L’ISTORIA DEI DUE CIECHI SANATI DA NOSTRO SIGNORE – SAN CARLO BORROMEO
http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_o.htm#«QUANDO VERRÒ E VEDRÒ IL VOLTO DI DIO?»
L’ISTORIA DEI DUE CIECHI SANATI DA NOSTRO SIGNORE
SAN CARLO BORROMEO *
Carlo Borromeo (1538-1584) resse per 24 anni, in tempi difficili di divisioni e di scismi, la diocesi di Milano. A lui si deve l’istituzione dei seminari per la formazione degli aspiranti al sacerdozio. Pastore zelantissimo e infaticabile, percorse e ripercorse la vastissima zona affidata alle sue cure, riaffermando la disciplina ecclesiastica, consolidando il senso liturgico e conservando la morale cattolica. Quando il flagello della peste invase e tormentò la Lombardia, la carità del santo fu inesauribile. Simbolo del suo ardente zelo per il bene delle anime a lui affidate, la pagina che segue manifesta la sua umiltà e il senso del concreto, che contraddistinsero la sua personalità e il suo ufficio pastorale.
Abbiamo un’istoria bellissima, molto accomodata al bisogno nostro: l’istoria di que’ due ciechi che furono, come recita il santo evangelo, sanati da nostro Signore, nell’uscir di Gerico per andare a Gerusalemme, vicino al tempo della sua passione. Erano poveri mendichi, che stavano per la via mendicando, e furono illuminati dal Signore: e non solo illuminati negli occhi esteriori, ma negl’interiori ancora; non solo sanati nel corpo, ma nell’anima insieme. E’ per esempio questo molto accomodato al bisogno nostro e di molto ammaestramento, che siccome siamo simili nella mendicità, così siamo nel di mandare aiuto, in chieder la luce. E uno dei primi e più efficaci mezzi coi quali abbiamo da impetrarla è conoscere il bisogno che ne abbiamo; conoscere, dico, quanto ne siamo privi, in quanta mendicità e cecità siamo involti e quanto all’anima e quanto al corpo. Tutta la vita nostra è un continuo mendicare; né vi è cosa più povera e mendica dell’uomo…
Da tutti abbiamo bisogno, in ogni cosa siamo mendichi, parlando poi anche del solo corpo. Che, quanto all’anima, oh che mendicità ed estrema povertà! Di continuo ci bisogna dimandar lume, cognizione, grazia, buona volontà, fortezza, quel che è peggio, non curiamo di questa povertà nostra, né studiamo di conoscerla; e guai a quell’anima che non conosce se stessa. E’ in cattivo stato quell’anima, in cattivo stato. E può aver maggior superbia che presumere di se stessa? che attribuire alla virtù sua le opere che fa? Chi è quella, che abbia almeno un poco di ragione, che si voglia gloriare nelle forze sue e nel giudizio suo?.. Se entrassimo bene nell’interior nostro e penetrassimo bene sino al fondo, ah quante macchie, quanti peccati occulti! come bene ci conosceremmo ciechi, poveri e mendichi!
Questa cognizione è utilissima; ed io l’ho non solo per preparazione molto degna all’orazione, ma per mezzo molto efficace per impetrare quanto in essa dimandiamo. Conviene metterci avanti al Signor Dio, scoprirgli la viltà nostra, le piaghe nostre, le miserie nostre, la cecità nostra, la povertà e mendicità nostra. I ciechi erano poveri mendichi, stavano per le vie accattando ed in questa loro mendicità ottennero la sanità. Né in ciò siamo noi da loro differenti, poiché oltre la povertà simile, stiamo in questo mondo che è una via e siamo di continuo viandanti e pellegrini fin che in esso permaniamo.
Non manca a noi la turba, che, come a quelli, ci insegni il Signore. Poiché, oltre le continue voci dei predicatori e delle Scritture sacre, tutte queste cose create sono turbe che ce lo insegnano: e campi, e fiori, e arbori, e uccelli, ed acque, e sale, e stelle, tutte ci insegnano il Signore; per tutto egli passeggia; in tutto ci si scopre l’amore, la potenza e la sapienza sua. Ma notate che quella stessa turba, che insegnò il Signore ai ciechi, la stessa dico, vietava loro che non dimandassero la sanità. Il che avviene a noi, e molte volte, quando affezionandoci troppo a queste cose, create pur per servizio nostro, le godiamo con troppo senso e ne siamo ingrati al Signor Dio, di modo tale che di quelle cose, che ci sono date per istrumenta di maggiar virtù, ce ne serviamo di maniera che ci si convertono in occasione di far male… Ma non per questo abbiamo da impaurirsi a desistere dall’opera nostra. Né per quella si ritirarono i ciechi, anzi più ingagliardivano le voci: Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi (ML 9, 27).
* Parole di San Carlo ai Milanesi: dai «Sermoni familiari ». Convento dei Servi in San Carlo – Milano 1965 – pp. 25-28.

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