The Jesus Prayer

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_510_testo.htm
SANT’AGOSTINO DISCORSO 350/A
SULLA CARITÀ DIO AMORE UNICO.
LA CARITÀ SI LEGGE IN TUTTA LA SCRITTURA. LA CARITÀ RINNOVA L’UOMO.
1. Sappiamo, carissimi, che ogni giorno i vostri cuori ricevono il sano alimento offerto dalla parola di Dio e dalle esortazioni delle letture divine. Tuttavia per il desiderio di amore che accende scambievolmente i nostri cuori, bisogna che a voi, miei cari, io dica qualcosa. E di cos’altro potrei parlarvi se non proprio della carità? Se qualcuno ne vuol parlare non deve scegliere nella Bibbia qualche particolare brano da far leggere; l’argomento si trova, nella Scrittura, ad apertura di ogni pagina. Lo testimonia lo stesso Signore, e ne siamo informati dal Vangelo, perché quando gli fu chiesto quali fossero i più importanti precetti della legge, rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente 1; e: amerai il tuo prossimo come te stesso 2. E perché tu non andassi cercando altro nelle pagine sante, aggiunse: Su questi due precetti si basa tutta la Legge e i Profeti 3. Se tutta la Legge e i Profeti si fondano su questi due precetti quanto più il Vangelo! La carità rinnova l’uomo. Come la cupidigia fa vecchio l’uomo, così la carità lo rende nuovo. Per questo l’uomo nei conflitti delle sue bramosie dice gemendo: Sono invecchiato in mezzo a tutti i miei nemici 4. Che la carità sia appannaggio dell’uomo nuovo lo stesso Signore lo afferma con queste parole: Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate l’un l’altro 5. Se dunque la Legge e i Profeti si fondano sulla carità e nella Legge e i Profeti viene indicato il Vecchio Testamento, quanto più il Vangelo che esplicitamente è detto Nuovo Testamento! Esso non riguarda che la carità, dal momento che il Signore disse che il suo comando altro non era che questo: amarsi a vicenda. E nuovo chiamò questo comandamento. Venne per rinnovarci. Ci rese uomini nuovi; ci ha promesso un’eredità nuova e per di più eterna.
VECCHIO TESTAMENTO E CARITÀ.
2. Se per caso vi domandate perché mai la Legge si chiami Vecchio Testamento sebbene si basi sulla carità, quando invece la carità rinnova l’uomo e si addice all’uomo nuovo, la ragione è questa. Lo si annuncia come Testamento Vecchio perché è una promessa terrena e il Signore lì promette un regno terreno a quelli che lo adorano. Ma anche allora c’era chi amava Dio senza mirare a ricompensa e purificava il suo cuore col puro, struggente desiderio di lui. Costoro, al di là dei veli delle antiche promesse, giunsero alla intuizione del futuro Nuovo Testamento e capirono che tutto ciò che nel Vecchio Testamento veniva prescritto o promesso secondo l’uomo vecchio era prefigurazione del Nuovo Testamento; promesse che il Signore avrebbe portato a compimento negli ultimi tempi. L’Apostolo lo dice esplicitamente: Queste cose a loro accadevano in figura e sono state scritte per avvertimento a noi che siamo nell’epoca ultima della storia 6. Si preannunziava in modo arcano il Nuovo Testamento: si preannunziava in quelle antiche figurazioni. Ma venendo il tempo del Nuovo Testamento, lo si cominciò ad annunciare apertamente; si cominciarono a spiegare, a chiarire quei simboli: cioè come si dovesse riconoscere il nuovo lì dove c’erano le promesse dell’antico. Mosè era l’araldo del Vecchio Testamento: egli annunziava il Vecchio, ma intuiva il Nuovo; annunziava il Vecchio a un popolo che era materiale, ma egli, spirituale, intendeva il Nuovo. Gli Apostoli poi furono annunciatori e ministri del Nuovo Testamento, ma non nel senso che prima non ci fosse quello che poi per mezzo loro si sarebbe manifestato. Carità dunque nel Vecchio, carità nel Nuovo, ma lì carità più nascosta, timore più evidente; qui carità più evidente, meno il timore. Quanto più cresce la carità, infatti, tanto più diminuisce il timore. Col crescere della carità l’anima si fa più sicura; quando questo stato di sicurezza è al sommo, sparisce il timore. Lo dice anche l’apostolo Giovanni: La carità perfetta scaccia il timore 7.
COMMENTO AL SALMO 36. I CATTIVI PIÙ FORTUNATI DEI BUONI NEL MONDO. CRISTO RADICE NASCOSTA DI AMORE.
