLA
Donna, ecco tuo figlio –
Figlio, ecco tua madre
(Giovanni 19,26)
Coll’approssimarsi della morte ecco venuta l’ora in cui tua Madre doveva esserti nuovamente vicina. In quell’ora, in cui non ti si chiedevano più dei miracoli, ma bisognava morire, doveva esserti accanto colei alla quale dicesti: – Donna, che c’è tra me e te? La mia ora non è ancora venuta {Giov. 2, 4).Eccola quell’ora che lega il Figlio e la Madre. E quest’ora è l’ora del distacco, l’ora della morte. L’ora che strappa alla madre, già vedova, l’unico suo figlio.
Il tuo sguardo contempla ancora una volta la Madre. Tu non hai risparmiato nulla a questa Madre! Tu non fosti soltanto la gioia della sua vita: tu ne fosti anche l’amarezza e la pena. Ambedue questi aspetti provenivano dalla tua grazia, perché ambedue provenivano dal tuo amore. E se tu ami tua Madre, è perché ti ha assistito e servito sia nella gioia che nel dolore; solo così essa è diventata completamente la Madre tua. Tuoi fratelli e sorelle e madre sono infatti quanti compiono la volontà del Padre tuo che sta nei cieli. Nonostante il tuo tormento, il tuo amore è ancora vibrante di quella tenerezza che, sulla terra, unisce tra loro un figlio e sua madre. Così la tua morte consacra e santifica queste dolci e preziose realtà terrene che inteneriscono i cuori e rendono bella la terra. Queste cose non muoiono, no, nel tuo cuore, nemmeno quand’è schiacciato dalla morte, e così tu le salvi per il cielo. E poiché tu, anche morendo, hai amato la terra; poiché, nella suprema agonia per la nostra eterna salvezza, ti sei commosso per il pianto di una mamma; poiché tu, già nel trapasso, ti sei preoccupato della sorte di una vedova in questo mondo e hai donato ad un figlio una madre e ad una madre un figlio, per questo un giorno vi sarà una nuova terra.
Ma Essa stava sotto la croce non appena con il solitario dolore di una madre a cui si ammazza un figlio. Essa stava là a nome nostro, come Madre di tutti i viventi. Offriva suo Figlio per noi. A nome nostro, essa ripeteva il suo «Fiat» alla morte del Signore. Essa era la Chiesa sotto la croce, era la discendenza dei .figli di Eva, era una lottatrice nel combattimento cosmico tra il serpente e il Figlio della Donna. E donando questa Madre al discepolo dell’amore tu l’hai donata a ciascuno di noi.
Figlio, figlia – tu dici anche a me – ecco tua Madre. Parola che ci affida un lascito eterno! Ai piedi della tua croce, o Gesù, sta come discepolo prediletto solo chi. da quell’ora, accoglie con sé la Madre tua. Le sue pure mani materne distribuiscono tutte le grazie meritate dalla tua morte. Concedici la grazia di amare e venerare tua Madre. Dille ancora, quando tu mi vedi, ‘POvero come sono: – Donna, ecco tuo figlio; Madre,ecco tua figlia.
Un cuore puro e verginale doveva dare il suo consenso, a nome del mondo, alle nozze dell’Agnello con la Chiesa, la sua sposa, con l’umanità riscattata e purificata dal tuo sangue. Se io mi lascio affidare da te a questo cuore materno, la tua morte non sarà stata inutile per me: io sarò presente, quando giungerà il giorno delle tue nozze eterne, in cui tutta la creazione, trasfigurata per sempre, ti sarà. unita in eterno.

QUARTA PAROLA
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
(Matteo 27,46)

La morte ti si avvicina. Non è però la fine dell’esistenza corporale, la liberazione e la pace, ma la morte che rappresenta il fondo dell’abisso, la inimmaginabile profondità dell’angoscia e della devastazione. Ti si avvicina la morte, che è spogliamento, raccapricciante impotenza, desolazione schiacciante, in cui tutto cede, tutto fugge, in cui non esiste altro che un abbandono lancinante e indicibilmente morto. E in questa. notte dello spirito e dei sensi, in questo vuoto del cuore In cui tutto viene bruciato, la tua anima persiste nella preghiera; questa spaventosa solitudine di un cuore consumato dal dolore diventa in te una straordinaria invocazione a Dio.
O preghiera del dolore, preghiera dell’abbandono, preghiera della impotenza abissale, preghiera di un Dio derelitto, sii tu stessa adorata. Se tu, Gesù, preghi in tal modo e preghi in tale angoscia, dov’è mai un altro abisso dal quale non si possa ancora gridare al Padre tuo? C’è una disperazione che, cercando rifugio nel tuo abbandono, non possa trasformarsi in preghiera? C’è un mutismo nel dolore, capace d’ignorare che un tal grido silenzioso viene ancora udito nei tripudi celesti?
Per esprimere la tua angoscia, per fare del tuo sconfinato abbandono una preghiera, tu cominciasti a recitare il Salmo 21. Le tue parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» sono il primo versetto di questa antichissima lamentazione che il tuo Santo Spirito pose un tempo nel cuore e sulle labbra del giusto dell’ Antica Legge, come un grido straziante. Cosi anche tu, se posso osare di esprimermi, non hai voluto, nel parossismo della tua sofferenza, pregare diversamente da come hanno pregato, prima di te, innumerevoli generazioni. In certo modo, in quella Messa solenne che tu stesso celebrasti come sacrificio eterno, hai pregato con del1e formule già improntate dall’uso liturgico, e con queste formule hai potuto dir tutto. Insegnami a pregare con le parole della tua Chiesa, cosi che esse diventino le parole del mio cuore.

QUINTA PAROLA
Ho sete!
(Giovanni 19,28)

L’evangelista Giovanni, che l’ha udita, inquadra così questa tua parola: poiché tu sapevi che tutto ormai era compiuto, affinché si adempisse la Scrittura, esclamasti: – Ho sete! Anche qui hai confermato una espressione della Scrittura, tolta dai Salmi, che lo Spirito di Dio aveva profetizzato in vista della tua Passione. Nel Salmo 21, infatti, si dice di te: «inaridito come un coccio è il mio vigore – e la mia lingua mi si è attaccata al palato». E nel Salmo 69, versetto 22, sta scritto di te: «nella mia sete mi hanno abbeverato di aceto».
O Servitore del Padre, obbediente fino alla morte, alla morte di croce, tu guardi oltre ciò che ti tocca, a ciò che ti deve toccare; oltre ciò che compi, a quel che devi compiere; oltre i fatti, al dovere. Pure nell’agonia, in cui si oscura lo spirito e la chiara coscienza è sottratta, tu sei ansiosamente intento a far coincidere tutti i dettagli della tua vita con l’immagine eterna, presente alla mente del. Padre quand’Egli ti pensava. Così tu non ti riferivi alla sete indicibile del tuo corpo dissanguato, coperto di brucianti ferite, nudo ed esposto al sole implacabile d’un mezzogiorno d’Oriente. Tu che ami la volontà del Padre fino alla morte, constati invece, con una umiltà quasi inconcepibile e degna di adorazione: Sì, anche quanto i profeti avevano predetto come volontà del Padre su di me, è compiuto; infatti, davvero, io ho sete. O cuore regale, cui il tormento che consuma il tuo corpo con rabbia insensata, altro non è che l’adempimento di un mandato dall’alto!
Ma a questo modo tu hai compreso tutta l’asprezza crudele della tua Passione: era missione da compiere, non cieco destino; era volontà del Padre, non malvagità degli uomini; redenzione nell’amore, non crimine dei peccatori. Tu soccombi perché noi siamo salvati, muori perché noi viviamo, hai sete perché noi ci ristoriamo alle acque della vita, tu bruci in questa sete perché dal tuo cuore trafitto scaturisca la fonte dell’acqua viva. A questa stessa fonte ci hai invitato quando, alla festa dei Tabernacoli, gridasti a gran voce: – Chi ha sete, venga a me, e beva chi crede in me; poiché fonti dell’acqua viva dello Spirito sgorgheranno dal cuore del Messia (Giov. 7, 37s).
Tu hai sofferto la sete per me, hai sete del mio amore e della mia salvezza: come il cervo assetato anela alle sorgenti d’acqua, così la mia anima ha sete di te.

 SESTA PAROLA
È compiuto
(Giovanni 19,30)