3. Abbiamo preso occasione anche dal presente Salmo per parlare a voi, miei buoni fratelli, della carità poiché, come vi ho detto, qualunque pagina ispirata da Dio si legga, [da essa] non altra esortazione riceviamo se non quella della carità. Osservate se le divine parole tendono ad altro che non sia risvegliare l’amore; vedete se altro producono se non che ci accendiamo, c’infiammiamo; che ci consumi il desiderio, che gemiamo e sospiriamo finché non siamo giunti alla mèta. Gli uomini che faticano sulla terra e che si dibattono in mezzo a gravissime prove, osservano spesso, con il loro cuore mortale e con prospettiva inadeguata, che qui nel tempo i cattivi solitamente sono più potenti degli altri e vanno fieri della loro transitoria felicità. E` una frequente tentazione, per i servi di Dio, questo pensiero: quasi che chi venera Dio lo faccia senza ragione, dal momento che si vede privo di quei beni di cui invece abbondano gli empi. Essendo gli uomini così formati, lo Spirito Santo prevedendo questa tentazione nostra muta la direzione del nostro amore per impedire che negli uomini empi e scellerati vediamo un modello da imitare e tanto più quanto più li vediamo felici nella loro prospettiva terrena, nell’amore di quei beni la cui abbondanza li fa esaltare. Perciò ammonisce: Non invidiare i malvagi – è l’inizio del Salmo – non invidiare coloro che commettono iniquità, perché avvizziscono in fretta come l’erba e appassiscono come il verde del prato 8. Forse che l’erba non fiorisce mai? Sì, ma è breve il tempo della sua fioritura perché subito appassisce il suo fiore. E perché venga la fioritura è necessaria l’aria fresca. La venuta del Signore nostro Gesù Cristo sarà come la stagione calda dell’anno; questo nostro tempo invece è la stagione fredda, ma guardiamoci dal lasciar raffreddare la nostra carità nel tempo freddo dell’anno. La nostra gloria non è ancora apparsa: alla superficie, è freddo. Vi sia caldo nella radice. Così gli alberi che appaiono spogli l’inverno, in estate frondeggiano e sono belli e rigogliosi. Tutto il rigoglio che vedi l’estate nei rami c’era forse durante l’inverno? C’era sì, ma nascosto nella radice. La nostra gloria, che ci viene promessa, non c’è ancora. Si dia tempo all’estate e verrà. Non è ancora il suo tempo: ora è nascosta. E` più esatto dire » non appare « , piuttosto che » non c’è « . L’Apostolo afferma esplicitamente: Voi infatti siete come morti 9. Era come se parlasse ad alberi nell’inverno. Ma per farvi capire che, se la superficie appariva morta, all’interno c’era vita, aggiunse subito: E la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio 10. Sembra che abitiamo su questa terra, ma riflettete dove è piantata la nostra radice. La radice dell’amore nostro è con Cristo, è in Dio; lì è la magnificenza della nostra gloria, ma adesso non è ancora visibile.
OTTICA TERRENA OTTICA CELESTE NELLA VALUTAZIONE DELLA VITA.
4. Come seguita il discorso dell’Apostolo? Quando Cristo, la vostra vita, si sarà manifestato, allora si vedrà anche la vostra gloria insieme alla sua 11. Ora è tempo di sofferenza, in seguito di gioia; ora di desiderio, poi di appagamento; l’oggetto del nostro attuale desiderio non è qui presente. Ma non per questo avvenga che noi cessiamo di desiderare; cerchiamo invece di essere costanti nel desiderio, perché Colui che ha promesso non inganna. La nostra raccomandazione, fratelli, non è di non raffreddarvi; è di non lasciarvi nemmeno intiepidire. Gli uomini amanti del mondo scherniscono così i servi di Dio: » Ecco qua le cose che possediamo, e di cui godiamo. E la vostra felicità dov’è? Voi non avete beni reali, che si possano vedere, avete solo cose in cui credere « . Essi alle cose non verificabili non credono. Voi invece siete lieti proprio perché avete creduto. Lo sarete poi ancor più quando vedrete. Se vi affligge ora l’impossibilità di far vedere l’oggetto del vostro amore, questa vostra sofferenza gioverà alla salvezza e anche alla gloria eterna. Non è d’altra parte che ci mostrino qualcosa che valga molto. La loro felicità appare oggi, la nostra verrà. Più esattamente possiamo dire che essi non l’hanno, né presente né futura, perché essi amano una felicità presente falsa e non arrivano a quella vera, la futura. Se invece trascurassero la falsa felicità presente, se sottovalutassero i loro possessi, troverebbero che cosa farne, saprebbero che cosa conviene procurarsi con essi. Ascoltino il consiglio del beato Apostolo, i precetti per i ricchi che egli prescrive a Timoteo. Egli dice: Ai ricchi di questo mondo comanda di non montare in superbia, di non mettere le loro speranze in ricchezze precarie, ma in quel Dio che ci fornisce tutto con abbondanza perché ne godiamo. Raccomanda che siano ricchi di opere buone, che siano generosi, partecipino ad altri i loro averi, tesorizzando così per se stessi un buon capitale per il futuro, per conquistare la vera vita 12. Se dunque, fratelli miei, l’Apostolo cercava di distogliere dalla prospettiva terrena e rivolgere a quella celeste coloro che sembravano felici nel tempo presente, se non voleva che si confinassero nel piacere delle cose presenti, ma sperassero nelle future, se a chi possedeva beni diede tali ammonimenti, quanto più deve mirare al futuro col suo cuore colui che ha deciso di non possedere nulla su questa terra! Cioè di non aver nulla di superfluo, nulla che impacci, che sia di peso, che vincoli e impedisca. Il monito: Come gente che non ha nulla e possiede tutto 13 si realizza anche oggi fedelmente nei servi di Dio. Non ci sia nulla che tu chiami » tuo » e tutto sarà tuo. Se ti attacchi anche solo a una parte, perdi il tutto. La povertà ti sia sufficiente nella misura in cui ti sarebbe sufficiente la ricchezza.
http://www.zenit.org/it/articles/siate-custodi-dei-doni-di-dio
« SIATE CUSTODI DEI DONI DI DIO! »
OMELIA DI PAPA FRANCESCO NELLA MESSA PER L’INIZIO UFFICIALE DEL SUO MINISTERO PETRINO
CITTA’ DEL VATICANO, 19 MARZO 2013 (ZENIT.ORG)
Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta questa mattina da papa Francesco durante la Messa per l’inizio ufficiale del Suo ministero petrino, celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana.
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Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è « custode », perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli « Erode » che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo « custodi » della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per « custodire » dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.