Tu dicesti proprio: – È compiuto. Sì, Signore, è la fine. La fine della tua vita, la fine del tuo onore, delle tue speranze umane, della tua lotta e delle tue fatiche. Tutto è passato e finito. Tutto s’è fatto vuoto e la tua vita va dileguandosi. Disperazione e impotenza… Ma questa fine è il . tuo compimento, perché finire nella fedeltà e nell’amore è una apoteosi. La tua disfatta è la tua vittoria.
O Signore, quando finalmente capirò questa legge della tua, ma anche della mia vita? La legge per cui la morte è vita, il rinnegamento di sé conquista di sé, la povertà ricchezza, il dolore grazia e la fine un autentico completamento?
Sì, tu hai tutto compiuto. Compiuta è la missione che il Padre ti aveva affidata. Il calice che non doveva passare è stato bevuto. La morte, quella spaventosa morte, è stata subìta. La salvezza del mondo è ottenuta, la morte sconfitta, il peccato schiacciato, il dominio degli spiriti delle tenebre reso impotente, la porta della vita spalancata, la libertà dei figli di Dio conquistata. Ora può soffiare l’impetuoso turbine della grazia! Già il mondo buio comincia, lentamente come in un’alba, ad arrossarsi alla vampa del tuo amore. Ancora un po’ di tempo – quel po’ di tempo che noi chiamiamo Storia – e poi il mondo s’infiammerà al braciere luminoso della tua divinità, e l’universo intero sarà sommerso nel beato oceano di fiamme che è la tua vita. Tutto è compiuto.
Tu che perfezioni l’universo, perfeziona anche me nel tuo spirito, o Verbo del Padre, che tutto hai compiuto nella tua carne e col tuo martirio. Potrò dire anch’io, alla sera della mia vita:
È compiuto; ho condotto a termine la missione che mi hai affidato? – Potrò ripetere anch’io, quando le ombre di morte scenderanno su di me, la tua preghiera sacerdotale: – Padre, l’ora è venuta… lo ti ho glorificato sulla terra, attuando l’opera che tu mi avevi assegnato da compiere. Padre, glorificami ora presso di te? (Giov. 17, 1 s.).
O Gesù, qualunque sia la missione che il Padre mi ha affidato – grande o piccola, dolce o amara, nella vita o nella morte – concedimi di compierla come te, che hai già tutto compiuto, anche la mia vita, onde permettermi di condurla al fine.

SETTIMA PAROLA
Padre, nelle tue mani raccomando l’anima mia
(Luca 23,46)

O Gesù, il più abbandonato degli uomini, lacerato dal dolore, tu sei alla fine. Quella fine in cui ad un essere umano viene tolto tutto, persino la libera scelta tra il consenso e il rifiuto: tutto se stesso. Questa, in realtà, è la morte. Ma chi prende, o che cosa prende? Il nulla? Il destino cieco? La natura spietata? No, è il Padre! È Dio, sapienza ed amore insieme. Così tu ti lasci prendere e ti abbandoni in piena confidenza a quelle mani lievi ed invisibili che per noi, increduli, trepidi del nostro lo, rappresentano la stretta alla gola, improvvisa e spietata, del cieco destino e della morte. Tu lo sai: sono le mani del Padre. I tuoi occhi, nei quali si va facendo notte, contemplano ancora il Padre, si fissano nella quieta pupilla del suo amore, e la tua bocca pronuncia l’estrema parola della tua vita: Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito.
Tutto doni a colui che tutto ti chiede. Deponi tutto, senza garanzia e senza riserve, nelle mani del Padre tuo. Quanto è grande questo dono, pesante ed amaro! Ciò che formava il peso della tua vita, tu hai dovuto portarlo da solo: gli uomini, la loro volgarità, la tua missione, la tua croce, l’insuccesso e la morte. Ma ora hai finito di portare: perché, ora, tu puoi abbandonare tutto, anche te stesso, nelle mani del Padre. Tutto! Queste mani sorreggono così bene, così delicatamente. Come mani di mamma. Esse avvolgono la tua anima, come si racchiude un uccellino nelle mani, con cautela. Adesso più nulla è pesante, tutto è leggero, tutto è luce e grazia, tutto è sicurezza, al riparo nel cuore di Dio, dove ci si può sfogare piangendo ogni affanno e dove il Padre asciuga dalle guance le lacrime del suo bambino, con un bacio.
O Gesù, affiderai un giorno la mia povera anima e il mio povero corpo alle mani del Padre? Deponi allora tutto il peso della mia vita e dei miei peccati non sulla bilancia della giustizia, ma tra le braccia del Padre. Dove posso fuggire, dove nascondermi, se non presso di te, fratello nell’marezza, che hai patito per i miei peccati? Ecco, io vengo oggi da te. M’inginocchio sotto la tua croce. Bacio quei piedi che, silenziosi e intrepidi, mi seguono con passo sanguinante lungo le strade tumultuose della mia vita. Abbraccio la tua croce, Signore dell’amore eterno, cuore di tutti i cuori, cuore trafitto, cuore paziente e indicibilmente buono. Abbi pietà di me. Accoglimi nel tuo amore. E quando il mio pellegrinaggio si avvicinerà alla fine, quando il giorno declinerà e le ombre di morte mi avvolgeranno, pronuncia ancora, al momento della mia fine, la tua suprema parola: – Padre, nelle tue mani io ti affido il suo spirito. O buon Gesù! Amen.

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